PRAGMATISMO
. Etimologicamente, il termine "pragmatismo" (dal gr. πρᾶγμα "azione") si riferisce all'idea dell'attività pratica, e designa, in generale, un atteggiamento mentale o scientifico in cui l'interesse teoretico venga in un modo o nell'altro subordinato a quello pratico (così, per es., per storia pragmatica s'intende per lo più quella in cui l'interessamento per le personalità e la preoccupazione pedagogica soverchiano la più obiettiva considerazione dei fenomeni storici). Particolare determinazione e importanza esso ha peraltro assunto come designazione di un movimento filosofico svoltosi principalmente tra l'ultimo decennio del sec. XIX e il primo del sec. XX. Prescindendo dagli elementi d'affinità che esso pur dimostra, per certi aspetti, con più antiche concezioni filosofiche (in primo luogo con quella protagorea), il movimento pragmatistico si considera iniziato da C.S. Peirce, con l'articolo How to make our ideas clear (Come render chiare le nostre idee) da lui pubblicato nel Popular Science Monthly del gennaio 1878; ma fu propriamente sviluppato solo un ventennio dopo, soprattutto per opera di William James (mentre il Peirce, che pur aveva messo in circolazione il fortunato termine pragmatism, più tardi tenne a distinguere il suo pensiero da quello pragmatistico, quale si era venuto evolvendo nel frattempo, e preferì per suo conto il termine pragmaticism). Tesi fondamentale del pragmatismo è quella della subordinazione del valore teoretico alla capacità di azione pratica. Non esistono verità astratte: vero è soltanto ciò che serve ad accrescere e migliorare l'attività, e la cui conoscenza aumenta il potere. Unico criterio del vero è quindi il successo della sua traduzione in pratica. Date queste caratteristiche speculative, s'intende la fortuna incontrata dal pragmatismo nel mondo anglo-americano, nel quale ebbe, come più notevoli ed originali rappresentanti dopo il James, John Dewey (che lo svolse nel senso dell'"istrumentalismo") e F. C. S. Schiller (che, con più diretto ricollegamento a Protagora, adottò il termine di "umanismo"). E un certo successo ebbe il pragmatismo anche in Italia (dove si segnalarono particolarmente, come suoi difensori, Giovanni Papini, Giovanni Vailati e Mario Calderoni), per quanto lo spirito filosofico dell'idealismo, che aveva permeato la cultura italiana recando già in sé, e in ben migliore inquadramento, alcuni tra i motivi più concreti del pragmatismo, l'avesse alquanto immunizzata contro la nuova moda. Singolarmente efficace fu invece l'influsso del pragmatismo in Francia, dov'esso venne incontro a tendenze originali del suo pensiero religioso cristiano. Già nel pragmatismo di James la religione era interpretata in funzione di una "volontà di credere", che la subordinava alle esigenze della pratica: ma tale subordinazione infirmava insieme troppo profondamente il suo valore di assolutezza. Il "pragmatismo religioso" francese (mercé la varia opera del Blondel, dell'Ollé-Laprune, del Laberthonnière, del Le Roy) riportò invece questo motivo dell'azione, del fermento pratico consolidante la fede, alla migliore tradizione volontaristica del cristianesimo: donde le sue strette relazioni col "modernismo", condannato dall'opposta tradizione intellettualistica della Chiesa.
Bibl.: U. Spirito, Il pragmatismo nella filosofia contemporanea, Firenze s. a. ma 1921 (con ampia bibliografia).