prefazio
Compare una sola volta, in rima, in Pd XXX 78 Il fiume e li topazi / ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe / son di lor vero umbriferi prefazi, cioè la rivera (v. 61) luminosa, le faville vive (v. 64), i fiori (v. 65), che D. scorge nell'Empireo, o sono prefigurazioni della verità che in essi si racchiude velata o (Sapegno).
Chiosa il Daniello: " Prefazio si chiama in un parlamento over orazione quello che inanzi che alla cosa vegnamo, si dice, quasi brevemente dimostrando ciò che dire lungamente vogliamo ": dove il valore di p. è chiaramente quello retorico. Da ricordare, comunque, l'uso liturgico del termine, dove praefatio (da " praefari ") indicava un discorso, una formula preliminare (prae-) di preghiera o un invito a essa. Di qui il titolo di praefatio dato all'inizio del canone della Messa, come introduzione al culmine di essa, rappresentato dall'azione del sacrificio.
In. D., evidentemente, è preminente il valore retorico del termine in cui si esprime il valore di anticipazione, in sé conclusa e contratta in forma di simbolo, di una realtà da esplicare in tutta la sua chiarezza (perciò l'uso di umbriferi con riferimento all'ombra-parvenza-immagine velata). È tuttavia presente una connotazione sacrale del termine - proveniente dal linguaggio liturgico - proprio in vista del graduale svelamento divino a cui tali prefigurazioni rimandano.
Da rilevare, infine, l'essenziale nozione di anteriorità suggerita dal prefisso pre-, da cui tutta la figurazione dantesca trae giustificazione; l'anticipazione del vero racchiusa in quei simboli è l'unica ragione del loro manifestarsi.
Bibl. - Ch. Mohrmann, Sur l'histoire de praefari-praefatio, in Études sur le Latin des chrétiens, III, Roma 1965, 291-305.