Pregiudizialità amministrativa
Il codice del processo amministrativo ha sancito il definitivo superamento della cd. pregiudizialità amministrativa nei rapporti tra azione impugnatoria e azione di risarcimento. Al riguardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato accoglie e perfeziona la già diffusa giurisprudenza secondo cui l’azione risarcitoria da lesione di interesse legittimo non preceduta dalla tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo non è inammissibile, ma può essere infondata quando l’omissione ha un’incidenza causale sulla produzione del danno, che avrebbe potuto altrimenti essere evitato. La giurisprudenza successiva condivide e arricchisce l’indirizzo della Plenaria.
La questione della cd. pregiudizialità amministrativa, ossia della necessità o meno, ai fini dell’ammissibilità dell’azione per il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo della previa impugnazione dell’atto lesivo, ha per parecchi anni travagliato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, dando luogo a contrasti anche aspri fra la Corte di cassazione (che, fin dalla storica «apertura» del 1999 alla risarcibilità degli interessi legittimi, ha sempre escluso tale necessità) e il Consiglio di Stato (che, al contrario, ha più volte riaffermato il principio della pregiudizialità)1. Il problema è stato però risolto alla fine del 2010 dal legislatore con il varo del codice del processo amministrativo (approvato con d.lgs. 2.7.2010, n. 104, ed entrato in vigore il 16.9.2010), il cui art. 30 espressamente ammette la proponibilità dell’azione di risarcimento «anche in via autonoma»2. Già nei primi mesi del 2011, prima ancora del nuovo intervento dell’Adunanza plenaria sul tema , è andato consolidandosi l’orientamento giurisprudenziale il quale, sulla scorta della citata disposizione di cui all’art. 30 c.p.a., ha preso atto dell’ormai intervenuto superamento della cd. pregiudizialità amministrativa, avendo il legislatore accolto l’avviso della Corte di cassazione circa la proponibilità dell’azione di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo anche in via autonoma: pertanto, detta azione non può essere dichiarata inammissibile per il solo fatto che il proponente non abbia, in ipotesi, proceduto a impugnare tempestivamente il provvedimento amministrativo produttivo dell’affermato pregiudizio3. Come è noto, l’unica concessione che il legislatore ha fatto alle esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici – che erano, poi, alla base delle preoccupazioni che hanno indotto per lungo tempo la giurisprudenza amministrativa a sostenere il principio della pregiudizialità4 – si è sostanziata nella previsione di un termine di decadenza (120 giorni) per l’esercizio dell’azione risarcitoria, decorrente dalla data in cui il fatto si è verificato, ovvero della conoscenza del provvedimento se il danno è derivato da esso. Peraltro, non manca chi reputa tale previsione di dubbia costituzionalità, ritenendo che il diritto al risarcimento del danno può essere sottoposto soltanto a termini di prescrizione, e mai di decadenza5. Tuttavia, parallelamente al generale riconoscimento dell’autonomia processuale dell’azione risarcitoria, in giurisprudenza è più volte affiorata la tendenza a seguire l’indirizzo, espresso dal Consiglio di Stato fin dal 2009, secondo cui l’azione di risarcimento esercitata in difetto dell’impugnazione del provvedimento lesivo è ammissibile ma infondata nel merito, in quanto detta omessa impugnazione impedisce che il danno lamentato possa essere qualificato «ingiusto», di modo che è insussistente uno degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano6. Tale conclusione sembrava incoraggiata dal disposto del secondo periodo del co. 3 del cit. art. 30 c.p.a., secondo cui: «... Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti»; una previsione che, echeggiando l’art. 1227, co. 2, c.c., appariva intesa proprio a «sanzionare» l’inerzia di chi avrebbe potuto impedire il prodursi o il perpetuarsi del danno con una tempestiva impugnazione dell’atto lesivo, e tuttavia non lo aveva fatto. In dottrina, però, non è mancato chi ha stigmatizzato questo orientamento, vedendo in esso una surrettizia riproposizione della pregiudizialità, oltre tutto in contrasto con il consolidato indirizzo della Cassazione secondo cui l’omesso esercizio di iniziative giudiziali non può mai costituire condotta rilevante al fine di escludere la risarcibilità del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.7
Sul tema è successivamente intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con una sentenza8 nella quale ha analiticamente ricostruito il quadro normativo rilevante in subiecta materia, con riferimento a una fattispecie alla quale la sopravvenuta disciplina codicistica non era applicabile ratione temporis, ma con enunciazione di principi validi anche nel nuovo sistema processuale. Nella pronuncia citata, con ampia e approfondita analisi della normativa anteriore e successiva al codice, sono stati enunciati principi destinati (almeno nelle intenzioni della Plenaria) a segnare un punto definitivo di equilibrio nella tematica dei rapporti tra azione impugnatoria e azione risarcitoria: sono stati bensì condivisi i diffusi orientamenti che qualificavano in termini di possibile infondatezza, e non già di inammissibilità, la domanda di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi non preceduta dalla tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo, ma spostando l’attenzione sul terreno del rapporto di causalità, piuttosto che su quello dell’ingiustizia del danno.
2.1 La posizione della Plenaria
In particolare, il Supremo Collegio ha esordito proprio affermando che l’art. 30, co. 1, c.p.a., in combinato disposto col co. 4 del precedente art. 7, ha definitivamente sancito l’autonomia, sul versante processuale, dell’azione di risarcimento rispetto all’azione di annullamento, come confermato dai co. 3 e 4 del successivo art. 34 c.p.a., in virtù dei quali – rispettivamente – il giudizio risarcitorio costituisce eccezione al generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento, e l’accertamento dell’illegittimità resta doveroso, a fini meramente risarcitori, allorquando la pronuncia costitutiva di annullamento non risulti più utile per il ricorrente. Secondo la Plenaria, tale principio di autonomia si inserisce nella più generale configurazione del processo amministrativo come giudizio sul rapporto, e non più semplicemente sull’atto impugnato, ossia come giudizio finalizzato a realizzare una tutela effettiva dell’interesse sostanziale azionato dal privato, e non soltanto a verificare la legittimità del provvedimento sulla scorta dei vizi contestati (come testimoniato, fra l’altro, dalla previsione normativa di una pluralità tipologica di azioni esperibili dinanzi al giudice amministrativo, nel quadro di un progressivo superamento dell’originaria natura strettamente impugnatoria del processo de quo). Ciò premesso, si è però osservato che il codice ha mostrato di apprezzare, sul piano sostanziale, la rilevanza dell’omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso. Ciò si ricava dal già citato disposto dell’art. 30, co. 3, c.p.a., norma che sancisce la rilevanza dell’omesso attivarsi in sede processuale (ma anche extraprocessuale: si pensi ai ricorsi amministrativi e al cd. «invito all’autotutela»), alla stregua dei canoni di buona fede e solidarietà, non più quale preclusione di carattere processuale ma come circostanza idonea a determinare, sulla base di un giudizio probabilistico ex post, la mitigazione e/o l’esclusione delle conseguenze risarcitorie. Pertanto, con revirement rispetto al proprio pregresso orientamento9, la Plenaria ha decisamente affermato l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, in linea non solo con la natura sostanziale della situazione giuridica di interesse legittimo quale ab initio individuata dalla Cassazione, ma anche con la prevalente giurisprudenza comunitaria e con l’evoluzione normativa, che è segnata dal superamento dell’esclusività della tutela impugnatoria a fronte di un provvedimento lesivo (si pensi all’azione di nullità ex art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, al rimedio avverso il silenzio, ecc.). Inoltre, è stato richiamato l’indirizzo che, già anteriormente al codice, a fronte della domanda di annullamento inidonea a soddisfare l’interesse in forma specifica, ammetteva una pronuncia limitata all’accertamento dell’illegittimità, senza esito di annullamento, ai soli fini della tutela risarcitoria invocabile con riguardo agli eventuali danni patiti per effetto dell’esecuzione del provvedimento impugnato10, nonché quanto recentissimamente affermato dalla Corte costituzionale – sia pure a livello di obiter dictum – in punto di autonomia delle due azioni11. Sotto diverso profilo, l’Adunanza plenaria ha rilevato come già prima dell’entrata in vigore del codice processuale la giurisprudenza avesse avvertito l’esigenza di temperare gli effetti dell’autonomia delle due azioni mantenendo una qualche rilevanza dell’omessa o tardiva proposizione dell’azione di annullamento rispetto alla domanda risarcitoria: negli arresti più recenti, tale esigenza ha comportato lo spostamento dell’indagine sul rapporto tra azione di danno e domanda di annullamento dal terreno processuale al piano sostanziale, pervenendosi alla conclusione che la mancata promozione della domanda impugnatoria non pone un problema di ammissibilità dell’actio damni ma è idonea ad incidere sulla fondatezza della domanda risarcitoria. La novità della presente sentenza consiste nello spostare l’accento dell’indagine dal terreno dell’ingiustizia del danno a quello del rapporto causale. In particolare, il Supremo Collegio ha ritenuto che la regola oggi «codificata» dall’art. 30, co. 3, c.p.a. sia ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c., secondo cui non sono risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato. Tale disposizione, letta in correlazione coi principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nonché, soprattutto, col principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost., è stata di recente intesa come impositiva non più di un mero obbligo del creditore di astenersi da condotte suscettibili di aggravare il danno, ma anche di obblighi positivi, aventi a oggetto doveri comportamentali, riconducibili al criterio della auto-responsabilità, relativi a quelle condotte, purché esigibili e utili, che evitino o riducano la produzione del danno risarcibile. Tale dovere, destinato a operare anche nella fase patologica del rapporto obbligatorio (e, quindi, anche in quella processuale), nella giurisprudenza più recente incontra il solo limite del cd. apprezzabile sacrificio: nel senso che il danneggiato è tenuto a cooperare diligentemente per evitare l’aggravarsi del danno, ma non fino al punto da mettere a rischio i propri interessi personali e patrimoniali, potendo da lui pretendersi unicamente un facere che non si concreti in attività straordinarie o eccessivamente gravose12. Sul versante processuale, la Plenaria ha bensì richiamato il noto orientamento secondo cui l’esperimento dei rimedi giudiziali, costituendo una facoltà rimessa al creditore a tutela dei propri interessi, oltre tutto dall’esito non certo, non può essere compreso tra le condotte operose da lui esigibili al fine di evitare l’aggravamento del danno; tuttavia, di tale indirizzo si è ritenuta necessaria una revisione, quanto meno nel senso del superamento della negazione in via perentoria e astratta dell’esigibilità ex bona fide di condotte processuali. Tale argomentazione è sostenuta col richiamo all’ormai diffuso orientamento della S.C. in materia di «abuso del diritto» e di «abuso del processo», laddove anche l’impiego con modalità scorrette degli strumenti di tutela processuale, in modo da aggravare la posizione del debitore anche nella fase «patologica» del rapporto obbligatorio, è stato ritenuto violativo dei doveri di buona fede e di solidarietà sociale di cui agli artt. 1175 c.c. e 2 Cost., oltre che dei canoni del giusto processo13. Pertanto, anche la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuta un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno. In particolare, si è rilevato che la proposizione dell’azione di annullamento è di regola non solo lo strumento più idoneo a realizzare la tutela immediata dell’interesse leso, ma anche rimedio non più oneroso della proposizione della domanda risarcitoria, rispetto alla quale anzi è soggetta a minori oneri di allegazione e prova, dovendo dimostrarsi soltanto l’illegittimità del provvedimento impugnato e non anche il complesso degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.; di modo che l’omissione dell’azione di annullamento, sempre di regola, e salvi i casi in cui essa corrisponda a una scelta discrezionale ragionevole e non sindacabile (ad esempio, perché il provvedimento lesivo ha già esaurito i suoi effetti), laddove invece, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Sul piano probatorio infine, l’Adunanza plenaria ha ritenuto di adeguare i principi evocati alle peculiarità del processo amministrativo, che come noto è retto dal principio cd. dispositivo con metodo acquisitivo, concludendo che il giudice amministrativo ben può valutare, senza necessità di eccezione di parte ed acquisendo anche d’ufficio gli elementi di prova all’uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento e dell’utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente, evitato in tutto o in parte il danno (al riguardo, potrà assumere grande rilevanza il mezzo di prova delle presunzioni di cui agli artt. 2727 ss. c.c.).
2.2 Le reazioni
L’arresto dell’Adunanza plenaria, cui si è uniformata la giurisprudenza successiva14, è stato per lo più salutato favorevolmente dalla dottrina, la quale ne ha messo in luce l’idoneità a segnare un punto d’arrivo equilibrato in un dibattito che aveva visto negli ultimi anni il crescere incontrollato di contrasti giurisprudenziali, nella sostanziale assenza di una parola risolutiva da parte del legislatore15. Non è mancato però chi ha criticato la soluzione proposta dal Consiglio di Stato, vedendo in essa una surrettizia riproposizione, «sotto mentite spoglie», del principio della pregiudizialità già a lungo sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa.
Sembrano rimasti pacifici, invece, i consolidati principi in materia di giurisdizione, con l’attribuzione al giudice amministrativo della cognizione in materia di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi cagionato da attività poste in essere dalla p.a. nell’esercizio dei propri poteri funzionali (come oggi confermato dall’art. 7 c.p.a.). Una rilevante eccezione si è avuta però con tre pronunce «gemelle»16 con le quali le Sezioni Unite della Corte di cassazione, esaminando la peculiare situazione della lesione patita dal soggetto inizialmente avvantaggiato da un provvedimento a lui favorevole, e quindi pregiudicato dall’annullamento di esso (pur legittimamente disposto, essendo illegittimo l’atto iniziale favorevole), ne ha escluso la riconducibilità alla giurisdizione del giudice amministrativo; a tale conclusione la S.C. è pervenuta muovendo proprio dall’inquadramento del giudice amministrativo quale giudice del potere pubblico, affermando che nella fattispecie in esame non sussisterebbero i presupposti per l’attribuzione delle controversie alla giurisdizione amministrativa ex artt. 100 e 103 Cost. In sostanza in questi casi non vi sarebbe alcun provvedimento da impugnare, e l’atto iniziale favorevole al privato, poi annullato dalla stessa p.a. perché illegittimo, verrebbe in rilievo quale mera condotta materiale idonea a ingenerare un affidamento la cui lesione costituisce l’unico fondamento della successiva risarcibilità. I primi commenti dottrinali hanno sottolineato come la tesi così espressa dalla S.C., pur suggestivamente articolata, sia chiaramente erronea, trascurando che sia il provvedimento iniziale che il suo successivo annullamento siano comunque atti posti in essere dalla p.a. nell’esercizio di poteri pubblicistici, di modo che non v’è alcun motivo per derogare agli ordinari principi sull’attribuzione anche delle competenze in materia risarcitoria alla giurisdizione amministrativa17.
1 Per una ricostruzione della tormentata vicenda, v. Ferrari, La tutela risarcitoria per equivalente nel contenzioso in materia di contratti pubblici e la pregiudiziale amministrativa, in Giur. merito, 2011, 1378 ss.
2 Cfr. Fantini, Commento all’art. 30, in Garofoli-Ferrari, Codice del processo amministrativo, Roma, 2010, 509 ss.
3 Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 3.5.2011, n. 3766, in Red. amm. Tar, 2011, 5; TAR Liguria, sez. II, 20.4.2011, n. 645, in Foro amm. - TAR, 2011, 1213; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 13.4.2011, n. 513, in Foro amm. - TAR, 2011, 1394; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 1.4.2011, n. 1895, in Foro amm. - TAR, 2011, 1330; Id. 25.3.2011, n. 1739, in Foro amm. - TAR, 2011, 3, 931; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 10.3.2011, n. 471, in Foro amm. - TAR, 2011, 975; TAR Lazio, Roma, sez. III, 5.1.2011, n. 40, in Foro amm. - TAR, 2011, 114.
4 Cfr. Garofoli, La pregiudizialità: per un superamento «regolato», in Riv. nel diritto, 2009, 1347.
5 Cfr. Merusi, In viaggio con Laband, in www.giustamm.it, 19.4.2010.
6 Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 21.3.2011, n. 759, in Foro amm. - TAR, 2011, 3, 734; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 14.1. 2011, n. 134, in Foro amm. - TAR, 2011, 223.
7 Cfr. Greco, Che fine ha fatto la pregiudizialità amministrativa?, in www.giustamm.it, 22.12.2010.
8 Cons. St., A.P., 23.3.2011, n. 3, in Foro amm. - Cons. St., 2011, 3, 826.
9 Cfr. Cons. St., A.P., 22.10.2007, n. 12, in Guida dir., 2007, fasc. 45, 114; Cons. St., A.P., 26.3.2003, n. 4, in Foro amm. - Cons. St., 2003, 877.
10 Cfr. Cons. St., sez. V, 16.6.2009, n. 3849, in Foro amm. - Cons. St., 2009, 1495.
11 Cfr. Cons. St., A.P. 23.3.2011, n.3, in www.giustizia-amministrativa.it.
12Cfr. Cass., sez. I, 5.5.2010, n. 10895, in Dir. giust., 2010.
13 Cfr. Cass., S.U., 15.11.2007, n. 23726, in Giust. civ., 2008, 3, I, 641; Cass., sez. III, 3.5.2008, n. 15476, in Giust. civ., 2008, I, 2766; Cass., sez. II, 27.5.2008, n. 13791, in Dir. giust., 2008; Cass., sez. I, 3.5.2010, n. 10634, in Dir. giust., 2010.
14 Cfr. Cons. St., sez. VI, 31.3.2011, n. 1983, in Publica, 2011; TAR Veneto, sez. II, 7.4.2011, n. 582, in Foro amm. - TAR, 2011, 4, 1196.
15 Cfr. Paolantonio, L’interesse legittimo come (nuovo) diritto soggettivo (in margine a Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3), in www.giustamm.it, 1.4.2011; Pellegrino, Il giudice amministrativo nella modernità (Adunanza Plenaria n. 3 del 2011), in www.giustamm.it, 1.4.2011; Quinto, Le «convergenze parallele» nel processo amministrativo, in www.giustamm.it, 13.4.2011; De Siano, La questione della pregiudizialità amministrativa ed il rapporto tra tutela caducatoria e tutela risarcitoria, in www.giustamm.it, 25.7.2011.
16 Cass. S.U., sez. un., 23.3.2011, nn. 6594, 6595 e 6596, in Dir. giust., 2011.
17 Cfr. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni (brevi note a margine di Cons. Stato, ad plen. 23 marzo 2011 n. 3, in tema di autonomia dell’azione risarcitoria e di Cass. SS. UU., 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti favorevoli), in www.giustamm.it, 28.3.2011.