predestinazione
. la p. è l'ordine concepito da Dio per condurre al suo fine soprannaturale, cioè alla vita eterna, la creatura razionale. Poiché la vita eterna consiste nella visione di Dio e la visione supera le facoltà della natura umana, per raggiungerla l'uomo dev'esservi condotto da Dio stesso.
Nella p. dobbiamo considerare: la prescienza divina (la cognizione di Dio si misura soltanto con l'eternità; egli conosce le cose come sono nell'eternità, e quindi come presenti); la dilezione (la sua volontà è la causa per cui la creatura sceglie il bene; in Dio l'amore per la creatura presuppone l'elezione e l'elezione la p.); la stessa p. (il moto verso il fine avviene secondo l'ordine delle cause da lui stabilite). La dottrina della p. è nella rivelazione: Matt. 20, 23; 22, 14; 24, 22-24; Ioann. 17, 12. Nell'epistola ai Romani (8, 28-30) s. Paolo più diffusamente asserisce: " Scimus autem quoniam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum, iis qui secundum propositum vocati sunt sancti. Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus. Quos autem praedestinavit, hos et vocavit; et quos vocavit, hos et iustificavit; quos autem iustificavit, illos et glorificavit ". Nella stessa epistola (11, 33) afferma: " O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius! ". La p. comporta l'elezione di alcuni uomini da parte di Dio, un'elezione efficace per raggiungere la vita eterna, cioè un atto del tutto gratuito.
S. Agostino definisce la p. " praescientia et praeparatio beneficiorum Dei, quibus certissime liberantur, quicurnque liberantur " (De Dono perseverantiae 14), e s. Tommaso: " Praescientia est ratio transmissionis creaturae rationalis in finem vitae aeternae, nam destinare est mittere " (Sum. theol. I 23 1). La p. sembra in contrasto con la volontà salvifica universale di Dio e con il libero arbitrio. Pur riconoscendo l'insolubilità del problema, poiché siamo in materia di fede e di mistero, s. Agostino e s. Tommaso - è la tesi seguita da D. - ammettono che i decreti divini sono predeterminanti, ma non imprimono una necessità alla creatura razionale, così che la grazia efficace suscita il libero sforzo dell'uomo.
Le formulazioni, anche eterodosse, tentate nelle varie concezioni interpretative antiche e moderne (pelagianesimo, predestinazionalismo, protestantesimo, giansenismo) documentano la complessità e la portata del tema, che suscitò nel Medioevo un'appassionata volontà di andare oltre le affermazioni teoriche, cercando di vedere in pratica come nella Bibbia e negli esempi della storia ci siano stati episodi di una clemenza, che è un attributo di Dio, in cui si possa dimostrare che i nostri ragionamenti sono fallaci e che, in sostanza, la Scrittura, che fa perno sulla paternità e la giustizia di Dio, non può errare. Se così non fosse avremmo motivo di dubitare e di meravigliarci: Certo a colui che meco s'assottiglia, / se la Scrittura sovra voi non fosse, / da dubitar sarebbe a maraviglia (Pd XIX 82-84).
Nello schema della dottrina dantesca sulla p. entra il discorso teologico della soteriologia, cioè della salvezza (v.) dell'uomo per opera del Cristo, che si offre al Padre come mediatore e vittima volontaria e che riconcilia l'uomo con Dio, liberandolo dalla schiavitù della colpa e della pena. L'uomo così redento raggiungerà il suo fine ultimo? Per raggiungere il fine ultimo è necessario essere predestinati? e che dire dei pagani e della loro salvezza? D. considera il suo caso personale, e nel c. II dell'inferno per esprimere il passaggio dallo stato di peccato a quello di grazia, giustifica l'inizio della sua salvezza esemplificando il concetto teologico con le tre donne benedette reali e simboliche a un tempo: la Vergine mediatrice universale è la grazia preveniente, Lucia la grazia illuminante, Beatrice la grazia operante che aiuta la volontà nel suo atto di elezione. In quanto viator medita ed espia i peccati capitali con i sette P sulla fronte, e la Scrittura dice più volte che i reprobi e i predestinati recano i segni impressi sulla fronte (Apoc. 7, 3, 8; 13, 6), e al termine della Commedia (Pd XXXIII 34-39) chiede due grazie: la visiti Dei e la perseveranza finale. Quest'ultima è un dono gratuito, connesso con la p. della mozione divina, e non può essere oggetto di merito (Tomm. Sum. theol. I II 94 9). Perciò D. l'invoca come pegno della salvezza.
Il problema della p. umana è considerato da D. sotto tre aspetti: a) la prescienza divina non induce alcuna necessità alle cose da lui conosciute: chi si trova in un luogo elevato ha la certezza di conoscere l'ordine del movimento di chi va, senza imporre necessità alcuna: necessità però quindi non prende / se non come dal viso in che si specchia / nave che per torrente giù discende (Pd XVII 40-42). b) Dio è il bene stesso e non può essere attratto da alcun bene creato: in lui volere il bene è causare il bene: nullo creato bene a sé la tira, / ma essa, radïando, lui cagiona (Pd XIX 89-90). c) La p. rimane un mistero e Dio vuole che rimanga recondita la sua ragione ultima: O predestinazion, quanto remota / è la radice tua da quelli aspetti / che la prima cagion non veggion tota! (Pd XX 130-132). Al mistero della p. nessuna creatura umana né angelica potrebbe dare una risposta e il poeta, sicuro dell'attuarsi del disegno provvidenziale, reagisce contro coloro che impongono una soluzione, come se ci possa essere una soluzione sicura ed evidente: E al mondo mortal, quando tu riedi, / questo rapporta, sì che non presumma / a tanto segno più mover li piedi (Pd XXI 97-99).
D. insiste, come a concludere la sua indagine, che con la virtù della carità e della speranza l'uomo può vincere il volere divino e la volontà divina è vinta perché vuole esser vinta: mentre appare vinta, essa trionfa con la bontà, ricercando misteriosamente, con il bene dell'uomo, la sua salvezza: Regnum coelorum vïolenza pate / da caldo amore e da viva speranza, / che vince la divina volontate (Pd XX 94-96). Ricorrendo a uno dei principi più alti della mistica cattolica D. ritiene di aver giustificato il suo orientamento e la tesi sulla p.: la risposta che egli pone in bocca all'aquila in Pd XIX sull'argomento della p., ha come motivo di fondo l'incapacità dell'intelletto umano a intendere le cose che Dio vede e giudica. La bontà divina eccede infinitamente ogni natura creata e l'intelligenza dell'uomo, che è un semplice raggio, in confronto alla luce inaccessibile della mente divina, non può discernere Dio in sé stesso. Per provare la giustizia divina nella p., il poeta, trovando che la ragione è insufficiente, ricorre, in assoluto, alla certezza della fede.
Una prima giustificazione l'aveva tentata nel Convivio: cfr. III XII 9-10 la prescienza d'alquanti [angeli] che a malo fine doveano venire non dovea né potea Iddio da quella produzione rimuovere. Ché non sarebbe da laudare la Natura se, sappiendo prima che li fiori d'un' arbore in certa parte perdere si dovessero, producesse in quella fiori, e per li vani abbandonasse la produzione de li fruttiferi. Nella Commedia il tema è svolto più ampiamente, secondo la teologia. In s. Tommaso la p. è pars providentiae, poiché in Dio preesiste la ragione dell'ordine delle cose rispetto al loro fine ultimo; anche D. vede nel mistero della p. un aspetto del mistero della Provvidenza: l'uno è in rapporto alla dannazione e alla salvezza, l'altro all'ordinamento di tutte le cose. Per questo tratta della salvazione e dell'imperscrutabilità dei disegni divini in tre successivi canti (Pd XIX, XX, XXI), e in quello di s. Pier Damiano passa dal discorso sulla p., la cui radice non è visibile, al tema più vasto della Provvidenza, la quale - come aveva detto precedentemente nel c. XI 28-30 - governa il mondo / con quel consiglio nel quale ogne aspetto / creato è vinto pria che vada al fondo. Tuttavia queste concezioni si erano sviluppate nel pensiero dantesco attraverso le letture del De Consolatione philosophiae di Boezio (IV e V), a proposito dell'economia della Provvidenza, della presenza di Dio, dell'impotenza della mente umana, della perfetta equità dell'eterna giustizia.
Bibl. - S. Agostino, De natura et gratia, ediz. a c. di C.F. Urba e J. Zycha, Vienna-Lipsia 1913 (Corpus Script. Eccl. Lat. LX 231-300); ID., De gratia Christi et de peccato originali, ediz. a c. di C.F. Urba e J. Zicha, Vienna-Praga-Lipsia 1902 (Corpus Script. Eccl. Lat. XLII 123-206); ID., De gratia et de libero arbitrio, in Patrol. Lat. XIV 881-912; ID., De praedestinatione sanctorum, ibid., 959-992; ID., De dono perseverantiae, ibid. XLV 993-1034; Prospero D'Aquitania, De vocatione omnium gentium, ibid. LI 647-722; Pietro Lombardo, Libri IV sententiarum I XXXV 4 e 7, XL 1 (ediz. Quaracchi 1916, I 220-223, 249-251); s. Tommaso, Summa contra Gentiles III 147-163 (De gratia divina); ID., Summa theologiae I 14 8 (De scientia Dei), 19 8 (De voluntate Dei), 22 1-8 (De praedestinatione), 83 1-4 (De libero arbitrio), 109 1-10 (De necessitate gratiae).
Per alcuni problemi danteschi sulla p.: G. Busnelli, Un vecchio dubbio di D. sulla p., in " Studi d. " XXIV (1939) 123-128; ID., Il dubbio di D. sulla p., in " Acta Pontificiae Acad. Romanae S. Thomae Aquinatis " (1943) 7-48; F. Montanari, Natura civiltà poesia, in L'esperienza poetica di D., Firenze 1959, 184-206; M. Pecoraro, Il c. XXI del Paradiso, in Lect. Scaligera III 754-761; V. Boublik, La Predestinazione, S. Paolo e S. Agostino, Roma 1961.