potere
Qualunque facoltà di compiere azioni giuridicamente rilevanti, sia come manifestazione immediata della personalità, e quindi della capacità giuridica, di un soggetto (per es., nel campo del diritto pubblico, il p. legislativo, il p. esecutivo, il p. giudiziario, propri dello Stato e dei suoi organi), sia come sinonimo di facoltà e talora di potestà, relativamente al compimento di determinati atti giuridici.
Storicamente la ripartizione dei p. dello Stato tra il sovrano e i rappresentanti del popolo fu attuata per la prima volta in Inghilterra, dopo la rivoluzione condotta da Cromwell, con il Bill of rights, imposto al sovrano dal Parlamento inglese il 24 febbr. 1689, con il quale si posero le basi della moderna organizzazione costituzionale inglese. L’esperimento inglese fu quindi teorizzato da Locke e da Bolingbroke, i quali per primi distinsero i vari p. dello Stato e, in relazione alla loro diversa espressione sociale, individuarono i possibili equilibri e i relativi conflitti. L’esperienza inglese fu tenuta presente dai teorici dell’Illuminismo francese e in partic. da Montesquieu, il quale, ne L’esprit des lois (1748; trad. it. Lo spirito delle leggi), distinse i p. dello Stato in legislativo, esecutivo e giudiziario e affermò il principio della loro necessaria separazione. Egli più che una tesi giuridica mirava ad affermare un postulato di scienza politica. A suo avviso tra i vari p. dello Stato vi doveva essere un continuo equilibrio, in modo che nessuno di essi potesse sovrapporsi agli altri. Tale teoria, che fu detta della separazione o divisione dei p., ossia teoria dei contrappesi, ebbe la sua prima importante realizzazione positiva nella Costituzione federale degli Stati Uniti d’America votata dalla convenzione di Filadelfia del 1787, nonché nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino votata il 26 ag. 1789 dall’Assemblea costituente rivoluzionaria francese, il cui art. 16 dispone: «ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei p. non ha Costituzione». Il principio della divisione dei p. fu poi applicato dalla Carta costituzionale della Repubblica francese del 5 fruttidoro anno II (22 ag. 1795), la quale tentò una ripartizione rigorosa dei vari p. dello Stato, in quanto, come si afferma nell’art. 22, «la garanzia sociale non può esistere se la divisione dei p. non è stabilita e se i loro limiti non siano fissati». È però da rilevare che la teoria della separazione dei p. era stata concepita come strumento politico per limitare l’assolutismo regio, onde essa non si conciliava del tutto con il principio dell’assoluta sovranità popolare, sostenuto dalle costituzioni rivoluzionarie francesi, in quanto la sovranità popolare, realizzandosi nell’assemblea rappresentativa, comportava di fatto la supremazia del p. legislativo sugli altri poteri. Una realizzazione più consona alla tesi di Montesquieu è stata perciò vista nella Costituzione francese dell’8 giugno 1814 e in quella successiva del 14 ag. 1830, che, contemperando i p. del monarca con quelli del Parlamento, introdussero quel tipo di governo che fu detto della monarchia costituzionale, e che fu preso a modello da tutte le Costituzioni europee della prima metà dell’Ottocento, in partic. dallo Statuto albertino del 1848. Lo schema di queste Costituzioni è il seguente: attribuzione al capo dello Stato e, per esso, al governo, del p. esecutivo, sia politico sia amministrativo; attribuzione al Parlamento del p. legislativo; attribuzione alla magistratura del p. di giudicare in ordine all’aderenza dell’azione del singolo alla volontà della legge.
Nel contempo la dottrina, analizzando il concetto di p., individuava, accanto ai tre p. fondamentali dello Stato, altri p., tra i quali il cosiddetto p. municipale e il cosiddetto p. neutro. Questo ulteriore sviluppo venne svolto in particolare da Constant, il quale poneva in evidenza come a fianco degli individui vi fossero in ogni Stato delle comunità locali originarie, che dovevano essere garantite al pari dei singoli nei loro diritti e concorrere alla formazione della volontà pubblica. Sosteneva poi che la completa divisione dei p. avrebbe portato allo sfacelo dello Stato, se non fosse concorso dall’alto ad armonizzarli un unico p., che, non partecipando direttamente ad alcuno degli altri p., definì p. neutro e di cui poteva essere titolare soltanto il sovrano. Successivamente, attraverso l’opera della scuola giuridica tedesca, questa tesi si trasformò da principio politico in principio giuridico di organizzazione dello Stato moderno e come tale fu accolta da tutta la dottrina di diritto pubblico dell’Europa occidentale negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Restano così fissati dalla scienza giuridica i seguenti due concetti: (1) le funzioni vanno distinte sulla base del contenuto delle loro manifestazioni; in altri termini la legge, l’atto amministrativo e la sentenza non si distinguono tanto per la forma di cui sono rivestiti, ma perché costituiscono esercizio di tre diverse potestà contraddistinte da propri caratteri materiali; (2) ogni funzione va esercitata in via normale e permanente da un determinato gruppo di organi dello Stato. La dottrina della separazione dei p., attraverso l’opera della scuola giuridica tedesca, è così posta a base della concezione dello Stato di diritto, vale a dire dello Stato che riconosce a fondamento dell’organizzazione sociale solo ed esclusivamente la volontà della legge. Nel contempo si pone in risalto il fatto che la tesi della separazione dei p. non può concepirsi sub specie aeternitatis, ma che essa è da ritenersi uno strumento per la realizzazione delle aspirazioni delle classi borghesi del Settecento, per cui non può, almeno sul piano politico, accogliersi come ancora valida, dal momento che con l’avvenuta partecipazione di tutto il popolo alla vita politica, mediante l’elezione diretta dei propri rappresentanti, il Parlamento è stato investito del p. sovrano e pertanto si è posto, attraverso la funzione legislativa, al di sopra di ogni altro p. dello Stato. Da ciò – si è sostenuto – consegue la necessità non tanto di distinguere i vari p. dello Stato, ai fini di un loro controllo reciproco, quanto di ripartire la funzione di governo tra vari organi dello Stato, in modo da determinare un equilibrio tra i p. dei vari organi. In altri termini, la tesi della rigida separazione dei p. è stata superata, nella moderna dottrina, dalla tesi che non è necessario che tra p. (intesi come complesso di organi) e funzioni vi sia una coincidenza, ma è necessario che sia assicurato un equilibrio di p. in modo da condizionare lo svolgimento dell’attività statale nei suoi vari aspetti alla continua valutazione delle esigenze che ogni p. rappresenta. Sulla base di tale nuova concezione, il p. legislativo è stato distinto in p. costituente e in p. ordinario, riconoscendo soltanto al primo il p. di modificare le norme costituzionali, e di conseguenza è stato istituito il sindacato sulla legittimità o meno della legge in relazione alle norme costituzionali. Il p. esecutivo è stato distinto in p. di governo e in p. amministrativo. Il p. di governo, cioè il p. di tracciare le direttive generali dell’azione pubblica, è stato affidato a un apposito organo (per es., il Consiglio dei ministri), che agisce in concorso con le assemblee legislative, le quali hanno, per es., il compito, oltre che di approvare i programmi di governo, di sindacarne direttamente l’azione, attraverso l’approvazione annuale del bilancio, le ispezioni, e così via. Il p. amministrativo, denominato anche p. burocratico, è diretto all’attuazione pratica del programma di governo; alcuni considerano distinto da esso il p. di controllo, il quale sarebbe costituito da un complesso di organi, interni o esterni all’amministrazione, diretti ad assicurare la legittimità dell’azione amministrativa. Il p. giurisdizionale è l’unico che viene di regola mantenuto separato dagli altri, anche se non mancano funzioni giudiziarie affidate a organi amministrativi e viceversa. Tutto questo spiega perché la più recente dottrina pone a fondamento dell’organizzazione costituzionale dello Stato non più la teoria della divisione dei p. ma la teoria della ‘divisione del potere’, nel senso che il p. appartiene al popolo sovrano ed è esercitato a suo nome da vari organi dello Stato.