PRECARIO
. Nel diritto romano il precario è la concessione gratuita di un oggetto, revocabile ad arbitrio del concedente. Tra costui e il concessionario (precarista) non si costituiva alcun rapporto obbligatorio, e in una prima fase il concedente, per ottenere la restituzione della cosa, aveva soltanto l'azione reale, ma poteva però anche espellere lecitamente il precarista. Il precarista era, a sua volta, riconosciuto come possessore e aveva la tutela interdittale contro tutti, salvo contro il concedente, che gli poteva opporre l'exceptio vitiosae possessionis, inserita, fino a Giustiniano, anche nell'interdetto unde vi; d'altronde il suo possesso non conduceva all'usucapione.
L'origine dell'istituto è oscura; tuttavia l'ipotesi più probabile sembra quella del Niebuhr e del Savigny, ripresa poi da P. Bonfante, secondo cui il precario sarebbe, in origine, un rapporto quasi feudale di vassallaggio, nel senso che le terre tenute a precario erano quelle dai patrizî concesse ai loro clienti. Tale ipotesi ha a suo favore l'assenza di un diritto del precarista sulla cosa indipendentemente dal beneplacito del concedente, la mancanza di un vincolo obbligatorio che li leghi e, inoltre, per il parallelismo costante nel diritto romano antico tra diritto pubblico e privato, quanto avveniva da parte dello stato rispetto all'ager publicus; la possessio dell'ager publicus spiega poi il possesso, da intendere come signoria di fatto, del precarista.
Più tardi questa primitiva applicazione dell'istituto scompare, ma altre ne spuntano (essendosi intanto il precario esteso anche alle cose mobili): così il debitore, che trasmetteva la proprietà della cosa al creditore fiduciario, poteva ottenerne da costui la concessione precaria (un'applicazione analoga al pegno è di classicità dubbia); così ancora il venditore, finché non fosse stato pagato il prezzo, soleva trasferire la cosa al compratore soltanto a titolo di precario: ciò ad evitare l'usucapione. Intanto il concedente fu tutelato dal pretore con l'interdetto quod precario, che non era un interdetto possessorio, fondato sul rifiuto di restituir la cosa: il precarista era tenuto a restituir la cosa con tutti i frutti ex die interdicti editi, ma rispondeva soltanto per dolo. Poiché però in tal modo il concedente era tutelato soltanto in via straordinaria, i giureconsulti romani esclusero sempre che il precario fosse un contratto e lo avvicinarono piuttosto alla donazione; l'assenza di un obbligo civilmente garantito giustifica il riconoscimento del possesso del precarista.
Tuttavia, in prosieguo di tempo, anche la possessio del precarista si oscura: taluni giureconsulti ammettono un doppio possesso, del precarista e del concedente; e inoltre spunta una figura di precario - di cui la classicità è peraltro contestata - in cui il precarista ha soltanto la detenzione. Comunque, l'evoluzione si compie oltre l'età classica, quando al concedente per ripeter la cosa si dà una condictio (actipraescriptis verbis nella compilazione giustinianea): in tal modo il precario diviene un contratto innominato, affine al comodato, e come tale trasmissibile all'erede, ciò che non era nell'età classica. In testi interpolati il precarista ha soltanto la possessio naturalis (detenzione) e in tarde costituzioni sono chiamati precaristi i possessori in nome altrui. A titolo di precario poteva pure concedersi, e fino dai tempi antichi, l'esercizio di facoltà costituenti il contenuto di una servitù prediale.
Bibl.: V. Scialoja, Sopra il precarium nel dir. rom., in Studi giuridici, I, Roma 1934, p. i segg.; id., Il possesso del precarista, ibid., p. 341 segg.; P. Bonfante, Ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, p. 487 segg.; id., Corso di dir. rom., III, Roma 1933, p. 154 segg.; P. Ciapessoni, Il precarista detentore, in Atti del I Congr. naz. di studi romani, Roma 1928; G. Scherillo, Locazione e precario, in Rend. del R. Ist. lomb. di sc. e lett., s. 2ª, LII (1929), p. 389 sgg.