URBICHE, Porte
Per Porta urbica, s'intende una costruzione in forma di passaggio, solitamente inserita nella cinta muraria di una città, caratterizzata da una ricerca di decoro architettonico e di monumentalità, che la differenziano da altri varchi aperti nel recinto urbano e fanno sì che essa costituisca l'ingresso principale della città, ovvero uno dei principali.
Non è difficile chiarire il significato e la ragione d'essere di tale porta che, oltre a costituire l'accesso monumentale alla città, essendo costruita solitamente a cavallo d'una via importante e transitata, serviva anche al normale svolgimento del traffico. La p. u. per il fatto d'essere la prima manifestazione edilizia che si presentava a chi si apprestasse ad entrare in una città, fu oggetto di particolari cure ed abbellimenti fino dai tempi più antichi (come ci testimonia la cospicua documentazione grafica, letteraria e monumentale relativa alle antiche e lussuose porte del mondo egiziano, assiro-babilonese, persiano, egeo-minoico, ecc.). Era particolarmente curata la sua facciata vòlta verso l'esterno; talora semplice e lineare, essa assumeva altre volte un aspetto decorativo e fastoso. Fino dai tempi più antichi i costruttori di p. u., consapevoli che in caso di guerre o di aggressioni nemiche la porta rappresentava un serio pericolo per l'immunità dei cittadini, per il fatto d'essere facilmente accessibile dall'esterno e di interrompere, invalidandolo, il solido sistema difensivo della città (cinta muraria), cercarono di ovviare a tale grave inconveniente escogitando sistemi di rafforzamento ed espedienti difensivi da affiancare alla porta urbica.
Tra i più comuni ricordiamo: a) il duplice sbarramento con cavedio interposto (tale sistema, conosciuto fino dall'epoca troiana, appare già perfezionato nella porte di Megalopoli a Messene); b) apertura della porta non nella linea del muro, ma in una rientranza, in modo che l'ingresso della città potesse essere facilmente sorvegliato e difeso (sistema adottato già nelle Porte Scee del mondo ellenico); c) adozione di bastioni e di torri di varia forma che venivano affiancati alle p. u. e che, essendo traforati da aperture, permettevano di dominare un largo spazio all'intorno. Tra le p. u. pervenute sino a noi in uno stato soddisfacente di conservazione, molte presentano la coesistenza dei due suddetti aspetti: difensivo-militare e decorativo-ornamentale; in altre invece, è stato accentuato l'uno dei due aspetti, certamente in relazione alle condizioni politiche della città all'epoca della costruzione della sua cinta muraria.
Nella p. u., come in tutti i monumenti di passaggio dell'antichità, era insito un carattere sacrale che, unitamente a qualche elemento della struttura architettonica, apparentava in un certo senso la p. u. ad un tipo di monumento assai divulgato nel mondo romano: l'arco (v.) cosiddetto onorario. In realtà, se qualche tipo più evoluto di p. u. può avere influenzato la forma compositiva degli archi, questi, a causa del loro isolamento, hanno imposto nuovi problemi per i quali è stato necessario trovare adeguate soluzioni e, soprattutto, il carattere onorario e celebrativo proprio degli archi, è sempre stato estraneo alle p. u., tranne casi eccezionali in cui esse si sono trovate ad adempiere alla duplice funzione di ingresso e di monumento onorario dedicato ad illustri personaggi (cfr. gli archi-porte di Rimini, Fano, Trieste, ecc.).
L'elemento essenziale nella struttura architettonica di una p. u. è il passaggio, limitato dalle pareti laterali e dalla copertura, architravata negli esemplari più antichi, arcuata in quelli più recenti. Il numero di passaggi aperti nel corpo del monumento poteva oscillare da uno a quattro. Accanto al tipo più antico di p. u. a un solo fornice, sembra essersi affermato e imposto ben presto, per esigenze pratiche (snellimento del traffico), la porta a due aperture affiancate. Tre o quattro fornici potevano aprirsi in porte aventi un carattere di monumentalità o una particolare importanza; tali porte influenzarono la tipologia degli archi cosiddetti onorarî o trionfali.
Riguardo l'ampiezza delle aperture, non esistevano norme fisse che ne prescrivessero le dimensioni, ma ragioni pratiche suggerivano che esse non fossero inferiori alla larghezza di un grosso veicolo. La maggiore o minore luce del passaggio, come anche la sua altezza, erano inoltre subordinate al carattere - difensivo od ornamentale - della p. urbica. Il numero di p. da inserire in una cinta muraria variava da luogo a luogo ed era in relazione alla importanza ed alla grandezza della città; poteva uniformarsi a credenze religiose e locali (cfr. le sette porte di Tebe, le tre porte delle città etrusche), ma più spesso, era condizionato dalla situazione politica della città e dalle sue esigenze difensive. Le cinte murarie aventi un largo perimetro erano traforate, oltre che dalle p. u., anche da porte minori situate allo sbocco di vie secondarie: le postierle, particolarmente utili durante guerre, invasioni, ecc. poiché esse permettevano che lo svolgersi del traffico giornaliero ed il passaggio degli abitanti si svolgesse senza dover ricorrere alle p. u. che, in caso di pericolo, erano prudentemente chiuse. I sistemi comunemente usati per sbarrare le p. u. erano due: tramite battenti o saracinesca (cataracta).
A partire dall'età augustea alcune p. u. dovettero adempiere ad una duplice funzione; furono, oltre che monumenti d'ingresso alla città, anche monumenti onorarî dedicati ad illustri personalità, simboli tangibili del lealismo nutrito dalle popolazioni o dagli enti pubblici nei confronti dell'Impero Romano. La prima p. u. nella quale è insito tale duplice significato è quella riminese del 27 a. C.; altre sono a Trieste (Porta decumana, ovvero Arco cosiddetto di Riccardo), a Roma (Porta Esquilina, ovvero Arco di Gallieno), a Ravenna (Porta Aurea, ovvero Arco di Druso e Germanico), ecc.
Nei primi secoli dell'Impero le p. u. vennero inserite ampiamente nelle cinte urbane di cui amavano adornarsi, come d'un simbolo di nobiltà, di privilegio, di distinzione, di dignità, le molte colonie delle province romane occidentali, specialmente della Gallia meridionale. Talora le p. u. già esistenti furono oggetto di rifacimenti nei quali si procedette allo sviluppo dell'aspetto decorativo. Il periodo compreso tra la fine del I sec. d. C. e l'epoca delle invasioni del III sec. vide diminuita e quasi annullata l'esigenza difensiva delle città. Le colonie, sorgendo tra genti alleate e ormai amiche, rinunciarono spesso alla cinta urbana costosa, e che sarebbe stata superflua, ma non al nobile ingresso della città. La p. u. diveniva in questi casi il simbolo della cinta urbana; la si costruiva, monumentale e decorativa, sulla linea pomeriale della città, a cavallo di una via importante. Alcune di queste p. u. (Langres, Die, Reims, Besançon) per la loro decorazione e per il fatto d'essere isolate da costruzioni adiacenti, denotano esteriormente una stretta parentela con gli archi onorarî e come tali, spesso, sono stati e sono tuttora erroneamente definiti. Nel II e nel III sec. d. C. lo sviluppo economico e demografico portò all'espansione delle città oltre la linea pomeriale; ma, dopo le invasioni barbariche della fine del III sec., le città tornarono a rinchiudersi nei loro perimetri e le p. u. simboliche furono inserite nelle nuove cinte, frettolosamente costruite dai timorosi cittadini. In queste nuove cinte la p. u. riacquistò il suo valore originario di opera fortificata, utilitaria e militare. Oltre le notissime p. u. galliche sopra citate, sarà opportuno ricordare almeno le più interessanti tra le molte del mondo provinciale romano, anche se raramente esse sono in buone condizioni: di talune infatti conosciamo soltanto lo schema planimetrico, in base al quale sono state proposte delle ricostruzioni. Ricordiamo dunque, seguendo un ordine cronologico approssimativo, le p. u. che esistevano a Verulamium (St. Alban), a Camolodunum (Colchester), a Colonia (Porta Pafia), ad Aventicum (Avenches) per il I sec. dell'Impero; per il II quelle di Salonicco (cosiddette del Vardar), di Adrianopoli, di Ratisbona, di Gerasa, e quelle, adrianee, di Adalia, di Nicea e di Patara, caratterizzate, queste ultime, da un certo lusso architettonico e ornamentale.
Contemporaneamente, e talune anche più tarde, ma del tutto diverse per il loro carattere strettamente utilitario, funzionale e militare erano le porte dei castra e dei castella del limes germanico-retico: le sobrie, semplicissime porte di cui restano scarse vestigia a Wiesbaden, a Saalburg, a Regensburg, a Deutz, ecc. Tra le p. u. del III sec. sono da ricordare, oltre quelle delle regioni orientali (cfr. le porte siriache di Philippopoli e di Bosra), quelle, numerose e di carattere militare-difensivo, inserite nella cinta muraria che, al tempo delle invasioni alemanne circondò Roma per volere di Aureliano subendo ampî rifacimenti da parte di Massenzio e di Onorio. Queste porte, tuttora esistenti (Flaminia, Ostiense, Appia, Pinciana, Salaria, Latina, Nomentana, ecc., v. roma), con le loro aperture numericamente limitate, le controporte e i cavedi inorganici, le saracinesche, le gallerie e le finestrelle, rivelano un carattere militare e difensivo che si rifà palesemente a quello delle p. u. delle città periferiche dell'Impero. Ed infine ricordiamo la tarda ed originale Porta Savoia di Susa che già anticipa forme tipicamente medievali. Le più famose p. u. del mondo romano, e anche le meglio conservate, sono quelle di Torino (Palatina), di Autun (St. André), di Verona (Borsari) e specialmente quella che costituiva l'ingresso della città dei Treviri, la cosiddetta Porta Nigra, eccezionalmente ben conservata, fenestrata in maniera eccessiva, grandiosa, imponente, considerata la più bella tra le porte urbiche (v. treviri).
Porta Triumphalis. - Particolare attenzione va data ad una delle porte dell'antica Roma, dal momento che ad essa i Romani attribuirono grande importanza e un significato altamente simbolico: si tratta della p. u. che, per il fatto d'essere strettamente collegata alla cerimonia del trionfo, fu denominata Porta Triumphalis. Ad essa era attribuito, e in misura maggiore che non ad altre porte, un potere apotropaico, purificativo e profilattico, proprio di ogni monumento di passaggio. Alcuni studiosi (Noack, Frothingham) hanno insistito sull'importanza della Porta Triurnphalis considerandola prototipo degli archi trionfali (v. arco onorario).
La questione connessa alla Porta Triumphalis è intricata; le ipotesi emesse relativamente ai problemi che essa presenta non sempre sono concordi. Comunque, in base alle fonti più accreditate (Cicerone, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio, Cassio Dione), si potrebbe pensare che la Porta Triumphalis fosse situata non lontano dal Tevere, nella parte meridionale del Campo di Marte, e precisamente tra questo e i Portici di Ottavia. Taluni pensano che la Porta Triumphalis fosse inserita nel corso delle mura serviane del IV sec. a. C., tra la Porta Flumentana e la Porta Carmentalis; altri la ritengono un'arcuazione isolata dalla cinta muraria, simile a quella che è raffigurata nel rilievo dell'interno dell'Arco di Tito, nella quale si vuole vedere proprio una rappresentazione della Porta Triumphalis.
La forma originaria della Porta Triumphalis non è ricostruibile; lo è invece quella della porta che, forse all'epoca di Domiziano, fu eretta per sostituire la primitiva Porta Triumphalis che qualche incendio aveva danneggiato in modo irreparabile. In molte monete del tempo di Domiziano compare ripetutamente l'immagine d'un arco quadrifronte sormontato da attico e coronato da una quadriga di elefanti. Un monumento arcuato assai simile a questo ritorna su alcuni rilievi di edifici trionfali di età post-domizianea (rilievi aureliani al Palazzo dei Conservatori e sull'Arco di Costantino a Roma, nell'arco di Traiano a Benevento) proprio là ove si vuole indicare il momento più significativo della pompa trionfale: l'ingresso dell'esercito vittorioso nel territorio urbano. Dunque, nell'arco quadrifronte raffigurato nelle monete domizianee e in alcuni rilievi trionfali, e ricordato dal poeta Marziale che lo descrive e lo definisce "degna Porta Trionfale e ingresso alla città di Roma", è probabilmente da vedere la porta che Domiziano costruì in sostituzione dell'antica Porta Triumphalis, da questa esteriormente diversa, ma analoga per significato simbolico. Proprio per il suo carattere simbolico e non contingente la porta non subì la sorte toccata ad altri monumenti domizianei in seguito alla damnatio memoriae dell'imperatore.
Bibl.: R. Schultze, Die römischen Stadttore, in Bonn. Jahrb., CXVIII, 1909, p. 334 ss. (con bibl. precedente); F. Frigerio, Antiche porte di città italiche e romane, in Riv. Arch. Como, CVIII-CX, 1934, p. 179 ss. (con ampia illustrazione e bibliografia); G. Lugli, Porte di città antiche ad ordine di archi sovrapposti, in Arch. Class., I, 1949; id., La tecnica edilizia romana, Roma 1957; L. Crema, Architettura Romana, Torino 1959; H. Schoppa, Kunst d. Römerzeit, Monaco-Berlino 1957.
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