potere
Verbo di uso amplissimo. Riguardo alle forme D. si avvale di una notevole libertà: nella II singol. indic. pres. accanto al comune puoi figura una volta puoi (Vn XXII 14 7, ma per tali forme, v. RIMA) e una volta poi (Cv III Amor che ne la mente 88; normale per la III singol. l'alternanza può-pò (v. per pò, comunque in netta minoranza, tra gli altri luoghi, Rime XLIV 5, LXV 3, LXXXIII 26, CVI 70, Rime dubbie XIV 11, Vn XV 5 6, XIX 10 42, 11 44 e 49, XL 10 13, If XI 31, dove si ha un caso di epitesi [A Dio, a sé, al prossimo si pòne / far forza], Pg XIX 92, Pd X 147); può è preferito dal Petrocchi a pò di vari codici, tra cui Ash, Cha, Co, in If XX 74, sulla scorta di Ham e Triv, con la conseguenza di una rima imperfetta con co e Po (cfr. Introduzione 428); l'oscillazione può-puote, ugualmente normale, risponde in genere a criteri metrici (solo in poesia figura la forma non dittongata pote: v. Rime LXXXIII 73, Vn XIX 12 56, If XI 103, Pd XXI 102); per la I plur. domina incontrastato potemo (v. Cv II IV 16, VIII 15, XIII 6 e 19, XIV 7 e 8 [due volte], III IV 9 [due volte], VII 3, VIII 15, IV XVII 9, XXV 1, XXVI 1, Pg XI 8), per la III a possono si affiancano due casi di ponno, in rima (If XXI 10, Pd XXVIII 101), mentre poten di Rime C 48 si assimila alla III singol. o all'infinito romanzo. L'imperfetto, alla i singol., presenta accanto a poteva di Cv II XII 6, vari esempi di potea (Cv III III 13, IV 11, IV I 5, Fiore XVII 3); alla II un potei (If XV 112), alla III sempre potea (ma né più salir potiesi, in Pg XIX 110), alla I plur. un potavam (If XXIV 33), alla III sempre poteano (ma si potien, in If IV 117, e potiersi, in Pg XVIII 140). Il futuro, alle terze persone, oltre a potrà e potranno ha porà (Pd XIV 18) e poran (XIX 112: v. Petrocchi, ad l., e Introduzione 466). Potei è l'uscita consueta del pass. rem. alla I singol. (v. per es. Cv II n 4, Pg XXVII 60, Pd I 11), potti (If VIII 112, Fiore CLXXXII 13, CCXXIX 12) continua evidentemente il potui latino (come il potte, di Fiore CLXI 3 e CXC 6, è sulla scia di potuit). Per la III singol. si afferma poté, talvolta, con epitesi, poteo (Vn III 7, VIII 2, Cv IV XIII 12, Pg XX 138 [qui in rima]). Alla III plur. potero (Rime dubbie XXIX 2, Vn XXXIX 5, If XXII 128) è una volta sostituito da pottero (Vn XXIII 13) allineato con polli e gotte; in rima con diversi e ricopersi si ha in Pg XVIII 140 un potiersi. Possi, II singol. pres. cong., è in Rime LXXXVIII 10.. La I singol. imperf. cong. offre la consueta alternanza potessi (per es. in If XXX 83, Pg XXXII 64), potesse (per es. in Vn XL 4, Cv III I 9 e 12, Fiore LXXIV 2), così come la I singol. condiz. pres. suona ora potrei (v. If XIII 84, Fiore CLXII 1) ora potria (v. Rime dubbie XX 8), e la III singol. ora potrebbe (v. Vn XII 17; poterebbe, in If VII 66) ora potria (v. Rime dubbie XX 8); poria ugualmente usato (come potria) per la I singol. (v. Rime dubbie XVI 18, Fiore CCXXVII 4) per la III (v. Rime dubbie XVI 22, Vn XIV 12 5, If XX 69, Pg XVII 63, Pd I 71, IV 66 e 95, Fiore XXI 3), e sempre fuori rima (v. anche poriano per la III plur., in Rime LI 1); cfr. Parodi, Lingua 274. La III plur. è rappresentata insieme da potrebbero (per es. Vn II 10) e poterian (Rime CIV 104). Il gerundio pres. è possendo (Cv IV IV 4, If XXX 139, Pg XI 90, Pd IV 81), il partic. pass. potuto (If XIII 46, Pg III 38) o possuto (If XVI 88).
P. ha funzione fondamentale di verbo servile e come tale è di norma seguito dall'infinito, designando i modi e i gradi della possibilità rispetto all'azione espressa dall'infinito stesso. In alcune occorrenze tuttavia il termine conquista, a livelli più o meno evidenti, una sua autonomia semantica. In altre occorrenze invece la perdita pressoché totale dell'ufficio verbale dà a p. un valore puramente fraseologico.
1. Nel caso più comune, con soggetto di diversa natura, indica la generica possibilità di fare od ottenere qualcosa, oppure che qualcosa si avveri. Di volta in volta potrà essere o no dichiarato se il rapporto fra il soggetto e il predicato s'instauri per l'assenza d'impedimenti (fisici, spirituali, ecc.) e il favorevole concorso delle circostanze, oppure venga variamente condizionato dall'azione di fattori diversi.
Si vedano i seguenti luoghi: E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare de li occhi miei (Vn XI 2); là ov'io potea lamentarmi sanza essere udito (XII 2); coloro che la poteano sensibilemente vedere (XXVI 4); Apertamente adunque veder può chi vuole, ecc. (Cv I III 11); de la quale li occhi de li uomini cotidianamente possono esperienza avere (III VII 16); nel mezzo là dove 'l trentino / pastore e quel di Brescia e 'l veronese / segnar poria, s'e' fesse quel cammino (If XX 69); a la man destra giace alcuna foce / onde noi amendue possiamo uscirci (XXIII 130); noi a pena, ei lieve e io sospinto, / potavam sù montar di chiappa in chiappa (XXIV 33); e ancor non sarei qui, se non fosse / che, possendo peccar, mi volsi a Dio (Pg XI 90; in senso lato l'espressione possendo peccar equivale a " essendo ancora in vita "; cfr. per converso XXVI 132 questo mondo [il Purgatorio], / dove poter peccar non è più nostro); tuoi vicini / faranno sì che tu potrai chiosarlo (XI 141); Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali / potean le mani a spendere (XXII 44); e così queste fero / possendo rifuggir nel santo loco (Pd IV 81); Tutti quei morsi / che posson far lo cor volgere a Dio (XXVI 56, e cfr. XXXIII 72); Or puo' veder com'i' son arrivata (Fiore CLI 9); almen può dir che serv'ha (Detto 46), e molti altri esempi simili.
Preceduto da negazione o in frase negativa denota ovviamente l'impossibilità che si compia o si ottenga quanto indicato dall'infinito, per ragioni di solito manifestate nel contesto o in esso implicite; va osservato che tale uso negativo di p. è assai esteso, e risale alla tradizione siciliana (v. NO 2.1.): Volgete li occhi a veder chi mi tira, / per ch'i' non posso più venir con vui (Rime LIX 2); sanza ovrar vertute / nessun pote acquistar verace loda (LXXXIII 73); La sua bellezza ha più vertù che petra, / e 'l colpo suo non può sanar per erba (CI 20); Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato / che non pò mal finir chi l'ha parlato (Vn XIX 10 43); 'ntender no la può chi no la prova (XXVI 7 11); escludo le Intelligenze che sono in essilio de la superna patria, le quali filosofare non possono, però che amore in loro è del tutto spento, e a filosofare... è necessario amore (Cv III XIII 2); tutto possedendo e più desiderare non possendo (IV IV 4); per questa... ragione che detta è, la quale toglie via che villano uomo mai possa esser gentile (XIV 3); però che infino a quel tempo [al venticinquesimo anno] l'anima nostra intende a lo crescere e a lo abbellire del corpo... non puote perfettamente la razionale parte discernere. Per che la Ragione vuole che dinanzi a quella etade l'uomo non possa certe cose fare (XXIV 2); dir nol posson con parola integra (If VII 126); 'l nostro passo / non ci può tòrre alcun (VIII 105); quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo (IX 95); Io non vidi, e però non posso (Pg VIII 103); un lume... / tal che mi vinse e guardar nol potei (XXVII 60); cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende; / perché appressando sé al suo disire, / nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire (Pd I 6 e 9); quella / cui non potea mia cura essere ascosa (II 27); t'ho ... ne la mente messo / ch'alma beata non poria mentire (IV 95); Non potea l'uomo ne' termini suoi / mai sodisfar, per non potere ir giuso / con umiltade obedïendo poi, / quanto disobediendo intese ir suso (VII 97 e 98); vostra veduta... / non pò da sua natura esser possente / tanto, che suo principio non discerna / molto di là da quel che l'è parvente (XIX 55); mutan tante ostellerie / ch'aver non posson cuor fermo né stante (Fiore CLXIX 11), e così ancora in numerosi altri luoghi.
Talvolta, contribuendo a formare modi idiomatici, il verbo fa sua una sfumatura attenuativa rispetto a un'affermazione, specie quando l'autore parla in prima persona, sia che usi l'indicativo (e ciò posso così mostrare, Cv I XIII 6; Queste parole posso io qui veramente proponere, IV XVI 1; E però io nel cominciamento di questo capitolo posso parlare con la bocca di Salomone, V 2), sia, ancor più accentuatamente, che usi il condizionale (Molti d'assempri dar te ne potrei, Fiore CLXII 1). La stessa osservazione sembra valere in casi come Lassa tapina, ben mi posso / chiamar dolente (Fiore CLXXXI 3); dunque potrà essere detto quelli obediente che... (Cv IV XXIV 13); noi trovare potremo per le scritture de le romane istorie... (V 11); può vedere chi bene considera (I I 6); questa potrebbe essere una ragione (Vn XXIX 2); di questi molti, sì come esperti mi potrebbero testimoniare (XXVI 1).
Nel campo delle locuzioni, e di solito durante un ragionamento, il valore attenuativo si unisce altrove a un'inflessione di eventualità: Dentro da l'uomo possono essere due difetti (Cv I 13); Di fuori da l'uomo possono essere similemente due cagioni intese (§ 4); E questa tema cagione può essere così nel male come nel bene (IV 12); queste etadi possono essere più lunghe e più corte (IV XXIV 7); li organi del corpo saran forti / a tutto ciò che potrà dilettarne (Pd XIV 60).
A un'ipotesi polemica, introdotta a movimentare la discussione speculativa, risponde invece il condizionale (di solito in principio di periodo) in casi come Potrebbe già l'uomo opporre contra me (Vn XII 17); Potrebbe qui dubitare persona... e dubitare potrebbe di ciò (XXV 1); Potrebbe dire alcuno (Cv II VIII 4, III IV 5); Veramente potrebbe alcuno gavillare (IV IV 8); Potrebbe alcuno dicere (VII 14); Potrebbe dire alcuno calunniatore (XII 11); Potrebbe alcuno però dire (XVII 11), e altri numerosi del Convivio.
Con lo stesso valore ha accento diverso e fermamente ironico l'indicativo di Pd XVIII 133 Ben puoi tu dire: " I' ho fermo 'l disiro / sì a colui che volle viver solo / e che per salti fu tratto al martiro , / ch'io non conosco il pescator né Polo ".
Sempre nella sfera semantica della ‛ possibilità ', stilemi sul tipo Or puoi, figliuol, veder la corta buffa, ecc. (If VII 61) concludono usualmente una dimostrazione o parte di dimostrazione ovvero una sequenza narrativa, isolando il concetto più importante da essa emerso, i motivi che l'hanno promossa, il giudizio che ne discende: Ben puoi veder che la mala condotta / è la cagion che 'l mondo ha fatto reo (Pg XVI 103); Quinci comprender puoi ch'esser convene / amor sementa in voi d'ogne vertute (XVII 104); ben puoi veder perch'io così ragiono (XIX 138); Or puoi la quantitate / comprender de l'amor ch'a te mi scalda (XXI 133); Omai puoi giudicar di quei cotali / ch'io accusai di sopra (Pd VI 97); E quinci puoi argomentare ancora / vostra resurrezion (VII 145). Al congiuntivo può dare valore augurativo al verbo servito, come in Rime LXXXVIII 10 Possi tu spermentar lo suo valore!, o in Cv IV XXIV 14 Non ti possano quello fare di lusinghe né di diletto li peccatori che tu vadi con loro.
A mezzo fra il senso della ‛ possibilità ' e della ‛ concessione ' l'attestazione di If XXVI 64 S'ei posson dentro da quelle faville / parlar, riferita alle anime di Ulisse e Diomede; più chiaramente orientato verso il valore di un ‛ permesso ' dato è Fiore CXCVII 9 Dunque potete voi farlo venire, / ma ched e' si contegna come saggio.
Un collegamento al concetto filosofico della ‛ potenza ' (v.) affiora nel verso di Vn XIX 11 49 ella è quanto de ben pò far natura: in Beatrice si attua tutto il bene che potenzialmente compete alla natura. E ugualmente nella sfera di un ragionamento filosofico-teologico s'iscrivono le parole di s. Tommaso (Ciò che non more e ciò che può morire, Pd XIII 52), indicative delle cose incorruttibili, create immediatamente da Dio (gli angeli, i cieli, la materia prima, l'anima umana) e di quelle contingenti e corruttibili, create dalle cause seconde. Non sembra invece che sia ravvisabile un preciso rapporto con la δύναμις divina (concetto fondamentale del Vecchio e del Nuovo Testamento) nelle occorrenze che attribuiscono l'azione del verbo a Dio: ma una velata traccia in tal direzione si riscontra a proposito dell'anima di Traiano che, tornata nella carne per intercessione di papa Gregorio, credette in lui [Cristo] che potea aiutarla, Pd XX 114; per altri esempi, v. Cv II IV 15, III X 119 tanta fu l'affezione a producere la creatura spirituale [si allude agli angeli], che la prescienza d'alquanti che a malo fine doveano venire non dovea né potea Iddio da quella produzione rimuovere, dove par agire una sensibile sottolineatura emotiva (la coppia ‛ dovere-p. ' ancora in III II 18, IV V 12 e XXIV 3); Pd XIX 43, basato sull'opposizione fra infinito e finito, per cui il valore infinito di Dio esorbita necessariamente dalle possibilità ricettive della materia finita; in caso contrario ne scaturirebbe l'assurdo di due infiniti coesistenti: Colui che volse il sesto / a lo stremo del mondo... / non poté suo valor sì fare impresso / in tutto l'universo, che 'l suo verbo / non rimanesse in infinito eccesso; appropriata la glossa di Benvenuto: " Et hic nota quod sunt aliqua quae dicuntur ‛ Deum facere non posse ' ... sicut facere alium maiorem vel similem sibi, vel ista effundere suam virtutem in creaturam, quod non remaneret in se infinita ".
2. Altre sfumature semantiche si aggiungono contestualmente alla connotazione della ‛ possibilità ', in una gamma espressiva assai vasta che non consente quasi mai delimitazioni ben nitide fra l'uno e l'altro significato. Così, specie quando il discorso punta sulle facoltà di chi agisce in ordine al raggiungimento di un fine, diventa primario fra gli altri il valore di " essere in grado ", " aver la capacità ", che già sfugge a una precisa mansione servile: significativo il luogo del Paradiso in cui viene dichiarato il rapporto tra l'intelletto umano e il sommo vero: Posasi in esso, come fera in lustra, / tosto che giunto l'ha; e giugner puollo: / se non, ciascun disio sarebbe frustra (IV 128), luogo imperniato sul giugner puollo, che è percosso da un forte accento asseverativo: sulla capacità cioè (più che sulla semplice possibilità) fornita all'uomo di raggiungere la verità e riposarsi in essa.
Altri esempi: più non posso soprastare, / tanto m'ha 'l tuo pensier forte affannato (Rime XCIII 3); Io sento sì d'Amor la gran possanza, / ch'io non posso durare / lungamente a soffrire (XCI 2); infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei (Vn XLII 1); per l'abito de le quali potemo la veritade speculare (Cv II X111 6); di Dio, e de le sustanze separate... potemo avere alcuna conoscenza (III VIII 15); sì come ancora per virtù di loro arti li matematici possono ritrovare (IV V 7); S'io fossi pur di tanto ancor leggero / ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia (If XXX 83); Matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer l'infinita via / che tiene una sustanza in tre persone (Pg III 35); supplica a te, per grazia, di virtute / tanto che possa con li occhi levarsi / più alto verso l'ultima salute (Pd XXXIII 26).
Il significato di " essere in grado ", " esser capace ", è diffuso in area molto vasta, particolarmente in frasi negative (e si noti come sia insistente il motivo dell'insufficienza dell'intelletto e del linguaggio umano, anche al di fuori di ‛ topoi ' retorici): cose ch'uom non pò ritrare / per loro altezza (Rime LXV 3); 'l peso che m'affonda / è tal che non potrebbe adequar rima (CIII 21); lo 'ntelletto mio non vi pò gire (Rime dubbie XIV 11); Molti volendo dir che fosse Amore / disser parole assai, ma non potero / dir di lui cosa che sembrasse il vero (XXIX 2); poi che tu non puoi sostenere la sua presenza (Vn XVIII 3); però che la memoria non puote ritenere lui (XXI 8); O uomini, che vedere non potete la sentenza di questa canzone (Cv II XI 9); la lingua mia non è di tanta facundia che dire potesse ciò che nel pensiero mio se ne ragiona (III IV 3); le divizie non possono torre nobilitade (IV X 12; e cfr. XIII 16); presuntuosi, che credono col suo intelletto poter misurare tutte le cose (XV 12); Chi poria mai pur con parole sciolte / dicer, ecc. (If XXVIII 1); 'l poggio sale / più che salir non posson li occhi miei (Pg IV 87); ciò che 'l mio dir più dichiarar non puote (XXXV 90); per te ha sofferte pene tante / che dir nol ti poria (Fiore CCXXVII 4).
Con sottilissima distinzione rispetto ai casi precedenti p. sembra talvolta inserire in posizione preminente entro la propria polisemia il senso di " riuscire a ": Sono che per gittar via loro avere / credon potere / capere là dove li boni stanno (Rime LXXXIII 21: vi sono di coloro che credono di " riuscire a trovar posto " tra i buoni, di meritarsi tale promozione); li sospiri non poteano disfogare l'angoscia (Vn IX 2); non credendo potere ciò narrare in brevitade di sonetto (XXVII 2); non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso (Cv II XII 6); quella inferma / che non può trovar posa in su le piume (Pg VI 150); Ne l'ora che non può 'l calor dïurno / intepidar più 'l freddo de la luna (XIX 1); trovar non potea nullo argomento / di trarmi del laccio in ch'Amor mi prese (Fiore XLVII 3); andai cercando / sed i' potesse trovar quell'entrata (LXXIV 2).
3. I significati fin qui illustrati si ritrovano ancora nei numerosissimi costrutti in cui il verbo è preceduto dalla particella ‛ si ', costrutti in genere di valore passivo, tra i quali dominano le forme ‛ si può ', ‛ si puote ', ‛ puossi ', ‛ puotesi ' (più di 170 occorrenze, a titolo di esempio, nel solo Convivio): Risponde il fonte del gentil parlare / ch'amar si può bellezza per diletto, / e puossi amar virtù per operare (Rime LXXXVI 13 e 14); Come pintura in tenebrosa parte, / che non si può mostrare (XC 14); Quel ch'ella par quando un poco sorride, / non si pò dicer né tenere a mente (Vn XXI 4 13); Questo sonetto in quattro parti si può dividere (XIII 10); per alcuno vedere non si può s'io non la conto (Cv I II 17); Dunque che render puossi per ristoro? (Pd V 31).
Ma non mancano le forme intransitive pronominali (determinate, s'intende, dal verbo servito): né pentere e volere insieme puossi (If XXVII 119); o impersonali (anch'esse gravitanti sul verbo all'infinito): quella parte de la vita di là da la quale non si puote ire più (Vn XIV 8); a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando (Cv IV XXVIII 9); quel sanza 'l quale a Dio tornar non pòssi (Pg XIX 92). Ecco qualche altra occorrenza in cui p. non è alla terza persona singolare del presente indicativo: costrutti passivi: 'l verace colore / chiarir non si poria per mie parole (Rime dubbie XVI 22); le scritture antiche de le comedie e tragedie latine, che non si possono transmutare (Cv I V 8); le scritture si possono intendere.., per quattro sensi (II I 2); asini ben si possono dire coloro che così pensano (IV XV 6); costrutti intransitivi pronominali: me convenia stare come coloro li quali non si possono muovere (Vn XXIII 1); costrutti impersonali: ne le nostre operazioni si potea peccare e peccavasi nel troppo e nel poco (Cv IV VI 13); sanza le quali al porto, ove s'appressa, venire non si potea con tanta ricchezza (XXVIII 11). Saranno da considerare inoltre impersonali e non passivanti forme come le seguenti: sì come ne l'ultimo trattato vedere si potrà (Cv III XV 14); A Dio a sé, al prossimo si pòne / far forza (If XI 31; cfr. anche il v. 46); Trasumanar significar per verba / non si poria (Pd I 71).
Seguito dal verbo ‛ essere ' dà luogo in alcuni casi a forme sintagmatiche corrispondenti a " esser possibile ": dite come, poi / che sarete visibili rifatti, / esser porà ch'al veder non vi nòi (Pd XIV 18); se ciascuno fosse a difendere la sua oppinione, potrebbe essere che la veritade si vedrebbe essere, ecc. (Cv IV XXI 3); ‛ esser non puote che... non ' introduce un evento che accadrà infallibilmente: E' non puote essere che con quella pietosa donna non sia nobilissimo Amore (Vn XXXV 3); esser non puote / che per diversi salti non si spanda (Pd XI 125).
In unione con ‛ quanto ' mette talvolta in evidenza il grado massimo cui perviene l'azione o la situazione espressa dall'infinito o dall'intera frase: notte privata / d'ogne pianeto, sotto poter cielo, / quant'esser può di nuvol tenebrata (Pg XVI 3); poi verso me, quanto potëan farsi, certi si fero (XXVI 13).
4. Piuttosto raro si presenta l'uso di p. fraseologico: esso si verifica in proposizioni finali (cfr. F. Brambilla Ageno, Il verbo nell'italiano antico, Milano-Napoli 1964, 459), come in Rime CI 22 io son fuggito per piani e per colli, / per potere scampar da cotal donna; in dipendenza di termini indicanti capacità o autorità (cfr. F. Brambilla Ageno, Il verbo, cit., p. 458) come in Rime LXVI 7 non ebbe poi alcun valore / di poter lui chiamar se non: " Signore... ", e Cv III 14 E avvegna che poca podestade io potesse avere di mio consiglio; Pd XXXIII 71 fa la lingua mia tanto possente, / ch'una favilla sol de la tua gloria / possa lasciare a la futura gente (evidente la ripresa possente-possa). Fraseologico sembra p. anche in espressioni intonate a eventualità: lo quale [desiderio] è di tanta vertude, che uccide e distrugge ne la mia memoria ciò che contra lui si potesse levare (Vn XV 2); s'elli avvenisse che molti le potessero audire (XIX 22); né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare (XXVI 3: dove però è presente un'inflessione ipotetica); dopo verbi di desiderio: la mia anima, cioè lo mio affetto, arde di potere ciò con la lingua narrare (Cv III III 14); in dipendenza di proposizioni ottative: piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna (Vn XLII 3); o temporali: lo saluto... fue fine de li miei desiderii mentre ch'io lo potei ricevere (Vn XIX 20: la Brambilla Ageno [Il verbo, cit., p. 158] riporta esempi di p. fraseologico dopo i sostantivi ‛ ora ' e ‛ tempo '). Si notino ancora certi moduli pleonastici, come i seguenti: in quanto ha... la potenza... di poter lei svegliare (Cv III XIII 6); Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare (Pg IV 67).
5. Fra i luoghi in cui p. non è seguito dall'infinito dev'essere ricordato innanzi tutto Pd XVI 47 Tutti color ch'a quel tempo eran ivi / da poter arme tra Marte e 'l Batista, dove il verbo sembra reggere, come transitivo, un complemento oggetto; un uso simile è in Rime L 29 cacciate che l'attender io non posso; / ch'i' sono al fine de la mia possanza, dal momento che l'attender ha funzione di sostantivo.
Per la prima occorrenza la Brambilla Ageno (Il verbo, cit., p. 42) parla espressamente di transitività. Tuttavia sia per gli esempi in questione sia per altri che vedremo è certo da sottintendere un verbo all'infinito, sicché da poter arme vale " da poter portare armi ", " atti a sostenere le fatiche della milizia " (per la lezione, preferita alla variante portar arme, e il senso, v. Petrocchi, ad l., e Introduzione 236), e l'attendere io non posso corrisponde a " non posso sopportare l'attesa ". Si accostano ai costrutti precedenti Pd XXXIII 34 regina, che puoi / ciò che tu vuoli; col risvolto apparentemente impersonale vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole (If III 95, V 23); Pg V 60 s'a voi piace / cosa ch'io possa, e VII 17 mostrò ciò che potea la lingua nostra, tutti ellittici di infinito, anche l'ultimo, così parafrasato dal Buti: " mostrò ciò che potea mostrare "; ma tra i moderni, per es., il Sapegno chiosa " tutte le sue possibilità, la sua eccellenza espressiva ", il Mattalia " mostrò a quale eccellenza poteva arrivare ", accentuando l'idea della ‛ potenza ' implicita nella lingua e attuata da Virgilio; il Fallani: " di cui mostrò la potenza nell'opera letteraria ". In quest'ultimo verso p. si sottrarrebbe così del tutto alla funzione servile, come in Pg XXVIII 109 la percossa pianta tanto puote, / che de la sua virtute l'aura impregna: " est tantae potentiae ", chiosa Benvenuto, e il Buti: " ha tanta virtù "; e, meno sicuramente, in Pg VII 51 Chi volesse / salir di notte, fora elli impedito / d'altrui, o non sarria ché non potesse?, che si collega al v. 44 andar sù di notte non si puote, e distingue un'impossibilità dovuta a impedimento estrinseco da una dovuta a mancanza intrinseca di forze (naturalmente anche qui può sottintendersi ‛ salire ', dal sarria [" salirebbe "] che precede). Si tratta comunque di eventi rari nella lingua dantesca, poiché anche Pd IV 123 quei che vede e puote a ciò risponda può venir ricondotto a " vult et scit reddere condignum " (Benvenuto), con opportuno allacciamento ai vv. 121-122 non è l'affezion mia tanto profonda / che basti a render voi grazia per grazia; così anche il Buti e altri. Dissente il Landino: " Et questo è Iddio, il quale perché vede, idest conosce che cosa sia sapientia, l'ama; et perché può quanto vuole l'ama quanto vuole et vuole quanto può ".
Fanno parimente parte di espressioni ellittiche di un verbo facilmente ricavabile dal contesto le seguenti occorrenze: tramortendo, ovunque pò s'appoia (Vn XV 5 6); quanto potete fate (XXXVII 2); se più potesse, più farei (Cv III I 9); Vegna ver‛ noi la pace del tuo regno, / ché noi ad essa non potem da noi (Pg XI 8); se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia / potesser, tosto ne saria vendetta (XX 47); riguarda come può là giùe / quel che non pote perché 'l ciel l'assumma (Pd XXI 102, dove si allude all'incapacità umana di scrutare lo abisso / de l'etterno statuto, vv. 94-95); e anche le locuzioni con ‛ quanto ', parallele ad altre citate dove p. è seguito dall'infinito: la dicerò, quanto potrò più brievemente (Vn XVII 2); di venire a ciò io studio quanto posso (XLII 2); e se non come si convenisse, almeno innanzi quanto io potesse (Cv III I 12); lei seguitando ne l'opera sì come ne la passione quanto potea (IV I 5); l'arte vostra quella, quanto pote, / segue (If XI 103); Quanto posso, ven preco (XV 34); quanto posson dietro al calor vanno (Pg XXVIII 99); divoto quanto posso a te supplìco (Pd XXVI 94); per somigliarsi al punto quanto ponno (XXVIII 101); o quelle prevalentemente parentetiche con ‛ se ' le quali, oltre che contenere l'idea della possibilità, alludono spesso alla capacità di chi agisce e alla liceità di quanto viene compiuto: Rispondimi, se puoi, altro che nulla (Rime CVI 77); ingegnati, se puoi, d'esser palese / solo con donne o con omo cortese (Vn XIX 14 66; e v. If XIII 89, XIX 48, XXII 43, Pg VII 38).
Tipicamente idiomatici sono i modi di Rime CXVI 38 Ben conosco che va la neve al sole, / ma più non posso (che va spiegato " non posso fare diversamente "); Pg X 139 e quel più pazïenza avea ne li atti, / piangendo parea dicer: ‛ Più non posso ', " non ne posso più "; l'Ottimo, svolgendo il concetto: " non ho più podere di portare questo peso "; Fiore XCI 8 'l più ch'i' posso; CLXVI 11 'l più che puote. Nel verso che chiude il racconto del conte Ugolino (Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno, If XXXIII 75) il valore del verbo, associato all'incerto senso dell'intera frase, si rivela esso stesso incerto. Non c'è dubbio però che qui venga rievocata una lotta tra il dolore e il digiuno, nella quale quest'ultimo prevale, ha maggior ‛ potere ': l'ambiguità riguarda soltanto l'oggetto verso cui tal potere s'indirizza (per la complessa questione, v. la voce UGOLINO della GHERARDESCA).
Discusso è anche il verso in cui Cacciaguida, narrando della sua Firenze, ricorda che ai suoi tempi non v'era giunto ancor Sardanapalo / a mostrar ciò che 'n camera si puote (Pd XV 108): le due interpretazioni ancor oggi più seguite sono esemplificate dalle chiose di Benvenuto e del Buti. Nota il primo: " volt dicere Cacciaguida, quod tempore suo non erant Florentiae illa ornamenta et praeparamenta camerarum quae sunt modo "; e il secondo: " in Fiorenza non era venuto ancora nessuno cittadino lussurioso e lascivo come fu Sardanapalo... unde dà ad intendere qui l'autore che non era entrato in Fiorenza l'abominevole e maladetto vizio illicito e conga natura ": in ambedue i casi il si puote lascia intuire gli eccessi, o di vanità e pompa, o di vizi e brutture morali, a cui si abbandonavano i contemporanei di D. nell'intimità delle loro case.
P. fa parte di un'espressione sostantivata in Rime dubbie XXVIII 1 Non piango tanto il non poter vedere / quella.