PORTICO (lat. porticus; gr. στοά)
Edificio, in generale, di forma rettangolare, generalmente molto allungata, che, almeno dalla parte di uno dei lati lunghi, si apre con una serie di colonne o pilastri verso uno spazio aperto (via, piazza, cortile, giardino), avendo al disopra un terrazzo o una galleria superiore, o un secondo piano.
Antichità. - L'esistenza di portici primitivi si riscontra già nei palazzi appartenenti alla civiltà egizia, hittita ed egea; da questi lontani prototipi si sviluppa il tipo di portico greco-romano, che servirà poi di modello alle costruzioni cristiane e alle architetture del Rinascimento. Nel palazzo miceneo di Tirinto, oltre a parecchi atrî e propilei, la cui struttura è affine a quella dei portici, si riscontra un ampio cortile, che precede il megaron degli uomini, con un altare nel mezzo e lungo i quattro lati portici di forma embrionale, i quali disimpegnano gli ambienti aperti all'intorno. Il palazzo di Cnosso a Creta non aveva portici nel grande cortile centrale, mentre essi si vedono invece nel cortile principale del palazzo di Festo. Si suppone che alcuni templi greci arcaici avessero lungo i fianchi tettoie in legno, appoggiate a pali o a pilastri, per proteggere i visitatori del luogo: dal pronao e dai colonnati dell'opistodomo, congiunti fra loro per mezzo di questi portici laterali, sarebbe nata la forma del tempio perittero.
I pubblici portici si moltiplicano in numero, ampiezza e splendore a mano a mano che si procede dall'arte greca dei secoli più antichi all'ellenistica, e da questa all'arte romana imperiale, che ne fece un larghissimo uso, sia nella capitale sia nelle città delle provincie, impiegandovi spesso l'arco piuttosto che la piattabanda. I portici si rivelarono di grande utilità pubblica, tanto per difendere dalle piogge e dai rigori invernali nel settentrione, quanto per riparare dai cocenti raggi del sole nelle regioni meridionali e in special modo nelle città africane. I lati minori di un portico potevano essere chiusi o aperti; il lato lungo, opposto a quello delle colonne o pilastri, era generalmente chiuso, anzi spesso addossato a un altro edificio.
L'interno del portico poteva essere diviso in due o più navate da file mediane di colonne o pilastri interni; talvolta, come nel portico dei Corciresi in Elide e in quello di Filippo a Delo, a un muro longitudinale centrale si appoggiavano due portici aperti verso l'esterno, orientati secondo due punti cardinali diametralmente opposti. Nei portici più monumentali il tetto era a due spioventi, in modo da formare due piccoli frontoni nei lati minori; tetti a due spioventi su portici si vedono in stucchi, pitture e musaici romani, specialmente se derivati da prototipi ellenistici, e in rappresentazioni di porti.
Già al principio del sec. III a. C., Sostrato di Cnido, architetto del celebre Faro di Alessandria in Egitto, aveva introdotto un secondo piano nei portici, che, in età precedente, ne avevano avuto uno solo; l'architettura ellenistica e poi la romana seguirono questa innovazione.
Esempî caratteristici di portici a due piani sono quelli di Attalo e di Eumene in Atene e quello del tempio di Atena a Pergamo. I piani potevano essere ambedue dorici, oppure l'inferiore dorico e il superiore ionico.
L'introduzione a Roma di portici di tipo greco-ellenistico si fa risalire al sec. II a. C.
Una distinzione netta fra i vari portici, basata sulla loro funzione, non è possibile, poiché spesso essi servirono contemporaneamente a più usi: così, per es., la Stoa Poikile nell'Agorà di Atene servì al passeggio dei cittadini, all'amministrazione della giustizia, alle conversazioni dei filosofi (dando il nome di stoici ai seguaci di Zenone); il portico di Livia a Roma, per quanto circondasse un tempio dedicato alla Concordia e avesse perciò carattere sacro, viene decantato da Ovidio (Ars amat., I, 71) e da Strabone (V, 3, 8) come splendido passeggio pubblico. Tuttavia per chiarezza di trattazione è opportuno distinguere i portici in gruppi, secondo la loro destinazione principale.
Portici di santuarî. - Costruiti intorno ai templi o nelle loro immediate vicinanze, vi si raccoglievano i frequentatori dei santuarî, per le cerimonie sacre: l'accesso alla cella del tempio era riservato ai soli sacerdoti e alle alte autorità. Nel tempo stesso questi portici potevano disimpegnare gli ambienti destinati all'abitazione dei pellegrini e del personale addetto al santuario.
Uno dei più antichi e famosi portici sacri era quello degli Ateniesi a Delfi (fine del sec. VI), in stile ionico. Addossato alla terrazza del tempio, a un livello più basso, conteneva gli arredi navali tolti al nemico nella battaglia di Salamina. Altri due portici di Delfi (di epoca ellenistica), costruiti innanzi all'ingresso principale del temenos, erano destinati al riposo dei pellegrini e alla vendita di oggetti sacri. La Stoa Poikile di Olimpia, detta così per le pitture che la decoravano, situata a oriente dell'Altis, era a due navate, aveva colonne doriche fuori, ioniche o corinzie nell'interno (secolo IV a. C.); si chiamava anche portico di Eco perché la voce vi si ripercuoteva almeno sette volte. Dal sec. IV in poi e soprattutto in età ellenistica alcuni importanti templi ebbero uno o più portici, che, costruiti in forme sempre più simmetriche, costituirono un peribolo intorno al piazzale, sul quale sorgevano la gradinata, il pronao e la cella. Tali portici sembra avesse il grande tempio di Artemide in Efeso, nella ricostruzione dell'architetto Chirocrate (sec. IV a. C.). Il celebre santuario di Apollo a Delo era limitato sul lato nord dal portico di Antigono, detto anche "stoa delle corna" dalla decorazione di teste di toro nella trabeazione, e sul lato di sud-ovest dal portico di Filippo V, ambedue del sec. III a. C.
Il cosiddetto "portico dei tori" a Delo, la cui destinazione non è ancora conosciuta con certezza, non può considerarsi come un vero portico, poiché la parte allungata non aveva colonne o pilastri esterni, ma prendeva luce da dodici finestre. I colonnati costruiti da Attalo II intorno al tempio di Atena Poliade a Pergamo (questo anteriore agli Attalidi) costituiscono l'esempio più insigne di portico a due piani, dorico l'inferiore, ionico il superiore; gl'intercolunnî del piano superiore avevano parapetti con trofei d'armi scolpiti. Nei profondi portici che circondavano il piazzale del tempio di Apollo Delfinio a Mileto erano raccolti numerosi monumenti onorarî e iscrizioni di carattere pubblico.
A Roma l'area capitolina era circondata da un muro, al quale si appoggiavano portici nella parte interna; in epoca romana, secondo la tradizione ellenistica, molti templi ebbero un peribolo a sé, formato da porticati; così il tempio di Venere a Roma nel Foro romano, fondato da Adriano; il santuario di Diana a Nemi, alcuni templi di Pompei (di Venere, di Apollo, di Vespasiano, di Iside), molti santuarî nell'Africa del nord, i giganteschi templi del Sole a Palmira e di Zeus a Eliopoli; l'Olympieion di Atene (compiuto da Adriano), il Traianeum di Pergamo.
Il piano regolatore della Roma imperiale si valse molto di portici costruiti intorno ai templi, oltre che per ragioni religiose anche per il risanamento igienico dei quartieri popolari e per il comodo traffico dei cittadini: ciò si fece specialmente nella regione IX (Campo Marzio). La lunghezza totale dei 10 principali portici della regione IX era di circa 4500 m., l'area protetta contro la pioggia e il sole di 27.500 mq., l'area complessiva da loro occupata di circa 100.000 mq., le colonne erano 2000. In questi portici era spesso indicata, con apposite iscrizioni, la loro lunghezza.
Il portico d'Ottavia (reg. IX) circondava i templi di Giove e di Giunone, il portico di Livia (reg. III) un tempio della Concordia, quello degli Dei Consenti sorgeva nel Foro presso i templi di Saturno e di Vespasiano, la porticus Minucia (reg. IX), Philippi (reg. IX), Boni Eventus (reg. IX) facevano da peribolo rispettivamente alle Aedes Larum Permarinorum, alle Aedes Herculis et Musarum, al tempio del Bonus Eventus. Una menzione speciale meritano i portici che sorgevano nei santuarî, dedicati a divinità salutari; si chiamavano ἐγκοιμητήρια o dormitorî, perché i pellegrini vi dormivano nella speranza di vedere in sogno il dio e ottenere la guarigione. Si conoscono quelli dell'Asklepieion di Atene (sec. IV, rimaneggiati in epoca romana), dell'Anphiareion di Oropo, dei templi di Asclepio a Priene, a Epidauro, a Coo, ecc.
Portici di fori e mercati. - Nelle città greche la piazza principale o agorà era insieme centro della vita politico-amministrativa e della commerciale; vi si trovavano numerosi portici, corrispondenti alla duplice destinazione che aveva il luogo.
L'esempio più caratteristico è l'Agorà di Atene, il cui scavo è tuttora in corso. Vi erano la stoà basíleios con gli uffici dell'arconte basileus, la Stoa Poikile, famosissima per le pitture di Polignoto, Micone e Paneno. quella di Zeus Eleuterio e il portico di Attalo II, aggiunto in epoca ellenistica ai precedenti. Questo era a due piani, di stile affine al già citato portico presso il tempio di Atena Poliade a Pergamo. Vi erano poi, in altre parti della città, portici più specialmente destinati al commercio, come la stoà alfitópolis per il commercio delle farine. Gli architetti che operarono in età ellenistica si preoccuparono di regolarizzare sempre più e rendere armonici fra loro i portici delle ἀγοραί, e ciò anche quando le città sorgevano su terreno accidentato: così ad Ege, Alinda, Asso (Asia Minore) si circondarono piazze principali o mercati con portici, sostenuti all'esterno da altissime costruzioni a più piani, ammirevoli per semplicità di disegno e perfezione di tecnica. Altri magnifici esempî di mercati ellenistici, con portici regolari, sono offerti da Mileto e Priene. Questa presenta una piazza rettangolare, con altare nel mezzo, chiusa su tre lati da portici; sul quarto lato, di là dalla strada principale e a livello più alto, si ergeva un portico sacro a due navate (ἱερὰ σροά, che serviva per l'attività dei magistrati e per banchetti solenni. Anche l'ἀγορά di Cirene aveva portici di tipo ellenistico, rimaneggiati più tardi.
In età romana, dalla fine della repubblica in poi, tanto nella capitale quanto nelle città d'Italia e delle provincie, si tende sempre più a separare il luogo destinato alla vita politica, il vero Foro (v.), dalle piazze destinate ai mercati; e nell'un caso e nell'altro si fa uso sempre più largo di portici. Al tempo di Augusto, in Atene, si edificò un grande mercato, con portici interni e monumentali propilei dorici, per la vendita dell'olio e di altre derrate. Le basiliche Emilia e Giulia, nel Foro romano, avevano portici esterni, come in genere tutti gli edifici di quel tipo: i Fori imperiali offrivano un seguito meraviglioso di portici monumentali. Le città provinciali fecero a gara per avere un Foro con Capitolium e portici, costruiti generalmente in modo che nelle piazze potessero accedere solamente i pedoni. Vitruvio (V, 1) dà norme precise per la costruzione dei Fori e dei portici da erigere intorno ad essi. Così anche i veri e proprî mercati, o macella, avevano portici interni o esterni: fra gl'innumerevoli esempî si può citare il macellum di Pozzuoli. Alcuni portici di Roma prendevano nome dalla merce che si vendeva nelle botteghe che vi si trovavano: così la porticus fabaria (non lungi dalla porta Trigemina) e la porticus margaritaria (nei pressi del Foro Boario), l'una per i negozianti di legumi e l'altra per i gioiellieri.
Portici di ginnasî, di terme, di edifici pubblici, di case, di giardini. - Già nei secoli V e IV a. C. il ginnasio (v.) si vale di portici interni; in età ellenistica poi, costruendosi ginnasî architettonicamente completi e razionali, si fece larghissimo uso di portici, sia nella palestra propriamente detta, che aveva l'aspetto di un peristilio quadrangolare, sia nell'area giardinata, nella quale si trovavano gli xysti per l'allenamento ai giuochi dello stadio. Vitruvio descrive minutamente (V, 11) questo tipo di ginnasio grecoellenistico a portici. Gli esempî più caratteristici sono quelli di Delo, di Olimpia, di Priene, di Epidauro, di Delfi, di Efeso. Nell'epoca imperiale romana avviene un cambiamento radicale: si dà maggiore sviluppo alle terme, e gli ambienti per gli esercizî ginnastici diventano accessorî di esse. Ma con questa trasformazione l'uso dei portici (come nelle terme di Traiano, di Caracalla, di Diocleziano a Roma) si fa sempre più largo. Specialmente in età ellenistico-romana avevano portici molti edifici pubblici: le biblioteche (come quella di Adriano in Atene e quella del Templum Divi Augusti al Foro romano); il bouleuterion, o senato delle città greche (come quello di Mileto); le curie dei Romani, le caserme, il pretorio delle città militari (come quella di Lambesi in Africa). Anche la casa greca di lusso, specialmente in periodo ellenistico, s'impianta intorno a un cortile a portico, il cui prototipo lontano è nella casa di tipo omerico; più tardi la domus romana aggiungerà all'atrio di tipo italico uno o più cortili a portico. Comuni erano i portici anche nei giardini, sia pubblici sia privati: così negli Orti Sallustiani a Roma c'era un portico per passeggiare e la porticus Europae, nel Campo Marzio, sorgeva in mezzo a boschetti di bosso.
Portici di porti. - Lungo le banchine dei porti militari e commerciali dei Greci e dei Romani sorgevano lunghe teorie di portici, che servivano come ricovero di navi (v. arsenale) e come deposito di merci. Al Pireo si trovava la μακρὰστοά (lungo portico) fondatavi da Pericle; poteva considerarsi come il magazzino generale dello stato per il rifornimento del grano. La planimetria del porto di Traiano a Ostia mostra un larghissimo impiego di portici. Anche nelle vicinanze dei porti si costruivano portici: a Roma, presso il Tevere, fra l'Emporium e la porta Trigemina, si trovavano la porticus extra portam Trigeminam inter lignarios, e in vicinanza dei navalia (v. arsenale) la porticus post navalia.
Portici di teatri, anfiteatri, stadî, circhi. - Dall'età ellenistica in poi, nelle vicinanze dei teatri si costruivano portici post scaenam, nei quali si rifugiavano gli spettatori in caso di pioggia. Vitruvio (V, 9) raccomanda caldamente la costruzione di questi portici post scaenam per comodità del pubblico e per i preparativi dei cori. In Atene il portico di Eumene, a due piani, sorgeva fra il teatro di Dioniso e l'Odeon di Erode Attico; un altro portico fu aggiunto dietro la scena del teatro di Dioniso. A Smirne, presso il teatro, c'era il portico di Stratonice, a Tralles due portici fiancheggianti la scena dominavano lo stadio. A Roma l'esempio più caratteristico di portico post scaenam era costituito dalla porticus Pompeia dietro il teatro omonimo; questo portico fu poi rifatto da Diocleziano come porticus Iovia e porticus Herculea: nelle vicinanze sorgeva anche il portico ad Nationes. A Ostia il grande portico delle Corporazioni sorgeva dietro il teatro; a Pompei aveva funzione di porticas post scaenam l'ampio peristilio della caserma dei gladiatori. Di regola in tutti i teatri romani di epoca imperiale si riscontra la porticus post scaenam. Sull'alto della cavea dei teatri, degli anfiteatri, dei circhi correva una galleria interna a portico come nel Colosseo, nel circo di Caligola, ecc. Anche alcuni stadî, come quelli di Messene e di Afrodisia, avevano un porticato interno a coronamento della cavea; gli stadî di Mileto e di Efeso avevano monumentali portici d'ingresso.
Portici di fontane. - Presso i Greci anche le grandi fontane pubbliche erano provviste di portici, per difendere la sorgente da inquinamenti, per comodità di chi attingeva acqua (anche le donne di condizione libera si recavano al fonte), per appendervi doni votivi alle divinità protettrici del luogo. Alcune pitture vascolari rappresentano fontane greche con il portico antistante; così dovevano apparire la fonte Callirroe ad Atene, la Hekatóstylos (dalle cento colonne) di Megara, quella del santuario di Apollo a Cirene e quella di Ialiso (a Rodi), il cui portico (prostóon) aveva 6 colonne doriche sulla fronte.
In età imperiale romana, moltiplicandosi all'infinito il numero delle fontane, sia pubbliche sia private, e venuta meno per molti la necessità di attingere acqua fuori della casa, si forma un tipo di fontana monumentale, decorativa; il portico praticabile scompare e diviene scenario di colonne, architravi e nicchie dietro la vasca, come nei grandi ninfei di Side in Panfilia e di Leptis Magna in Tripolitania.
Portici di facciate e portici fiancheggianti strade. - Non solo pubblici edifici, ma anche case private potevano avere portici all'esterno, per comodità dei passanti e dei negotiatores che vi prendevano in affitto le loro botteghe. Così portici di carattere e destinazione diversi si allinearono lungo le grandi strade delle città greche e romane, come in quella che in Atene conduceva dal Dipylon all'Agorà. In età romana le città si arricchirono sempre più di regolari vie colonnate con portici, specialmente in Siria, in Asia Minore, in Africa. La città di Antiochia presentava un incrocio di grandi vie con portici a colonne aggiunti in epoca imperiale; vie colonnate esistevano a Perge, Antiochia, Gerasa (Transgiordania), Apamea, Palmira, Timgad, Alessandria e in moltissime altre città ellenistico-romane. A Roma, dopo l'incendio di Nerone, le strade furono fatte più larghe, più diritte, ricche di portici; il tratto della via Flaminia, fra il Capitolium e la colonna di Marco Aurelio, aveva da un lato (ovest) la porticus saeptorum Iuliorum e la porticus Argonautarum (intorno alla Basilica Neptuni), a est la porticus Vipsania, connessa con il Campo di Agrippa.
La città di Leptis Magna in Tripolitania si presenta ricchissima di portici; ve ne sono lungo le strade principali, nella Palestra, nel loro vecchio, nel Foro nuovo severiano, nel Mercato, intorno alla Curia (che sorge entro un peristilio, come un tempio), nelle ville private, nel porto; una larga via a portici, sorretti da circa 250 colonne di cipollino, conduceva dalle terme al porto.
In età cristiana l'uso dei portici continuò, soprattutto nell'atrio delle basiliche e nelle vie che conducevano ai maggiori santuarî, come quelli della via Ostiense, fra la porta e la basilica di S. Paolo.
Medioevo ed età moderna. - Con la fine del mondo classico il portico viene a perdere in parte la sua funzione e la sua autonomia, inoltre a indicare nell'architettura sacra una funzione comune si diffonde con il tempo l'uso di altre voci tra loro similari, quali in particolare il nartece e il protiro. Dei portici del periodo paleocristiano rari esemplari sono giunti fino a noi, ma abbiamo spesso, oltre che memoria della loro esistenza, anche loro tracce, che consentono sicure ricostruzioni grafiche.
Del periodo bizantino invece ne sussistono ancora numerosi esemplari, nonché, in Ravenna, anche la raffigurazione di quello del palazzo di Teodorico, riprodotto nel noto musaico di S. Apollinare nuovo. Il musaico ci indica come lungo la fronte di quell'edificio corresse un portico interrotto al centro da un ampio vestibolo; al disopra del portico si svolgeva la loggia coperta. I fornici del porticato erano chiusi da panneggi e così quelli dell'ingresso.
All'origine dell'architettura lombarda manca generalmente il portico: quello della cattedrale di Cremona, è, come è noto, dei secoli XV-XVI.
Caratteristico è il portico della S. Fosca di Torcello, che si fa risalire al sec. XI; esso attornia su cinque lati l'edificio a pianta ottagonale. Gli archi dell'alto piedritto poggiano ivi su capitelli bizantini.
Questo elemento architettonico non compare invece nell'architettura pisana, per quanto l'enorme maggioranza delle chiese di quel tipo e di quel tempo presenti al pianoterra una serie di arcate sorrette da mezze colonne, ma a fornice chiuso. Sembra quasi che si stenti a rinunciare a un elemento architettonico a cui si fosse adusati. Vedi la cattedrale e il S. Paolo a Ripa d'Arno a Pisa, il S. Giovanni Fuor Civitas a Pistoia, ecc.
Ritroviamo invece il portico in Lucca, dove l'architettura acquista talvolta caratteristiche autonome, nella Cattedrale (1060-70). Ivi alle tre grandi arcate del portico, che già preannunciano forme gotiche, si sovrappone il triplice ordine delle logge.
Come compiuta espressione architettonica ritroviamo più tardi il portico nel Lazio in una serie di esemplari derivanti in parte dal portico di Civita Castellana, portico questo architravato, con sei colonne ioniche, opera di Iacopo di Lorenzo e di suo figlio Cosma (1210). Carattere diverso acquista in Roma il portico di S. Lorenzo al Verano, dei primi del sec. XIII, opera dei Vassalletto. Il portico di Civita è basso, i fornici tendono quasi al quadrato, questo di S. Lorenzo ha proporzioni invece ben più sfilate, sicché i vani superano i due quadrati di altezza.
Dello stesso secolo è in Roma il portico ricostruito da Gelasio II e Callisto II nella basilica di S. Maria in Cosmedin, e dello stesso periodo ancora quelli dei Ss. Giovanni e Paolo, di S. Giovanni a Porta Latina, di S. Saba, tutti posteriormente rialzati di uno o più piani. Analoghi quelli restaurati di S. Lorenzo in Lucina e di S. Giorgio in Velabro, dell'ospedale di S. Giovanni; distrutti quelli di S. Cesareo e dei Ss. Nereo e Achilleo, dei quali sussistono tracce.
Fuori Roma i Cosmati lasciano la loro traccia in un altro monumento affine al portico di Civita Castellana, quello recentemente restaurato della cattedrale di Terracina. Tutti questi esempî di portici ora citati rispondono alla comune caratteristica di essere coperti con un tetto a un solo spiovente e con capriate in vista.
Rimane tra i portici un esemplare caratteristico, che documenta il rapido susseguirsi delle forme durante la costruzione degli edifici: si tratta del portico della chiesa abbaziale di S. Clemente in Casauria; esso è a tre fornici, di cui uno solo, il centrale, a tutto sesto e i laterali a sesto acuto; pilastri, con colonne addossate, sostengono gli archi. Quest'opera, dovuta ai cisterciensi, fa parte di un rifacimento della chiesa iniziato dopo il 1176.
A Venezia nel sec. XIII ritroviamo nei portici dei palazzi la teoria degli archi ad alto piedritto già notati nella S. Fosca di Torcello: così nei palazzi Loredan e Dandolo sul Canal Grande e nel Fondaco dei Turchi, purtroppo manomesso dagli esagerati restauri del 1860. Ritroviamo in questo edificio lo schema del palazzo romano della decadenza; il portico a pianoterra e la soprastante loggia, il tutto serrato da due corpi in aggetto.
Nel gotico l'elemento portico acquista speciale importanza e sovente caratteristiche autonome. In Francia vediamo talvolta vastissimi ambienti precedere le chiese; questi ambienti sono chiusi, spartiti all'interno da un duplice ordine di colonne sorreggenti un complesso giuoco di vòlte. Lo Choisy nel suo Dizionario di architettura li chiama in effetti portici chiusi, per quanto a questi ambienti manchino molte delle caratteristiche del portico propriamente detto; né il portico vero e proprio è poi frequente in quel periodo, giacché le ampie porte strombate aggettanti dalla fronte del tempio, quasi protiri, vengono in parte a sostituire questo elemento nella sua stessa funzione.
Il portico si ritrova invece nell'architettura gotica cisterciense, come già abbiamo notato per la chiesa abbaziale di S. Clemente in Casauria, come nell'abbazia di Casamari e come, date le ammorsature lasciate dai costruttori sulla fronte dell'edificio per imposta della vòlta, è lecito ritenere che si avesse intenzione di costruire nell'abbazia di Fossanova.
Motivi architettonici in parte affini a quelli che già abbiamo notati per il Fondaco dei Turchi a Venezia, ritroviamo nel palazzo della Ragione di Padova, di cui il portico al pianoterra fa parte della prima costruzione del sec. XII.
Ed eccoci alla serie dei palazzi comunali, dei quali citiamo quello di Piacenza, notevole per il sovrapporsi delle ricche finestre a tutto sesto alle arcate ogivali del portico (1280), sicché diresti che il processo costruttivo proceda a ritroso da forme più moderne a forme più arcaiche, e il palazzo comunale di Pistoia, fondato nel 1294, sul cui portico a 5 fornici si alza la massa piena dell'edificio.
In questo periodo il portico acquista talvolta peculiarità e denominazione speciali, alludo a quelle che furono dette logge, se pure aperte come portici ai piedi degli edifici oppure immaginate come organismi architettonici a sé stanti e indipendenti. Vedi per queste la voce loggia.
Caratteristiche indipendenti ha il portico del Palazzo Ducale di Venezia, che può riportarsi, per la parte originale, al 1309, cui si sovrappone l'eleganza del loggiato, che diresti debba cedere alla massa piena del muro soprastante.
Al portico della Cà d'Oro di M. Raversi e G. e B. Buon si sovrappone per due piani la loggia. Sei archi, simili a quelli della loggia del Palazzo Ducale, risultano fiancheggiati da un arco più vasto, aperto sul balcone.
Col Rinascimento il portico si amplia e acquista ulteriore leggerezza in un assoluto prevalere dei vuoti sui pieni. Del 1419 è, in Firenze, il portico degl'Innocenti di Filippo Brunelleschi e Francesco della Luna, in cui l'aerea successione degli archi sovrasta le esili colonne secondo un tipo che altri esemplari, quali la loggia di S. Paolo a Firenze o quella dell'ospedale del Ceppo a Pistoia, ci definiranno.
Sono questi portici, di cui quello brunelleschiano di S. Croce apre la serie, tessuti con un'eccezionale leggerezza: al disopra di essi non si alza al più che un solo piano. Un tipo originale di portico costruisce il Brunelleschi dinnanzi alla Cappella de' Pazzi dove la trabeazione orizzontale sorretta da tre colonne si spezza al centro per lasciar modo di espandersi all'arco secondo un motivo già adottato in precedenza dai Cosmati nei mentovati monumenti di Civita Castellana e di Terracina.
Caratteristico per il sentito aggetto delle sagome è il portico di S. Maria delle Grazie in Arezzo di Benedetto da Maiano, in cui nell'alto sviluppo del fregio, nella trabeazione spezzata, che forma pulvino, si sentono ancora le forme del Brunelleschi.
Sono notevoli, in Siena, la Loggia del papa, di Antonio Federichi (1462); in Bologna il portico, attribuito a Pagno di Lapo Cortigiani (1408-1470), nel palazzo Isolani (1451-55). È questo un tipico esempio del palazzo porticato bolognese; esempio più ricco, rispondente a una funzione aulica, è, nella stessa città, quello del Palazzo del podestà del 1492: ivi nove archi si rincorrono, distinti l'uno dall'altro dalle colonne appena aderenti al pilastro, su cui la trabeazione si spezza e si profila. Ulteriore robustezza è data dall'asperità delle bugne, che giungono nei pilastri fino alla cornice d'imposta degli archi e che, ai due estremi, si alzano fino a sostenere la trabeazione. Venezia riprende sul morire del Quattrocento il portico e i loggiati nella grande corte del suo Palazzo ducale per opera di Antonio Rizzo e più tardi di Pietro Lombardo e definisce il tipo della piazza attorniata da portici con l'insuperabile esemplare della piazza S. Marco, in cui nelle Procuratie Vecchie, si sentono ancora echeggiare gli accenti dell'architettura lombarda.
In Milano nell'Ospedale maggiore si ha ancora nell'elegante successione degli archi il portico di Antonio Filarete, cui Guiniforte Solari, sul finire del sec. XV, sovrappone le finestre binate.
Sempre in Milano, il portico della canonica di S. Ambrogio dalla chiara architettura del Bramante, in cui il ritmato succedersi delle arcate sorrette da colonne corinzie, cui si sovrappone la trabeazione spezzata a pulvino, s'interrompe per lo slancio dell'arco centrale, degli altri più vasto, sorretto da pilastri doppiamente profilati.
Del Bramante rammentiamo ancora il portico che fiancheggia l'arco trionfale della facciata di S. Maria in Abbiategrasso, ultimo sviluppo del portico romanico-ogivale. Con quest'opera, che chiude il periodo lombardo del Bramante, si chiude anche il ciclo dell'architettura quattrocentesca.
In Roma col primo fiorire del secolo XVI l'elemento portico acquista forme nuove e più robuste. L'architrave sostituisce spesso l'arco, così nel portico di Baldassarre Peruzzi, ferita aperta nella massa piena del palazzo Massimi alle Colonne, che si apre invece nel cortile in una prevalenza di vuoti data dal giuoco del portico e della loggia soprastante.
Michelangelo darà quindi forme originali al portico del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, dividendo il piano terreno in vani bassi e quadri a mezzo dei pilastri del grande ordine che sale fino al coronamento dell'edificio e ulteriormente rimpiccioliti dalle colonne ioniche che sostengono la trabeazione inferiore. Anche architravato il portico del Vasari nel Palazzo degli Uffizî a Firenze (1560-74), dove i vani compresi tra pilastro e pilastro sono suddivisi in tre spazî uguali da colonne doriche.
In Bologna rammentiamo il portico del S. Bartolomeo del Formigine, intagliatore in legno questi prima che architetto. La struttura del monumento è cinquecentesca, ma nei particolari, in specie nelle candeliere finemente intagliate delle lesene, si vede ancora viva l'arte della Rinascita e si ritrova nel modellato minuto della decorazione la prima arte dell'autore. Del medesimo anche il palazzo Malvezzi Campeggi (1522) dal composto portico tipicamente bolognese, simile a quello dell'Università (1560 circa) di Pellegrino Tibaldi.
Il veronese Giovanni Maria Falconetto costruisce a Padova nel 1524 il casino Cornaro dal portico elegantissimo d'ordine dorico in cui già si vedono, se pur timidamente espresse, quelle forme architettoniche che soltanto il Palladio porterà a compitezza stilistica.
Sul vecchio edificio del Palazzo della Ragione progetta quest'ultimo la basilica di Vicenza, iniziata soltanto nel 1614, in cui ogni elemento del portico mantiene, se pure perfettamente inquadrato nell'organismo, la sua autonomia. Gli archi sono fiancheggiati da vani quadrangoli e la divisione dei singoli elementi è marcata dalla semi-colonna di sostegno alla trabeazione.
L'arco riappare nel portico dell'altra fabbrica palladiana di Vicenza: la loggia del Capitanio, in cui anche i motivi dell'arco sono suddivisi dalle robuste colonne dell'ordine corinzio, che s'innalzano fino al coronamento dell'edificio.
Esula invece affatto l'arco nei portici e nei loggiati dell'altro palazzo vicentino del Palladio: il Chiericati, il cui portico e le logge architravate del primo piano cingono su tre lati la breve massa piena centrale. Le testate del portico e delle logge terminano sul fianco dell'edificio in un arco, secondo un motivo caro al Palladio e che ritroviamo infatti, sempre in Vicenza, nei pronai della classica Rotonda.
Più serrato è il succedersi dei vani nelle fabbriche vicentine di Vincenzo Scamozzi: nel portico del palazzo Trissino-Baton (1588), nella corte del palazzo Bonin-Thiene. Schemi palesemente derivati dai palladiani sono applicati da Domenico Curtoni nel palazzo della Gran Guardia Vecchia di Verona.
In Lombardia e in Liguria le forme dei portici sono più complesse, sovente alla colonna semplice se ne sostituiscono due binate, così in Milano nel palazzo dei Giureconsulti di V. Seregni (1564), nella corte del Seminario di G. Meda (1570) e nel cortile porticato di Palazzo Marino di Galeazzo Alessi (1588), così nel più tardo Palazzo di Brera (1651-86) di Fr. M. Richini.
Analogo motivo riprenderà in Roma Nlartino Lunghi il Vecchio nel cortile di Palazzo Borghese e più tardi (1604) il Cigoli nel cortile del Palazzo "non finito" a Firenze, e, con diverso spirito, il Borromini nel piccolo Chiostro di S. Carlino alle Quattro Fontane.
Del resto in Roma la tendenza è forse più severamente classica. Domenico Fontana sovrapporrà l'ordine corinzio al dorico nel duplice ordine di arcate dell'ingresso laterale della basilica Lateranense; lo stesso motivo, con la variante del secondo ordine composito, riprenderà il Maderno nel cortile del palazzo Mattei (1615).
Nel Palazzo Barberini alle Quattro Fontane il Bernini sovrapporrà, come nei monumenti classici per eccellenza, i tre ordini in una intelaiaiura architettonica, che si sovrappone alla fronte dell'edificio e, con la nuda potenza dell'ordine dorico, cingerà col portico la piazza di S. Pietro, giustificando, per le proporzioni, il ravvicinamento, da taluno proposto di recente, tra la sua e l'arte del Palladio.
Ampliando un motivo già tentato dal Bernini nel S. Andrea al Quirinale, Pietro da Cortona protenderà un portico semicircolare dalla facciata di S. Maria della Pace.
Nel sec. XVIII gli architetti si riferiranno qua e là a forme già usate, così Carlo Marchionni iscriverà nell'intelaiatura a elementi verticali bugnati della Villa Albani oggi Torlonia (1737) l'arco sorretto da colonne secondo un motivo usato con diverse proporzioni già fin dal 1634 da Bartolomeo Avanzini nel cortile del Palazzo Ducale di Modena e, con straordinaria ricchezza di forme, in Venezia, da B. Longhena nel palazzo Rezzonico (1660) o nel palazzo Pesaro (1660), motivo poi ivi ripreso con lievi varianti dal Cominelli nel palazzo Labia (1720).
Il Galilei nell'unico ordine della fronte di S. Giovanni in Laterano, che preludia all'ordine colossale del neoclassico, iscriverà il portico architravato del pianterreno e i fornici centinati della Loggia delle Benedizioni.
Nel periodo neoclassico il tipo architravato è il più frequente. Vedi tra gli esempî più nobili la bella loggia porticata del palazzo Rocca-Saporiti in Milano (1812) di G. Perego e tra i pronai quelli delle molte rotonde erette in Italia quali derivazioni dei modelli del Pantheon e della già mentovata Rotonda Palladiana e cioè: in Torino la chiesa della Gran Madre di Dio (1818-31) di F. Bonsignore, in Milano il S. Carlo di C. Amati (1836-47), indissolubilmente collegato con uno dei più belli esempî di piazze porticate italiane; lo stesso vale per il S. Francesco di Paola a Napoli di P. Bianchi; a Trieste il S. Antonio; a Possagno il tempio Canoviano; a Brescia il cimitero (1815-49) di R. Vantini. Altri esempî di pronai neoclassici abbiamo in Genova nel teatro Carlo Felice di Carlo Barabino; a Trieste nella Borsa (1803-6) di A. Mollari; in Livorno nel Cisternone del Poccianti; in Bologna nella bella villa Aldini (1811-16) dalle classiche logge. Nello stesso periodo veri e proprî portici monumentali non sono frequenti; rammentiamo però le Procuratie Napoleoniche (1810) di G. Soli a chiusura dell'ultimo lato ancora libero della Piazza S. Marco a Venezia, che ripetono senza spunti originali schemi ormai adusati.
Disperso il neoclassico nelle infinite scuole e tendenze dell'eclettismo, varia all'infinito la varietà dei portici riferibili tutti a modelli classici. Qualche esempio di questo periodo va anche rammentato: in Roma, ad es., la piazza porticata dell'Esedra del Koch o la meno aulica Piazza Vittorio Emanuele II; a Parigi i lunghi portici della contrada di Rivoli, per limitarci a pochi esempî.
Le moderne tendenze e le nuove possibilità costruttive del cemento armato hanno portato a una notevole ripresa di siffatto elemento architettonico. Le necessità stesse del cemento hanno condotto all'abbandono delle forme ad arco, di più costosa realizzazione, inoltre la possibilità delle campate maggiori ha trasformato le proporzioni dei fornici limitandone l'altezza e aumentandone la larghezza. (V. tavv. I-VIII).