mercato, potere di
Situazione in cui un’impresa può aumentare in modo profittevole il prezzo di mercato di un bene o di un servizio al di sopra del costo marginale (➔ marginale). Sotto le ipotesi di concorrenza perfetta (➔ p), le imprese attive sul mercato fissano il prezzo pari al loro costo marginale e offrono qualsiasi quantità del bene o servizio prodotto a quel prezzo, poiché anche aumenti minimi del prezzo porterebbero i potenziali acquirenti a comprare il bene o il servizio da una delle altre imprese che li offre a un prezzo pari al costo marginale. In presenza di potere di m., invece, si verificano condizioni in cui un'azienda può alzare il prezzo senza perdere clienti. Le imprese con potere di m. sono dunque quelle che ‘fanno il prezzo’ (price makers), in contrapposizione a quelle ‘che subiscono il prezzo’ (price takers) operanti in concorrenza perfetta (➔ anche laisser faire; mercato, struttura del).
Data una curva di domanda standard (➔ domanda, curva di), cioè una relazione negativa fra prezzo e quantità domandata di un certo bene o servizio, un aumento del prezzo di offerta determina una diminuzione della quantità domandata. La diminuzione di domanda associata a situazioni di potere di m. genera uno stato subottimale rispetto alle condizioni di concorrenza perfetta, ed è quindi vista come non desiderabile dal punto di vista sociale. È questa la principale ragione che motiva l'esistenza di legislazioni atte a promuovere la concorrenza (➔ Antitrust), attraverso specifiche norme che prevengono fenomeni di eccessivo potere di mercato. Il monopolio (➔) è forse la forma di potere di m. più frequentemente citata, ma esistono anche altre situazioni, quali il monopsonio (➔) o l'oligopolio (➔), o forme intermedie di queste categorie. In termini concreti, il monopolio è un caso estremo, in cui una sola impresa controlla l'intero mercato. Tuttavia la quota di mercato non rappresenta l'unico indicatore del potere di mercato. Anche in presenza di un monopolista, infatti, la possibilità di fissare un prezzo più alto del costo marginale senza perdere clienti dipende in modo cruciale dalle barriere all’entrata (➔ barriera) che impediscono a nuove aziende di insidiare la posizione del monopolista. Tali barriere possono avere diversa origine, quale il controllo esclusivo di un determinato fattore di produzione, o una superiorità tecnologica del monopolista, o anche determinate disposizioni legislative, specie in merito alla regolazione dei cosiddetti monopoli naturali. In generale, però, un’impresa con potere di m. è in grado di attuare diverse strategie anticompetitive, che includono, per es., politiche di prezzo predatorio, la creazione di sovracapacità produttiva, o l’obbligo di acquisto contestuale di due o più prodotti (per es., la vendita di software Microsoft preinstallati su hardware, oggetto di una nota procedura antitrust europea). Se nessuna impresa attiva in un mercato ha singolarmente un potere di m. significativo, allora le strategie anticompetitive possono realizzarsi collettivamente attraverso accordi di collusione fra imprese, anche queste perseguite dalle legislazioni antitrust. L’incentivo a colludere è di solito maggiore quando un mercato è molto concentrato, cioè quando poche imprese sono attive nell’offerta di un determinato bene o servizio, come tipico delle situazioni di cartello (➔) fra oligopolisti.
Da un punto di vista della modellizzazione teorica, l’elasticità (➔) al prezzo della curva di domanda è il fattore cruciale che determina se e quanto un’impresa può aumentare il prezzo di vendita al di sopra del costo marginale senza incorrere in perdite. Indicando con P il prezzo per unità di prodotto, con CM il costo marginale, e con E l’elasticità della domanda al prezzo, la relazione fra potere di m. ed elasticità della domanda è data dall’equazione P/CM=E/(1+E), dove il lato sinistro misura quanto il prezzo praticato eccede il costo marginale, ossia il grado di potere di mercato. Si noti che E è una quantità negativa, cosicché il rapporto E/(1+E) è sempre maggiore di 1. Quindi, all’aumentare di E, il rapporto fra P e CM tende a 1, ossia il potere di m. tende ad annullarsi. La relazione si deriva dalla condizione di ottimo nel caso di monopolio: (P−CM)/P=−1/E.
Il grado di potere di m. viene solitamente quantificato attraverso indici di concentrazione. L’indice C-4 misura la percentuale delle vendite totali di un certo prodotto o settore che è controllata dalle 4 imprese con le più alte quote di mercato in quel prodotto o settore. In monopolio, l’indice C-4 vale 100%, mentre l’indice vale zero se le vendite sono frammentate fra tante imprese, come avviene cioè in concorrenza perfetta. Secondo la stessa logica si possono costruire gli indici C-10, C-20, C-n, considerando le maggiori 10, 20, n imprese attive sul mercato. Una misura alternativa è l’indice di Herfindahl-Hirschman (HH; ➔ Herfindahl-Hirschman, indice di), calcolato come la somma delle quote di mercato percentuali delle 50 imprese con maggiori vendite in un prodotto o settore (o di tutti i partecipanti, se meno di 50). Esso varia fra 0 e 1: maggiore è il valore dell'indice, maggiore il grado di potere di mercato. Il vantaggio rispetto a indici di tipo C-4 è che l’indice HH è una somma ponderata in cui viene dato maggior peso alle imprese più grandi e quindi potenzialmente detentrici di maggiore potere di mercato.