PRAMMATICA SANZIONE (pragmatica sanctio, o anche pr. generalitatis)
È nella terminologia del basso Impero Romano (dal sec. V d. C. in poi) una costituzione imperiale che tiene un posto di mezzo fra gli editti o leggi generali, aventi lo scopo di regolare in modo definitivo e uguale per tutti un determinato tipo di relazioni giuridiche, e i rescritti, che su istanza di un privato o di un giudice fissano le linee per la risoluzione di un caso (normalmente una lite) particolare. Una prammatica sanzione può portare provvedimenti eccezionali, da valere per una volta sola (ad es., remissione di imposte, o disposizioni sul modo di esigerle in circostanze difficili); o sancire privilegi per alcune categorie di persone (sottraendole alla giurisdizione dei presidi delle provincie, o esentandole da liturgie, o dispensandole da certi impedimenti matrimoniali, ecc.); e disporre per l'organizzazione amministrativa di una o altra provincia o pubblico servizio. Ma la terminologia resta oscillante: da un canto portano il nome di prammatiche provvedimenti non normativi come le lettere con le quali l'imperatore di Oriente e di Occidente trasmette al collega le costituzioni da lui ultimamente emanate; dall'altro si trovano chiamate allo stesso modo costituzioni che sembrano regolare definitivamente istituti di diritto privato. In ogni caso, la forma di lettera, l'essere normalmente emanata su richiesta degl'interessati, la redazione nell'ufficio dei pragmaticarii imprimono alla prammatica sanzione un carattere di fonte giuridica di secondo ordine per cui nel conflitto fra essa e una legge generale quest'ultima prevale.
Fra le prammatiche sanzioni giunte fino a noi particolarmente importante è la cosiddetta:
Pragmatica sanctio pro petitione Virgilii (ed. in Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, a cura di R. Schöll, Berlino 1928, p. 799) emanata da Giustiniano il 14 agosto 554, dietro richiesta di papa Vigilio, per portare rimedio ai mali che la tyrannorum bellica confusio e la gothica ferocitas avevano portato all'Italia durante la guerra gotica. Con essa l'imperatore cercò di dar ordine alle cose d'Italia e di riportarne le condizioni a quelle che erano al tempo di Amalasunta e di Atalarico, abrogando tutti gli atti dei re goti, non riconosciuti come legittimi da Bisanzio, con particolare condanna delle disposizioni emanate da Totila. Nello stesso tempo Giustiniano cercò, con le 27 costituzioni che compongono la pragmatica, di rimediare alle tristi conseguenze della guerra, riaffermando i diritti dei proprietarî legittimi contro ogni usurpazione, alleggerendo la pressione tributaria, riordinando il sistema dei pesi e delle misure, l'amministrazione della giustizia, dell'annona, disciplinando il corso della moneta. La Pragmatica sanctio del 554 costituì così la base fondamentale della legislazione imperiale in Italia nel periodo della dominazione bizantina (554-568).
In Sicilia, a partire da Martino I, e nel regno di Napoli, a cominciare dagli Aragonesi, furono chiamate prammatiche sanzioni o sanzioni, secondo l'esempio spagnolo, le norme legislative emanate direttamente dal sovrano o dal viceré, col parere del consiglio, ma senza alcuna partecipazione del parlamento o dei Sedili. In Francia e nell'impero fu chiamato prammatica sanzione un editto sovrano che regola in maniera definitiva una materia fondamentale per l'organizzazione dello stato, come la successione al trono, le relazioni con la Chiesa e simili. Le più importanti prammatiche sanzioni dei tempi moderni sono quelle di Bourges e di Carlo VI.
Prammatica sanzione di Bourges. - Fu emanata il 7 luglio 1438, a Bourges, dal re di Francia Carlo VII, che aveva convocato all'uopo un concilio di prelati e notabili francesi; e costituì un fiero colpo recato all'autorità papale e il trionfo invece non solo dello spirito "gallicano", ma, in genere, dello spirito "conciliare". Si ricollegava, infatti, nella sua genesi e nel suo carattere, alle tendenze trionfanti allora nel concilio di Basilea: e anzi la prammatica sanzione non fa che riprodurre nella parte essenziale le decisioni del concilio stesso, con qualche adattamento per la situazione francese. E perciò, nell'art. II della prammatica sanzione, veniva affermata la validità del concilio basileese, di cui venivano definiti perpetui e irrevocabili i decreti, che il pontefice non avrebbe potuto infirmare né revocare. Nei varî articoli veniva statuita la convocazione periodica (ogni 10 anni) del Concilio (qualora il papa non vi ottemperasse, la facoltà di provvedere era concessa ai "padri"); si contemplava la possibilità di deferire, per il giudizio, un pontefice che avesse dato "scandalo" al cancilio; si sanciva che le deliberazioni del concilio avrebbero dovuto essere eseguite da tutti, anche dal pontefice. La parte che ebbe praticamente maggior importanza e che più a lungo fece avvertire i suoi effetti, fu quella concernente i benefici e la giurisdizione ecclesiastica: sottraendo la collazione di essi al pontefice e affidandola ai capitoli, ecc., proibendo la riscossione, da parte del pontefice, delle annate e dei primi frutti, riducendo al minimo i diritti di appellazione a Roma nelle cause ecclesiastiche, la prammatica sanzione sanciva l'effettiva autonomia delle singole chiese nazionali e, nella fattispecie, di quella di Francia.
La prammatica sanzione divenne così oggetto di disputa fra la curia di Roma e il clero francese: nel 1461 Pio II riuscì ad ottenerne l'aboli- zione da Luigi XI, ma il parlamento di Parigi rifiutò di registrare le lettere patenti del re; e non diverso esito ebbero le nuove lettere patenti che Paolo II e Sisto IV riuscirono ad ottenere sempre da Luigi XI. La vivacissima resistenza del parlamento di Parigi, della Sorbona, del clero francese, rese vani, di fatto, gli ordini del re. Carlo VIII e Luigi XII, poi, ordinarono che la prammatica sanzione, ufficialmente ristabilita, fosse rigorosamente osservata. Solo col concordato del 1516 fra Leone X e Francesco I, la prammatica sanzione ebbe fine: per quanto anche allora l'opposizione in Francia fosse vivissima, e per quanto nel corso del secolo XVI e anche XVII più volte venisse richiesto, dal parlamento di Parigi, da assemblee del clero e di notabili, il ristabilimento dell'editto.
Prammatica sanzione di Carlo VI. - Questa, che è la più nota fra le prammatiche sanzioni, fu emanata dall'imperatore Carlo VI, da Vienna, il 19 aprile 1713, allo scopo di assicurare le regole di successione nei suoi stati (il testo in G. Turba, Die P. S., 1913). La prammatica sanzione stabiliva che in difetto di successori maschi dovessero subentrare nell'ordine: a) le figlie dello stesso Carlo VI e loro discendenza; b) le figlie dell'imperatore Giuseppe I, fratello di Carlo VI e morto nel 1711 e loro discendenza: sempre secondo il diritto di primogenitura, in guisa da salvare il principio dell'indivisibilità e unità dei territorî sottomessi al dominio asburgico. La prammatica sanzione del 1713 contraddiceva quindi, per quanto concerneva la successione all'atto concreto, al Pactum mutuae successionis del 12 settembre 1703, stabilito dall'allora re dei Romani Giuseppe e dall'allora arciduca Carlo, in caso di estinzione della discendenza maschile poiché, a tenore del Pactum (v. austria) le figlie del primogenito Giuseppe avrebbero dovuto prevalere su quelle di Carlo (e infatti Carlo VI pretese atti di rinunzia dalle figlie di Giuseppe I, Maria Giuseppa e Maria Amalia). E questo doveva poi dare origine alle future complicazioni (v. successione, guerre di). Morto, appena nato, tre anni più tardi (1716) il primogenito di Carlo VI, Leopoldo, delle clausole della prammatica sanzione venne ad approfittare la secondogenita e prima delle figlie di Carlo VI, Maria Teresa. La prammatica sanzione fu approvata dalle diete dei singoli paesi asburgici fra il 1720 e il 1723 e fu proclamata nel 1724; assai meno facile fu invece l'ottenere l'adesione delle potenze europee. Da allora anzi si può dire che l'attività politica di Carlo VI consistesse nel cercare di far riconoscere dalle potenze europee la prammatica sanzione: la Prussia la riconobbe nel 1726 e 1728, l'Inghilterra e l'Olanda nel 1731, la Francia solo nel 1738, nella pace di Vienna, dopo la guerra di successione polacca. E d'altronde, nonostante i riconoscimenti, alla morte di Carlo VI nel 1740 la questione fu rimessa in gioco; e solo con la pace di Aquisgrana del 1748 fu definitivamente sopita.
Bibl.: Sulle prammatiche sanzioni del Basso Impero v. E. Cuq, Pragm. sanctio, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités grecques et romaines, IV, i, Parigi s.a., p. 642 segg.; H. E. Diksen, Hinterlassene Schriften, II, Lipsia 1871, p. 54 segg.; P. Krüger, Histoire des sources du dr. rom., trad. M. Brissaud, Parigi 1894, pp. 361 segg., 474; Th. Mommsen, Gesammelte Schriften, II, Lipsia-Berlino 1909, p. 426 segg.; B. Kübler, Geschichte des römischen Rechts, Lipsia 1925, p. 380. Sulla prammatica sanzione di Bourges, Ch. Dufresne de Beaucourt, Histoire de Charles VII, Parigi 1881-92; N. Valois, Le pape et le Concile (1418-1450), voll. 2, Parigi 1909. - Sulla prammatica sanzione di Carlo VI, v. G. Turba, Die Grundlagen der P. S., Vienna 1911-1912.