Preistoria
di Paolo Graziosi e Alda Vigliardi
Preistoria
sommario: 1. Introduzione. 2. Metodi di indagine. 3. Paleolitico inferiore. 4. Paleolitico medio. 5. Paleolitico superiore. 6. Mesolitico. 7. Neolitico. 8. Età del Rame o Eneolitico. 9. Età del Bronzo. 10. Età del Ferro. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La scienza della preistoria ha per scopo la ricostruzione del passato dell'uomo nelle epoche prive di testimonianze scritte sulla sua attività materiale e spirituale, basandosi su dati concreti e con l'aiuto di varie discipline sia storiche che naturalistiche.
Si tratta di un passato che occupa un arco di tempo di enorme durata, in confronto a quello che congiunge l'epoca in cui viviamo a quella in cui ebbe inizio la storia dell'umanità; e se è possibile stabilire quasi con assoluta precisione le date in cui i vari popoli, con le relative culture, fecero il loro ingresso nella storia, il limite inferiore del passato dell'uomo va soggetto a continue revisioni: tale limite continua infatti ad arretrare sempre più nel tempo, grazie specialmente ai più evoluti metodi di indagine e all'intensificarsi delle ricerche in questo campo.
La ricostruzione del passato preistorico dell'uomo è resa quanto mai complessa da molti fattori, primo fra tutti la rarità o la incompletezza delle testimonianze, consistenti nei prodotti della sua attività e nei suoi stessi resti scheletrici.
Molti prodotti, non sappiamo neppure quanti e quali, sono andati certamente distrutti dall'azione del tempo, e inoltre la loro conservazione varia a seconda delle condizioni ambientali delle varie aree geografiche in cui sono venuti a trovarsi. Infine, le ricerche degli studiosi in questo campo non hanno avuto né hanno tuttora la stessa intensità ovunque. Il quadro generale della preistoria è quindi soggetto a sempre più frequenti integrazioni e revisioni.
La nascita di questa particolare disciplina è relativamente recente: solo nella metà del secolo scorso, in Francia, si ebbe da parte della scienza ufficiale il riconoscimento dell'esistenza dell'uomo, e quindi di culture legate alla sua attività, a partire dal Pleistocene, l'era geologica che ha preceduto quella in cui viviamo tuttora.
Le prove più concrete che contemporaneamente ai grandi mammiferi di età antidiluviana (cioè pleistocenica), i cui resti fossili erano ben noti ai cultori di paleontologia, erano vissuti uomini capaci di fabbricare dei prodotti utili alla propria esistenza, in particolare armi e strumenti di pietra, furono portate per la prima volta dal francese J. Boucher de Perthes nella sua celebre opera Antiquités celtiques et antédiluviennes. Egli era stato indotto alle appassionate ricerche effettuate nella valle della Somme dal convincimento, raggiunto da lungo tempo da molti studiosi di varie discipline e di varie nazionalità, che una fase culturale assai primitiva dell'umanità avesse preceduto il suo ingresso nella storia.
Ricordiamo le intuizioni geniali di storici e filosofi dell'antichità classica, nonché quelle di Michele Mercati nella seconda metà del sec. XVI, le ricerche di alcuni cultori di etnografia comparata nel sec. XVIII, la prima classificazione di documenti preistorici effettuata dal danese Thomsen, in base alla quale egli fornì la prima generale suddisivione della preistoria in età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Infine, alcuni geologi e paleontologi francesi, belgi e inglesi, ai primi dell'Ottocento, avevano espresso l'ipotesi della probabile contemporaneità tra resti fossili umani e animali raccolti in depositi pleistocenici, ma nessuno di loro era riuscito a sostenere con tanta tenacia le proprie idee da vincere, come fece Boucher de Perthes, lo scetticismo della scienza ufficiale, allora rappresentata in primo luogo da G. Cuvier.
Ammessa dunque l'esistenza di uno stadio culturale dell'umanità, di lunghissima durata, che avrebbe preceduto quello dei tempi storici, la nuova scienza iniziò il paziente e faticoso lavoro di ricostruzione delle sue caratteristiche, individuandone varie tappe evolutive di cui si cercò di stabilire gli aspetti peculiari, l'origine, la diffusione, la durata nel tempo, e tutto ciò solo in base alle testimonianze mute di quei documenti materiali che erano riusciti a conservarsi fino a noi. Un lavoro che, come si è detto, avvalendosi di sempre più moderni ed efficaci metodi di indagine, vede sorgere continuamente nuovi problemi, offrirsi nuove interpretazioni, porsi la necessità di coordinare di volta in volta i dati emersi dalle ricerche condotte da varie discipline che si occupano di questo periodo, per inserirli nel quadro storico generale dell'evoluzione dell'umanità.
I principali documenti che hanno permesso di individuare e definire le fasi culturali della preistoria sono di varia natura, e consistono in: a) prodotti dell'attività umana, o ‛industrie', consistenti in oggetti di pietra, di corno, d'osso, di ceramica, di metallo, talora anche, ma eccezionalmente, di legno; b) resti di costruzioni (sepolture, capanne, monumenti megalitici); c) resti scheletrici umani e animali (di quelle specie cacciate dall'uomo, del quale costituivano il più valido mezzo di sostentamento).
Il primo prospetto di classificazione della preistoria più antica fu stabilito dal geologo francese Édouard Lartet nel 1858, ed era fondato sulla successione delle faune presenti nelle formazioni geologiche in cui i reperti erano stati raccolti, cioè su basi paleontologiche. Lo schema era integrato da dati, sia pure molto generali, concernenti i prodotti industriali caratterizzanti le varie tappe: ci sarebbe stata, all'inizio, l'‛età dell'ippopotamo', poi quella ‛dell'orso delle caverne e del mammut', l'‛età della renna' e, infine, quella ‛del bue selvaggio'.
Questo schema presentava tuttavia gravi inconvenienti, sia perché le faune sono soggette a variazioni regionali, sia per le ricorrenze o sopravvivenze, in determinati luoghi, di certe specie animali. Si avvertiva inoltre la necessità di porre bene in evidenza le caratteristiche tipologiche delle industrie appartenenti a ciascuna delle età suddette, allo scopo di coglierne le variazioni verificatesi nel corso del loro processo evolutivo.
Questo studio fu compiuto da O. de Mortillet, al quale dobbiamo, nel 1881, la prima suddivisione archeologica della preistoria. Ciascuna delle varie fasi successive prese il nome da una determinata cultura umana, di cui venivano poste in luce le caratteristiche morfologiche e tecniche: tale nome derivava da quello della località francese in cui quel particolare complesso industriale era stato per la prima volta individuato. Naturalmente l'inquadramento cronologico di queste nuove suddivisioni era sempre basato sui dati naturalistici già rilevati dal Lartet.
Questa classificazione del de Mortillet si riferiva alla prima grande fase della preistoria, cioè all'età della Pietra, che già J. Lubbock, nel 1865, aveva suddiviso in Paleolitico, o ‛età della pietra scheggiata' (o ‛antica'), e Neolitico, o ‛età della pietra levigata' (o ‛recente'). Essa fu poi ampliata o in parte modificata da vari studiosi, principalmente francesi, a partire dagli inizi del sec. XX: inoltre, pur essendo stabilita quasi esclusivamente sul territorio francese, fu subito adottata da paletnologi di tutte le nazionalità per definire la successione culturale delle più remote età preistoriche di ogni altra regione, sia europea che extraeuropea.
Oggi non è più possibile, se non nelle grandi linee, applicarla integralmente in tal senso. Infatti, da un lato l'individuazione di aspetti particolari, o regionali, di culture svoltesi al di fuori del territorio francese, anche se coeve, dall'altro gli sfasamenti cronologici rilevati tra culture simili in territori diversi, hanno reso necessaria l'introduzione di altri termini, pur restando opportuno rilevarne le corrispondenze o le divergenze con lo schema classico francese, che resta indiscutibilmente, per la completezza e la ricchezza dei dati, la base più valida per indicare le principali tappe evolutive della preistoria più antica, pleistocenica.
Schemi generali per le successioni culturali delle età più recenti della preistoria, quelle cioè svoltesi a partire dall'inizio dell'era geologica attuale, l'Olocene, sono stati tentati, ma senza successo. Anche la classificazione delle varie facies del Mesolitico francese (cioè di quel periodo dell'età della Pietra che, a seguito principalmente delle ricerche del francese E. Piette, si è venuto a frapporre tra il Paleolitico e il Neolitico) non trova un perfetto riscontro negli altri paesi.
A partire dal Neolitico e durante le successive età dell'Eneolitico (o del Rame), del Bronzo e del Ferro, si sono avute ancor più evidenti differenziazioni culturali e ancor più numerosi sfasamenti cronologici; ciò ha portato, come conseguenza, la creazione di una terminologia estremamente varia, che riflette appunto la forte individualità delle culture in tali epoche, nonché gravi difficoltà quando si cerchi di stabilire dei parallelismi tra le sequenze culturali delle differenti regioni geografiche.
I resti umani preistorici delle età più remote, cioè del Paleolitico, sono giunti fino a noi conservati in ‛giacimenti' (o ‛stazioni') di varia natura, classificabili, per comodità didattica, in alcuni tipi principali.
1. Giacimenti in grotta. Sono quelli che possono offrire le maggiori garanzie per ciò che riguarda la conservazione dei materiali, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. La protezione naturale offerta dalle cavità contro l'azione degli agenti meteorici ha infatti permesso che anche i materiali più facilmente deperibili, come le ossa umane e animali, si conservassero in buone condizioni; inoltre i sedimenti inglobanti i resti umani hanno potuto costituirsi indisturbati, sovrapponendosi regolarmente, sì da offrire una sequenza stratigrafica facilmente ricostruibile, salvo quei casi in cui l'azione stessa dell'uomo, talora anche di animali, vi ha prodotto degli sconvolgimenti.
2. Giacimenti alluvionali. Si sono formati lungo le rive dei fiumi o dei laghi, ove gruppi umani hanno soggiornato. I resti, in tal caso, sono rimasti inglobati nei depositi alluvionali o lacustri, rimasti poi all'asciutto per il ritirarsi delle acque. Nei casi in cui si sono verificati più stanziamenti successivi con alterni straripamenti e ritiri delle acque, è anche possibile, sezionando un intero deposito, trovare tutta una successione di accumuli di materiali disposti in posizione stratigrafica. In questo tipo di giacimento i reperti hanno avuto tuttavia ben più precarie condizioni di conservabilità nei confronti di quelli delle stazioni in grotta: al momento della costituzione del deposito alluvionale, infatti, i materiali potevano essere dislocati e soprattutto deteriorati dalle acque, per cui, ad esempio, il reperimento di resti ossei avviene con ben minore frequenza.
3. Giacimenti di superficie. Si tratta di accumuli di materiali abbandonati dall'uomo preistorico sulla superficie del suolo e rimasti in seguito generalmente ricoperti da depositi quaternari di varia natura, come sabbie o Lòss, o da formazioni di humus. Le stazioni di superficie sono facilmente individuabili nelle regioni desertiche, ove manca la coltre di humus, ma si ritrovano frequentemente anche in zone coperte di vegetazione, in genere poste in evidenza dall'azione dilavante delle acque.
Si comprende facilmente che questo tipo di giacimento presenta gravi inconvenienti per lo studio dei materiali che vi si raccolgono: l'assenza di protezione dall'azione degli agenti naturali ha causato la totale distruzione dei materiali più deperibili, come ad esempio i resti ossei; inoltre, anche se in uno stesso luogo si sono succeduti gruppi umani con culture diverse, i vari prodotti della loro attività sono venuti a mescolarsi sullo stesso piano, senza quindi una posizione stratigrafica che permetta di stabilirne, nel tempo, i reciproci rapporti.
Nelle età più recenti della preistoria, a partire dal periodo mesolitico, le testimonianze di stanziamenti umani continuano a ritrovarsi in giacimenti della stessa natura di quelli già descritti per la preistoria più antica. A essi però si aggiungono nuovi tipi di stazioni, alcuni dei quali vengono qui sotto ricordati.
1. Il cosiddetto kjokkenmödding, termine scandinavo che definisce un tipo particolare di deposito avente l'aspetto di un monticello dai 2 ai 3 metri di altezza. Situato all'aperto, lungo le rive del mare, esso è costituito esclusivamente dall'accumulo di resti dell'attività umana, sovente in posizione stratigrafica, consistenti in avanzi di pasto (ossa di animali, gusci di molluschi marini e terrestri, conchiglie), utensili, tracce di focolari e talora anche resti scheletrici umani. La sua conservazione è dovuta al fatto che l'accumulo dei materiali è avvenuto in zone litoranee geologicamente recenti.
2. Il ‛fondo di capanna', cioè la parte interrata di capanne la cui struttura superiore è andata distrutta perché fatta di materiale facilmente deperibile, come legname, pelli, ecc. Già presenti in varie località europee in età paleolitica, ma particolarmente diffusi a partire dal Neolitico, i fondi di capanna, situati a debole profondità o addirittura affioranti dalla superficie del suolo attuale, si riconoscono per la forma regolare del deposito, per lo più rotonda o rettangolare, per la particolare concentrazione, entro il suo perimetro, di resti industriali e ossei, per il colore nerastro del terreno che li ingloba dovuto all'abbondanza delle materie organiche. I fondi di capanna (talora a un solo ambiente, talora a più ambienti contigui) possono trovarsi isolati oppure riuniti in agglomerati testimonianti l'esistenza di veri e propri villaggi. In questi ultimi si rinvengono sovente anche tracce di fossati di cinta, semplici o protetti da terrapieni di terra o di pietre a secco, tra i quali è possibile reperire ugualmente materiale archeologico.
3. Villaggi lacustri o palafitte: le capanne erano erette su piattaforme lignee sorrette da piloni, lungo le rive dei laghi, su terreni acquitrinosi, oppure addirittura sull'acqua. I materiali (utensili di pietra e d'osso, ceramiche, resti faunistici) si ritrovano affondati nei depositi lacustri; tra di essi i depositi di torba, per il forte contenuto in tannino, hanno permesso anche la conservazione (eccezionale nelle stazioni preistoriche) di materiali lignei, di tessuti, grani di cereali, ecc.
4. Costruzioni architettoniche: i reperti provengono da camere sepolcrali scavate nella roccia, da monumenti funerari megalitici, da costruzioni difensive di vario genere (come nuraghi, castellieri, ecc.), da veri e propri agglomerati urbani.
2. Metodi di indagine
Nel campo della preistoria più recente, il metodo di studio prevalentemente impiegato è quello archeologico, cioè basato sullo studio tipologico e la classificazione delle vestigia materiali. Sulla base dei suoi risultati viene ricostruito il processo evolutivo di ciascuna cultura, delineata l'area di espansione, individuati il luogo d'origine, gli eventuali rapporti con altre culture, le ragioni della sua estinzione. La tipologia dei reperti si presenta particolarmente ricca mano a mano che ci si avvicina ai tempi storici, poiché i prodotti dell'attività umana si sono conservati sempre più integralmente, con abbondanza e varietà di forme: quindi l'aspetto materiale delle culture può essere ricostruito in modo sufficientemente chiaro e completo.
Il metodo archeologico, da solo, presenta dei precisi limiti quando si debbano ricostruire le tappe della preistoria più antica, nella quale, via via che si arretra nel tempo, le vestigia materiali divengono sempre più scarse e parziali, i processi evolutivi delle culture occupano spazi di tempo sempre più ampi e le differenziazioni culturali sono sempre meno sensibili.
Dall'elenco dei vari tipi di stazioni preistoriche, e in particolare da quelle dei tempi più remoti, si può comprendere facilmente come, per stabilire la cronologia relativa dei vari complessi culturali, siano dati essenziali la posizione di giacitura dei documenti e la natura dei depositi che li inglobano. Il rilievo stratigrafico, tratto dalle scienze geologiche e paleontologiche, è la base fondamentale delle ricerche in tal senso. Prima di iniziare la raccolta e l'analisi dei relitti in un giacimento, il paletnologo deve quindi, per mezzo di sondaggi preliminari, stabilire la successione degli strati che li contengono, quando, ovviamente, tale successione esiste. La determinazione della stratigrafia, effettuata sulla base di dati naturalistici, è un compito nel quale è indispensabile l'apporto del geologo vero e proprio.
È inoltre necessario cercare di raccogliere la maggior quantità possibile di indizi della più varia natura, e non solo i prodotti dell'attività umana e i resti ossei, umani e animali: vi sono infatti altri materiali che è opportuno radunare strato per strato, come campioni di terreno, di ceneri, di carboni.
Questo accurato lavoro di campionatura si è reso indispensabile soprattutto negli ultimi decenni del nostro secolo, in seguito alla scoperta di nuovi mezzi tecnici e anche di nuove discipline nel campo delle scienze naturali.
Esse concorrono infatti, insieme alla geologia e alla paleontologia, a fornire dati sempre più precisi e molteplici per la ricostruzione dell'‛ambiente' nel quale si sono formate le varie culture (metodo ecologico). La conoscenza delle condizioni fisiche e climatiche, della fauna e della flora di una determinata regione è indispensabile quando si voglia tracciare un quadro storico il più possibile completo degli avvenimenti umani che si sono verificati in quel luogo. All'ambiente è oltrettutto intimamente legata l'economia, fattore determinante nella formazione culturale dei popoli.
Tramite le varie discipline ecologiche è stato, ad esempio, stabilito che l'era pleistocenica, durante la quale si svolse il Paleolitico, fu teatro di imponenti fenomeni climatici dovuti a fatti di ordine astronomico. Tali fenomeni, manifestatisi con alternanze di periodi a forte rincrudimento climatico (glaciazioni) con periodi a forte miglioramento del clima (stadi interglaciali), ebbero imponenti ripercussioni, cioè mutamenti sia di ordine morfologico, sull'aspetto geografico della Terra, sia geologico, nella formazione di determinati tipi di sedimenti, sia biologico, sul mondo animale e vegetale (estinzioni e migrazioni di specie, mutazioni nel paesaggio terrestre). È ovvio quanto la conoscenza di questi avvenimenti naturali sia importante per comprendere i fatti umani preistorici.
Il progresso degli studi nel campo della paleontologia, con i suoi vari rami (palcoantropologia, paleozoologia, paleobotanica, ecc.), e l'applicazione di moderne tecniche, principalmente del metodo statistico dell'indagine, hanno permesso di ottenere, oltre alla identificazione dei resti faunistici e floristici, al loro significato climatico e all'inquadramento cronologico, altre indicazioni oltremodo utili e interessanti per la ricostruzione del passato preistorico.
Ad esempio, nel caso in cui siano raccolti, nel deposito di una grotta, resti ossei molto numerosi di una determinata specie animale, il metodo statistico può stabilire se si tratta dei resti di un abitante normale della cavità o invece del frutto dell'attività di caccia dell'uomo preistorico. Inoltre la prevalenza di una particolare specie sul complesso delle altre, attraverso i diversi strati di un deposito, può esprimere (sia pure con le opportune riserve dovute, in primo luogo, all'eventualità di una selezione operata dall'uomo stesso) le variazioni del clima e dell'ambiente vegetale in quel luogo.
L'analisi al microscopio e l'impiego dei raggi X nello studio dei resti fossili umani hanno portato alla scoperta di tracce di lesioni scheletriche dovute ad affezioni morbose (tubercolosi, lebbra, sifilide, osteomieliti), che si aggiungono alle alterazioni scheletriche già note da tempo, quali le trapanazioni craniche.
Dati particolarmente interessanti sono oggi offerti dalla palinologia, la scienza che si occupa dello studio dei pollini contenuti nei sedimenti preistorici. L'analisi pollinica, oltre a ricostruire, con grande ricchezza di dati, l'aspetto vegetale dei vari ambienti e la sua evoluzione nel tempo, permette anche di accertare determinati interventi umani, come azioni di disboscamento, coltivazioni di particolari piante, ecc.
Tra le scienze di più recente introduzione negli studi sulla preistoria vi è la sedimentologia, branca della geologia, che studia, mediante tecniche moderne (granulometria, morfologia, morfoscopia, studio litologico), la formazione e costituzione dei sedimenti entro cui si raccolgono i resti archeologici.
La natura dei vari elementi che compongono un deposito, le alterazioni che essi presentano, la loro analisi statistica, sono tutti dati che, essendo dovuti a determinate azioni dell'acqua, del freddo, del caldo, forniscono preziose indicazioni sulle particolari condizioni climatiche nelle quali si formò il deposito stesso.
L'analisi chimica impiegata nell'indagine preistorica serve, ad esempio, a stabilire il contenuto in fosfati di determinati terreni: poiché tale contenuto è particolarmente elevato nei suoli degli abitati, si sta cercando, con questo mezzo, di individuare antichi insediamenti umani, nonché stimarne l'estensione e la durata.
Attraverso l'analisi chimica, inoltre, lo studioso inglese Oakley ha scoperto e applicato, a partire dal 1948, un metodo utile a fornire elementi di cronologia relativa, basato sull'esame del contenuto in fluoro di ossa fossili. Tramite il dosaggio di questa sostanza è infatti possibile accertare la contemporaneità o meno di resti fossili umani e di quelli di faune vissute in determinate epoche pleistoceniche.
Queste discipline naturalistiche, con i loro moderni metodi di indagine, servono dunque a stabilire, sulla base di dati concreti, la cronologia relativa dei vari complessi industriali, di cui l'archeologo pone in risalto le caratteristiche morfologiche e tecniche. Tuttavia possediamo dei particolari metodi che permettono di ottenere anche date di cronologia assoluta, cioè in anni: ognuno di essi copre però estensioni diverse dei tempi preistorici.
A scoperte avvenute alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo si devono i due sistemi di datazione assoluta noti sotto il nome di ‛geocronologia' e di ‛dendrocronologia'.
Il primo è basato sul conteggio del numero delle ‛varve', cioè degli strati sabbioso-argillosi depositatisi con ritmo annuale sul fondo di antichi laghi glaciali durante la fusione dei ghiacciai. Il secondo si basa invece sul conteggio dei cerchi annuali degli alberi, visibili nella loro sezione trasversale.
Un metodo di datazione assoluta atto a valutare la durata complessiva dei tempi preistorici fu elaborato nel 1938 da M. Milankovič: in base a calcoli astronomici e matematici, egli stabilì una sorta di ‛calendario astronomico' dell'età quaternaria, nel quale i fenomeni climatici sono stati datati in numero di anni.
Frutto del progresso scientifico degli ultimi decenni del nostro secolo sono invece dei nuovi metodi di datazione assoluta basati su ricerche di fisica nucleare, che permettono di risalire anche a epoche remotissime della preistoria.
Il metodo del radiocarbonio deve la sua applicazione alla scoperta dell'esistenza di sostanze radioattive nelle ossa fossili, nel carbone di legna e in altre materie organiche (corno, avorio, conchiglie di molluschi, ecc.) che si accompagnano, nei depositi preistorici, ai prodotti industriali. Tra queste sostanze vi è un isotopo del carbonio avente peso atomico 14, il cosiddetto ‛radiocarbonio' (o carbonio radioattivo, o 14C) il quale, dopo la morte dell'animale o della pianta, inizia una degradazione a ritmo fisso in relazione al passare del tempo. Calcolando con speciali apparecchiature (contatori atomici) la quantità residua del 14C contenuta, ad esempio, in un frammento di carbone, è possibile calcolare l'età a cui risale la morte della pianta, e quindi sia l'età del deposito in cui il frammento è stato raccolto, sia quella degli eventuali prodotti industriali che vi si trovano.
Questo metodo di datazione, che permette di risalire nel tempo fino a circa 70.000 anni da oggi, presenta tuttavia anche delle possibili cause di errore, che si sta attualmente cercando di eliminare; è quindi opportuno, per ottenere risultati il più possibile significativi, cercare di effettuare, in uno stesso deposito, diverse datazioni.
Per le epoche più antiche della preistoria si stanno perfezionando o sperimentando ancora altri sistemi di datazioni, sempre basati sullo studio di sostanze radioattive.
Il metodo del potassio-argon permette datazioni fino a diecine di milioni di anni fa. Applicato per lo più negli studi geo-paleontologici, esso è stato recentemente impiegato anche nel campo della preistoria stabilendovi, per certi resti umani fossili e relative industrie, le più primitive che si conoscano, date straordinariamente remote, intorno ai due milioni di anni fa.
Altri metodi ancora in fase sperimentale sono infine quelli basati sul decadimento di alcuni isotopi dell'uranio: tra di essi il metodo dell'uranio 238/torio 230 viene impiegato per datare, ad esempio, le formazioni stalagmitiche che sovente si intercalano tra i livelli dei depositi preistorici in grotta.
L'apporto che le discipline naturalistiche recano nel campo della preistoria è dunque di fondamentale importanza poiché forniscono i mezzi più sicuri per definire cronologicamente le vestigia umane. Esse tuttavia non potrebbero mai ricostruire il lontano passato dell'uomo dal punto di vista ‛storico', cioè come complesso mosaico di vicende umane. Questo compito spetta all'archeologo e richiede ancora molteplici, pazienti indagini. Anzitutto, la definizione dell'aspetto materiale di ciascuna cultura, quale è ricostruibile attraverso i prodotti dell'attività umana sino a noi pervenuti, e che si basa, come si è già accennato, sul loro studio tipologico.
Questo studio presenta vari gradi di difficoltà, a seconda dell'appartenenza dei reperti a epoche più o meno lontane della preistoria. Le difficoltà maggiori si incontrano, naturalmente, nello studio delle industrie della preistoria più remota: si pensi che per uno spazio di tempo amplissimo che giunge fino a circa 35.000 anni fa, i soli prodotti industriali conservatisi sino a noi sono quelli in pietra, mancando del tutto quelli eventualmente lavorati con materiali deperibili, come legno, cuoio, fibre vegetali. Soprattutto il legno, una materia prima così abbondante e di facile lavorazione, non può non avere avuto un impiego larghissimo nello strumentario preistorico di ogni tempo.
In seguito, in epoche successive separate da intervalli sempre più ravvicinati, ai reperti litici si aggiungono oggetti di corno, d'osso, d'avorio, di ceramica, di metalli vari, nonché, in particolari circostanze, anche manufatti di legno, cuoio, ecc.
Si deve inoltre considerare che gli stessi manufatti di pietra, specie a partire dalle età più avanzate del Paleolitico, non rappresentano certamente degli strumenti completi, ma solo porzioni di armi o utensili le cui parti fabbricate con materiali deperibili sono andate distrutte.
Lo studio tipologico delle industrie litiche, in linea generale, ha posto in luce un processo evolutivo dapprima lentissimo, poi sempre più rapido man mano che ci si avvicina all'era attuale. Nelle età più antiche le industrie sembrano inoltre costituite essenzialmente da un solo tipo di strumento che serviva per usi diversi, sia come mezzo di lavoro che come arma, poi passano gradatamente a presentare una sempre maggiore diversificazione di tipi, divengono cioè sempre più specializzate e perfezionate.
L'analisi tipologica viene effettuata attraverso lo studio della tecnica con cui sono stati fabbricati gli strumenti e la loro classificazione secondo la forma. Lo studio della tecnica di lavorazione (ricostruita anche attraverso prove di laboratorio), oltre ad avere stabilito le varie tappe di una graduale evoluzione, è anche servito per distinguere con sicurezza i prodotti intenzionali da quelli fortuiti. Quanto alla classificazione dei vari tipi di manufatti, è stata creata una terminologia basata essenzialmente sull'uso presunto dei medesimi: grattatoi, raschiatoi, bulini, punte, punteruoli, ecc. Naturalmente, poiché la funzionalità di questi oggetti è stata definita in base a un criterio del tutto soggettivo e moderno, la denominazione dei singoli pezzi va considerata solo come un espediente per distinguere una forma dall'altra.
Assai più semplice, invece, è la definizione morfologica dei reperti preistorici più recenti, dai prodotti ceramici del Neolitico e delle età successive, ai molteplici oggetti, armi o utensili, in metallo. Infatti, oltre a presentarsi molto spesso in forma completa o facilmente ricostruibile, i vari reperti rivelano chiaramente l'uso a cui erano destinati, in quanto simili a prodotti ben noti non solo nella documentazione dell'archeologia classica, ma addirittura nello strumentario moderno.
Per tali oggetti, dunque, lo studio tipologico consiste nell'esame della tecnica di lavorazione (tipi particolari di impasto e di cottura nei reperti fittili, determinati sistemi di fusione in quelli metallici) e nella descrizione della forma e delle eventuali tecniche decorative - caratteri, tutti, che presentano anch'essi aspetti diversi a seconda delle età e delle culture cui appartengono i documenti.
Da alcuni anni la tipologia puramente descrittiva dei documenti preistorici più antichi viene integrata dall'uso di moderni metodi statistici, che si sono rivelati di grande utilità per la ricostruzione del processo evolutivo delle industrie. Lo studio di un complesso industriale non è quindi imperniato solo sulle caratteristiche tipologiche dei vari strumenti, ma anche sulla loro valutazione quantitativa. L'importanza del fattore ‛quantità' era stata intuita anche nel passato da vari studiosi, i quali fornivano sovente indicazioni sulle percentuali degli strumenti, ma l'applicazione sistematica del metodo statistico è abbastanza recente.
Una volta compiuta l'analisi completa dei vari tipi di strumenti di un determinato complesso litico, classificati secondo lo schema di una lista-tipo, si calcolano le percentuali di ciascun tipo sul totale dei pezzi e successivamente gli indici delle medesime vengono rappresentati mediante grafici di vario genere (istogrammi, diagrammi cumulativi, diagrammi triangolari).
Uno degli apporti più interessanti del metodo statistico è quello di aver dimostrato che ogni industria è caratterizzata non solo da determinati tipi di strumenti, ma da un insieme di strumenti le cui proporzioni rimangono relativamente stabili da un giacimento all'altro in una determinata zona e in una data epoca. Ciò conferma che la fabbricazione dei pezzi non era legata al caso, ma seguiva precise regole dovute a particolari necessità. Inoltre, applicando questo metodo al contenuto di varie porzioni successive di uno stesso livello archeologico, si può delineare la struttura di tutto il relativo complesso industriale con ben maggiore ricchezza di particolari, cogliendone le eventuali oscillazioni interne e individuando le varie fasi del suo processo evolutivo.
Tra i prodotti dell'attività umana che, insieme alle industrie, concorrono a delineare l'aspetto materiale delle culture preistoriche e offrono un vasto campo di indagine, sono i resti di costruzioni adibite a vari scopi (abitazioni, sepolture, templi, fortificazioni, ecc.), dal più semplice tipo di capanna, ai grandiosi templi megalitici, ai veri e propri centri urbani.
Il ritrovamento di sepolture intenzionali fin dalle epoche più remote del Paleolitico ha fornito la precisa testimonianza di un aspetto della vita spirituale degli uomini preistorici, cioé del culto dei morti. Inoltre lo studio delle strutture dei vari insediamenti, della loro localizzazione ed estensione, offre elementi oltremodo utili per tentare di ricostruire il processo evolutivo dell'abitato umano non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello demografico e sociale.
Un settore della ricerca preistorica particolarmente interessante è infine quello che riguarda le manifestazioni artistiche: l'arte è comparsa improvvisamente nell'ultima fase del Paleolitico con una documentazione già ricchissima, sia per la quantità che per la qualità dei prodotti. Quasi tutte le moderne tecniche vi sono rappresentate, dalla scultura a tutto tondo, al bassorilievo, all'incisione, alla pittura.
I prodotti artistici costituiscono un campo di svariate indagini: allo studio delle tecniche e all'analisi dei documenti si accompagna infatti quello dell'interpretazione dei medesimi dal punto di vista contenutistico, che ha permesso di penetrare, anche se solo parzialmente, nel mondo spirituale dell'uomo preistorico, rilevando l'esistenza di credenze religiose e di riti magici.
Per lo studio di tutte queste molteplici testimonianze dell'attività umana, sia materiale che spirituale, lo studioso di preistoria ha anche tratto utili suggerimenti da alcune discipline storiche, come l'etnologia, la storia delle religioni, la sociologia.
In particolare la conoscenza delle manifestazioni culturali primitive dell'umanità attuale ha permesso di interpretare, sia pure con le opportune riserve, molti aspetti della vita dell'uomo preistorico, ad esempio l'utilizzazione di certi oggetti, armi o strumenti, il compimento di particolari riti funebri, le manifestazioni di determinate credenze magico-religiose; aspetti che, senza l'aiuto fornito dai confronti etnologici, sarebbero rimasti quasi certamente incomprensibili.
Questi vari metodi di indagine servono dunque a ricostruire, nel modo più completo possibile, l'aspetto di una determinata cultura, a stabilirne la distribuzione geografica e la posizione cronologica; compito successivo è quello di inserirla nel quadro della successione generale delle culture preistoriche e di interpretarla come fatto ‛storico'.
In questa ricerca, anche se prudentemente limitata all'ambito di una determinata zona geografica, molti sono i problemi che difficilmente riescono a trovare una soluzione, quali stabilire l'origine di una cultura, le cause del suo sviluppo, della decadenza o dell'improvvisa scomparsa, le eredità trasmesse a culture successive. Talora sembra di poter trovare delle spiegazioni in fatti naturali, come i mutamenti climatici e le relative ripercussioni ambientali, oppure nella conformazione particolare di certe zone geografiche (vie di comunicazione facili, che possono aver favorito migrazioni e scambi, oppure difficili, con conseguenti fenomeni di segregazione), o nell'abbondanza di certe materie prime (miniere di selce, di ossidiana, di metalli).
Le difficoltà maggiori si incontrano nello stabilire i rapporti con altre culture, sia per la presenza di continui sfasamenti cronologici, sia perché non tutte le culture sono ricostruibili nella stessa misura, o per una reale scarsità di dati, o perché frutto di ricerche inadeguate.
Tuttavia, malgrado i tanti interrogativi irresoluti e le molte, troppe lacune che costellano il difficile campo di ricerche sul passato preistorico dell'uomo, specie di quello più remoto, le tappe principali della sua evoluzione possono oggi essere delineate con sufficiente chiarezza.
La sintetica ricostruzione del processo evolutivo delle culture preistoriche che viene effettuata nei capitoli seguenti, presenta tuttavia una opportuna limitazione: infatti, mentre per i periodi più antichi della preistoria saranno descritti i caratteri salienti delle principali tappe culturali di tutto, o quasi, l'ecumene, man mano che ci si avvicinerà ai tempi storici, a partire dall'era geologica attuale e più ancora dall'inizio del Neolitico, la trattazione della materia, divenuta assai complessa, si restringerà gradualmente all'area geografica comprendente l'Europa e il Vicino Oriente, due zone intimamente legate fra loro.
Questa scelta è resa necessaria dal fatto che descrivere il processo evolutivo delle culture più recenti di ogni area della Terra entro uno spazio limitato, comporterebbe l'enunciazione di dati troppo generici che renderebbero scarsamente comprensibile il fenomeno; inoltre perché l'area geografica suddetta, per l'intensità delle ricerche effettuate, si presta con più ricchezza di dati a fornire il quadro più completo dell'evoluzione culturale del suo passato. Rimarranno quindi escluse da questa trattazione le pur notevoli civiltà preistoriche del restante continente asiatico e del continente americano.
3. Paleolitico inferiore
Allo stato attuale delle ricerche preistoriche, sembra di poter affermare che la culla dell'umanità sia stata il continente africano, e più precisamente le savane dell'Africa orientale. Quivi, nell'imponente giacimento di Olduvai, in Tanzania, furono rinvenuti, a partire dal 1959, i resti scheletrici di due forme ancestrali umane, o protoumane, anche se morfologicamente assai vicine a scimmie antropomorfe evolute. Infatti una serie di caratteri le avvicinano all'uomo, tra i quali una dentatura primitiva ma umana, la stazione eretta e, dato molto importante, la diretta associazione con un'industria litica, sia pure assai grossolana, costituita da strumenti ricavati da ciottoli; ed è appunto opinione corrente tra gli studiosi che la capacità di fabbricare strumenti sia da considerare come l'attributo più valido perché un essere possa definirsi umano.
Questi esseri, pur con delle varianti proprie, fanno parte del gruppo degli Australopiteci, termine con il quale sono state definite alcune forme di primati rinvenute, a partire dal 1924, in varie località dell'Africa meridionale ma che, essendo prive di industrie, avevano suscitato perplessità circa l'attributo di umane. I reperti dell'Africa orientale, cui sono stati dati i nomi di Zinjanthropus e di Homo abilis, hanno invece provato che almeno alcuni tra gli Australopiteci fabbricavano degli strumenti.
Il metodo di datazione del potassio-argon ha attribuito allo Zinjantropo una data di circa 1.750.000 anni a.C., all'Homo abilis 1.850.000, e poiché altre misure prese a Olduvai sembrano corrispondersi in maniera molto soddisfacente, possiamo considerare queste datazioni abbastanza sicure per indicare l'epoca cui attualmente si ritiene debba risalire la più antica cultura umana, cioè alla base del Quaternario, mentre sino a pochi anni orsono il limite inferiore della preistoria umana sembrava non dovesse risalire oltre i 6/700.000 anni.
Questa cultura, chiamata pebble culture, comprende strumenti lavorati sommariamente su una sola faccia (choppers) o sulle due facce (chopping-tools) di un ciottolo, nonché schegge con segni di utilizzazione.
Industrie di questo tipo, ma non associate a resti umani, provengono da numerosi altri giacimenti africani, sia dell'Africa settentrionale che meridionale. Esse inoltre sono state raccolte in alcune zone meridionali del continente asiatico (alluvioni del Soan nel Pakistan, in India), nell'isola di Giava, ecc., ma sembrano tutte databili a epoche più recenti di quelle africane.
Ritrovamenti sporadici di industrie su ciottoli sono stati fatti recentemente anche nell'Europa meridionale, in Provenza e in Italia, sempre senza resti umani.
Sembra dunque, per il momento, potersi affermare che questi ominidi primitivi che fecero la loro comparsa intorno a due milioni di anni or sono nelle zone tropicali dell'Africa - si siano sviluppati e diffusi in un primo tempo nel continente africano, in seguito siano passati nell'Asia meridionale e nel sud dell'Europa, senza però avventurarsi né nelle regioni fredde euroasiatiche, né in America, né in Australia.
La pebble culture è dunque il primo stadio culturale della preistoria del Quaternario, cioè la fase iniziale del Paleolitico (o Paleolitico ‛arcaico').
Il Paleolitico occupa tutta la prima parte dell'era quaternaria, detta Pleistocene, durante la quale si sono verificati, nel nostro emisfero, i ben noti fenomeni climatici delle quattro glaciazioni alpine di Günz, Mindei, Riss e Würm, cui si alternano tre interglaciali. Il Paleolitico è stato inoltre suddiviso in tre periodi, inferiore, medio e superiore, ciascuno dei quali presenta più facies culturali diverse. La durata dei tre periodi è molto diversa e diminuisce con una progressione che si può definire geometrica: il Paleolitico inferiore sembra terminare intorno ai 120.000 anni fa, il medio circa 35.000 anni fa, il superiore intorno ai 12.000 anni, cioè al termine del Pleistocene.
Va tuttavia subito premesso che questa suddivisione cr0nologica del Paleolitico, abbastanza soddisfacente per l'Europa e il bacino mediterraneo, diviene sempre più difficilmente applicabile mano a mano che ci si allontana da questa zona geografica. Nel continente africano, ad esempio, si sono avuti degli sfasamenti cronologici così sensibili che i limiti dei tre periodi non sono assolutamente correlabili con quelli europei, anche se l'evoluzione delle culture presenta un processo molto simile.
È probabile che dal tipo più evoluto di strumento su ciottolo, il chopping-tool, attraverso graduali passaggi si sia pervenuti alla realizzazione di quel manufatto che costituisce la principale caratteristica delle industrie del Paleolitico inferiore, cioè lo strumento di forma grosso modo ovale o a mandorla (da cui il nome di amigdala), ritoccato mediante scheggiature su ambo le facce (tecnica di lavorazione cosiddetta ‛bifacciale'), dapprima grossolano e con margini sinuosi (facies abbevilliana), poi assottigliato, con profilo regolare e ritocchi molto accurati (facies acheuleana). Di queste due facies industriali, l'acheuleana, iniziatosi circa mezzo milione di anni fa, oltre a essere la più evoluta è anche quella più ampiamente diffusa.
Le industrie con bifacciali hanno avuto grande espansione in tutto il continente africano, ove scarseggiano solo nella zona delle foreste equatoriali. Sono diffuse in tutta l'Europa occidentale, dove compaiono in un interstadio eutermico della gladiazione di Mindei e continuano la loro evoluzione durante l'interglaciale Mindel-Riss, il glaciale di Riss e gli inizi del Riss-Wùrm; rari sono i reperti nell'Europa centrale e orientale.
Assai minore, invece, la loro diffusione nel continente asiatico, fatta eccezione per il Vicino Oriente e il subcontinente indiano; a est di Madras e a nord della catena himalayana si hanno solo ritrovamenti molto sporadici, in Cina e nell'isola di Giava. Ancora del tutto assenti in America e in Australia.
Al tipico strumento bifacciale, ricavato sia da un ciottolo che da una grossa scheggia e che, oltre alla classica forma a mandorla, può anche essere lanceolato oppure presentare il margine superiore tagliente, sì da costituire una vera ascia litica, si accompagnano, in quantità minore, sia schegge di lavorazione utilizzate che schegge intenzionalmente distaccate da nuclei e trasformate in manufatti.
Però esistono, sempre durante il Paleolitico inferiore, anche delle facies industriali caratterizzate essenzialmente da strumenti su scheggia, insieme ai quali possono tuttavia trovarsi anche dei manufatti su ciottolo dei tipi chopper e chopping-tool. Questi complessi litici, molto meno diffusi di quelli bifacciali che predominano nel panorama industriale di questo periodo, caratterizzano infatti le zone prive, o quasi, di bifacciali, come l'Asia sudorientale e l'Europa orientale, ma sono presenti anche in Europa occidentale (facies clactoniana e facies tayaziana).
Purtroppo molto scarsi sono i resti degli esseri umani cui si devono le industrie del Paleolitico inferiore: si tratta comunque di forme ben più evolute degli Australopiteci, alcune ancora allo stadio di preominidi (i Proantropi), come il Pitecantropo di Giava e un tipo simile trovato in Africa a Olduvai, altre considerate come i più antichi ominidi (i Protoantropi), come il Sinantropo trovato in Cina e l'uomo di Mauer in Germania. A questi si aggiungono due resti fossili coevi dei precedenti ma con caratteri che li differenziano notevolmente da essi e li avvicinano alle forme più evolute dell'umanità, cioè l'uomo di Swanscombe (Inghilterra) e quello di Fontéchevade (Francia), detti Profanerantropi.
Tra questi esseri preumani e umani, il Pitecantropo di Giava e il Sinantropo erano associati a industrie su scheggia, il Pitecantropo di Olduvai con industria abbevilliana, l'uomo di Swanscombe con manufatti acheuleani e quello di Fontéchevade con industria su scheggia di factes tayaziana. Non è quindi possibile stabilire una correlazione precisa tra tipo fisico e industria dell'una o dell'altra tecnica di lavorazione.
Di questi esseri non rimangono che i prodotti industriali, e limitati a quelli litici; per queste età remote il termine di ‛industria' viene infatti comunemente impiegato al posto di ‛cultura', dato che non si conosce quasi nessun altro aspetto della loro attività sia materiale che spirituale.
Prevalentemente nomadi, essi conoscevano l'uso del fuoco (tuttavia piuttosto raramente attestato), vivevano di caccia, anche a grandi mammiferi come l'elefante, e di raccolta di vegetali spontanei, soggiornavano soprattutto lungo le rive dei grandi fiumi o dei laghi. Infatti le industrie di questo periodo provengono generalmente da giacimenti all'aperto o alluvionali; tuttavia, per quanto rare, si hanno anche stazioni in grotta. Inoltre nel giacimento all'aperto di Terra Amata, presso Nizza, entro formazioni mindeliane, sono state trovate tracce di fondi di capanna, ovali, circondati da muretti di ciottoli, con focolare interno. Queste scoperte sembrano dunque attestare che la capacità di trovarsi dei ripari naturali e di costruirsi dei rifugi si sia manifestata, anche se eccezionalmente, fin dal Paleolitico inferiore.
Quanto alle testimonianze di manifestazioni a carattere spirituale di questi uomini primitivi, nella grotta di Chu-Ku-Tien presso Pechino, ove furono trovati i resti del Sinantropo, sembra attestata l'esistenza di un particolare rito funebre consistente nella conservazione dei crani dei defunti.
È assolutamente impossibile avanzare+ipotesi circa l'entità del popolamento umano sulla Terra. È vero che la grande espansione territoriale delle industrie, specie di quelle bifacciali, sembrerebbe testimoniare una presenza rilevante di individui, però la loro durata occupa uno spazio di tempo così ampio, valutabile in varie centinaia di migliaia di anni, che gruppi umani sia pure esigui e con spostamenti difficili e lentissimi possono averle diffuse in zone così vaste e lontane.
Del resto la diffusione stessa delle industrie su ciottolo dimostra che anche esseri a un livello così basso quale era quello degli Australopiteci, possedevano già quella dote che distingue l'uomo dagli altri animali e che consiste nella possibilità di adattamento ad ambienti e climi diversi.
Non si è ancora potuta trovare, infine, una spiegazione dell'esistenza di due distinti complessi industriali, quello con bifacciali e quello con schegge. Non si può ricorrere, infatti, nè a differenti attività, poiché il genere di vita era uguale, nè ad ambienti naturali diversi, nè, come si è visto prima, a tipi fisici diversi.
È certo tuttavia che la grande industria amigdalare ha avuto un processo evolutivo molto superiore a quello dell'industria su scheggia: mentre quest'ultima rivela anche un carattere, per così dire, ‛conservatore' nel largo impiego di manufatti della pebble culture, quella bifacciale diventa sempre più raffinata, sia dal punto di vista tecnico (vedi l'uso di un percussore ‛tenero', cioè di legno o d'osso, per ottenere ritocchi più accurati), che morfologico: gli strumenti divengono infatti così perfetti e regolari che sembrano quasi rivelare una vera sensibilità di carattere estetico. Infine, nell'Acheuleano appaiono, anche se rarissimi, dei tipi di strumenti che anticipano forme future, sia del Paleolitico medio che superiore.
4. Paleolitico medio
Non tutti gli studiosi di preistoria sono d'accordo nel conservare la suddivisione del Paleolitico medio, ritenendo opportuno riunire i due periodi inferiore e medio in uno solo, cioè in un Paleolitico antico. La ragione principale di questo rifiuto consiste nel fatto che, considerandone l'aspetto culturale, le industrie del Paleolitico medio non mostrano mutamenti radicali, innovatori, ma sviluppano, anche se notevolmente, tecniche e forme già presenti nel precedente periodo, fanno cioè parte di un processo evolutivo continuo.
Tuttavia esiste anche una differenziazione precisa tra i due periodi, sia dal punto di vista cronologico che paleantropologico. Nel nostro emisfero il Paleolitico medio inizia nell'interglaciale Riss-Würm e continua la sua evoluzione nel glaciale Würmiano; quanto all'umanità, i tipi umani che predominano in questo periodo sono i Paleantropi (cui appartiene l'uomo di Neanderthal), notevolmente evoluti nei confronti dei tipi che li hanno preceduti pur essendo ancora assai primitivi. Essi si diffusero in Europa, Asia e Africa durante tutto il Paleolitico medio e si estinsero completamente al termine di esso.
Alcune industrie del Paleolitico mostrano un'importante conquista tecnica riguardante il modo di ricavare le schegge, cioè la cosiddetta ‛tecnica levalloisiana', che permetteva di predeterminare la forma della scheggia sul nucleo, prima ancora del suo distacco.
I manufatti su scheggia, nettamente prevalenti durante l'intero periodo, mostrano due caratteri evolutivi molto importanti: la diminuzione delle loro dimensioni e la precisa definizione dal punto di vista funzionale. Due sono i tipi più caratteristici: la ‛punta', di forma triangolare, accuratamente lavorata, e il ‛raschiatoio', cioè una scheggia con ritocchi lungo uno o più margini che doveva servire a vari usi, come raschiare le pelli, sezionare le carni, lavorare il legno. A questi si aggiungono, ma in percentuali assai inferiori, coltelli di selce, bulini, punteruoli e altri tipi di manufatti su scheggia. Continua, sia pure su scala molto ridotta, la lavorazione di strumenti bifacciali.
Queste industrie caratterizzano il cosiddetto Musteriano, stadio culturale che occupa tutto il Paleolitico medio ed è ampiamente diffuso in gran parte d'Europa, d'Africa e d'Asia. Esiste anche un'altra facies culturale, ma assai limitata territorialmente, il Micocchiano, ricco di bifacciali molto raffinati, che rappresenta probabilmente un Acheuleano finale protrattosi in età würmiana.
Il complesso industriale musteriano si differenzia dai due complessi del Paleolitico inferiore in quanto, mentre questi presentano un carattere generale di grande uniformità nella tipologia dei loro prodotti, esso rivela invece aspetti diversi, rilevabili non solo se si prendono a confronto zone geografiche distinte, ma anche nell'ambito di una stessa regione.
Nell'Europa occidentale, ad esempio, si rilevano quattro tipi di Musteriano, a seconda dell'uso più o meno frequente della tecnica di scheggiatura levalloisiana, del prevalere di determinate forme di strumenti, di particolari tipi di ritocco, della minore o maggiore frequenza di prodotti bifacciali (Musteriano tipico, Musteriano tipo La Quina, Musteriano denticolato, Musteriano di tradizione acheuleana).
In Europa orientale (dalla Germania alla Russia europea) il Paleolitico medio, oltre a offrire industrie musteriane simili a quelle occidentali, è particolarmente caratterizzato dalla rilevante presenza di punte foliate piatte, a ritocco bifacciale, affini ai prodotti micocchiani.
Tra le industrie del continente asiatico, in genere non molto sviluppate, quelle del Vicino Oriente sono assai vicine al Musteriano dell'Europa occidentale.
In Africa occorre distinguere l'area settentrionale, che ha dato industrie molto simili a quelle dell'Europa occidentale, dall'area che si estende a sud del Sahara, ove si ha solo un debole riflesso di questa cultura, poiché vi continua e si evolve la tradizione acheuleana. A questo proposito occorre infatti precisare che in Africa, a partire dalla fine del Paleolitico inferiore, assistiamo al manifestarsi di quel fenomeno che caratterizza tutta l'evoluzione culturale di questo continente, e cioè la lunga persistenza delle varie tecniche industriali acquisite, che ha determinato frequenti attardamenti e relativi sfasamenti cronologici molto sensibili nei confronti della successione delle culture europee.
Alcuni studiosi ritengono che verso la fine di questo periodo, tra i 40 e i 35.000 anni fa, attraverso lo Stretto di Bering sia avvenuta la prima migrazione umana dal continente asiatico a quello americano: lo testimonierebbero alcuni, e molto modesti, ritrovamenti di industrie, con strumenti su ciottolo di tipo pebble culture misti a schegge di tipo musteriano, e di carboni datati col metodo del radiocarbonio. Tuttavia si tratta di prove troppo scarse e insicure (soprattutto per ciò che concerne l'associazione tra industrie e carboni) perché possano provare con sicurezza che a quest'epoca sia da attribuirsi la prima infiltrazione culturale nel Nuovo Mondo.
Il fatto che il Musteriano sia costituito da un insieme di industrie con aspetti diversi, anche se con un fondo tipologico comune, non trova, per il momento, alcuna spiegazione.
Non si può ricorrere né a momenti cronologicamente diversi, poiché i vari aspetti possono essere anche coevi, nè ad ambienti diversi, poiché in uno stesso deposito si può trovare una successione di livelli con industrie differenti mentre in ambienti totalmente dissimili hanno prosperato le medesime facies.
Non ha neppure senso pensare all'esistenza di forme umane diverse, poiché i resti fossili trovati associati alle varie industrie musteriane, pur con delle varianti morfologiche, appartengono tutti al gruppo dei Paleantropi. È stato anche trovato in Italia, presso Arezzo, un cranio frammentario appartenuto a quel ramo dell'umanità fossile (i Profanerantropi) che si pensa abbia dato origine all'uomo attuale, cioè all'Homo sapiens; si tratta tuttavia di un solo reperto, e per di più privo di contesto archeologico, salvo un'unica punta musteriana.
Nella prima parte del Paleolitico medio, svoltasi nella fase calda interglaciale, gli abitati erano ancora molto frequentemente all'aperto, sulle terrazze fluviali o sugli altipiani, poi, col progressivo forte rincrudimento climatico del glaciale di Würm, si generalizzò l'insediamento in grotta o sotto ripari rocciosi. Esistono anche resti, per quanto non numerosi, di primitivi attendamenti: doveva trattarsi di tende soprelevate, con un'armatura di tronchi d'albero o anche di ossa lunghe e zanne di mammut, coperte di pelli o frasche, con un lastricato di pietre o ciottoli avente lo scopo di proteggere l'interno dall'umidità del terreno. Sembra che i musteriani costruissero anche delle capanne addossate contro i ripari rocciosi o addirittura entro le grotte.
È certo comunque che, pur vivendo sempre allo stadio di puri cacciatori, gli uomini del Paleolitico medio dovettero praticare un nomadismo non così accentuato come si credeva in passato, ma piuttosto un nomadismo stagionale e limitato all'ambito di un determinato territorio. Questa semisedentarietà sembra attestata dalla potenza di tanti depositi archeologici in grotte, culturalmente omogenei, la qual cosa dimostra che l'uomo, una volta abituato alla protezione e alla comodità dei rifugi naturali, se ne allontanava difficilmente e solo per esigenze di carattere venatorio.
Sempre risalenti al periodo musteriano sono poi le testimonianze delle prime, sicure manifestazioni di carattere religioso o cultuale dell'umanità. Infatti molti dei resti fossili neandertaliani sono stati trovati intenzionalmente deposti entro fosse scavate nel terreno, in posizione rannicchiata, insieme a un vero e proprio corredo funebre, consistente in strumenti litici e talora anche in una scorta alimentare. Inoltre sulla faccia inferiore di un grosso blocco di pietra poggiante sulla sepoltura di La Ferrassie, in Francia, sono state trovate scolpite delle piccole cavità, dette ‛coppelle', le quali dovevano avere uno scopo magico sempre legato al rito funebre. Siamo quindi in presenza di un vero culto dei morti che, per il suo rituale, fa presupporre anche la credenza in una vita ultraterrena.
Nel Musteriano si hanno infine le prove dell'esistenza di un culto particolarmente diffuso, quello dell'orso. Doveva inoltre essere praticata la pittura corporale, che sembra testimoniata dalla presenza, nei depositi, di molti frammenti di materia colorante rossa o nera, che certamente non serviva per tracciare dei disegni, dato che di quest'epoca non è stata finora trovata nessuna opera d'arte.
5. Paleolitico superiore
In una fase interstadiale con clima mite, tra il Il e il III acme del glaciale di Würm, intorno ai 35.000 anni fa, fanno la loro comparsa sulla terra i Fanerantropi (Homo sapiens fossills), cioè tipi umani anch'essi oggi estinti, ma in tutto simili a noi e mostranti forme già differenziate, corrispondenti in parte alle grandi divisioni razziali dell'ecumene attuale.
Si ritiene che i Fanerantropi appartengano a quel philum dell'umanità fossile cui sono riferibili i reperti profanerantropici di Swanscombe, di Fontéchevade e dell'Olmo, presenti nel Paleolitico inferiore e medio.
Dal punto di vista antropologico si rileva dunque una netta separazione tra l'umanità del Paleolitico superiore e quella che ha dominato nel precedente periodo.
Basandosi su questo dato di fatto e considerando altresì l'aspetto nuovo delle culture umane del Paleolitico superiore, che si arricchiscono di due elementi prima sconosciuti, cioè l'industria su osso e la produzione artistica, gli studiosi, fin dai primi decenni del nostro secolo, risolsero il problema dell'origine di questo periodo nell'Europa occidentale (la zona, cioè, meglio esplorata dal punto di vista preistorico) ricorrendo all'ipotesi di grandi correnti migratorie, o addirittura di invasioni, provenienti da oriente, che avrebbero sostituito le loro culture a quella musteriana.
Oggi, coll'estendersi delle ricerche su tutto l'antico habitat umano, il problema dell'origine del Paleolitico superiore si presenta con un aspetto alquanto diverso e ben più complesso, con l'apporto di numerosi e nuovi dati al riguardo.
Anzitutto va osservato che con l'avvento del Paleolitico superiore l'antica unità culturale, già interrotta durante il Paleolitico medio dalla presenza degli aspetti diversi assunti dalla cultura musteriana, si rivela ulteriormente frazionata in un numero assai rilevante di culture e di facies regionali, che giustifica l'introduzione di una terminologia molto complessa. La stessa generale espansione geografica delle culture si è ulteriormente ampliata: in Europa la nuova umanità oltrepassa, verso nord, il limite della grande calotta glaciale continentale, che l'uomo musteriano aveva appena sfiorato, penetra in Siberia, raggiunge nuove terre come le Isole della Sonda, il Borneo, il Giappone, forse l'Australia e, sicuramente, l'America, scendendo dall'Alasca fino all'America Centrale.
Per quanto nel campo della preistoria si assista quasi ogni giorno a nuove scoperte, e considerando che in molti territori le ricerche sistematiche sono iniziate in epoche ben diverse e non con la medesima intensità, si può tuttavia affermare che il ruolo principale nell'evoluzione della cultura umana è rivestito in questo periodo dall'Europa occidentale: quivi il frazionamento culturale non si manifesta solo in aree geografiche anche limitate, ma addirittura a un livello regionale ristretto.
Considerando l'industria litica sotto un aspetto molto generale, si assiste all'ulteriore specializzazione della medesima dal punto di vista tipologico e, da quello tecnologico, al prevalente impiego di belle e sottili lame al posto delle schegge. Gli strumenti presentano, nel complesso, una ulteriore diminuzione delle dimensioni e comprendono tutta una serie di forme (bulini, grattatoi, punte con un margine lavorato con uno speciale ritocco erto, punteruoli, strumenti foliati a ritocco bifacciale, lamette di forma geometrica, e molte altre), ciascuna delle quali presenta, a sua volta, vari tipi a seconda delle dimensioni, del modo di ritocco e di altre particolari caratteristiche tecniche. Molti di questi oggetti litici rappresentano con ogni probabilità solo parti di strumenti più complessi, cioè dovevano essere inseriti in supporti di varia forma, presumibilmente lignei, che sono andati distrutti.
L'industria litica ha dunque compiuto, nel Paleolitico superiore, un progresso notevole; tuttavia non si può parlare di un'innovazione radicale, di una brusca frattura nei confronti di quella che l'ha preceduta. Grazie soprattutto ai più moderni e precisi metodi di indagine, si è ad esempio constatato che in Francia esistono già, in livelli della cultura musteriana, degli strumenti di tipo paleolitico superiore; d'altro canto, la prima industria del Paleolitico superiore francese (il Castelperroniano) ha come caratteristica la persistenza, in quantità piuttosto elevate, di pezzi di tradizione musteriana. Sembrerebbe quindi logico supporre che il Castelperroniano derivi da un'evoluzione in loco del Musteriano.
Ancora maggiori sono le difficoltà quando si cerchi di indagare sull'origine del Paleolitico superiore nelle altre aree geografiche. Tuttavia, considerando le caratteristiche peculiari che le culture di questo periodo presentano in aree geografiche distinte, sembra di poter constatare che alcune delle più antiche, contemporanee del Castelperroniano francese, come lo Szeletiano e lo Jermanoviciano dell'Europa centrale (Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia), caratterizzate da strumenti foliati, traggano origine dal Musteriano, pure a foliati, tipico della zona; anche il Paleotilico superiore russo, che presenta un suo aspetto originale, parrebbe derivare da una locale facies musteriana.
In Italia sono state trovate industrie assimilabili al Castelperroniano, una delle quali presenta anche un particolare aspetto regionale (l'Ulussiano), però non è stato possibile stabilire finora alcuna loro correlazione con industrie musteriane evolute da cui potrebbero essersi originate.
Anche in Africa le culture del Paleolitico superiore sembrano trarre origine da quelle che le hanno precedute.
È quindi ormai diffuso il convincimento che in questo stadio dell'evoluzione umana siano presenti dei ceppi diversi da ciascuno dei quali sarebbe fiorita la nuova cultura dell'Homo sapiens. Difficile è stabilire i precisi rapporti cronologici tra i vari complessi culturali, se non nelle grandi linee, anche per la troppo recente applicazione dei più moderni metodi di datazione.
I vari complessi mostrano inoltre una molteplicità di rapporti e di influenze reciproche dovuta alla vasta espansione delle culture, specie di quelle più affermate: la loro penetrazione in centri lontani da quello originario è ora facilmente individuabile in quanto ciascuna cultura ha una fisionomia ben differenziata. Uno dei maggiori centri di diffusione è stata l'Europa occidentale, e in particolare proprio la regione francese, la quale presenta anche la più ricca e variata successione culturale.
Quivi, dopo il Castelperroniano, che ebbe un'espansione molto limitata nell'ambito dello stesso territorio francese, si ebbero l'Aurignaziano e il Gravettiano, culture parzialmente contemporanee, poi il Solutreano e infine il Maddaleniano. Di esse, il Gravettiano e il Maddaleniano (soprattutto il secondo) ebbero certamente un'origine locale, mentre per l'Aurignaziano e il Solutreano vi sono pareri discordi: alcuni studiosi le considerano come autoctone, altri invece come provenienti, con una fisionomia culturale già formata, dalle regioni centrorientali europee.
Complessi culturali molto simili a quelli del territorio francese sono stati individuati su tutto il territorio europeo e anche extraeuropeo.
La maggiore diffusione è quella delle culture gravettiane, che in Europa si svolsero in un arco di tempo compreso fra i 26.000 e i 19.000 anni a.C.: essa copre tutta l'Europa continentale, da occidente a oriente, e il bacino mediterraneo, compreso il Vicino Oriente e l'Africa settentrionale (ove però le culture sensu lato gravettiane sono cronologicamente molto attardate). Naturalmente si tratta di complessi culturali che, pur avendo un fondo tipologico comune, acquistano aspetti diversi a seconda delle varie aree geografiche in cui si sono formati.
Il Solutreano, episodio di breve durata, ebbe il suo focolaio più attivo nel territorio francese e anche nella Spagna cantabrica: manca invece nel suo aspetto tipico proprio nell'Europa orientale, donde certi studiosi suppongono che provenga.
Il Maddaleniano rappresenta un fenomeno culturale tipicamente francese, che ebbe tuttavia una notevole diffusione fuori del suo centro originario: non penetrò nelle regioni meridionali europee, ma è presente nell'Europa centrale e ha riflessi anche in quella orientale.
È probabile che la ben minore espansione di questa cultura, peraltro ricchissima, nei confronti del fenomeno gravettiano, sia da attribuirsi all'eccezionale rincrudimento climatico che si verificò nell'ultima fase della glaciazione di Würm. A partire da un'epoca che sembra collocabile intorno ai 17.000 anni a.C. si assiste, sullo stesso territorio europeo, allo sviluppo di culture del tutto autonome, nelle vane aree geografiche circostanti: ad esempio, nella nostra penisola mancano culture simili a quelle del Solutreano e del Maddaleniano, ma vi si manifesta una facies sviluppatasi dal Gravettiano e a cui è stato dato il nome di ‛Epigravettiano'.
Dando uno sguardo al Paleolitico superiore nel suo aspetto generale, onde stabilire il ruolo che esso riveste nel quadro dell'evoluzione umana, si devono anzittutto considerare i due nuovi elementi culturali che vi compaiono.
L'armamentario paleolitico si arricchisce infatti di una ricca produzione di manufatti d'osso, di corno e d'avorio, che comprendono zagaglie, arponi dentati, propulsori; a questi si aggiungono oggetti vari come gli aghi con cruna e i bastoni forati, che servivano probabilmente come raddrizzatori di zagaglie. L'industria su osso fiorì particolarmente nella cultura aurignaziana e raggiunse il suo apogeo in quella maddaleniana.
L'altro elemento è rappresentato dalla produzione artistica, che costituisce veramente l'apporto nuovo, originale, dell'umanità fanerantropica. Infatti non si può escludere a priori che almeno certi strumenti d'osso possano derivare da prototipi in legno già presenti nel periodo precedente. L'arte è invece sicuramente una conquista esclusiva dell'Homo sapiens, un prodotto della sua maturazione psicofisica: essa ci ha rivelato l'esistenza di tutto un complesso di credenze e di riti volti sia al culto della donna-madre, o della fecondità, sia a quelli della riproduzione animale e della magia venatoria, testimoniata da numerose pitture e incisioni di animali feriti, intrappolati, di figure umane camuffate con maschere teriomorfe e interpretabili sia come cacciatori che come sorta di stregoni. Ma, oltre all'importanza che le opere d'arte rivestono per il loro significato, esse meravigliano per l'alta qualità tecnica e stilistica, cioè per la perfezione del disegno, l'impiego sapiente del colore, la sensibilità plastica dei prodotti scultorei, il potente realismo che le pervade.
L'arte paleolitica ha avuto una vasta diffusione, ma limitatamente al territorio europeo, se si eccettua una piccola infiltrazione al di là degli Urali. Essa però non è diffusa ovunque in modo uniforme, poiché la maggiore concentrazione delle stazioni si trova nell'Europa occidentale e, più precisamente, nella regione comprendente la Francia centromeridionale e la Spagna settentrionale (arte franco-cantabrica): si tratta di un centro artistico particolarmente fiorente, sia per la quantità dei documenti che per la loro qualità. Un'altra provincia artistica interessante, sebbene con una produzione molto inferiore alla prima, è quella che comprende stazioni che si affacciano sul Mediterraneo, molte delle quali si trovano nella penisola italiana (arte mediterranea). Una buona concentrazione di prodotti artistici si trova infine nel territorio meridionale della Russia europea.
Nel Paleolitico superiore si afferma ulteriormente il culto dei morti, introducendo anche delle varianti nel rito inumatorio: il corpo del defunto può ritrovarsi deposto ora in posizione rannicchiata, ora leggermente flessa, ora completamente disteso. Esso è sempre circondato da un corredo funebre, formato sia da strumenti litici e ossei che da oggetti di ornamento (copricapi, collane, bracciali di conchiglie o di denti di cervo forati). Diffuso anche l'impiego dell'ocra rossa, di significato magico, che veniva cosparsa sul corpo degli inumati o distesa in un leggero strato uniforme sopra il terreno che ricopriva la fossa.
Numerosi sono, infine, i resti di abitazioni all'aperto, testimoniate specialmente nell'Europa centrale (Austria, Germania) e orientale (Cecoslovacchia, Russia europea); ciò sembra dovuto principalmente al fatto che in queste vaste regioni pianeggianti, per la grande scarsità di formazioni rocciose con cavità naturali, l'abitato all'aperto fu certamente praticato su vasta scala. Le capanne, a uno o più ambienti, erano per lo più seminterrate per offrire un più efficace riparo; le tracce di buche per pali, di muretti di pietre a secco, gli accumuli di ossa grandi e di zanne di mammut rappresentano le testimonianze delle strutture relative alla copertura delle capanne.
Quanto al genere di vita, l'uomo vive sempre esclusivamente della sua attività di cacciatore, con un'esperienza ulteriormente affinata dal perfezionamento dei mezzi tecnici e dall'incremento delle specie animali. Ai grandi mammiferi del Paleolitico medio, come il cavallo, il bue selvaggio, l'orso, il mammut, si aggiungono ora il bisonte e, ricercatissima, la renna. Intensa anche la pesca, soprattutto ai salmonidi.
Sempre molto difficile da valutare è l'entità del popolamento umano: sembra tuttavia che, nell'Europa occidentale, un particolare incremento demografico possa essersi verificato nelle ultime fasi maddaleniane, a giudicare dal numero dei depositi e dall'abbondanza dei reperti, ma da calcoli effettuati con vari metodi risulta, ad esempio, che la popolazione di allora, in Francia, non doveva superare di molto qualche decina di migliaia di individui.
6. Mesolitico
La fine del Paleolitico superiore non coincide esattamente col termine dell'ultima glaciazione ma con l'inizio dell'era geologica in cui viviamo, detta Olocene, nella quale cominciò il progressivo miglioramento climatico che portò all'instaurazione del clima attuale.
Questo mutamento, avvenuto intorno ai 10.000 anni a.C. e che caratterizza il cosiddetto periodo Mesolitico, ebbe ripercussioni grandissime, poiché provocò una sorta di immiserimento culturale in quello che era stato l'indiscusso protagonista delle fasi più avanzate del Paleolitico, cioè il mondo dell'Europa occidentale. Quivi l'uomo paleolitico, pienamente adattato al suo ambiente, aveva infatti raggiunto il massimo di perfezione realizzabile in una cultura di semplici cacciatori, stimolato a potenziare le sue facoltà e i suoi mezzi proprio dalla durezza del clima e dalla difficoltà di procurarsi i mezzi di sostentamento.
Col mutare delle condizioni climatiche, e quindi ambientali, l'uomo reagì in modi diversi: o seguì le mandrie di animali di clima freddo, che era abituato a cacciare, nel loro cammino migratorio verso nord, oppure adattò la sua attività venatoria al nuovo ambiente faunistico. Continuò a cacciare, ma su scala molto ridotta, i grandi animali delle foreste, che erano tornate di nuovo a estendersi dopo il paesaggio a tundra che aveva caratterizzato l'età glaciale, ma in genere perseguì una selvaggina più piccola, come conigli, lepri, castori e soprattutto uccelli; sviluppò inoltre in modo particolare le sue attività di pescatore e di raccoglitore di molluschi marini e terrestri. L'uso dell'arco, che è per la prima volta attestato con sicurezza in questo periodo, rese la caccia molto più facile, ma contribuì forse a ridurre le facoltà inventive dell'uomo.
Le industrie litiche, per lo più di dimensioni assai ridotte, presentano infatti in linea generale un carattere di immiserimento nei confronti delle precedenti. Inoltre questa stasi culturale si riflettè anche sulle manifestazioni più elevate, cioè sull'arte: essa scomparve improvvisamente dal suo centro di massima fioritura, cioè dall'area franco-cantabrica, per manifestarsi in una ristretta zona d'Europa, la fascia costiera della Spagna mediterranea, ma con caratteristiche di stile e di contenuto diverse da quelle dell'arte paleolitica.
Questo impoverimento culturale investe tutta la fascia centrale e meridionale d'Europa, dalla Francia alla Russia meridionale: diverso è invece l'aspetto che offrono in questo periodo le regioni settentrionali europee, prima interamente coperte di ghiacci e ora rese abitabili dal miglioramento climatico. Qui si è evoluta infatti, in età mesolitica, una cultura particolarmente fiorente, il cosiddetto Maglemoisiano, diffuso dall'Inghilterra alla Finlandia e proprio di popoli cacciatori e pescatori che si adattarono al nuovo ambiente ricco di foreste e di laghi sfruttandone le risorse naturali, sviluppando una tecnologia altamente specializzata ed esplicando anche una considerevole attività artistica.
7. Neolitico
Il primo grande ciclo culturale dell'umanità, quello dei popoli cacciatori e raccoglitori, sta per concludersi, in questo stesso periodo, in una regione dell'Asia anteriore che riveste un ruolo assai importante nella storia delle vicende umane del passato, poiché sembra che lì siano state fatte le scoperte che trasformarono radicalmente la vita dell'uomo preistorico, cioè quelle dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame.
Tra le cause che possono aver determinato in questo territorio l'origine di simili avvenimenti, due sembrano essere le più importanti. Anzitutto l'abbondanza, allo stato selvatico, dei prototipi di cereali utili all'uomo, come il Triticum dicoccum e l'Hordeum spontaneum, antenati del grano e dell'orzo; ugualmente rilevante la presenza delle specie animali atte all'addomesticamento, quali capre, pecore, bovini, maiali.
In secondo luogo si può supporre che il progressivo inaridimento climatico, verificatosi in queste regioni colla fine dell'ultimo periodo ‛pluviale' pleistocenico, debba aver creato condizioni di vita abbastanza ostili per le tribù dei cacciatori e pescatori mesolitici, spingendoli alla ricerca di nuove fonti di sostentamento.
Sta di fatto che nel Natufiano, cultura mesolitica della Palestina databile intorno agli 8.000 anni a.C., troviamo già i germi della futura economia produttiva, cioè la raccolta di cereali, attestata dalla presenza di falcetti costituiti da un manico d'osso nel quale erano inserite lamette litiche con un filo tagliente, e di macine di pietra. Non vi sono prove che i cereali venissero seminati, ciò che costituirebbe una vera pratica agricola, ma è certo che i natufiani raccoglievano il grano selvatico e se ne nutrivano. Le numerose ossa di animali selvaggi trovate nei loro insediamenti dimostrano tuttavia che la caccia era ancora la loro principale fonte di alimentazione.
La raccolta dei cereali spontanei, primo passo verso la nuova forma di economia, fu con ogni probabilità praticata anche presso altre culture mesolitiche del territorio compreso fra Palestina, Siria e Iran, come, ad esempio, nella cultura iraniana di Karim Shahir. Quivi inoltre l'abbondanza di ossa di pecore e capre potrebbe anche indicare una forma di allevamento.
È comunque difficile riconoscere i primi reali indizi sia di pratiche agricole che di allevamento del bestiame, poiché non si rilevano differenze molto nette tra i resti ossei di specie selvagge e di specie domestiche, vegetali o animali, all'inizio del loro processo di addomesticamento. Quindi non si è neppure in grado di stabilire quale delle due nuove attività sia stata praticata per prima, oppure se abbiano avuto inizio contemporaneamente.
La conseguenza più importante che queste due forme di economia portarono è costituita dal sedentarismo: agli accampamenti provvisori dei gruppi umani con prevalente attività venatoria si sostituirono infatti gradatamente insediamenti stabili, con strutture architettoniche sempre più complesse, i quali favorirono l'incremento demografico e diedero origine alle prime forme di organizzazione sociale delle varie comunità.
I primi indizi di vita sedentaria risalgono alla stessa cultura natufiana: per la maggior parte gli insediamenti natufiani si trovano in ripari sotto roccia o in accampamenti all'aperto, ma a Eynam e a Gerico, in Palestina, si sono trovate tracce di strutture architettoniche, attribuibili a questa cultura, che testimoniano l'esistenza di piccoli agglomerati stabili formati da case semisotterranee a pianta circolare, talvolta con pavimenti e pareti rivestiti di argilla.
Nella stazione di Gerico, sul Mar Morto, sopra i livelli natufiani sono stati posti in luce i resti, interessantissimi, della più antica città del mondo, sviluppatasi direttamente dai precedenti villaggi.
La cultura da essa rappresentata appartiene ormai alla civiltà neolitica, il cui periodo iniziale, per l'assenza di manufatti fittili dovuta al fatto che l'arte della ceramica non era ancora conosciuta in questa zona, viene indicato col nome di Neolitico aceramico o prefittile. A sua volta questo periodo viene suddiviso in due fasi successive: la prima (Neolitico prefittile A) è caratterizzata da un'industria ancora di tradizione mesolitica, la seconda (Neolitico prefittile B) da un'industria diversa, tipicamente neolitica, nonché da un repertorio di recipienti scolpiti nella pietra, che poi verranno sostituiti dal vasellame fittile.
La città del Neolitico prefittile A trovata a Gerico doveva estendersi su una superficie di circa tre ettari e mezzo: le case, circolari e semisotterranee, strettamente accostate le une alle altre, erano contenute in un cerchio difensivo di mura massicce, a loro volta cinte da un fossato scavato nella roccia. Appoggiata alle mura vi era una grande torre di pietra a pianta rotonda, recante all'interno una scala a gradini. Queste opere difensive sembrano databili intorno al 6800 a.C.: è quindi sorprendente che a un'epoca nella quale si è appena iniziata la vita sedentaria di villaggio, risalga addirittura la costruzione di una città fortificata, che presuppone tra l'altro una vita comunitaria assai bene organizzata.
Intorno al 6500 a.C. la cultura del Neolitico prefittile A, di chiara origine locale, fu soppiantata improvvisamente dal Neolitico prefittile B, venuto invece dall'esterno. I portatori di questa nuova cultura erano in possesso di un'esperienza architettonica assai elaborata: le loro case erano di forma rettangolare, con più locali e un cortile, con caratteristici pavimenti intonacati di gesso, dipinti con ocra rossa e lucidati. Tipiche di questa popolazione erano le usanze funerarie: i corpi dei defunti, o i soli crani, venivano inumati sotto il pavimento delle abitazioni. Questa pratica della decapitazione dei defunti ha origini antichissime nella preistoria: è testimoniata per la prima volta nel Paleolitico inferiore, col Sinantropo di Pechino, compare nel Paleolitico medio, col cranio neandertaliano del Monte Circeo, in Italia, infine si diffonde durante il Mesolitico sia europeo che extraeuropeo, ad esempio presso gli stessi Natufiani.
L'industria litica è costituita da strumenti ricavati da grandi e regolari lame tipiche del Neolitico: presenti ciotole di arenaria finemente scolpite. Gli insediamenti umani erano ormai tutti di natura stabile, anche se in massima parte villaggi.
L'agricoltura e l'allevamento del bestiame erano praticati ovunque: la prima è testimoniata dalla presenza di una grande quantità di falcetti e di macine di pietra, nonché da sporadici ritrovamenti di cereali carbonizzati; il secondo da resti ossei di specie domestiche, principalmente di ovini. Naturalmente presente il cane, il primo animale addomesticato dall'uomo già a partire dall'epoca mesolitica.
Vi sono inoltre prove dell'esistenza di notevoli rapporti commerciali: ad esempio, a Gerico veniva importata ossidiana dall'Anatolia e una grande varietà di conchiglie per oggetti di ornamento sia dal Mediterraneo che dal Mar Rosso.
La cultura del tardo periodo prefittile, di cui non è stata ancora individuata la regione di origine, è notevolmente estesa, e i suoi limiti cronologici sono compresi fra la prima metà del VII millennio a.C. e la prima metà del VI: essa è stata individuata nella Grecia continentale (a Nuova Nicomedia, in Macedonia, e a Larissa, in Tessaglia), nell'isola di Cipro (a Kirokitia), a Jarmo (nel Kurdistan iracheno), in Siria (a Ras Shamra) e nell'Anatolia meridionale (ad Hacilar).
Nello stesso periodo in cui si svolgevano queste culture in alcune zone del Vicino Oriente era già avvenuta la scoperta della ceramica: questo nuovo prodotto, dalle molteplici applicazioni, rappresenta l'elemento più significativo per la definizione e la classificazione delle culture umane della preistoria più recente, sia neolitiche che delle età seguenti. Lo studio tipologico dei prodotti fittili, che ne considera tutti gli aspetti tecnici e morfologici, come il tipo di impasto, la forma generale dei recipienti e quella degli elementi plastici accessori e infine i particolari tipi di decorazione, è di grandissima utilità non solo per illustrare l'aspetto materiale di ciascuna facies culturale, ma anche per formularne la diagnosi cronologica.
Le più antiche culture ceramiche finora note sono state individuate nell'Anatolia meridionale (a Mersin, Çatal Hüyük, Hacilar) e nella Grecia continentale (a Nuova Nicomedia e a Otzaki, in Tessaglia): in queste regioni già a partire dalla seconda metà del VII millennio si producevano fittili di alta qualità, ben cotti e sovente di sottile spessore. La superficie dei vasi, che era di vario colore, nero, grigio scuro, bruno, rosso, giallo biancastro, poteva essere accuratamente brunita, oppure decorata mediante le tecniche della pittura, dell'impressione e dell'incisione.
Diffusi, in tali culture, l'impiego dell'ossidiana per la fabbricazione di punte di freccia e di lancia e la tecnica di levigatura della pietra per asce o accette; quest'ultima è così caratteristica della civiltà neolitica che si è coniata per essa la definizione di ‛età della pietra levigata'.
Gli insediamenti erano prevalentemente costituiti da villaggi stabili, ma a Çatal Hüyük, nella pianura di Konya in Anatolia, ci troviamo di fronte a una vera e propria città, grande più del doppio della contemporanea Gerico del Prefittile B, con case rettangolari costruite con mattoni di fango su fondamenta di pietra, con pareti intonacate e anche affrescate con scene di caccia e di danze rituali.
Dall'Asia occidentale la diffusione della civiltà neolitica con i suoi fondamentali elementi, lavorazione della ceramica, agricoltura e allevamento del bestiame, avvenne in due principali direzioni, verso occidente e verso nord.
È sempre stata opinione comune che la prima regione nella quale siano pervenute le due nuove forme di economia sia stata la valle del Nilo, raggiunta con ogni probabilità per via terrestre dalla Palestina al basso Egitto. Tuttavia i moderni metodi di datazione sembrano contraddire tale ipotesi, poiché le poche date finora ottenute per le più antiche culture neolitiche d'Egitto, quelle del Fayum e di Merimde, si aggirano intorno alla metà del V millennio, mentre le prime culture neolitiche di altre zone, come il Mediterraneo centrale e la regione balcanico-danubiana, sono state datate intorno tra il 5500 e il 5000.
Molto probabilmente la civiltà neolitica si irradiò dal suo centro di origine con una rapidità sorprendente per dei tempi preistorici: nel corso del VI millennio, infatti, essa penetrò, via terra, nei Balcani e nella Russia meridionale, risalì la valle del Danubio diffondendosi in tutta l'Europa centrale e pervenne nelle regioni più occidentali europee alla fine del V millennio. Più lenta fu, invece, la penetrazione della nuova civiltà nel settentrione d'Europa, dove le culture mesolitiche, che avevano avuto in questa zona una fioritura particolare, perdurarono a lungo, unendosi infine agli apporti neolitici venuti dall'Europa centrale.
Per via marittima, inoltre, i coloni neolitici, che erano anche dei navigatori, raggiunsero, sempre nel VI e V millennio, tutte le coste del Mediterraneo e molte delle sue isole.
Notevoli sfasamenti cronologici presentano invece le prime culture neolitiche delle immense distese territoriali a sud e a est del Vicino Oriente, cioè quelle del continente africano e dell'Asia centrorientale. Quivi il passaggio dall'attività venatoria a quella agricolo-pastorale non soltanto avvenne in tempi diversi da una regione all'altra, ma anche con aspetti dissimili dovuti alle loro particolari condizioni ecologiche, in primo luogo alla presenza di cereali diversi dal grano e dall'orzo, tra l'altro non acclimatabili ovunque.
Pur ammettendo infatti con certezza quasi assoluta che la più antica agricoltura sia quella nata nel Vicino Oriente e che da essa derivino le culture agricole europee, non si può negare che questa invenzione sia avvenuta indipendentemente anche in altri punti della Terra.
Ad esempio, in Africa, ove il bestiame domestico sembra di provenienza dal Vicino Oriente, si ebbero anche coltivazioni indipendenti e autoctone, come quelle del sorgo e del miglio nell'Africa occidentale e dei tuberi nella Guinea e nel Congo. Nè tutti gli abitanti del continente africano divennero agricoltori: ad esempio la fascia sahariana si prestava più all'allevamento del bestiame che all'agricoltura, mentre nell'Africa orientale la vita dei cacciatori nomadi si prolungò fino agli inizi dell'era cristiana.
Anche nel continente americano si sviluppò in modo indipendente la pratica agricola: durante il V millennio, infatti, gruppi umani del Messico e del Perù coltivavano la zucca, il fagiolo e il mais, tutte piante autoctone del Nuovo Mondo.
La diffusione della civiltà neolitica è documentata con particolare ricchezza di dati nelle varie regioni europee, merito soprattutto delle intense ricerche effettuate in questi territori. Si è trattato senza dubbio di una colonizzazione pacifica: i cacciatori-pescatori mesolitici adottarono di buon grado delle innovazioni che li affrancavano dalla loro stretta dipendenza dalle risorse naturali dei luoghi ove vivevano, principalmente dal comportamento della selvaggina, che li costringeva a una vita in gran parte nomade.
La nuova forma di economia, inoltre, contribuì in modo essenziale allo sviluppo delle relazioni sociali dell'umanità, fino ad allora estremamente limitate: l'attività di cacciatore non richiedeva, anzi evitava il concorso di una comunità numerosa. Gli uomini vivevano in piccoli gruppi interamente votati alla dura lotta per l'esistenza, con una suddivisione di compiti molto rudimentale.
Le attività di agricoltore e di allevatore, invece, richiedendo molteplici mansioni, favorirono la specializzazione e la suddivisione del lavoro: inoltre portarono un cambiamento nell'ambito dello stesso nucleo familiare, poiché mentre la caccia era prerogativa esclusiva dell'uomo, nelle comunità agricolo-pastorali la donna acquistò anch'essa un ruolo rilevante, sia come aiuto nel lavoro dei campi sia nella lavorazione della ceramica, che sembra sia stato proprio un compito femminile.
Infine il sedentarismo, oltre a favorire l'incremento demografico, fu il fattore determinante che portò alla formazione e allo sviluppo, nelle successive età dei metalli, dei grandi centri urbani con le splendide civiltà che vi fiorirono.
Le culture neolitiche, pur avendo tutte in comune gli elementi fondamentali che caratterizzano questo periodo, presentano aspetti particolari non solo a seconda delle fasi cr0nologiche in cui esso è suddiviso, ma anche dei territori in cui si svolsero.
Tra i vari elementi culturali quello che meglio si presta per distinguere l'una dall'altra le varie facies è la ceramica, sia per l'abbondanza dei reperti che per la varietà che essa presenta nelle forme e nei motivi decorativi. In minor misura gli altri elementi distintivi sono costituiti dalle industrie litiche (peraltro molto omogenee), dai tipi di abitato, dai riti sepolcrali, dagli oggetti di culto e dalla stessa economia, che può presentare delle varianti legate essenzialmente ai diversi ambienti naturali.
Ad esempio, in alcune aree geografiche come l'Europa occidentale e il bacino mediterraneo, l'attività di caccia perdurò a lungo anche in epoca neolitica e, inizialmente, prevalse su quella agricolo-pastorale. Quivi inoltre si assiste a una complessa fioritura di facies regionali, dovuta sia alla varietà degli apporti esterni che a particolari evoluzioni locali.
In Italia, la più antica cultura neolitica è caratterizzata da una ceramica con forme molto semplici e decorata con impressioni digitali o col bordo di una conchiglia (cultura della ceramica ‛impressa' o ‛cardiale'): essa presenta un carattere abbastanza unitario ed ebbe all'inizio una distribuzione interessante soprattutto le zone costiere della Puglia e le isole dell'Adriatico. Questa prima corrente culturale fu seguita a brevissima distanza da quella, proveniente dal Mediterraneo orientale, con ceramica dipinta, prima a semplici bande o fiamme rosse o brune su fondo chiaro, poi con complessi motivi decorativi geometrici, in cui compaiono il meandro e la spirale. Le culture con ceramica dipinta si diffusero particolarmente nell'Italia meridionale e insulare (vedi le facies di Passo di Corvo, di Capri-Lipari, di Scaloria, di Serra d'Alto): la cultura più settentrionale è quella di Ripoli, in Abruzzo, che presenta anche affinità con facies dalmate.
Contemporaneamente al fiorire di queste culture con ceramica dipinta si ebbe l'affermazione di altre tecniche decorative, quelle dell'incisione a crudo o a cotto (o ‛graffito'), che ebbero un centro assai fiorente anche nel meridione (facies di Matera-Ostuni), ma si diffusero particolarmente nell'Italia centrale e settentrionale (cultura di Fiorano, cultura del ‛vaso a bocca quadrata'). Questa parte del nostro territorio rivela, nelle stesse forme dei recipienti e in altri elementi culturali, evidenti somiglianze con le regioni balcanica settentrionale e danubiana.
Nell'ultima fase del Neolitico, intorno al 3000 a.C., fiorirono invece due culture caratterizzate da vasi inornati, la cultura di Diana, tipica dell'Italia meridionale e insulare, e quella della Lagozza, imparentata con culture coeve francesi e svizzere.
Per ciò che riguarda gli altri elementi culturali delle facies neolitiche italiane, essi presentano una assai minore variabilità: nelle industrie litiche, inizialmente ancora di tradizione mesolitica, si affermarono ben presto i tipici strumenti dell'epoca, tra cui i grandi coltelli silicei, le accette levigate, le macine; le punte di freccia peduncolate comparvero invece nell'ultima fase del Neolitico. L'agricoltura era praticata col sistema più semplice, quello della zappa, e la presenza di pesi da telai in terracotta attesta l'uso della tessitura.
Tra le attività esplicate da genti neolitiche nel nostro territorio spicca quella del commercio dell'ossidiana, cioè del vetro vulcanico ricercatissimo come materia prima in quest'epoca e di cui abbondavano le isole Eolie: lo sfruttamento di questa risorsa naturale determinò in queste isole lo sviluppo di una civiltà neolitica particolarmente prospera.
Esistono anche manifestazioni di carattere cultuale, testimoniate dalla presenza di statuette fittili femminili, simboleggianti la fertilità, e di stampi di argilla, chiamati pintaderas, forse usati per la pittura corporale.
Quanto agli abitati, essi furono sia in grotta o in ripari sotto roccia che all'aperto, in forma di semplici villaggi, con capanne a pianta rotonda o rettangolare, a volte cinti da una trincea di difesa, forse contro animali selvaggi che potevano insidiare gli armenti. A nord, in Lombardia e nel Veneto, comparvero i tipici insediamenti palafitticoli sulle rive dei laghi, comparabili a quelli dei laghi svizzeri e francesi.
Le varie facies culturali del Neolitico italiano possono cssere collocate in un quadro generale di successione cronologica solo nelle grandi linee: è infatti assai difficile stabilire la loro cronologia relativa, avendo avuto durate molto variabili, per i frequenti casi di persistenza di determinate tecniche ceramiche, per le acquisizioni in momenti diversi di tecniche e gusti decorativi particolari, per le specializzazioni o preferenze stilistiche manifestatesi anche nell'ambito di una stessa regione.
La complessità dell'aspetto del Neolitico italiano si ripete, in misura variabile, anche in altri territori europei: una certa uniformità culturale può tuttavia essere riscontrata, all'inizio del Neolitico, nelle vaste pianure dell'Europa centrale, ove fiorì la cosiddetta ‛cultura danubiana', caratterizzata da una ceramica decorata con fasce incise formanti spirali e meandri, e pertanto denominata anche ‛cultura della ceramica a nastro'. È probabile che questa uniformità sia dovuta alla rapida penetrazione, in questi territori, dei nuovi elementi culturali provenienti dal Mediterraneo orientale, attraverso le facili vie fluviali del Vardar, della Morava e del Danubio. Un fattore determinante della loro vasta diffusione spaziale sembra essere stato il sistema ‛estensivo' dell'agricoltura praticata da questi pionieri contadini i quali, una volta sfruttata la fertilità iniziale di determinate estensioni di terreno vergine, si trasferivano in territori contigui. Gli agricoltori danubiani, che coltivavano grano, orzo, piselli, lino, vivevano in villaggi costituiti da una ventina o più di grandi case rettangolari, in legno, lunghe sino a 50 metri. La notevole consistenza dei gruppi umani che vi abitavano era anche dovuta al lavoro di disboscamento effettuato su vasta scala, che richiedeva il concorso di comunità numerose e bene organizzate.
Anche la cultura danubiana, tuttavia, si frantumò ben presto in varie facies culturali, simili nell'economia ma diverse per ciò che concerne la produzione vascolare.
Quanto alle manifestazioni artistiche, esse furono di carattere prevalentemente schematico e simbolico, e dimostrano una mutata mentalità artistica. Notevole è il repertorio di pitture rupestri dislocate nella penisola iberica: molto recentemente un complesso pittorico di rilevante interesse è stato scoperto anche in Italia, nella grotta di Porto Badisco in terra d'Otranto. Assai diffuso il culto della fertilità della terra, cui sono legate le numerose statuette femminili.
Va ricordato che dei centri d'arte fiorentissimi, sia per la quantità che per la qualità dei prodotti, consistenti in pitture e in incisioni rupestri, si formarono in questo periodo nel continente africano, in particolare nella vasta fascia sahariana e nelle regioni sudafricane. È un'arte di popoli cacciatori e pastori, legata a un vivo naturalismo, che perdurò fino in età storica, subendo tuttavia, col trascorrere del tempo, lo stesso processo di mutazione del ciclo artistico preistorico svoltosi in Europa.
8. Età del Rame o Eneolitico
L'età neolitica ebbe una durata variabile a seconda delle diverse aree geografiche, e il suo termine coincide con la scoperta e l'utilizzazione del primo metallo, il rame.
Anche in questo caso sembra che la scoperta sia avvenuta nell'Asia occidentale, ove in culture dell'Anatolia e dell'Iraq, risalenti alla fine del VI millennio, si fabbricavano già dei manufatti di rame (usato però allo stato naturale e martellato a freddo), consistenti in piccoli oggetti come spilli o perle ornamentali.
La pratica della metallurgia, cioè della lavorazione del metallo fuso, fu invece conosciuta intorno al 4000 a.C., epoca in cui, ad esempio, il popolo della cultura irachena di Ubaid già fabbricava delle asce di rame.
Con un millennio di ritardo il rame comparve in Egitto, dapprima sempre allo stato naturale e utilizzato per oggetti di ornamento, nella cultura del Badariano e nel successivo Amratiano, la prima cultura predinastica egizia datata tra il 3800 e il 3600 a.C. La metallurgia vi fu introdotta intorno al 3000 a.C., alla fine cioè dell'età predinastica che segnò l'ingresso dell'Egitto nella storia.
Più o meno nella stessa epoca, vale a dire agli inizi o nella prima metà del III millennio, la metallurgia fu praticata anche da altri popoli del Mediterraneo orientale, sia della Grecia continentale che delle isole (Cipro, Creta, le Cicladi), ove si svilupparono ben presto delle rigogliose civiltà grazie essenzialmente al loro intenso commercio marittimo. Nel Minoico antico dell'isola di Creta il rame era correntemente usato per fabbricare asce e pugnali piatti.
Tuttavia questo metallo, per la sua morbidezza, doveva avere una scarsa funzionalità; così non solo si continuò ovunque a fabbricare armi litiche, ma si sviluppò una tecnica perfezionatissima con la quale si ottennero punte di freccia, di lancia e pugnali con un ritocco quanto mai accurato. A questo largo impiego della pietra come materia prima si deve appunto il termine di Eneolitico, generalmente preferito a quello di età del Rame per indicare questo periodo della preistoria.
Fu proprio grazie a gruppi di commercianti e di navigatori provenienti dal Mediterraneo orientale che l'uso del rame si propagò rapidamente in Europa, penetrando, via terra, nell'Europa centrale e orientale e, via mare, nel Mediterraneo centroccidentale, raggiungendo con altrettanta rapidità Malta, la Sicilia, le Eolie, la Sardegna, le coste tirreniche, la Penisola iberica e la Francia meridionale.
La causa principale di questa esplorazione del Mediterraneo da parte dei navigatori egei fu certamente la ricerca delle fonti del prezioso metallo, di cui abbondava particolarmente la Spagna meridionale. Essi trasportarono con sé molti dei loro elementi culturali, sia di carattere materiale che spirituale, i quali furono tosto adottati dalle popolazioni indigene con le quali vennero a contatto.
Dei numerosi aspetti della religione egea, taluni autoctoni, altri di origine anatolica, si affermò particolarmente il rito dell'inumazione collettiva, associato al culto di una dea-madre.
Questo rito si diffuse largamente in tutto il Mediterraneo, preferito a quello della sepoltura individuale in semplici fosse o in ciste litiche, e subendo anche una notevole evoluzione dal punto di vista strutturale.
Infatti, oltre a tombe in grotticelle artificiali scavate nella roccia oppure in costruzioni circolari di pietre a secco, simili a quelle del mondo egeo, si sviluppò ben presto un'architettura funeraria assai complessa, con costruzioni erette con grandi blocchi di pietra e chiamate perciò megalitiche (dolmen semplici o ‛a corridoio', ‛gallerie coperte'). Diversa era invece la funzione di altri monumenti megalitici il cui elemento fondamentale era costituito dal menhir, cioè da un grande monolito piantato verticalmente nel terreno. I menhir possono oggi ritrovarsi sia isolati, sia riuniti in lunghe file rettilinee (allineamenti) oppure disposti in circolo (cromlech). Si ritiene generalmente che questi monumenti avessero carattere religioso e rituale, che rappresentassero cioè delle specie di santuari, e la loro costruzione era certamente frutto di un grande lavoro collettivo che presupponeva una forte organizzazione gerarchica delle comunità umane.
I monumenti megalitici si diffusero in tutto il Mediterraneo centrale e occidentale e, durante l'età del Bronzo, lungo le coste atlantiche fino alle Isole britanniche e alla Scandinavia.
Al culto della dea-madre erano legate le stele antropomorfe e gli idoletti marmorei di tipo cicladico: il simbolo delle corna, che aveva evidentemente valore di amuleto, trovò larga diffusione in Sicilia, in Sardegna e nella Penisola iberica. Fra gli elementi di cultura materiale introdotti dal traffico commerciale egeo, i più tipici furono i piccoli pugnali, piatti e triangolari, di rame, alcune fogge particolari di vasellame, e l'ascia da battaglia e la testa di mazza forata, ambedue in pietra levigata.
Questi nuovi apporti che l'intenso traffico marittimo diffuse nel corso del III millennio a.C. diedero un notevolissimo impulso allo sviluppo economico e culturale del Mediterraneo centroccidentale, dove fiorirono anche nuove splendide civiltà come quelle megalitiche di Malta e della Sardegna.
Quanto alle culture neolitiche già affermate, esse, sotto la spinta delle influenze straniere, subirono una notevole evoluzione, ma in diversa misura e con aspetti diversi. La forte individualità che caratterizza le culture del periodo eneolitico è dovuta a fattori vari come, ad esempio, la maggiore o minore potenza del substrato culturale antico, o l'intervento di apporti culturali di altra provenienza, come quelli rifluiti dall'Europa centrale.
In questa vasta zona dell'Europa temperata, durante il III millennio, si era venuta infatti operando una notevole trasformazione sia in campo economico che sociale. L'aumento della popolazione e la minore disponibilità dei terreni da sfruttare dal punto di vista agricolo, avevano determinato l'incremento della pastorizia, mentre la competizione per il possesso delle terre sia da coltivare che da adibire a pascolo aveva assunto un carattere sempre più bellicoso: sovente gli insediamenti venivano stabiliti sulla sommità delle colline ed erano muniti di fortificazioni. La stessa struttura sociale subì, in conseguenza di ciò, un mutamento: l'importanza assunta dalla componente maschile nella difesa delle comunità provocò la scomparsa del culto dedicato alla divinità femminile.
All'aumento naturale delle popolazioni indigene dell'Europa centrale si aggiunse poi l'apporto di ondate migratorie di pastori guerrieri, armati di asce litiche da combattimento, alcuni provenienti dai paesi situati tra la Vistola, il Baltico e il Dnepr e caratterizzati da boccali con collo a imbuto, altri originari delle lontane steppe asiatiche e insediati in tutta la zona a nord del Mar Nero. Questi ultimi appartenevano a una cultura detta ‛dei kurgany' (o tumuli), assai vigorosa e di lunga durata, la cui vasta espansione, nella seconda metà del III millennio, nell'Europa centrale e settentrionale, nei Balcani, nel mondo egeo, nel Caucaso, portò grandi cambiamenti nella preistoria europea e dal Vicino Oriente: anche il popolo dei tumuli era armato di asce da battaglia, possedeva cavalli domestici, conosceva il rame e seppelliva i morti, cosparsi di ocra rossa, in tombe a fossa coperte da tumulo.
Nell'Europa centrale, probabilmente nella zona renana, questi gruppi di pastori vennero a contatto con un altro gruppo nomade di mercanti-guerrieri, tuttora indefinibili dal punto di vista etnico, noti come portatori del ‛vaso campaniforme', un prodotto vascolare altamente specializzato, di raffinata fattura, con una tipica decorazione a fasce orizzontali ornate di motivi geometrici incisi. Altri elementi tipici della cultura ‛campaniforme' sono i ‛guardapolsi' ricavati da placchette di pietra, i grandi pugnali silicei, i pugnaletti in rame e i bottoni in osso, pietra o ambra con una particolare perforazione fatta a V, nonché monili d'oro e d'argento.
Questi nomadi, dediti con ogni probabilità al commercio del rame, tra la fine del III e l'inizio del Il millennio percorsero con rapidi spostamenti tutta l'Europa occidentale e centrale.
Tutti questi movimenti di popoli nomadi di pastori o di mercanti-guerrieri contribuirono in modo essenziale ad aprire le vie all'espansione della metallurgia del bronzo, collegando tra l'altro le più importanti sorgenti dei metalli necessari per la sua fabbricazione, come la Penisola iberica, le Alpi austriache e la Slovacchia per il rame, la Boemia, la Sassonia e la Cornovaglia per lo stagno.
La conoscenza del rame sembra essersi affermata in Italia con un certo ritardo, dando l'impressione che in un primo momento il nostro territorio sia rimasto tagliato fuori dal percorso dei navigatori egei alla ricerca del prezioso metallo. Anche in Sicilia all'inizio dell'Eneolitico si svilupparono culture con ceramiche ancora molto legate alla tradizione neolitica; le isole Eolie inoltre stavano attraversando un periodo di decadenza in seguito alla crisi del commercio dell'ossidiana.
A partire dalla seconda metà del III millennio le varie facies culturali italiane rivelano invece chiaramente l'intensificarsi dei contatti con l'Egeo, soprattutto quelle della Sicilia, che divenne tappa necessaria nel cammino verso occidente. Nella penisola fiorirono delle culture proprie di pastori guerrieri, come quelle di Rinaldone e del Gaudo al centro, che mostrano una maggiore complessità di rapporti, sia con l'area egea che con le culture dei Balcani settentrionali e con quella della ceramica campaniforme, probabilmente rifluita dalla Francia meridionale.
9. Età del Bronzo
La scoperta del bronzo avvenne nell'Asia occidentale, dove in Mesopotamia, nella prima fase della civiltà già storica dei Sumeri, databile intorno al 3000 a.C., si lavorava questa lega ottenuta tramite la fusione del rame con una percentuale di stagno.
Qualche secolo dopo, intorno al 2500 a.C., si iniziò l'antica età del Bronzo nel Mediterraneo orientale, che doveva divenire il più importante centro di diffusione del nuovo metallo in Europa.
Verso il 2000 a.C., epoca in cui ebbe inizio la media età del Bronzo, si verificarono grandi rivolgimenti sia nella cultura materiale che nell'organizzazione delle società del mondo egeo. Di particolare rilievo furono le innovazioni che si manifestarono nella civiltà cretese o minoica, allora preminente sulle altre civiltà egee, sia insulari che continentali (Cicladico, Tessalico, Elladico): progressi tecnici nella lavorazione del bronzo e della ceramica (comparsa del tornio), formazione di grandi centri urbani, accentramento del potere politico e religioso nelle mani dei sovrani, creazione di splendidi palazzi, sviluppo delle comunicazioni mediante strade e veicoli con ruote. Fu creata inoltre un'organizzazione statale per amministrare le ingenti ricchezze, che richiese l'adozione di una scrittura, dapprima geroglifica poi lineare, suggerita sicuramente dai contatti con l'Egitto o la Siria, che già la possedevano da un millennio. Praticamente il mondo egeo entra già, nella prima metà del Il millennio, nella storia.
Nel frattempo, mentre Creta andava affermandosi come centro di una grande civiltà, sul continente greco si stava svolgendo il medio Elladico, caratterizzato anch'esso da una netta trasformazione della sua cultura materiale nei confronti della precedente fase e che sembra dovuto a una invasione di popoli guerrieri di provenienza orientale, forse dalle lontane steppe caucasiche, attraverso l'Asia Minore o, come vogliono alcuni, dalla Macedonia. Essi avevano portato con sé un nuovo tipo di vasellame, fabbricato al tornio, di colore grigio (ceramica detta ‛minia') e imitante nelle forme dei prototipi metallici, nonché usanze funebri diverse, cioè sepolture in fosse singole entro l'abitato. Ben presto però la loro cultura cominciò a risentire l'influenza di Creta, a subire cioè quel processo di ‛minoicizzazione' che raggiunse il suo massimo nel corso del tardo Elladico, più comunemente chiamato Miceneo, iniziatosi intorno al 1550 a.C. Ai rapporti con Creta, la civiltà micenea deve, ad esempio, il vasellame dipinto riccamente decorato e la stessa organizzazione politica e sociale (potere accentrato in mano ai re, costruzione di grandi palazzi, sviluppo di centri urbani), mentre esclusivi del Miceneo sono l'introduzione, nella pianta dei palazzi, di un particolare elemento architettonico, il megaron, già presente nella Grecia continentale fin da epoca neolitica, l'uso del carro da guerra trainato da cavalli, le tombe a tholos.
Nel corso del XVI e XV secolo la civiltà micenea raggiunse l'apogeo della sua potenza e prosperità, che culminò nel 1400 a.C. quando la distruzione del palazzo di Cnosso segnò la fine dell'egemonia cretese e l'inizio del predominio miceneo in tutto il Mediterraneo orientale.
L'intensa attività commerciale dei Micenei, nei secoli che videro fiorire la loro civiltà, fu il fattore determinante della espansione e affermazione della metallurgia del bronzo in tutta l'Europa centrale, e della sua diffusione a ovest e a nord, sino alle Isole britanniche e al Baltico.
Si ritiene generalmente che il bronzo sia stato introdotto in Europa verso il 1800 a.C. Tuttavia all'inizio il nuovo metallo non portò grandi mutamenti nell'assetto economico e sociale delle varie comunità agricole e pastorali: per un certo tempo ancora la selce, l'osso, il legno rimasero le materie prime più usate, e le innovazioni di maggior rilievo furono l'aratro tirato dai buoi e il carro con ruote piene, di probabile origine dall'Europa orientale.
L'alto costo del bronzo limitava tuttavia il suo impiego alla fabbricazione degli oggetti più importanti, in primo luogo le asce. Esso era lavorato da artigiani ambulanti, che si spostavano di villaggio in villaggio portando con sé gli arnesi e la materia semilavorata: la loro tecnica metallurgica era chiaramente di origine orientale, e i loro prodotti presentano una certa uniformità tipologica. La distribuzione dei manufatti, effettuata dagli stessi artigiani o da mercanti, utilizzava in parte le vie di comunicazione già aperte dai viaggiatori egei e dai mercanti-guerrieri del vaso campaniforme.
Successivamente si ebbero invece la costituzione di veri centri metallurgici, lo sfruttamento sistematico delle miniere e l'estensione della rete commerciale, che è soprattutto merito dei mercanti micenei.
Questi, per la necessità di procurarsi lo stagno di cui il Mediterraneo orientale era povero, avevano infatti intensificato i loro rapporti con l'Europa centrale, dove trovavano anche da acquistare un altro prodotto assai ricercato cioè l'ambra dello Yütland, la resina fossile che si riteneva dotata di magiche proprietà terapeutiche.
La ‛via dell'ambra' è molto ben conosciuta e ha costituito una delle più importanti direttrici di traffico per la diffusione sia delle industrie che degli altri elementi culturali della civiltà del Bronzo nella maggior parte d'Europa. Dal Baltico, essa percorreva l'Elba fino alla sua confluenza con la Saale, poi, lungo le vallate dei due fiumi, perveniva nel cuore della Boemia e di là, attraverso il Brennero, raggiungeva la valle padana, l'Adriatico e infine il Mar Egeo.
Il commercio dell'ambra determinò tra l'altro la fioritura delle culture danesi e di tutto il Baltico occidentale, procurando a queste zone, prive di giacimenti naturali di metallo, dapprima i manufatti e in seguito i lingotti bronzei che diedero vita a notevoli industrie locali.
L'esportazione, da parte dei Micenei, di un tipico prodotto del Mediterraneo orientale, cioè le perle di maiolica, ha inoltre permesso, studiando la loro distribuzione, di ricostruire il percorso di una seconda importantissima via commerciale dall'Egeo verso occidente, attraverso il Mediterraneo. Essa passava per Malta, la Sicilia, le Lipari, la Francia meridionale, ed evitando la Penisola iberica che sembra in questo periodo tagliata fuori dai grandi traffici, proseguiva attraverso la Garonna e il Morbihan fino alle Isole britanniche, alla ricerca dello stagno, del rame e dell'oro. Da queste due principali vie si diramavano poi dei collegamenti secondari, ad esempio quelli che univano la Britannia al Baltico e alla regione della Saale, o l'Europa centrale ai depositi auriferi della Transilvania.
Lungo queste grandi vie commerciali transeuropee si sviluppò, tra i secc. XVIII e XV, tutta una serie di gruppi culturali distinti, con fiorenti centri metallurgici dai quali usciva una varietà sempre maggiore di prodotti, armi, strumenti, oggetti personali, con proprie originali caratteristiche di forma e di decorazione.
I principali strumenti di bronzo che compaiono ovunque in questo orizzonte culturale sono le asce con margini rialzati e i pugnali con massiccia impugnatura. La ceramica presenta invece in molte aree culturali un vero regresso nei confronti di quella dei periodi precedenti: è di colore scuro, di impasto grossolano, sovente inornata.
La prosperità dei villaggi che fiorirono in questo periodo derivava, oltre che dal commercio, dalla loro intensa attività artigianale, che comprendeva varie specializzazioni: fonditori, vasai, tessitori, scultori. Si assiste inoltre alla nascita di un nuovo ceto sociale, derivante da quello dei pastori nomadi dell'Eneolitico, divenuti semisedentari e predominanti sulle popolazioni agricole locali. Si tratta dei capi guerrieri, la cui ricchezza si basava essenzialmente sulla pastorizia, la quale ebbe un ruolo di particolare rilievo nel mondo economico dell'età del Bronzo e in virtù della quale essi divennero i principali acquirenti degli oggetti di bronzo, d'oro, di materie preziose. Lo testimoniano le loro tombe provviste di arredi funebri ricchissimi, in cui ai prodotti locali si uniscono quelli importati dai centri culturali più progrediti, in primo luogo dal mondo miceneo.
Tra i vari gruppi culturali, uno dei più importanti e diffusi fu quello centroeuropeo di Unĕtice in Boemia, iniziatosi nel sec. XVIII e caratterizzato, nel corso dei secc. XVII e XVI, da una eccezionale abbondanza di prodotti metallici e da un florido commercio.
La cultura di Unetice si estese nella Bassa Austria, nella Slovacchia, in Polonia, nonché nella regione compresa tra i fiumi Saale e Warta, ove fu adottata dai locali pastori guerrieri sassoni-turingi i quali hanno lasciato dei tumuli funerari di personaggi regali con particolare ricchezza di corredi, comprendenti tra l'altro pesanti bracciali, grandi spille e anelli a spirale d'oro. La prosperità di questa zona era dovuta, oltre che alla sua posizione geografica all'incrocio di grandi vie di comunicazione, al commercio del sale.
Altra cultura contemporanea di Unetice fu quella di Wessew, in Inghilterra, ricca anch'essa di tutta una gamma di costosi accessori, fra cui sottili piastre auree da cucire sugli abiti, amuleti in ambra e in oro, collane a forma di mezzaluna, coppe in materiali preziosi, d'oro, d'ambra, di schisto. Anche questi prodotti appartenevano a un'aristocrazia guerriera che, a testimonianza della propria ricchezza, ampliò e arricchì uno dei più grandiosi monumenti megalitici della preistoria, quello di Stonehenge, presso Salisbury, dalla struttura alquanto complessa e la cui prima fase costruttiva sembra risalire all'epoca in cui pervenne, nelle Isole britanniche, la cultura del vaso campaniforme.
I secc. XV e XIV furono caratterizzati dalla graduale adozione, da parte delle popolazioni dell'età del Bronzo dell'Europa centrale, di una nuova pratica funeraria, quella dell'incinerazione, con seppellimento dei resti dei defunti entro urne cinerarie fittili, pratica che ebbe probabilmente il suo centro di origine in Ungheria. Intorno al 1400 a.C. questo rito era diffuso su tutta l'area compresa fra il Reno e il Dnepr, tra il Mar Baltico e il Basso Danubio, e le province culturali che vi si trovano incluse sono riunite sotto la generale denominazione di ‛civiltà dei campi di urne'. Essa si irradiò rapidamente, intorno alla metà del XIII secolo, verso la Francia, l'Italia, la Spagna, i Balcani: siamo in presenza, ormai, di vere e proprie ondate migratorie che durarono parecchi secoli e si protrassero anche oltre l'inizio dell'età del Ferro. Si suppone anche che si debba trovare proprio in una espansione di popoli venuti dall'Europa centrale la causa del crollo della civiltà micenea avvenuto tra i secc. XII e XI a.C.
La potenza di espansione della civiltà dei campi di urne si basò anzitutto sul grande aumento della popolazione, e in secondo luogo su una più ampia utilizzazione dei veicoli trainati da cavalli, nonché su un più efficace armamento.
Il perfezionamento tecnico e l'incremento della produzione dei manufatti di bronzo, non solo delle armi ma anche degli attrezzi per le opere di disboscamento e per il lavoro dei campi, favorirono il rifiorire dell'economia agricola, facilitata altresì dall'uso ormai generalizzato dell'aratro tirato da buoi. Si instaurò quindi un tipo di economia mista, agricola e pastorale, che sembra avere, tra l'altro, ricondotto a una certa uniformità sociale, con una ben più equa distribuzione della ricchezza. Nei ‛campi di urne', infatti, non si rilevano differenze notevoli nei corredi funebri delle varie tombe, come si era invece notato tra le popolazioni pastorali dell'antica età del Bronzo.
Il repertorio dei prodotti metallici divenne vastissimo. Il carattere guerriero dei popoli dei campi di urne è dimostrato dalla profusione degli oggetti di armamento; compaiono le lunghe spade a doppio taglio laterale, gli elmi, gli schinieri, i finimenti per cavalli, mentre tra gli oggetti personali spiccano le fibule, i rasoi, le spille.
Quanto alle manifestazioni religiose dei popoli dell'età del Bronzo, esse consisterono principalmente in due culti, uno collegato al loro spirito guerriero (culto dell'ascia), l'altro al carattere patriarcale della loro società (culto di una divinità maschile simboleggiata dall'immagine taurina o semplicemente dalle corna). Grande importanza ebbero inoltre i culti naturalistici del sole, dell'acqua, della montagna, mentre perdurò e si affermò quello della divinità femminile, probabile protettrice dei sepolcri, riprodotta sulle stele antropomorfe e già presente a partire dall'età eneolitica. Molti simboli schematici rappresentanti questi vari oggetti di culto furono incisi sui dolmen e anche all'aperto, sulle rocce, come le celebri incisioni rupestri del Monte Bego (Alpi Marittime) e della Valcamonica.
In Italia la prima età del Bronzo, iniziatasi sempre intorno al 1800 a.C., vide evolversi a settentrione, nelle pianure della Lombardia, del Veneto e di parte dell'Emilia, un centro culturale assai fiorente, quello di Polada, che ebbe un suo sviluppo autonomo pur non mancando di rapporti esterni, soprattutto con la cultura di Unĕtice, rivelati dalle affinità tipologiche dei manufatti bronzei. Il popolo della Polada, che viveva prevalentemente in abitati lacustri, praticava un'economia mista di caccia, di pesca, di agricoltura e di allevamento del bestiame, nonché molteplici attività artigianali (vasai, tessitori, lavoratori del legno): la metallotecnica in particolare raggiunse un alto grado di specializzazione.
L'influenza della cultura della Polada si diffuse in tutta la penisola italiana, ove si ritrovano un po' ovunque molti dei suoi tipi vascolari e metallici. L'Italia centromeridionale si rivela, in questo periodo, frazionata in vari centri culturali eterogenei, alcuni costituiti da attardamenti di precedenti facies eneolitiche, altri propri di comumtà nomadi di pastori, oppure di gruppi dediti allo sfruttamento delle miniere di rame della Toscana, alla lavorazione di oggetti metallici e al relativo commercio dei prodotti finiti.
La Sicilia presenta anch'essa varie facies culturali (fra cui emerge quella di Castelluccio, con una ricca ceramica dipinta), che mostrano evidenti rapporti con la Grecia del medio Elladico e con le culture maltesi. La via percorsa sempre più intensamente dai navigatori egei diretti verso occidente per raggiungere le lontane miniere di stagno delle Isole britanniche mantenne ancora per qualche secolo molto strette le relazioni tra Sicilia, Eolie e Mediterraneo orientale.
A partire dalla media età del Bronzo, probabilmente intorno al 1600 a.C., ebbe inizio nella nostra penisola un graduale processo di unificazione culturale che si manifestò con una civiltà che, interessando le regioni lungo la dorsale dell'Appennino, dall'Emilia alla Calabria, ha preso il nome di ‛appenninica': essa è caratterizzata da un'attività prevalentemente pastorale e da una ceramica nera con ricca decorazione incisa a punteggio, a tratteggio o a intaglio, sovente ravvivata da incrostazioni di colore bianco.
È probabile si debba al relativo nomadismo connesso alla sua economia la diffusione su così vasta area degli elementi culturali appenninici e il loro aspetto alquanto unitario. Questa cultura, inoltre, che si sviluppò tra i secc. XV e XIII a.C., è considerata come del tutto originaria della penisola italiana, derivata cioè direttamente dalle facies del primo Bronzo delle regioni centromeridionali del nostro territorio; essa è stata tra l'altro datata dalla presenza di prodotti importati tardo-micenei.
Nel settentrione, invece, la media e tarda età del Bronzo furono caratterizzate dall'ulteriore sviluppo della cultura palafitticola lombardo-veneta e dalla cosiddetta ‛cultura terramaricola', i cui insediamenti furono stabiliti nella valle padana e concentrati soprattutto a ovest del Panaro, nelle province di Reggio Emilia, Parma e Modena. Il popolo delle terramare, che erano dei villaggi estesi su un'area da uno a tre ettari, era dedito all'agricoltura e all'allevamento del bestiame, aveva elaborato fogge ceramiche proprie, tra cui un particolare sviluppo plastico delle anse dei vasi, ed esplicava un'intensa attività metallurgica, bene organizzata, nonché quella della lavorazione dell'osso e del corno. Inoltre, fatto assai importante, i terramaricoli praticavano il rito della cremazione dei defunti, certamente rifluito, insieme ad altri elementi culturali, dalla civiltà centroeuropea dei campi di urne.
Sembra si debba attribuire a contatti avvenuti nella zona emiliana tra le popolazioni delle terramare e gruppi di pastori appenninici l'aspetto nuovo assunto dalla cultura appenninica nella sua fase più recente, databile a partire dal 1250 circa a.C. e detta anche ‛subappenninica', che si manifestò con l'ibridazione dell'economia, divenuta agricolo-pastorale, con la perdita della tradizione ornata dei prodotti fittili e lo sviluppo di anse plastiche di varie forme.
Il mondo della Sicilia e delle isole Eolie presenta, in queste stesse fasi dell'età del Bronzo, tutta una complessità di aspetti culturali e di avvenimenti. Gli elementi appenninici presenti nella cultura eoliana del Milazzese, databile da importazioni di oggetti micenei tra il 1400 e il 1250 a.C., rivelano l'esistenza di relazioni con la penisola italiana, oltre ai rapporti col Mediterraneo orientale; la coeva cultura siciliana di Thapsos appare connessa, oltre che col mondo egeo, con l'isola di Malta.
All'inizio del Bronzo recente queste relazioni con la nostra penisola persero il loro carattere pacifico e assunsero invece l'aspetto di invasioni ostili. A subirne gli effetti concreti furono le Eolie, dove i villaggi del Milazzese furono violentemente distrutti da genti provenienti dal continente, e nei quali si sogliono riconoscere gli Ausoni, popolo leggendario dell'Italia centromeridionale che, secondo Diodoro Siculo, avrebbe appunto colonizzato le Eolie e dato il nome a Lipari (da Liparo, figlio del re Auson). La cultura che vi si svolse tra il 1250 e il 1150 è in effetti di tipo ‛subapenninico', identica alla coeva facies culturale della penisola.
La Sicilia non fu raggiunta dall'invasione ausonia, ma risentì certamente di un'atmosfera di pericolo, come sembra attestare la concentrazione dei suoi abitati in vasti agglomerati situati di preferenza su roccaforti naturali. Pur subendo incursioni da parte dei Siculi, altro popolo di origine peninsulare, l'isola maggiore rimase a lungo legata al mondo egeo, fino a circa il 1000 a.C., dopo di che rientrò nella sfera del commercio fenicio e, infine, della colonizzazione greca.
La fase terminale dell'età del Bronzo (secc. XI-X), in cui culmina il processo di unificazione culturale della penisola, vide diffondersi nel nostro territorio il rito funebre della cremazione, con ceneri raccolte in urne fittili coperte con una ciotola capovolta e interrate in cassette formate da lastre di pietra. Siamo ormai in presenza di vere e proprie necropoli, con aspetti del tutto simili ai campi d'urne del resto d'Europa: insieme al rito, furono assimilati altri elementi culturali, quali la tipica decorazione a solcature della ceramica e fogge particolari di manufatti bronzei. Si trattò di una penetrazione non violenta, ma graduale, come dimostra la coesistenza, in talune necropoli, di tombe a inumazione e tombe a incinerazione.
A questo periodo di transizione tra le culture del Bronzo e quelle dell'età del Ferro è stato dato il nome di Protovillanoviano, per porre in evidenza l'identità del rito funebre di queste necropoli ancora dell'età del Bronzo e di quelle villanoviane della prima età del Ferro.
Durante l'età del Bronzo, infine, maturò in Sardegna la formazione della splendida e autonoma civiltà nuragica, che raggiunse il suo apogeo nel periodo corrispondente al Bronzo finale e all'età del Ferro della nostra penisola.
10. Età del Ferro
Gran parte delle culture dell'età del Ferro appartengono, più propriamente, alla protostoria. Il ferro è anch'esso di origine asiatica: scoperto probabilmente in Anatolia, nelle regioni situate lungo le rive meridionali del Mar Nero, esso cominciò ad avere un largo impiego nella metallurgia intorno al sec. XIII a.C. Inizialmente monopolio degli Ittiti e da loro trasmesso agli Egiziani, si diffuse poi rapidamente in tutto il bacino dell'Egeo.
La prima regione europea in cui furono introdotti i manufatti di ferro fu dunque la Grecia, già entrata nella storia in età micenea e nella quale, a partire dal sec. XII, stava evolvendosi la cultura del Protogeometrico.
È incerta la data della prima penetrazione del ferro nell'Europa centrale: forse sporadicamente esso poté fare la sua comparsa già intorno al 1000 a.C. Comunque dopo circa un secolo, a partire dal 900 a.C., la metallurgia del ferro era praticata dai Villanoviani e dalla civiltà centroeuropea di Hallstatt.
Mentre l'età del Bronzo italiana è stata caratterizzata da una relativa omogeneità culturale, nell'età del Ferro l'Italia si presenta suddivisa in varie culture regionali, proprie di quei gruppi etnici che diventeranno i protagonisti delle successive età storiche, come i Liguri (cultura di Golasecca), i Veneti (cultura atestina), i Piceni (cultura picena), i Latini (cultura laziale), gli Japigi (cultura apula).
Nel corso del sec. VIII, con la nascita della civiltà etrusca e con la fondazione, nelle regioni centromeridionali, di centri urbani per effetto della colonizzazione greca del periodo ‛geometrico', la maggior parte della nostra penisola entra nella storia.
L'età preistorica si protrasse invece ancora a lungo nel resto d'Europa. Nell'Europa centrale la civiltà di Hallstatt si diffuse dall'Austria alla Francia e perdurò sino al sec. VI a.C. Benché la maggior parte della sua popolazione discendesse direttamente da quella della civiltà dei campi di urne, essa aveva una classe dirigente di diversa estrazione, forse immigrata dall'est, che instaurò una società di tipo ‛feudale', attestata dalle sue sedi fortificate, in genere situate su alture, e dalle ricchissime tombe dei suoi capi, coperte da imponenti tumuli, nelle quali i defunti venivano inumati col loro carro da guerra e corredati da preziose suppellettili, tra cui sono stati trovati anche alcuni oggetti di importazione greca ed etrusca.
A partire dal sec. V a.C. la civiltà hallstattiana si evolse in quella di La Tène, propria dei Celti, unitaria e nazionale, che segnò il sorgere di centri urbani e ampliò grandemente la sua area di espansione nell'Europa centrale e occidentale. Famosa per i suoi splendidi prodotti metallici e ceramici dalla ricchissima e fantasiosa decorazione, nei quali è possibile scorgere il contributo di stili greci, etruschi, sciti, ma elaborati con un raffinato gusto originale, la civiltà di La Tène, con le sue grandi migrazioni, determinò il dislocamento dei vari gruppi etnici europei quali si presentarono alla conquista romana, con cui fecero il loro ingresso nella storia.
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