pratyaksa
Termine sanscr. («relativo agli organi di senso») che indica la percezione come strumento conoscitivo (➔ pramāṇa). Tutte le tradizioni indiane accettano il ruolo epistemologico della percezione e la maggior parte di esse le attribuiscono il ruolo di strumento principe. Secondo il Nyāya e il Vaiśeṣika la percezione è il risultato del contatto tra organi di senso e oggetti di senso, in presenza di un sé (ātman) e con la funzione coordinatrice del senso interno (manas, ➔ puruṣa). Quest’ultimo ha dimensione atomica e mobilità e serve da anello tra il sé, che ha natura onnipervadente, e gli organi di senso, localizzati nello spazio. Il ruolo del senso interno spiega sia la possibilità di percezioni introspettive come quella del proprio piacere, sia l’impossibilità di diverse cognizioni simultanee, perché ciò presupporrebbe un’ubiquità di manas che è atomico e non diffuso. Il ruolo del senso interno è riconosciuto già nel Nyāyabhāṣya (5° sec.) dove si sostiene che, poiché ci sono oggetti di conoscenza interiori non percepibili dai cinque sensi, ci deve essere un senso interno che colga tali oggetti, come nel caso della percezione del piacere di cui manas è appunto la causa prossima. Nella percezione introspettiva (mānasapratyakṣa) gli organi di senso non hanno quindi un ruolo e il contatto avviene tra manas e il sé, poiché quest’ultimo è il sostrato delle sue qualità come piacere, dolore, desiderio, avversione, e anche del valore morale (dharma). Quest’ultimo è ritenuto trascendente (alaukika, ➔ loka) e in quanto tale non percepibile attraverso una percezione ordinaria. Alcuni quindi postulano un tipo di percezione straordinaria, quella dello yogin onnisciente (yogipratyakṣa). Lo yogin è una persona spiritualmente realizzata che ha accesso alla percezione del valore morale. Jayanta Bhaṭṭa (9° sec.) esamina le obiezioni della Mīmāṃsā (➔) contro l’esistenza della percezione yogica e conclude che manas è uno strumento che si presta a difetti come avidità, avversione ecc., tali da precludere la possibilità di una percezione limpida. Nella percezione sensibile, gli organi di senso sono o protesi verso gli oggetti, come nel caso dello strumento visivo e dei raggi che da esso dipartono e colgono forme e colori, oppure passivi ricettori degli oggetti, come nel caso dell’organo uditivo e delle onde sonore. Con l’assimilazione dell’ontologia della tradizione Vaiśeṣika (➔) nel Nyāya a partire da Uddyotakara (6° sec.) vengono teorizzati sei tipi di contatto senso-oggetto per spiegare la percezione di sostanza, qualità e delle altre categorie: contatto tra organo di senso e sostanza (samyoga), che spiega la percezione di un oggetto esterno; inerenza di una qualità o universale con la sostanza con cui l’organo di senso è in contatto (samyuktasamavāya), che spiega la percezione della qualità di un oggetto esterno; inerenza di un universale in una qualità della sostanza con cui l’organo di senso è in contatto (samyuktasamavetasamavāya), che spiega la percezione dell’universale della qualità di un oggetto esterno; inerenza (samavāya), che spiega la percezione del suono, una qualità dell’elemento primario ‘etere’, attraverso l’organo dell’udito, che in questa teoria è l’elemento primario ‘etere’ nella parte ricettiva dell’orecchio; inerenza con ciò che inerisce (samavetasamavāya), che spiega la percezione della qualità o dell’universale del suono; relazione tra qualità e qualificato (viśeṣaṇaviśeṣyabhāva), che spiega la percezione dell’assenza di un oggetto esterno. Cruciale è la distinzione in due tipi di percezione, determinata (savikalpaka) e indeterminata (nirvikalpaka) (➔ jñāna). La distinzione ha un ruolo importante non solo nella definizione della percezione, ma anche nelle teorie dell’errore, della conoscenza e degli universali. La percezione nirvikalpaka è in genere considerata come la mera consapevolezza dell’oggetto, priva dell’identificazione di caratteristiche a esso specifiche o comuni tra esso e altri oggetti. La distinzione tra i due tipi di percezione sembra essere un’elaborazione realista in risposta alla teoria della percezione del Pramāṇavāda (➔), secondo il quale la percezione diretta coglie le realtà particolari (svalakṣaṇa) che sono prive di attributi, mentre attributi specifici e proprietà universali altro non sono che costrutti concettuali (vikalpa). Nel Pramāṇavāda la percezione è quindi lo strumento di conoscenza principe perché l’unico che permette di cogliere lo svalakṣaṇa, la reale essenza delle cose, e in quanto fotografia del reale non è suscettibile a errore.