populismo
Da un punto di vista storico, il p. è il nome con cui è stato designato in Occidente il movimento politico-culturale russo (narodnicěstvo) sviluppatosi nella seconda metà del 19° sec. e durato fino alla rivoluzione. In seguito, e in particolare nel 20° sec., il termine fu usato per designare tendenze o movimenti politici, anche assai diversi tra loro, che si sono sviluppati in differenti aree e contesti nel corso del secolo. Malgrado le difformità, alcuni tratti comuni del p. sono in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del «popolo», per lo più inteso genericamente, con scarsa attenzione alle sue concrete determinazioni sociali e alla sua esaltazione come portatore di istanze e valori positivi, di norma tradizionali, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Tra gli elementi comuni hanno spesso assunto un particolare rilievo politico la tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa, privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader carismatici a partiti ed esponenti del ceto politico tradizionale.
La prima organizzazione populista, la Zemlja i volja («Terra e libertà»), venne costituita nel 1861 nel clima di delusione provocato dalle modalità, penalizzanti per i contadini, con cui era stata abolita la servitù della gleba (febbr. 1861). L’ideologia populista si fondava sulla convinzione della possibilità di uno sviluppo storico-economico che, saltando la fase capitalista, avrebbe portato la Russia, attraverso uno sconvolgimento rivoluzionario, a una struttura sociale e politica di tipo socialista. La repressione poliziesca portò tuttavia allo scioglimento della Zemlja i volja. Fallita questa prima esperienza, si diffuse negli ambienti populisti una visione dell’azione rivoluzionaria che anteponeva il ruolo dell’individuo a quello della massa, tendenza che ispirò alcune esperienze cospirative nella seconda metà degli anni Sessanta. Negli anni finali del decennio l’influenza combinata delle idee di P.L. Lavrov sulla necessità dell’attività propagandistica fra le masse, e della teoria di M.A. Bakunin sull’istinto rivoluzionario di queste ultime, ricondusse l’attenzione dei populisti al popolo come protagonista dell’azione rivoluzionaria. Ne conseguì nella primavera del 1874, dopo un primo periodo di attività propagandistica fra gli operai, lo spostamento di giovani rivoluzionari dalle città ai villaggi, con l’obiettivo di mobilitare le masse contadine attraverso la propaganda. La mancata risposta di queste ultime provocò un disorientamento nelle file populiste che evidenziò la necessità di un’organizzazione centralizzata: nacque così la seconda Zemlja i volja (1876). Alcuni esponenti di questa, in risposta alla crescente repressione poliziesca e alla persistente passività contadina, individuarono il terrorismo quale unico strumento idoneo alla lotta contro l’apparato dello Stato. Il dibattito intorno a questa posizione portò alla scissione della Zemlja i volja (1879) in due gruppi. Nel corso del decennio successivo, il movimento populista si disperse ulteriormente in gruppi a livello provinciale che proseguirono l’attività terroristica in un crescente isolamento. Alcuni elementi del p. rivoluzionario vennero ripresi, all’inizio del secolo successivo, dai socialisti rivoluzionari.
Si è manifestato a partire dal secondo decennio del sec. 20° e ha avuto il suo massimo sviluppo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Nonostante le differenze riscontrabili nei singoli Stati (dal peronismo argentino all’Estado novo di G. Vargas in Brasile, all’attività dell’APRA in Perù ecc.), il fenomeno è stato caratterizzato da alcuni elementi comuni: una situazione socioeconomica in rapido mutamento per il passaggio da economie prevalentemente agricole a economie industriali e da sistemi politici a partecipazione molto limitata a sistemi a partecipazione più estesa; la presenza di masse urbane di recente trasferitesi dalle campagne e non integrate; l’emergere di un leader carismatico, che si presenta come portavoce delle esigenze del popolo; la mobilitazione delle masse da parte del leader attraverso l’esaltazione dei valori nazionali e l’instaurazione con esse di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali. Quando i movimenti populisti hanno conquistato il potere, essi hanno incontrato seri limiti alla loro azione di governo a causa di una delle condizioni che ne avevano favorito l’ascesa, ossia l’eterogeneità della loro base sociale, e della difficoltà di mediare tra i contrastanti interessi che in essa erano espressi. Inoltre, l’incapacità di controllare il processo di ascesa delle masse mobilitate ha contribuito a determinare il declino dei regimi populisti; spesso, infatti, questi regimi sono stati sostituiti al potere dalle forze armate, l’unica istituzione in grado di mantenere un elevato controllo sociale.