FELICIANI, Porfirio
Nacque il 19 apr. 1554 da Giovan Battista, di famiglia "satis illustris" (Ughelli-Coleti) originaria di Perugia, a Gualdo Tadino (prov. Perugia).
Da giovane coltivò studi filosofici, matematici, astrologici, oltre a quelli di giurisprudenza in cui si laureò all'università di Perugia (Alessio) e a quelli letterari che seguitò per tutta la vita componendo versi. La principale fonte sul F. è rappresentata da ventisei voluminosi tomi di lettere conservati alla Biblioteca Angelica di Roma (segn. 1215-1239 e 1239bis). I primi ventidue contengono la corrispondenza ufficiale della Cancelleria apostolica nella quale il F. prestò servizio sotto il cardinale Scipione Borghese Caffarelli, mentre gli ultimi quattro raccolgono lettere private e quelle scritte per altri personaggi. A questi si aggiungono la raccolta epistolare del manoscritto Barb. lat. 6029 della Biblioteca apostolica Vaticana e gli originali delle lettere spedite al cardinale Francesco Barberini legati insieme nel Barb. lat. 8875.
Circa i suoi primi impieghi non abbiamo notizie precise. Dalla lettera a Olimpia Aldobrandini del 3 febbr. 1607 (Roma, Bibl. Angelica, ms. 1238, cc. 544-547) si ficava tuttavia che andò a servizio molto giovane, intorno al 1570, e G. V. Rossi (l'"Eritreo") nella Pinacotheca afferma che il F. entrò in Curia "ferme adulescens". Dal 1580 circa risulta al servizio del cardinale Anton Maria Salviati fino alla morte di questo, nel marzo 1602. Lo dovette seguire quando nel 1585, durante il pontificato di Sisto V, il cardinale fu nominato legato a Bologna e si impegnò in un'energica repressione del brigantaggio nella regione. Un manipolo di lettere nel manoscritto 1239 dell'Angelica (cc. 260-262 e 619-630) conferma infatti la presenza del F. a, Bologna almeno tra il maggio 1585 e il maggio 1586.
L'incarico presso il Salviati gli consentì probabilmente di stringere contatti in Curia, che sfruttò specie dopo che il cardinale, salito al soglio pontificio Clemente VIII, andò perdendo d'influenza e rinunciò alle sue cariche politiche per dedicarsi ad opere assistenziali e devozionali. Quando nel 1593 furono elevati alla porpora i nipoti del nuovo papa, Pietro Aldobrandini e Cinzio (Passeri) Aldobrandini il F. stesso scrisse una "postilla" al pontefice (Bibl. Angelica, ms. 1239, cc. 294 s., 19 dicembre) in cui il Salviati rassegnava le dimissioni dalla congregazione de Bono Regimine. Un suo impiego anteriore nella Cancelleria pontificia sembrano però testimoniare quattro lettere scritte per Gregorio XIV datate 7 dic. 1590 (Ibid., ms. 1238, cc. 324-328) in risposta agli auguri ricevuti per l'elezione al soglio. Il manoscritto 1239 (cc. 257-260) contiene una lettera datata 26 maggio 1592 scritta per Clemente VIII e diretta al nunzio di Venezia con istruzioni di protestare fermamente presso la Repubblica per l'aiuto portato al bandito Marco Sciarra: questi, incalzato dal nipote del papa Gian Francesco Aldobrandini, era stato imbarcato nel porto di Civitanova da galere veneziane (Pastor, XI, pp. 591-593). Accompagnava la missiva un biglietto personale del F. (C.291) "di palazzo", da cui si ricava che egli aveva redatto la lettera basandosi su una minuta ricevuta personalmente dal pontefice.
Oltre a confermare un qualche ruolo nella segreteria pontificia, ciò testimonia l'ingresso del F. nella cerchia degli intimi del papa e della sua famiglia. Dopo la morte dei Salviati egli entrò infatti al servizio di Olimpia Aldobrandini, moglie di Gian Francesco Aldobrandini, come segretario privato svolgendo di fatto incarichi per i numerosi figli di Olimpia - in particolare per Silvestro, cardinale dal 1603 del titolo di S. Cesareo in Palatio - e per il potente cardinale segretario di Stato Pietro Aldobrandini. Di questi anni abbiamo testimonianza nelle epistole scritte per la Aldobrandini (Bibl. Angelica, ms. 1239), mentre alcune lettere del maggio 1607 (Ibid., ms. 1238, cc. 537571) documentano l'epilogo del rapporto con la potente famiglia. Il F. scrive ad Olimpia a Ravenna, dove ella aveva seguito Pietro costretto dal conflitto con il papa Paolo V a ritirarsi nella sua diocesi, per chiedere licenza dopo cinque anni di fedele servizio. Adduce motivi personali ed economici, ma le lettere vanno viste innanzi tutto come un'accorta manovra di sganciamento dall'ingombrante protezione degli antichi padroni.
Non si sa con precisione quando il F fece il suo ingresso nella Cancelleria di Paolo V che nel settembre 1605 era passata sotto la direzione del cardinal nepote Scipione Borghese Caffarelli. Le lettere più antiche contenute nei volumi della Angelica risalgono all'agosto 1609 e i suoi incarichi dovettero essere inizialmente quelli di semplice scrittore delle lettere ai principi nella segreteria retta da Lanfranco Margotti, già segretario di Clemente VIII, unico funzionario accolto nelle cariche da Paolo V, le cui lettere passavano per modelli di stile e furono più volte stampate (Lettere scritte ... nei tempi di Paolo V a nome del card. Borghese, Roma 1627; Venezia 1632; Bologna 1661). Alla morte del Margotti (30 nov. 1611) la segreteria fu divisa tra il F. e Giovan Battista Perugini da Sezze (Bibl. apost. Vaticana, Urb. lat. 1079, c. 832: Aviso di Roma del 1611) e quando quest'ultimo morì a sua volta, all'inizio del dicembre 1613, fu unificata sotto il F. che nel frattempo il 2 apr. 1612 era stato nominato vescovo di Foligno. Fu affiancato nella conduzione della segreteria da Decio Mamolo da Benevento in qualità di semplice coadiutore. Sul ruolo e le funzioni del F. nella Cancelleria da questo momento ci informano esaurientemente le anonime Istruzioni per il segretario di Stato del papa contenute nel manoscritto 34.D.2i della Biblioteca Corsiniana di Roma databili all'agosto 1623, all'inizio del pontificato di Urbano VIII.
Più prestigioso di quello nelle due segreterie dei brevi, l'incarico di segretario di Stato e di lettere dei principi, o segretario domestico, comportava un contatto diretto con il pontefice. Il F. aveva udienza tutti i giorni fuorché il giorno prima della segnatura, leggeva al papa la corrispondenza dei principi e dei nunzi e abbozzava le minute delle risposte da affidare ai segretari, in numero di quattro o cinque, alle sue dirette dipendenze. Attraverso il segretario privato passavano anche per lo più le istruzioni per i segretari dei brevi qualora il pontefice decidesse di rispondere in questa forma e spesso questi segretari facevano controllare le lettere al F. prima di sottoporle a Paolo V per l'approvazione definitiva. Mentre i due segretari dei brevi sottoscrivevano le lettere, al segretario privato questo era consentito solo nei casi d'infermità del capo della Cancelleria, cioè del Borghese Caffarelli. Al segretario spettava inoltre di illustrare nella congregazione dei Cardinali i conflitti procedurali di particolare gravità di cui i nunzi informavano la Curia: egli stendeva una relazione della seduta e riferiva al papa. Il F., come precedentemente il Margotti, dava udienza due volte a settimana ai residenti stranieri. Di tutta questa attività restano i primi ventidue massicci tomi della Angelica contenenti non meno di diecimila lettere, nonché, nel manoscritto 38.A.212 della Corsiniana, alcune Istruzioni politiche: a monsignor A. Rivarola nunzio straordinario a Parigi (s. d., ma dell'aprile 1610), a monsignor L. Ruini nunzio in Polonia (26 sett. 1612), a monsignor L. Sarego nunzio presso gli Svizzeri (14 sett. 1613), a monsignor O. Paravicino presso l'arciduca Ferdinando a Graz (12 dic. 1613).Il F., che il 1ºdic. 1620 risultava ancora nei ruoli dei familiari di Paolo V con il titolo di segretario di Stato, concluse il suo servizio nella Cancelleria con il termine di questo pontificato (28 genn. 1621). Negli anni seguenti si occupò attivamente del governo della sua diocesi, correggendo i costumi del clero locale rilassatisi per la continua assenza dei vescovi precedenti, e affrontando i problemi connessi al patrimonio della curia vescovile non particolarmente fiorente. Fece costruire a Foligno un convento per i barnabiti che introdussero in Umbria il culto di s. Carlo Borromeo; restituì al culto il sepolcro di s. Messalina nella cattedrale e vi istituì la confraternita della Vergine lauretana con una dotazione di 1000 scudi per l'officiante e le ragazze da marito. All'inizio del vescovato avviò il processo di beatificazione del pio folignate G. B. Vitelli, morto il 25 sett. 1621, che fu approvato dalla congregazione dei Riti il 30 marzo 1624.
Non mancarono conflitti con le autorità locali, come il governatore di Perugia nei confronti del quale il F. riafferinò con decisione l'autorità e l'immunità della curia vescovile, non esitando a ricorrere alle sue aderenze a Roma e a inoltrare in una circostanza la vertenza alla Consulta pontificia (Bibl. Angelica, ms. 1237, cc. 631 s.). Il 10 maggio 1623 nominò coadiutore il prelato di Anagni Cristoforo Caetani, vescovo di Laodicea, che aveva servito sotto di lui nella Cancelleria apostolica e vi era rimasto impiegato fino alla morte di Gregorio XV nel luglio 1623- Il Caetani, di cui il F. ebbe costantemente a lamentarsi (si veda in particolare il Compendio de' benefitii ch'il vescovo di Foligno ha fatto a mons. di Laodicea e Imali portamenti et ingratitudini usate da Christoforo..., conditi da una buona dose d'ironia, acclusi alla lettera del 16 maggio 1624 al cardinale F Barberini, Barb. lat. 8875; e anche Barb lat. 6030, cc. 117r-18v), gli successe sulla cattedra alla sua morte.
Il F. morì a Foligno (Perugia) il 2 ott. 1634, e fu sepolto nella cattedrale.
Secondo G. C. Fischer (Vita Ioannis Victorii Rossi vulgo... Erythraei, Coloniae Ubiorum 1739, p.LXI) il F. sarebbe stato tra i promotori della romana Accademia degli Umoristi; il suo nome non figura però tra i sottoscrittori del decreto accettato dalla Accademia il 27 marzo 1608. All'ambiente degli Umoristi riporta tuttavia l'amicizia per Gaspare Murtola, testimoniata da una lettera del 14 nov. 1603 (Bibl. Angelica, ms. 1239, cc. 12-14). Più interessante una lettera del 20 dic. 1605 a Francesco Bracciolini (ibid., ms. 1288, cc. 623-636) a Pistoia, dove questi attendeva alla rielaborazione del poema sacro la Croce racquistata, appena pubblicato a Parigi. Al Bracciolini, che aveva conosciuto a Roma nel 1601 e al quale rimase legato da amicizia per tutta la vita, il F. indica alcuni principi da tenere presenti nella revisione: attenersi al verosimile, all'evidenza della rappresentazione e al movimento degli affetti senza eccedere negli episodi e considerare il giudizio degli indotti, talora più efficace di quello dei letterati.
All'apprezzamento del Bracciolini, che rappresenta un indirizzo moderato nel primo affermarsi del barocco, risponde nella medesima lettera il giudizio tiepido su Giovanbattista Marino che, scrive il F., "mi venne a leggere una di queste sere quei suoi Innocenti". Al Marino, che il F. frequentò nelle riunioni degli Umoristi e dal 1603 quando il poeta napoletano entrò al servizio del cardinale P. Aldobrandini (il F. è menzionato in modo lusinghiero in una lettera del Marino a Claudio Achillini da Parigi, gennaio 1620), egli rimprovera la mancanza di originalità nelle invenzioni e l'eccesso del "particolareggiare", mentre riconosce una naturale felicità nell'evidenza della rappresentazione.
Una impronta sostanzialmente tradizionale mostrano i testi del F. pervenutici. Oltre ad un sonetto del 1579 (Barb. lat. 1849, c. 283) e ad uno stampato in apertura dell'Amarilli di Cristoforo Castelletti (Roma 1587), abbiamo dodici sonetti di elegante fattura petrarchesca (nel manoscritto vaticano Chigiano I.VIII.273, cc. 152r-159v), preceduti da una lettera a monsignor Antonio Caetani del 6 dic. 1609, ma composti prima. Di genere bernesco il capitolo in terza rima in lode della Franceide di G. B. Lalli (Barb. lat. 3889, cc. 83r-84v), seguito da una risposta probabilmente ancora di mano del F. (i due testi si leggono in G. B. Lalli, Rime giocose, Foligno 1634, pp. 14-19). Rapporti con il Lalli, che soggiornò a Foligno, testimoniano due lettere nel Barb. lat. 6029 (cc. 651 e 705v-706r), in cui rispettivamente il F. esorta a terminare il poema epico sulla distruzione di Gerusalemme (rimasto incompiuto e stampato a Foligno nel 1635 con in apertura un sonetto del F.) e propone per il poema eroicomico sulla sifilide composto dal Lalli il titolo adottato Franceide (Venezia 1629). Di altri componimenti abbiamo solo attestazioni indirette. In una lettera al Caetani del 16 genn. 1598 (Bibl. Angelica, ms. 1239, C.295) si parla di una canzone composta per la presa di possesso del Ducato di Ferrara "che invitava l'essercito all'impresa", poi superata dall'evolversi incruento degli eventi. Due lettere a Lelio Guidiccioni a Lucca del 16 novembre e del 2 dic. 1602 (Ibid., ms. 1238, cc. 322 e 323 s.) contengono la notizia di alcuni sonetti e di una canzone morale. In una lettera al cardinale F. Barberini del 2 ott. 1630 (Barb. lat. 8875, n. 49), infine, il F. parla di un'"operetta" dedicata al cardinale in corso di stampa. Si tratta evidentemente del volume di Rime diverse morali e spirituali a cui accenna nella Bibliotheca Umbriae (Fulginiae 1658, p. 232) lo storico folignate Ludovico Iacobelli che però già nel Settecento risultava irreperibile (Crescimbeni, p. 151).
Lo Iacobelli ebbe contatti con il F. negli anni di residenza in diocesi. A lui inviava le sue opere di storia locale e agiografia, come la Vita della b. Angelica Corbara (Foligno 1627: si veda Bibl. Angelica, ms. 1237, cc. 354 s.) e una Historia dei vescovi di Foligno, da identificare con ogni probabilità nel Discorso della città di Foligno (Foligno 1646) dove risultano accolti alcuni suggerimenti del F. (Bibl. Angelica, ms. 1239 bis, cc. 147v e 678v-679v).
La fama del F. come poeta e segretario fu considerevole tra i contemporanei. Di lui fanno menzione numerosi autori, tra i quali G. B. Lauro (Theatri Romani orchestra, Romae 1625, p. 50), P. Persico (Del segretario, Venezia 1629, p. 141), l'Eritreo (Pinacotheca imaginum illustrium ... virorum, I, Coloniae Agrippinae 1643, pp. 133 s.), C. Alessio (Elogia civium Perusinorum. Centuria prima, Romae 1652, pp. 323 s.).
Fonti e Bibl.: G. Lunadoro, Relaz. della corte di Roma, Padova 1650, pp. 14 s.; G. B. Marino, Lettere, a cura di M. Guglielminetti, Torino 1966, p. 241; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 71; G. M. Crescimbeni, Commentari della volgar poesia, III, Venezia 1730, pp. 150 s.; F. Bonamico, De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, Romae 1753, p. 282; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VIII, Roma 1785, p. 364; H. Lammer, Zur Kirchengeschichte des sechzehnten und siebzehnten Jahrhunderts, Freiburg 1863, pp. 75-91; Id., Meletematum Romanorum mantissa, Ratisbonae 1875, pp. 255-340 passim;E. Narducci, Corrispondenza diplomatica della corte di Roma per la morte di Enrico IV di Francia, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, classe di scienze fisiche e morali, s. 4, III (1887), n. 1, pp. 157-164; Id., Cat. codicum manuscr. in Bibl. Angelica, Romae 1893, pp. 501-523, con indici dei destinatari delle lettere; P. Richard, Origines et developpement de la secrétarie d'état apostolique (1417-1823), in Revue d'histoire ecclés., XI (1910), pp. 728-754; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 370-381; L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1929, pp. 591-93; XII, ibid. 1930, pp. 36-39, 348; C. Eubel, Hierarchia catholica, IV, Romae 1935, p. 191; J. Semmler, Das päpstliche Staatsekretariat in den Pontifikaten Paulus V. und Gregors XV. 1605-1623, Rom-Freiburg-Wien 1963, pp. 70-88, 115 s. e passim;A. Kraus, Das päpstliche Staatsekretariat unter Urban VIII. 1623-1644, ibid. 1964, ad Indicem;P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 191.