pregiare (prezzare)
Nel senso di " apprezzare ", " avere in pregio ", entro un campo di valori precipuamente morali, in Rime LXXXIII 36 e 38 'l saggio non pregia om per vestimenta, / ch'altrui sono ornamenta, / ma pregia il senno e li genti coraggi; Cv I IV 7 quando questi cotali veggiono la persona famosa, incontanente sono invidi, però che veggiono a s[é] pari membra e pari potenza, e temono, per la eccellenza di quel cotale, meno esser pregiati (v. anche Detto 442); talora a contrasto con ‛ dispregiare ', come in Cv I IV 4 dispregiano la persona prima pregiata, e I XI 20, dove l'apprezzamento è rivolto non a persona o virtù, ma alla lingua: molti per questa viltade dispregiano lo proprio volgare, e l'altrui pregiano.
Con più forte tensione semantica in If XIV 70, dove Capaneo viene presentato da Virgilio come colui che ebbe e par ch'elli abbia / Dio in disdegno, e poco par che 'l pregi. È da osservare però che la lezione di Fiore CVII 4 non posson pregiar né Die né Santi potrebbe ricondurre il modulo ‛ p. Dio ' a un uso comune del linguaggio religioso (pregar, per il testo in questione, è ipotesi avanzata, ma non accolta, dal Parodi, il quale propende qui per l'interpretazione " avere fiducia in Dio ").
Nel senso di " lodare ", " celebrare il merito, le virtù " di qualcuno, in Pd XI 41 De l'un dirò, però che d'amendue / si dice l'un pregiando, qual ch'om prende. Il sintagma ‛ render pregiato ' include invece, accanto all'idea della lode, quella di " arricchire di pregio ": nobiltà e moralità convengono in un effetto, cioè lodare e rendere pregiato colui cui esser si dicono (Cv IV XVIII 3).
Circa il luogo di Vn VIII 10 14 Dal secolo hai partito cortesia / e ciò ch'è in donna da pregiar vertute, il Barbi (seguendo il Flamini, lo Scherillo, il Parodi, il Ciafardini) toglie la virgola da alcuni editori (Melodia, Beck) posta dopo pregiar per evitare il senso inaccoglibile che la virtù sia dote da apprezzare solo nelle donne: la proposta del Barbi fa di vertute un predicato nominale e suppone nel verbo il valore di " considerare ", " ritenere ": la morte ha allontanato dal mondo la cortesia e ciò che nelle donne è da ritenere virtù.
Numerose le occorrenze del Fiore, in genere raccolte attorno al significato di " stimare ", " tenere in conto ": tu non pregi nulla cosa mai / se non è quel che tu n'avra' pagato: / se poco costa, poco il pregerai (CLXXIV 9 e 11): così in CLXXIX 5 e CLXXX 13. In alcuni passi si segnalano formule popolari come di lei i' non pregiava un dado (X 13, dove di lei sembra complemento di argomento); Lo Schifo i' si pregiava men ch'un fico (LXXIII 5); Quel che non costa, l'uon non pregia un aglio (CLXXX 14); altre volte emergono modi propri del parlare amoroso, sia in forme positive (Si non dea nessun don, che guari vaglia, / a null'amante, tanto la pregiasse, CXC 10), che negative ('l Die d'amor m'ha sì legato a sé / che te non pregio, e lui tengo a signore, XLII 14; unquanche non volesti mi' accontanza, / né mi pregiasti mai a la tua vita, LXXV 10), con qualche memoria cortese: Allor guardai, e sì vidi ombreando / di sotto un pin una donna pregiata (LXXIV 6: " molto distinta ", secondo il Petronio). Un uso particolare in XLIV 6 [Socrate] non pregiò sue levate né cadute, " non si curò " delle alterne vicende, degli alti e bassi della sua vita.
Per XLI 10 i' ti farò più ricco che Ricchezza, / sanza pregiar mai rota di Fortuna, il Petronio propone: " senza che tu debba più sopravvalutare la ruota della fortuna ", ma potrebbe intendersi " senza che tu debba più curarti della fortuna ".
Ricorre due volte la forma ‛ prezzare ' (gallicismo): una volta in Rime LXXXIII 128 cotanto laude quanto biasmo prezza, col valore di " apprezzare ", " far conto, stima " (cfr. Cielo d'Alcamo Rosa fresca 78 " prezzo le tue parabole / meno che d'un zitello ", e C. Davanzati Non già per gioia 34 " neente / prezzeria più che noia "); un'altra in Rime CIII 18 cotanto del mio mal par che si prezzi, / quanto legno di mar che non lieva onda, dove ha costrutto intransitivo pronominale e valore di " curarsi "; nell'uno e nell'altro caso il vocabolo è in rima, com'è in rima anche la variante si prezza, in luogo di s'apprezza, in Pg XXIV 34; cfr. Petrocchi, ad locum.