POZZUOLI
(XXVIII, p. 142)
Nuovi scavi e la riconsiderazione di quanto già noto consentono oggi una migliore ricostruzione delle fasi architettonico-urbanistiche della città antica. Attualmente si lavora al recupero dell'eccezionale patrimonio archeologico del Rione Terra, evacuato dopo il bradisismo del 1969-70, e perciò disponibile alle ricerche. Due cocci del 7°-6° secolo a.C. sono finora le uniche tracce sicure di presenze preromane, sì da far dubitare che fosse qui l'insediamento samio di Dicearchia, del quale, peraltro, il riesame dei dati delle fonti induce a ridimensionare importanza e durata.
La documentazione riprende con l'età romana. Va chiarendosi ormai l'urbanistica regolare della colonia civium Romanorum del 194 a.C., parzialmente conservata dal tessuto edilizio attuale, imperniata su un decumano maggiore che longitudinalmente attraversa il promontorio del Rione Terra; all'esterno della città la strada risaliva il pendio opposto come via per Neapolis, da cui si distaccava un ramo per Capua; tra essa e via Celle doveva estendersi la limitazione dell'agro coloniale. Quanto al cosiddetto tempio di Augusto, un incendio alla Cattedrale (1964) ha riportato in luce le strutture, conservate nonostante i pesanti interventi barocchi, del superbo edificio costruito da L. Cocceio Aucto, uno pseudoperiptero esastilo interamente di marmo lunense con cella decorata da lesene corinzie, chiaramente ispirato, anche nella sintassi decorativa, a modelli urbani come il tempio di Apollo Palatino. Entro il suo podio sono emersi resti del podio più antico, in blocchi di tufo, certo pertinenti al capitolium della colonia del 194 a.C., simile nella struttura e nella pianta a quello, vicino e coevo, di Liternum. Le trasformazioni del 1° secolo d.C. mostrano come tale nucleo originario sul Rione Terra fosse stato precocemente monumentalizzato; si è scavato un tratto del decumano con le facciate delle case prospicienti e una bella fontana marmorea dove sboccava l'acqua del Serino condotta per fistule fin sulla collina.
Le tavolette cerate dell'archivio dei Sulpici, trovate a Pompei (loc. Murecine), ma pertinenti a P., hanno definitivamente confermato la deduzione di una colonia Iulia, molto popolata a giudicare anche dalle numerosissime presenze di muri in opera reticolata sia sul costone prospiciente il Rione Terra, in diretta espansione del nucleo cittadino, sia in ville e sepolcri, prevalentemente a colombario, in tutto il territorio. Il Foro, situato in un punto di biforcazione delle vie extraurbane già segnalate, è stato distrutto negli anni Cinquanta per la costruzione dell'educandato femminile Maria Immacolata (via C. Rosini); gli elementi recuperati − sculture, iscrizioni, frammenti architettonici, pur se spesso di reimpiego − mostrano il persistente fiorire della città fino al 5° secolo d.C. Dalle tavolette cerate pompeiane e da altre iscrizioni conosciamo il nome di edifici forensi, come la basilica Augusti Anniana, una porticus Sextiana e vari chalcidica (da intendersi come ampi vestiboli porticati tutt'attorno alla piazza), in cui si riunisce talvolta il Senato locale, correlati con altari del culto imperiale, innalzati per l'evergetismo delle maggiori famiglie puteolane del tempo, dalle quali infatti derivano il nome.
La città, che doveva estendersi fino all'anfiteatro più antico, in quest'epoca rifatto e ampliato, si caratterizza per una serie di grandi cisterne legate all'acquedotto augusteo del Serino, cui pertiene anche un castellum aquae circolare, ben conservato su due livelli al margine del Foro. L'organizzazione della città per regioni, i toponimi calcati su quelli urbani (Regio Palatina, Regio Portae Triumphalis, Foro Boario, Foro Olitorio, ecc.), mostrano sin dall'età augustea la volontà di affermare un legame tutto particolare con Roma. È da ritenere infatti che già allora, trasferita a Miseno la flotta militare, il grandioso porto Giulio, che utilizzava come duplice bacino i laghi Lucrino e Averno, fosse stato adibito a scopi mercantili, comportando ciò una riorganizzazione di tutta la ripa dell'emporio, con vici suburbani, i cui nomi, attestati epigraficamente, derivano per lo più da importanti gentes locali, legate ad attività produttive (come certamente il vico Vestoriano) o commerciali della città, cui dovevano far capo anche i gruppi di mercanti stranieri frequentanti l'emporio, che trovavano riferimenti anche religiosi nel culto degli dei nazionali. Esemplare al riguardo il caso degli Arabi Nabatei, di cui sono state recuperate dal mare varie dediche al dio Dusares, provenienti dall'area che si ritiene del vicus Lartidianus; si è riconosciuto un vicus Tyanianus, abitato dunque da mercanti di Tyana in Cappadocia, come da quelli di Tiro prende nome un pagus Tyrianus. Personaggi dell'aristocrazia urbana, come Domizia Lepida zia di Nerone, possedevano horrea a Pozzuoli. La ripa e il porto Giulio sono oggi per gran parte sommersi a causa del bradisismo, ma, grazie a recuperi fortuiti, aerofotografie, indagini e rilievi subacquei, che vanno assumendo carattere di sistematicità scientifica, si comincia a conoscere la topografia dei luoghi.
È probabilmente al grande progetto del canale tra l'Averno e il Tevere che deve collegarsi lo statuto coloniario attribuito da Nerone alla città, premessa di un grandioso rinnovamento delle strutture marittime con il rifacimento del porto Giulio, il cui bacino esterno, bordato da horrea e magazzini, appare quasi un diretto precedente del porto traianeo di Ostia; si è anche supposto che a Nerone, invece che ad Augusto, risalga il famoso molo del porto di P. audacemente proiettato in mare e celebrato dai poeti. La città inizia allora la sua espansione monumentale sulla terrazza mediana oltre il Foro verso il quadrivio dell'Annunziata, dove all'anfiteatro Flavio seguono altri edifici pubblici nel 2° secolo d.C., come le terme antonine dette tempio di Nettuno (i balnea Faustines?) e altri edifici più tardi (il cosiddetto tempio del divo Pio, il cosiddetto tempio corinzio forse severiano, ecc.) fino al punto di snodo viario (quadrivio dell'Annunziata), dove la nuova via Domiziana raggiungeva il primo tratto, ormai incluso nella città, della via Campana. Sulla Domiziana, fuori della città, l'edificio un tempo detto ''circo'', e riconosciuto ora come stadio, si deve porre in rapporto certamente con gli Eusebeia, giochi istituiti da Antonino Pio per Adriano, morto a Baia e temporaneamente sepolto a P. nella villa che era stata di Cicerone (di cui perciò lo stadio occuperebbe il sito) prima del suo trasporto a Roma.
La ricchezza delle fabbriche, nuove o rinnovate, di età antonino-severiana, conferma che, contrariamente a quanto ritenuto, la città non andò incontro a una subitanea decadenza col venir meno, quando fu creato a Ostia il bacino traianeo, della sua funzione di porto annonario di Roma. In realtà, le fiaschette di vetro tipo Odemira, del 4° secolo, mostrano come, al tempo, la città conservasse ancora lo splendore dei suoi edifici monumentali, prospicienti a terrazze sul mare; lo confermano le numerose dediche e statue a imperatori e governatori regionali, anche se spesso di reimpiego, i restauri agli edifici con tecniche murarie tardoantiche in tutta l'area urbana, l'uso continuato dei sepolcri collettivi in cui prevale ora l'inumazione in formae. Restauri attestati alla ripa ancora nel 4° secolo testimoniano forse l'accentuarsi del fenomeno bradisismico; la sommersione era già compiuta nell'alto Medioevo, quando una versione apocrifa degli Atti degli Apostoli l'attribuisce all'ira di s. Paolo per le persecuzioni subite.
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