PREGHIERA
. Storia delle religioni. - Origine. - La preghiera è la più elementare manifestazione della relazione dell'uomo con Dio, principio e termine d'ogni vita religiosa; è il contatto tra lo spirito umano e la divinità; un proiettarsi dell'Io umano verso il Tu divino; è insomma "l'anima stessa della religione. In essa l'uomo espone a Dio la sua miseria, e in essa Dio reca all'uomo comunione ed aiuto" (A. Sabatier). Tutta la ricchezza e l'illimitata varietà delle esperienze religiose si rispecchiano in essa. "La preghiera è uno stato durevole del cuore, che come tale ha anche durevolmente in sé stesso il suo adempimento ed esaudimento" (H. Siebeck). Essa si attua in forme diversissime: in stati d'animo intimi, in monologhi, meditazioni o anche in parole pronunciate ad alta voce, "sia libero discorso, sia preghiera formulata, sia inno cantato da uno solo o da tutti assieme, sia lieve mormorio, sia silenzioso pensiero, sempre la preghiera è l'espressione naturale dell'uomo religioso, che cerca la comunione con la divinità, desidera il suo aiuto e appoggio, vuol renderle noti i suoi desiderî e bisogni. Non esiste infatti una religione, per quanto primitiva possa essere, in cui essa non ricorra" (C. P. Tiele). Poiché si tratta dell'atto più intimo dell'uomo religioso, è stato a volte assai difficile fissare in parole e per iscritto questa segreta manifestazione della vita dell'anima. Solo di rado si hanno confessioni dell'orante medesimo e in questi casi al solo scopo di render possibile l'elevazione collettiva dei cuori; pertanto tutte le preghiere scritte o stampate sono soltanto ripetizioni ulteriori d'un singolo caso individuale.
Generi di preghiera. - In corrispondenza alla speciale natura della preghiera possiamo distinguere diversi suoi gradi, a cominciare dalla preghiera del grado primitivo che, uguale alle richieste dei bambini, è fatta col sentimento d'una completa dipendenza da misteriose e minacciose potenze, fino alla preghiera mistica senza parole, espressione d'una profonda unione con la divinità. La preghiera ingenua, che si ritrova non solamente tra i popoli primitivi, ma anche tra le religioni dei popoli civili, ha quasi esclusivamente per contenuto l'allontanamento di pericoli e di castighi, il raggiungimento di beni fervidamente bramati.
Così presso i Boscimani dell'Africa meridionale si trova questa formula: "Perché mio figlio è ammalato? Risanalo, affinché egli viva!". E tra i Nandi, costruendo una casa, si canta: "Dio, dacci salute, latte, forza, miglio, dacci ogni bene, proteggi i nostri bambini e il nostro bestiame!". Per allontanare una pestilenza, nell'isola di Yap (Caroline centrali), il gran sacerdote pronuncia la seguente preghiera: "Qui c'è il dono per te, o Yonaláv, ora fai che la pestilenza se ne vada dai Pimathau delle Caroline centrali, e fa che il tifone si allontani dalle loro sedi, e dà frutti alle loro terre, e possano le donne del paese dei Pimathau diventar gravide, e distribuisci equamente pioggia e sole". Anche nella sfera delle civiltà semitiche la preghiera serve a portare a conoscenza della divinità miserie sussistenti o temute. Tanto nella Bibbia quanto nei "Salmi penitenziali" babilonesi la miseria dell'orante è descritta con crudi colori per suscitare la compassione; si ricordano alla divinità la grazia e la misericordia che essa dovrebbe mostrare in conformità della sua natura; si dànno ad essa i nomi più onorevoli e si enumerano le sue buone qualità, possibilmente nel modo più dettagliato; l'orante fa alla divinità promesse di ogni genere, qualora la preghiera sia esaudita, oppure le ricorda i servigi già prestati, e fa appello alla sua gratitudine. Molte volte l'orante stesso cerca di presentarsi alla divinità come innocente, oppure confessa la sua colpa e promette di migliorarsi per placare l'ira divina. In una preghiera contadinesca del Medioevo tedesco è detto: "O Dio, apri i tuoi cieli, dacci un tempo favorevole. Noi chiediamo al tuo Bambino una benigna pioggia e un vento secondo. Noi chiediamo grano e vino, perché Dio stesso è affidato ad essi. Noi chiediamo fogliame ed erba e tutto ciò che ci è necessario.". Quante e quanto insistenti le preghiere per la salvezza, che furono pronunciate durante la guerra mondiale alla fronte e in paese! E in un recentissimo protocollo di psicologia religiosa c'è questa confessione d'uno scolaro: "Nel giorno dello scrutinio finale non mi restava altro che invocare l'aiuto di Dio".
Il primitivo egoismo della preghiera, con cui l'orante ingenuo vuole muovere la divinità a esaudire i suoi desiderî, era diffuso nell'antichità (Terenzio) quanto nell'età moderna; così, p. es., in un Ewe del Togo meridionale che invoca il trò (spirito) per un ammalato: "Fa che la malattia si ritiri da lui! Va e mettila su di uno che fa del male!". Carattere primitivo devono aver avuto le preghiere anche presso i Cinesi, se nel Chou Li le preghiere sono classificate nel modo seguente: "Il Grande orante stava davanti alle formule delle sei preghiere, con le quali si serviva agli spiriti del cielo, degli uomini e della terra, s'imploravano felicità e prosperità e s'invocava un durevole benessere. Erano queste:1. le preghiere per la conformità (cioè per un'azione concorde del cielo e degli uomini), z. le preghiere dell'anno (cioè preghiere per un anno fecondo), 3. le preghiere per la felicità (cioè che le cinque benedizioni ridondino tutte assieme a vantaggio di colui che prega), 4. le preghiere per un prospero sviluppo (cioè che sotto gl'influssi favorevoli, che si estendono a tutte le quattro regioni del cielo, possa dappertutto aver luogo un benefico sviluppo), 5. le preghiere per buoni augurî, 6. le preghiere del gambo di achillea (cioè che gli oracoli ricavati dalla tartaruga e dall'achillea possano concordare con i desiderî degli uomini). Egli (l'orante) sta dinnanzi alle sei preghiere, con le quali si riunivano gli spiriti del cielo, degli uomini e preghiere per il sacrificio agli antenati, 3. le preghiere del sacrificio per l'allontanamento della disgrazia, 4. le preghiere del sacrificio collettivo, 5. le preghiere dell'assalto, 6. le preghiere del biasimo". In conformità alla loro natura anche le invocazioni degli spiriti, in uso durante i sacrifici agli antenati, sono da considerare preghiere (la preghiera di Ch'engwang a suo padre, Shih king, IV). È oggi ancora discusso l'atteggiamento che avrebbe preso di fronte alla preghiera Confucio, di cui è detto nei Lun-yü (VII, 34): "Il maestro disse: È molto tempo da che ho pregato".
Spesso si trova anche l'idea di poter costringere, mediante determinate parole, nomi o formule d'invocazione, la divinità a porsi al servizio dell'orante. Perché pregare significa molte volte anche esercitare una forza; infatti per gl'Irochesi pregare è "deporre il proprio orenda" (v.), forse perché l'operazione della preghiera presuppone una rinuncia al proprio potere, ma forse anche viceversa perché nella preghiera si deve mostrare il proprio potere. Per il Germano la preghiera è un'arma che egli scaglia contro l'avversario. La preghiera delle vestali può arrestare sul posto uno schiavo fuggitivo (secondo Plinio). La magica potenza coercitiva della preghiera si manifesta negli scongiuri, che esigono un'esatta recitazione, l'osservanza del ritmo e specialmente che il nome sia pronunciato esattamente; infatti i nomi sono la cosa principale nella preghiera. Siffatte preghiere magiche di maledizione e di benedizione sono straordinariamente diffuse e sono per lo più in relazione con concezioni magiche e specialmente con quella del mana (v.). Una volta pronunciate operano in maniera irrevocabile. Colpiscono la famiglia, la tribù e i discendenti e si adempiono ancora dopo secoli. Noi conosciamo accanto ai celebri versetti magici di Merseburg ("Fuggi dai vincoli!" Scampa dai nemici!") una benedizione anglo-sassone dei campi: "Salve o terra, madre degli uomini, sii fertile nell'amplesso di Dio, ripiena di nutrimento a vantaggio degli uomini". Numerosi sono i versetti magici egiziani che ci sono rimasti, nei quali s'invoca l'aiuto degli dei contro la malattia, i serpenti, i coccodrilli o anche per la protezione dei morti. Una lunga preghiera a Selene è conservata in un papiro magico greco (Pap. graec. mag., IV, 2785 e segg.) e ci è pure nota una serie di preghiere popolari e magiche della tarda grecità.
Forma intermedia tra scongiuro e preghiera è, secondo il van der Leeuw, l'invocazione, che è fin dalle origini parte costitutiva anche dell'epiclesi cristiana (maran atha, Alleluiah, Kyrie eleison); si può ricordare la celebre e misteriosa formola "Om mani padme hum" che ancora oggi nel Tibet è su tutte le bocche ed è scritta su tutti i mulini e su tutte le bandiere da preghiera, o addirittura i suoni incomprensibili del cosiddetto movimento di Pentecoste nel Galles del sud.
Se si può considerare il culto o l'adorazione cultuale in un certo senso anche come una preghiera in azione, gl'inni che vi si pronunciano o cantano in onore degli dei sono preghiere rivestite spesso di forme artistiche. Anche i culti primitivi comprendono diversi canti, che accompagnano l'operazione del sacrificio spiegandola e rafforzandola. Si crede di poter ottenere il favore dei potenti mediante le lodi; siffatta esaltazione della potenza degli dei non è veramente una preghiera, ma è l'introduzione o la chiusa d'una preghiera e perciò si svolge spesso in forma più libera; vi si esprimono anche sentimenti di gratitudine e di speranza. Questo genere cultuale di preghiera ebbe perciò una straordinaria diffusione nelle religioni superiori, tanto più che offrì alla poesia l'occasione di abbellire il culto e di dargli forma solenne. Si compongono inni in onore degli dei e spesso s'intreccia nell'elogio il racconto delle loro imprese.
Siffatti inni dell'antichitâ pagana, giudaica e cristiana si sono conservati in gran numero o sono stati ritrovati, come a Babilonia (p. es., l'inno frammentario a Adad) e in Egitto, dove però è incerto se i sacerdoti cantassero veramente o soltanto recitassero, e gl'inni e i canti di solito sono costruiti schematicamente, enumerano i nomi del dio, le sue corone e i suoi templi, menzionano la sua natura e le sue leggende. Naturalmente alcuni di questi canti sono anche espressione di religiosità personale, cosieché, analogamente ai canti babilonesi, poterono da taluni (Döller, H. Gunkel) essere paragonati ai Salmi. Di speciale profondità e bellezza sono i celebri canti egiziani del sole e del mattino, così l'antichissimo Canto del mattino, con cui al mattino gli dei egiziani venivano destati nei loro templi e l'inno a Re-Harachte, recitato durante il servizio divino, e, superiore a tutti per la pietà e il puro sentimento religioso, il singolare e grandioso inno ad Aton della tomba rupestre del sacerdote Eje, la cui somiglianza col Salmo 104 è stata ripetutamente osservata. Anche nell'Antico Testamento sono contenuti numerosi inni e noi vediamo alle volte nascere l'inno in mezzo agli avvenimenti storici, così, ad esempio, al principio della storia del popolo ebreo (Esodo, XV; Giuditta, XVI), oppure gl'inni delle processioni, quando tra il giubilo si aprivano le porte del tempio (Salmi, XXIV; C). Come motivo del canto di lode a Iahvè serviva il miracolo dell'esodo dall'Egitto (Salmi, CV; CVI) oppure il concetto della creazione. Si è ripetutamente osservata anche l'affinità tra i canti di dolore e di gratitudine egiziani e babilonesi e diversi Salmi. Mentre i canti di grazie rivelano per lo più un carattere di religiosità personale (ringraziamento per il soccorso nella malattia e nel pericolo), le lamentazioni hanno la forma di canti di dolore tanto del popolo quanto di singoli individui. Lamentazioni, con la preghiera dell'allontanamento della propria miseria, descritta nei più crudi colori possibili, venivano cantate in tutti i momenti di pericolo della vita nazionale e per tutte le più svariate sventure personali (mancanza di figli, povertà, ecc.). Strettamente connessa alla lamentazione è la preghiera penitenziale. Gli oranti sospirano sotto il peso dell'ira imminente; ricordano al loro dio la grazia una volta largita; egli può e deve soccorrere, perché l'orante promette una seria conversione, anzi prega di esser salvaguardato dalla colpa (Salmi, CXLI, 3; Ecclesiastico, XXIII, 4-6). La confessione dei peccati, come ha mostrato R. Pettazzoni, si trova in quasi tutte le religioni. Nel cristianesimo primitivo, anche all'infuori della penitenza vera e propria, una confessione dei peccati era collegata con la celebrazione eucaristica (Didachè, XIV,1). Nel manicheismo una confessione dei peccati degli auditores è nel Chuastuanift ("Confessione"). Parimenti in uno scritto proveniente dalla comunità monastica del buddhismo mahayana, nel Suvarnaprabhasa o "splendore aureo", ci è tramandata una confessione dei peccati.
Inni in forma di preghiera, in parte come testi rituali, dell'India antica, ci sono conservati nel Rgveda, ecc.; dell'epoca del tardo buddhismo l'inno alla dea Tara, la dea venerata più di tutte dai buddhisti del Nepal e del Tibet, fino ai celebri inni del poeta tamulico hlanikkaVacagar. Nell'ambito della religione greca si composero inni a Demetra, ad Apollo (Callimaco), Zeus (Cleante, Arato) o, negli ambienti orfici, a Persefone; poi nel sincretismo ellenistico abbiamo una preghiera in lode della madre degli dei nonché i canti degli gnostici (l'inno dei Naasseni, la preghiera alla Pistis Sophia, le Odi di Salomone); nel neoplatonismo la preghiera, in quanto ascesa graduale dell'anima dal mondo della caducità alla completa unione dell'anima con l'Infinito, ha avuto forma mistica, e ha anche agito sulla preghiera cristiana. Anche le chiese cristiane conoscono preghiere in forma d'inno, la cattolica come sequenze, la protestante come corali e salmi.
Supremo e ultimo grado della preghiera è considerata spesso la preghiera mistica, l'adorazione tacita dell'Infinito o addirittura, come nel misticismo indiano del Brahmanesimo, l'immergersi senza preghiere nel mistero dell'unione dell'ātman (v.) con l'infinita realtà divina del tutto (Brahman), che viene raggiunta sul sentiero della meditazione con l'aiuto della psicotecnica dello Yoga attraverso una graduale purificazione e svuotamento della propria vita interna, e in tal modo crea il presupposto per la conoscenza delle verità salutari e per l'entrata nel Nirvana visibile. Contro questo atteggiamento impersonale si sollevò una reazione durevole nella profonda religiosità orante della Bhakti (v.), sia che si volgesse alle divinità redentrici indù, sia che si volgesse ai Buddha e Bodhisattva del buddhismo mahāyānico. Anche nell'Islām, la cui preghiera in origine non era che una riproduzione della devozione israelitico-giudaica e consisteva per lo più in una prassi ritualistica, affiorò col sufismo, sotto influssi indiani, neoplatonico-areopagitici e cristiani, una corrente mistico-contemplativa anche nella preghiera, con stretti punti di contatto tanto con la preghiera della Bhakti indù quanto col misticismo cristiano. La preghiera mistica fu coltivata tra gli altri dal più grande poeta sufi Gialāl ad-Dīn Rūmī e dalla poetessa mistica Rābiah (v. misticismo).
La preghiera nel cristianesimo. - Provenendo dal giudaismo, il cristianesimo primitivo ne ha tratto pure una serie di preghiere e d'idee sulla preghiera, che sono poi passate nella Chiesa cristiana. Si è additato nello Shĕmonē Esrē del giudaismo il modello o l'antecedente formale del Pater noster, sola preghiera che Gesù abbia insegnato, senza dare altre indicazioni né sulle ore, né sulle forme della preghiera, né prescrizioni di carattere rituale. E così la preghiera della comunità cristiana primitiva, come quella di S. Paolo, fu soprattutto (ma non soltanto) "pneumatica", connessa cioè col possesso dello Spirito, il quale poneva sulle labbra dell'orante il grido Abbā, espressione della fiducia filiale in Dio (Romani, VIII, 15). In S. Paolo si ritrovano anche i primi elementi della preghiera nella chiesa del Signore, le prime formulazioni della dossologia e dell'epiclesi, in connessione manifesta con le formule del giudaismo contemporaneo. Quando si ebbero ordinamenti più stabili e s'introdussero forme del culto, la Didachè (cc. 9 e 10) ci mostra le preghiere eucaristiche sul pane e sul vino e quella di ringraziamento alla fine del convito: tutte assai affini nella struttura alle benedizioni giudaiche, e con il contenuto cristianizzato. In tal modo la cerimonia del culto cristiano si sviluppò e adattandosi a cerimonie cultuali classiche assunse un carattere sempre più complesso attraverso la preghiera eucaristica, come libera preghiera di ringraziamento per i doni e le promesse che Dio ha largito alla sua comunità nella persona di Gesù Cristo. In connessione con lo sviluppo del servizio divino, della messa, sono sorte ulteriori forme di preghiera, quali le preghiere del sacrificio, che venivano pronunciate durante la processione del sacrificio, cui si aggiunsero nel mrso del sec. IV le preghiere dell'incenso. A poco a poco fece la sua comparsa la preghiera d'intercessione, strettamente collegata con lo Shĕmonē Esrē, la preghiera cioè per la Santa Chiesa universale, per tutte le comunità dell'orbe terrestre, per la comunità locale, per i. suoi chierici, per le vedove e gli orfani, per l'imperatore e per l'impero, per la fertilità della terra e per il buon tempo, per tutti i sofferenti e i miseri. Vi si aggiunsero le preghiere del catecumenato e del battesimo, le preghiere dell'ordinazione, le preghiere del mattino, della sera e della mensa; inoltre si formarono preghiere letterarie inserite nei racconti popolari intorno agli apostoli e ai martiri. Anche nelle catacombe sono conservate alcune semplici preghiere, che testimoniano quanto, nei primi secoli della Chiesa, la preghiera fosse al centro di tutta la vita cristiana, dal battesimo alla morte. Si comprende perciò che anche gli scrittori cristiani si occupassero ampiamente della preghiera, così, per esempio, Clemente Alessandrino (Stromata, VII), Origene (De oratione), e inoltre Tertulliano e Cipriano nei loro trattati De oratione (dominica).
Nella Chiesa greca la preghiera ufficiale assunse, in rapporto con la configurazione mistagogica del culto, forme esclusivamente liturgiche e divenne così spesso una preghiera mistica, in cui l'adorazione della maestà di Dio uno e trino prese il sopravvento. Forme personali di preghiera si ritrovano nella Chiesa orientale per lo più soltanto nel monachismo. (v. anche acemeti) e, variamente, anche nell'interno delle comunità settarie. Tra i monaci, Macario l'Egiziano proclamò supremo grado della preghiera la preghiera mistica, per la quale Nilo Sinaita compilò un'istruzione. Simeone, il "nuovo teologo", ha indicato alla chiesa bizantina "come premessa fondamentale di ogni preghiera, il retto atteggiamento verso Dio: solo chi ha contemplato Dio, può pregare Dio in verità e parlare con lui come un amico con l'amico". Le preghiere della religiosità popolaresca hanno per lo più carattere primitivo e ingenuo.
Nel cristianesimo occidentale, non mancarono anche nel Medioevo esempî insigni di preghiera: ricorderemo S. Pier Damiani e S. Anselmo, le preghiere specialmente alla Vergine dei secoli dopo il Mille. Per ciò che riguarda la preghiera mistica, luminosi esempî ne porgono S. Bernardo, le domenicane tedesche di Adelhausen, Engeltal, Toss e Unterlinden, le beghine e i begardi del Basso Reno; in Italia, S. Francesco d'Assisi, Tommaso da Celano, S. Bonaventura. Letterarie e dottrinali, ma anche espressione di pietà viva e sincera, le preghiere di Dante, che parafrasa il Pater noster e innalza la sua invocazione alla Vergine, cui si rivolge anche il Petrarca. Ma sotto l'influsso degli ordini mendicanti e delle confraternite laiche si viene delineando nel tardo Medioevo un movimento, che tende a dar sempre più valore alla preghiera individuale, modellata talvolta ancora sulle forme liturgiche, ma con maggiore scioltezza e libertà. Tra queste sono da segnalare la preghiera finale dell'Ackermann aus Böhmen, esaltata da K. Burdach per "commovente interiorità, inconsueta ricchezza e vigore", le preghiere del Savonarola, il Libro di edificazione olandese (1507), l'Hortulus animae (1506) basso-tedesco, l'Esegesi del Pater noster (1502) oppure gli Specchi della confessione e di Cristo, molto divulgati.
A questa religiosità laica e popolaresca si è richiamata la Riforma. Lutero ha fornito nel suo Betbüchlein (1522) le linee direttive, che i successivi autori di libri di preghiere, come O. Brunfels (1528), G. Schmaltzing (1527), hanno seguito. Ogni apparato erudito è qui scomparso: nati dalla vita religiosa del popolo, questi libretti vogliono servire soltanto alla devozione del popolo; consolatori nella malattia e nell'angoscia, sul letto di morte e sulle tombe, essi sono stati adattati ai bisogni individuali del popolo. Di particolare importanza per lo sviluppo della preghiera evangelica fu l'opera dello spiritualista Caspar Schwenckfeld, che fornì abbondanti istruzioni, esercizî della preghiera e compilò numerose preghiere. Nel corso del tempo le preghiere furono sempre più adattate alle circostanze individuali, per tutti i casi, ceti e professioni.
Ma anche nella storia della preghiera cattolica il sec. XVI è discriminante, giacché, con il sorgere delle nuove congregazioni religiose, s'interisificò da una parte il lavorio ascetico della perfezione, dall'altra fiorì, come non mai, la mistica. Questa ripresa durò. sino a tutto il sec. XVII e si concluse col quietismo, che esaltò appunto la preghiera mistica senza parole. Ma nell'ortodossia cattolica non è da tacere, almeno, il nome di S. Francesco di Sales. Importante anche l'opera di S. Pietro Canisio.
Dagli scritti cattolici di preghiera e di edificazione trasse impulso anche la preghiera del luteranesimo, in cui d'altronde alcuni canti ecclesiastici risultarono da una poetica rielaborazione di inni medievali. La fusione di questi indirizzi si manifesta nel Paradiesgärtlein di J. Arnd (1612), nelle Meditationes sacrae di J. Gerhardt (1606), e nella preghiera mistica di P. Poiret e G. Arnold.
Uno sviluppo analogo si ebbe nel calvinismo, forse con maggior aderenza ai modelli biblici, ma che ammise anche, specialmente in Scozia e in Inghilterra, la preghiera libera. Un'impronta tipica a questa religiosità venne data dal Pilgrim's progress di J. Bunyan e dall'innologo G. Tersteegen. La preghiera mistica muta, estatica, in piena passività di tutte le forze dell'intelletto e dello spirito divenne la regola nel culto dei quaccheri. Il pietismo e i movimenti affini diedero luogo nel luteranesimo a una letteratura edificativa molto diffusa anche oggi (p. es., W. Löhe, Samenkörner des Gebets, 1840), come del resto l'illuminismo produsse le Stunden der Andacht di H. Zschokke, molto usate nel corso del sec. XIX.
Usi, ore, luoghi della preghiera. - Anche se la preghiera è nella sua origine e nei suoi momenti più alti l'espressione immediata e personale della tendenza al congiungimento umano col trascendente, vi sono tuttavia, fin da tempi immemorabili, per l'esercizio ordínario della preghiera determinati usi e costumi, luoghi e tempi, atteggiamenti del corpo e gesti, che si sono tradizionalmente conservati attraverso millennî; "nelle diverse posizioni e nei gesti della preghiera è simbolizzato il peculiare rapporto dell'uomo con la Divinità; vi si esprimono i sentimenti religiosi elementari della debolezza, della dipendenza e dello struggimento" (F. Heiler). Ha grande importanza negli usi della preghiera l'atteggiamento del corpo e delle mani, cioè nella maggior parte dei casi lo stare in piedi con le mani levate, alla maniera degli oranti rivelataci dalle immagini delle catacombe, ciò che si ritrova nell'espressione verbale di alcune religioni.
L'uso più frequente dopo quello di star in piedi è quello di stare su uno o su entrambe le ginocchia (presso i Sumeri, i Babilonesi, gli Egiziani, gl'Israeliti, i Greci, i Romani e gl'Indiani), cui è affine la posizione coccoloni, accosciata o seduta (come l'atteggiamento della meditazione presso i brahmani indiani o nel Buddhismo). La preghiera recitata in piedi o seduti è spesso preceduta dalla prosternazione, cui si aggiunge, come gesto accompagnatorio, l'inclinazione della parte superiore del corpo o del capo. Era uso presso i Romani e i Celti fare un giro completo su sé stessi, forma ridotta della processione sacrale. L'atteggiamento più frequente e più primitivo delle mani nella preghiera era quello di sollevare, tener levate o aperte le braccia (in Egitto, Babilonia, Israele, Grecia, Roma e nel cristianesimo primitivo), che in certi casi poteva anche trasformarsi in quello di tenere entrambe le mani o una mano sola sul capo oppure d'incrociarle sul petto. Per destare l'attenzione della divinità la preghiera presso i primitivì comincia con un batter di mani; il battersi il petto è segno di penitenza, mentre il percuotere la terra appartiene all'evocazione delle divinità ctoniche. Già in età antica si ritrova presso gli Indiani il gesto, usato anche oggi tra i cristiani, del congiungere le mani. Una variazione di questo gesto consiste nel congiungere le mani intrecciando le dita, come è in uso oggi ancora nei gesti mistici (mudras) dei sacerdoti di Bali. Mentre negli atteggiamenti finora descritti era mantenuto il distacco tra l'orante e l'oggetto della devozione, vi furono anche presso i popoli antichi alcuni gesti, che mettevano in immediato contatto l'orante con la divinità creduta realmente presente: l'uso di accarezzare abbracciare o anche baciare l'idolo o di mandar baci con le mani alle lontane divinità del cielo e degli astri. Altre usanze diffuse nell'antichità e frequenti fino al giorno d'oggi sono il parziale denudamento del corpo o il coprimento del capo; il primo, consistente nel deporre le scarpe o nel togliersi il copricapo all'entrata del luogo sacro, va considerato come un residuo della nudità sacramentale, mentre il velare il capo, come ad esempio presso i Romani (capite velato) può essere variamente connesso con concezioni magiche. Vi si aggiungono in vario modo anche il velar la mano, come ad esempio presso i Persiani e gl'Indiani. Presso gli Ebrei, si ha l'uso del capo coperto, del mantello (tallith) e dei filatterî (v.).
In alcune religioni la preghiera è sostenuta anche con espedienti esterni, come presso i primitivi mediante strumenti sonori, presso i buddhisti e i maomettani mediante fili di perle da preghiera, oppure nel lamaismo mediante i cosiddetti molini da preghiera, con i quali s' impiegano il vento o l'acqua allo scopo di metter in moto "in ogni giro la potenza della sacra formula". La preghiera è variamente preceduta (presso i Persiani e i musulmani), per motivi rituali, da cerimonie di purificazione o di espiazione. Tutte queste svariate costumanze sono anche in parte collegate con le forme di saluto e di omaggio largamente diffuse tra i popoli, che analogamente agli atteggiamenti della preghiera si sono conservate dai tempi della preistoria fino ad oggi.
Poiché all'orante primitivo la presenza immediata di Dio appare legata a un oggetto visibile, a un luogo sensibilmente percepibile, si comprende come la recitazione della preghiera sia stata collegata con determinati luoghi. Il devoto pronuncia con compunzione la sua preghiera in un luogo sacro. Si rivolgono preghiere agli spiriti della natura, in località che sono considerate loro campi d'azione (in valichi pericolosi, nel bosco del villaggio); si rivolgono preghiere agli antenati presso le loro tombe; si prepara un posto simbolico a una tavola o in un locale consacrato alle divinità lontane, che si invitano a sedere per ricevere sacrifici e preghiere. In corrispondenza allo sviluppo della civiltà d'un popolo si prega all'aperto o si costruiscono speciali santuarî (v. tempio). E dove era invalso l'uso di pregare nel santuario e di recarvisi in pellegrinaggio (e propriamente ogni visita al santuario è un pellegrinaggio), chi si trovava lontano da esso, cercava un modesto surrogato nel pregare volgendo lo sguardo in direzione del luogo sacro.
Così i Romani durante la preghiera a Giove si volgevano talvolta verso il tempio sul Campidoglio visibile da lontano. I Samaritani pregavano in direzione del monte Garizim, gli Ebrei in esilio volgevano durante la preghiera lo sguardo in direzione della città santa e i maomettani recitano le loro preghiere quotidiane oggi ancora nella direzione (qiblah) della Ka‛bah. Se invece si suppose la sede dell'Essere divino su in alto nel cielo, nel sole, nella luna o nelle stelle, si sollevarono allora gli occhi e le mani verso il cielo, verso il "Padre nei Cieli". Durante la preghiera del mattino, oggi ancora diversi popoli primitivi sollevano i loro sguardi verso il sole che sorge. A questo antichissimo costume deve riferirsi l'uso molto diffuso dell'orientazione (v.).
Ad epoche antichissime risale pure il costume diffuso dovunque di attenersi a determinate ore della preghiera, di recitare la preghiera quotidiana al sorgere e al tramontar del sole. Come nel cristianesimo, così anche presso i popoli dell'antichità, quali i Romani, i Greci e gli Egiziani, era comune la preghiera del mattino e della sera; ma anche alla vicenda delle stagioni, alla semina e al raccolto furono adattate, in quasi tutte le religioni, le preghiere corrispondenti. Da questo alternarsi delle cerimonie del culto derivò l'anno ecclesiastico dell'ebraismo e del cristianesimo; un'ora canonica della preghiera, come viene seguita nei conventi e in base alle indicazioni d'un cosiddetto breviario, si conosce, oltre che nel cristianesimo, anche nel mazdeismo e nell'Islām.
La preghiera appartiene alle più importanti manifestazioni di tutte le religioni, perché non c'è nessun popolo che sia stato trovato privo di questo primordiale colloquio tra l'Io umano e un Tu trascendente. Perciò non solamente la dogmatica cristiana si è sempre occupata di questa manifestazione della religione, ma altresì la fenomenologia scientifica delle religioni dedica alla preghiera e ai Costumi strettamente connessi con essa, nonché ai suoi fondamenti psicologici, indagini sempre più ampie.
Tra gli ausilî della preghiera va anche considerato il libro di preghiere, largamente diffuso specie nel cristianesimo occidentale, con diverse sezioni per feste e giorni speciali. Conviene naturalmente distinguere i libri liturgici dai libri di preghiere per uso privato, cioè i cosiddetti libri d'ore. Ricordiamo qui soltanto che in origine ebbero come base i Salmi, con l'aggiunta di litanie, del Credo, ecc.; a poco a poco, senza che l'amore per i Salmi diminuisse, vi si aggiunsero in numero sempre maggiore preghiere varie. Se ne preparavano anche per i fanciulli, che v'imparavano, oltre che le devozioni, anche a leggere; e da un tipo di questo genere, contenente all'inizio l'alfabeto, il Pater noster, l'Ave Maria, il Credo, ecc., derivò il Primer inglese.
L'invenzione della stampa diede una grande diffusione ai libri di devozione privati, proprio nel momento in cui più forte era la tendenza all'individualismo, già segnalata. In molti casi, il desiderio di assicurare la maggior diffusione d'un libro e l'ignoranza di compilatori e editori fu causa che vi s'inserissero erronee o assurde promesse d'indulgenze, per la recitazione di questa o quella preghiera, e altri abusi. Sicché il concilio di Trento dovette pensare ai ripari e il papa Pio V, con una bolla dell'11 marzo 1571, sottopose queste Horae e questi Hortuli animae a rigorosa censura.
Dottrina cattolica. - La dottrina cattolica fa della preghiera un atto intelligente e cosciente della vita umana, con il quale l'uomo si eleva a Dio. La storia della preghiera pubblica e ufficiale della Chiesa rientra in quella della liturgia (v.); tuttavia la preghiera privata non era ignota al cristianesimo primitivo (cfr. Matteo, VI, 6) e molti scritti sulla preghiera ci ha trasmesso l'antica letteratura cristiana (Origene, Tertulliano, Cipriano, ecc.). Il monachismo (v.) apportò maggiore intensità alla preghiera privata e la strinse più intimamente all'ascesi: è noto il motto dei benedettini ora et labora. La preghiera è, ora sì ora no, esaudita da Dio in ciò che domanda di specifico; ma è invece sempre udita e apprezzata come atto d'amore e d'abbandono. Se come domanda cade o può cadere invano, coopera sempre nel migliore dei modi allo sviluppo sempre più intenso dei rapporti fra Dio e l'uomo. Si sono, inoltre, studiate spesso le relazioni tra la preghiera e altre forme di energia spirituale, e la si è confrontata con la morale, con la metafisica o con la filosofia in genere, con la poesia; si è molto discusso circa la possibile presenza, in essa, dello sforzo ascetico, o se piuttosto non si debba considerare come fatto mistico, vale a dire sciolto da impegni pratici e immediati, e, in taluni casi, dal controllo della comune intelligenza.
Anche qui la dottrina comune della Chiesa cattolica apparisce in una sintesi equilibrata di codesti varî elementi. La preghiera non può fare a meno della vita morale, e ancor meno può contraddirla, come ha sostenuto il Guyau; implica una visione del mondo, e quindi una filosofia della natura, della storia e dello spirito, quanto si voglia rudimentale; suscita, nel complesso psichico, riflessi e riverberi sensitivi, tanto sottili e delicati da apparire misteriosi, e quindi s'accompagna con la poesia, senza peraltro che possano, né la preghiera né la poesia, ritenersi attività indipendenti in tutto dalla ragione, come ha sostenuto H. Bremond. Inoltre, contro il quietismo e contro alcune teorie ritornate da poco in auge, la teologia cattolica chiama preghiera anche la meditazione, intesa al miglioramento di sé.
Varie sono le forme in cui viene a concretarsi, praticamente, la preghiera; e pertanto si distinguono la preghiera vocale e la mentale; la preghiera pubblica e la privata: quella pubblica è liturgica, vale a dire preghiera ufficiale della Chiesa, o è semplicemente autorizzata; quella privata è preghiera ordinaria o straordinaria; la prima è comune a tutti, i cristiani, la seconda propria dei mistici. Un ampio dibattito si svolge da alcuni anni fra i teologi circa la diversa soluzione che si dà al problema dei rapporti tra preghiera ordinaria e straordinaria: gli uni (la scuola "domenicana") sostengono che la prima è la via alla seconda, per tutti, e la seconda è lo sviluppo normale della prima; gli altri (scuola "gesuitica") vogliono che la preghiera straordinaria stia del tutto a sé, e possa esserci o non esserci a seconda del volere di Dio, dal quale soltanto dipende, e non da precedente preparazione. Col nome di preghiera straordinaria vanno intesi gli stadî della vita mistica, considerati non tanto in rapporto a fatti fisici esteriori (stigmate, estasi, ecc.), quanto a fatti intimi squisitamente spirituali.
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