precedente
precedènte s. m. – Il termine viene utilizzato, nell’essenza, per indicare il valore che una decisione giudiziaria può avere in un dato ordinamento rispetto alla soluzione di casi analoghi. In via generale si può dire che il p. giudiziario esplica un’efficacia persuasiva in ogni ordinamento e questo appare un dato di fatto incontestabile. Peraltro si deve distinguere. Senza dubbio, ogni decisione rileva in un dato contesto sociale in quanto affermazione di una regola di condotta e come tale, appunto per il valore decisorio che la caratterizza, per l’intrinseca ragionevolezza che in essa si esprime con riferimento alla ricostruzione dei fatti e alla interpretazione delle norme, essa è in grado di influenzare auctoritate rationis le successive decisioni che su questioni e casi analoghi si presentano al giudice. Questa efficacia significativamente muta in relazione all’organo che ha deciso e all’organo che deve decidere, ma non si lega tuttavia rigidamente a una struttura gerarchica tra i vari organi giudicanti. Se pur si deve ricordare che nel nostro ordinamento l’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario dichiara espressamente che la Corte di cassazione «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» (la cosiddetta nomofilachia), anche se certo si deve riconoscere che un valore hanno anche i p. di altri organi giurisdizionali. Di recente, con l’introduzione del nuovo art. 360-bis cod. proc. civ. il valore del p. all’interno del sistema sembra assumere, oltre al già acquisito rilievo di fatto, anche una valenza normativa diretta: si prevede ora che il ricorso per Cassazione è inammissibile «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa». È evidente che il valore del p., in un simile contesto, è assai peculiare, vigendo nel nostro sistema il principio fondamentale per il quale «i giudici sono soggetti soltanto alla legge» (art. 101.2. Cost.), sicché mai può dirsi il giudice vincolato (in senso tecnico) al precedente. Diversa invece la disciplina in altri ordinamenti, in particolare in quelli di common law, ove vige – pur con profili differenziati – il principio del p. vincolante (binding). In base a detta regola (cosiddetta doctrine of precedent o stare decisis), fondamentale per sistemi che si caratterizzano per la limitata presenza di un diritto scritto, nella sua formulazione originaria come evolutasi in Gran Bretagna, il giudice è tenuto a seguire qualsiasi decisione di un giudice superiore, mentre il giudice d’appello – a eccezione della House of Lords – è vincolato alle proprie decisioni, con riferimento peraltro alla sola ratio decidendi, ossia alla ragione portante della decisione e non certo a ogni affermazione di fatto e di diritto che in essa si riscontra. Ciò che pertanto distingue tali sistemi è proprio l’obbligatorietà dell’applicazione della regola giurisprudenziale come definita nel caso già deciso. Ora il p. opera nel sistema ratione auctoritatis, per la posizione che il giudice superiore ha rispetto al giudice inferiore o di pari grado nel sistema. Tuttavia, pure tale regola, per quanto ancora certo fondamentale per l’assetto di quegli ordinamenti, trova applicazioni variegate e nel tempo ha avuto un'applicazione che appare sempre più elastica, in base soprattutto alla capacità dell’avvocato o del giudice di distinguere le specificità del caso concreto rispetto a quello deciso nel p. (il cosiddetto distinguishing) per sottrarlo così alla rigida applicazione di quella regola, in quanto non favorevole o comunque non ritenuta idonea al caso concreto, in particolare laddove nel tempo siano mutate le condizioni etiche e sociali che sono alla base di ogni norma giuridica.