POTENZA
Filosofia. - Nel pensiero classico, il concetto filosofico della potenza (gr. δύναμις, lat. potentia), si riferisce essenzialmente alla considerazione ontologica delle cose, cioè riguarda non tanto il problema dell'attività umana e spirituale, quanto quello dell'oggettivo divenire del mondo. Il termine δύναμις, già usato dai più tardi scritti platonici, acquista importanza massima in Aristotele, che determina con esso il carattere di ogni realtà in quanto capace di divenire e cioè di rendere esplicita una forma implicita, raggiungendo con ciò un superiore grado di perfezione. Potenza è la materia, atto (ἐνέργεια) la forma che da tale potenza si sviluppa: il seme è la pianta in potenza, la pianta è il seme in atto. Il concetto di potenza serve quindi ad Aristotele a giustificare il divenire senza spezzare l'universale positività dell'essere con quel "non-essere", che tanto l'eleatismo quanto Platone considerano intrinseco a ogni divenire, pur negandolo l'uno e ammettendolo l'altro. L' "essere in potenza" resta comunque inferiore all'"essere in atto": la realtà perfetta vien quindi concepita come tale che, non avendo ulteriormente da svilupparsi, sia soltanto in atto. Di qui la concezione teologica di Dio come "atto puro", cioè affatto scevro di potenza.
Questa concezione quadra d'altronde pienamente, nel pensiero classico, con quella che, nel campo morale, sente come intrinsecamente negativa ogni volontà e tendenza pratica. Che la divinità sia scevra di potenza è giustificato infatti non solo dal principio ontologico dell'inferiorità e imperfezione dell'essere potenziale, ma anche dal principio pratico escludente ogni volontà ed azione dallo spirito perfetto, che come tale non ha alcuna ragione di volere e di agire. S'intende quindi come il problema della potenza debba capovolgersi nella teologia cristiana, che alla concezione greca del Dio contemplante ed apatico sostituisce quella del Dio amante ed agente, attraverso la creazione e la provvidenza. Questo Dio non può esser privo di potenza, ma anzi deve esserne dotato senza limite, la sua perfezione consistendo appunto nella sua assoluta capacità di azione: l'onnipotenza diventa così il suo più tipico attributo. La storia della teologia medievale, come storia della lotta tra i nuovi motivi e le antiche forme teoretiche di cui essi si rivestirono, è di conseguenza, in primo luogo, storia del problema della potenza: la teologia volontaristica tende a sacrificare ad essa la stessa preordinata razionalità del mondo e di Dio, il cui libero potere non deve essere limitato neppure dalla sua oggettiva sapienza, mentre la teologia razionalistica tenta di conciliare l'attributo della potenza con quello aristotelico della perfetta conoscenza teoretica. Nel pensiero moderno il problema della potenza ritorna nei due grandi sistemi che più si ricollegano, per la questione della natura di Dio, alle posizioni della teologia medievale: quello di Spinoza, che conforme al motivo razionalistico risolve il pratico nel teoretico concependo la volontà e la potenza come causa razionale, e quello di Leibniz, che restaura invece la distinzione contrapponendo alla divina conoscenza contemplatrice degl'infiniti mondi possibili la divina potenza realizzatrice dell'unico mondo migliore.