di Tomislava Penkova
Il conflitto scaturito inizialmente dalle proteste contro il sistema corrotto di governo e successivamente contro la decisione di Janukovyč di non firmare l’accordo di associazione con l’Eu, ha vissuto la sua fase più acuta nella parte orientale dell’Ucraina. Tre fattori in particolare hanno caratterizzato le sue dinamiche e determineranno il suo futuro. In primo luogo, si tratta di un conflitto non tanto locale quanto di una contrapposizione tra la Russia e l’Occidente atta a risolvere la spinosa questione della riorganizzazione dello spazio post-sovietico, definito vitale per Mosca. L’esito dalla crisi quindi dipenderà in primis dagli accordi raggiunti tra la Russia e l’Occidente. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto con l’intesa di sospendere, fino alla fine del 2015, la parte dell’accordo di associazione relativa all’implementazione dell’area di libero scambio per permettere a Bruxelles e Mosca di superare le incompatibilità tra i loro modelli di integrazione economica. In secondo luogo, il conflitto si è sviluppato sul non riconoscimento del proprio interlocutore istituzionale con l’effetto di delegittimarlo (per esempio, il sud-est dell’Ucraina e la Crimea vis-à-vis Kiev e viceversa) e di rendere il raggiungimento di una soluzione condivisa un obiettivo illusorio. Infine, il mancato riconoscimento è stato accompagnato dalle interpretazioni contrastanti che le parti fornivano agli eventi con il conseguente rifiuto delle parti stesse a cedere dalle proprie posizioni. Kiev con il presidente Porošenko, spinto da logiche populiste in vista delle elezioni parlamentari, ha dichiarato che non scenderà a compromessi con l’integrità territoriale del paese. L’unica concessione di Porošenko – la decentralizzazione del potere – prevede l’introduzione nei prossimi tre anni e soltanto nel 30% del territorio delle regioni di Donets’k e Luhans’k di un regime di auto-governo da coordinare con Kiev. È inoltre garantito l’uso della lingua russa nella vita privata e istituzionale senza, tuttavia, attribuirle lo status di lingua di stato. Contemporaneamente Porošenko ha ribadito la scelta europea, una scelta obbligata visto il potere, sempre più circoscritto, di cui egli dispone di fronte alle crescenti necessità finanziarie del paese la cui unica soluzione è l’Occidente. Dal canto loro i ribelli hanno fatto intendere che soltanto la piena e incondizionata indipendenza dall’Ucraina potesse corrispondere ai loro interessi. Mosca invece vorrebbe eliminare l’eventualità di una propagazione di tendenze sovversive alla Russia ed è quindi interessata a rendere il conflitto controllabile nelle sue dinamiche giocando il ruolo di super partes senza però auspicare il collasso dello stato ucraino o l’annessione del Donbass alla Russia. Mantenere un’influenza sull’area attraverso la formula della federalizzazione che preserverebbe i rapporti istituzionali con Kiev, oppure attraverso la lingua russa o tramite una presenza militare russa che impedisce l’adesione alla NATO, risulta più conveniente per il Cremlino che un’operazione di annessione. L’Occidente, infine, persiste nelle sue politiche accusatorie e punitive contro la Russia ma appare anche privo di strumenti per contrastarla (le sanzioni si sono rivelate altrettanto dannose per l’economia europea) e incapace di offrire una soluzione praticabile di ricostruzione del tessuto sociale, istituzionale ed economico-industriale del paese. Nonostante gli aiuti finanziari, l’attenzione dell’Occidente ora è incentrata su altri scenari internazionali nei quali una partnership con la Russia si rivelerebbe vantaggiosa. Con ogni probabilità il conflitto rimarrà in un limbo tra la guerra e la pace, tra vecchi disaccordi e trattative protratte. Nel breve periodo prevarrà l’approccio improntato alle situazioni d’urgenza come quella di assicurare gli approvvigionamenti di gas russo. Il timore di una crisi energetica ha spinto Bruxelles per la prima volta a unirsi ai negoziati, sinora condotti in formato bilaterale, sul prezzo e sulla formula del pagamento del gas con il probabile intento di farsi da garante dei debiti ucraini. Nel medio-lungo periodo, il quadro si presenta più complesso e incerto. Luhans’k e Donets’k non potranno sopravvivere senza l’appoggio esterno, ma la Russia non ha l’interesse a fornirglielo senza garantirsi l’influenza sulla totalità del paese. Altrettanto improbabile appare l’adesione nei prossimi anni all’eu e alla NATO da usare come leva contro i ribelli. Al contrario, Kiev si troverà da sola a risolvere i propri problemi con due alternative entrambe basate sul compromesso per porre fine all’impasse mantenendo l’integrità territoriale. La prima opzione vede l’attuazione di una federalizzazione trattenendo l’est all’interno dei confini nazionali, mentre la seconda presume la dichiarazione di neutralità dello stato declinata in senso politico, economico e di sicurezza. Un’Ucraina neutrale ma stabile sarebbe un ponte che collega e non contrappone i due vicini.