possibilitade
Occorre una sola volta nel Convivio col valore di " capacità " o " disposizione effettiva a qualcosa ": lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante (III XV 8). Poiché il desiderio (v.) è " moto appetitivo dell'animo " che tende alla realizzazione mediante congiungimento con il suo oggetto, la p. è la capacità o disponibilità in ragione della quale si può ‛ compiere ' il desiderio naturale (cfr. § 7) e sulla quale esso si commisura.
Nel latino scolastico, in genere ‛ possibilitas ' è sinonimo di " potentia " e contrario di ‛ impossibilitas ' o ‛ impotentia '. Ma alcuni usi valgono a chiarire l'accezione dantesca del termine. In Tommaso la ‛ possibilitas ' si precisa talora come una " capacità " fondata sulla natura ‛ propria ' di una certa cosa (Sum. theol. I II 95 3c " Debet... esse disciplina conveniens unicuique secundum suam possibilitatem, observata etiam possibilitate naturae [non enim eadem sunt imponenda pueris, quae imponuntur viris perfectis] "), o è ‛ disposizione ' di una facoltà considerata in rapporto all'oggetto di essa (I 82 2 ad 2 " Cum... possibilitas voluntatis sit respectu boni universalis et perfecti, non subiicitur eius possibilitas tota alicui particulari bono ", cioè ‛ tutta la p. ' o disposizione al bene universale e perfetto non è esaurita da un bene particolare).
Dei valori registrati da J.F. Niermeyer, in Mediae latinitatis lexicon minus (Leida 1959-64, sub v. possibilitas), ricavati da fonti cronachistiche o documentarie (salute fisica, mezzi, beni fondiari), il più vicino all'uso dantesco è quello di ‛ possesso ' inteso come titolo giuridico: " Dono... in quantum iuste possibilitatem habeo... portionem meam " (da Giorgi-Balzoni, Reg. di Farfa, II doc. 85, p. 79): in D. la p. di appagare un desiderio ha fondamento nella natura del desiderante; qui la p. di disporre dei beni è giuridicamente fondata nel titolo di possesso.