Preistoria
sommario: 1. Introduzione. 2. Gli inizi del popolamento. 3. Dall'Africa all'Europa: un problema di sfasamento cronologico tra culture affini. 4. Isernia La Pineta e le più antiche testimonianze di strutture di abitato. 5. La diffusione spazio-temporale dell'Acheuleano. 6. Aspetti culturali nel Pleistocene medio: l'insediamento, le attività di sussistenza, il fuoco. 7. Tecnologia, stile e province culturali. 8. Le altre tradizioni litiche: parallelismi culturali, attività differenziate o bias nella documentazione? 9. La transizione. 10. I protagonisti. □ Bibliografia.
1. Introduzione
L'aspetto geografico del continente europeo un milione circa di anni fa non doveva essere a grandi linee significativamente diverso da quello che possiamo osservare ai nostri giorni. Unitamente alle conseguenze degli ultimi episodi di orogenesi, che portarono all'attuale configurazione dei rilievi, le piccole differenze evidenziabili al livello della linea di riva dei paesi mediterranei giocarono molto probabilmente un ruolo importante nella genesi del primo popolamento dell'Europa o quanto meno favorirono, diversificandole, le possibili vie di accesso al continente.
Come in altre fasi del Quaternario, le variazioni climatiche che caratterizzarono questa era ebbero tra l'altro l'effetto di far variare considerevolmente la profondità del mare a causa delle enormi masse di ghiaccio continentale sottratte o aggiunte alle acque. Recenti calcoli, effettuati per esempio per l'ultimo glaciale, tra 27.000 e 15.000 anni fa (v. Shackleton e altri, 1984), mostrano che nell'intervallo compreso tra 23.000 e 15.000 anni fa l'entità dell'abbassamento del livello del mare variò in media tra 100 e 130 m in aree non affette da instabilità tettonica o compensazioni isostatiche conseguenti alle fluttuazioni nel peso dei ghiacciai, mentre il successivo innalzamento del mare nel periodo compreso tra 15.000 e 9.000 anni fa portò, verso quest'ultima data, a una configurazione paleogeografica delle coste non troppo dissimile dall'attuale.
Queste variazioni del livello marino, con la conseguente emersione di ponti continui di terre o di isole contigue, permisero più di una volta nel corso del Quaternario la formazione di vie di transito che consentirono migrazioni di faune e di gruppi umani verso aree geografiche prima inaccessibili. Fu così che in epoche molto diverse furono raggiunte terre quali Giava, il Giappone, l'Australia, il continente americano, la Gran Bretagna, la Sicilia, la Sardegna, attualmente isolate dal mare.
Secondo l'ipotesi generalmente condivisa di un'alloctonia delle prime manifestazioni europee di attività strumentale, la provenienza delle stesse nel corso del Pleistocene inferiore e medio può aver seguito diverse direttrici, attraverso il Vicino Oriente e l'Europa centromeridionale o attraverso due istmi o ponti di terre emerse meridionali: uno, tra il Marocco e la Spagna, avrebbe potuto collegare le attuali regioni tra Tangeri e Tarifa; l'altro, attraverso il Canale di Sicilia, avrebbe offerto un possibile collegamento tra il Capo Bon in Tunisia e la costa tra Trapani e Marsala (v. Alimen, 1975).
Sull'esistenza e sull'effettiva consistenza di queste due vie di transito meridionali e sul momento in cui esse furono transitabili non vi e tuttavia generale accordo fra i diversi autori; altrettanto discussa è la questione se la distribuzione sudeuropea di un particolare tipo di strumento d'epoca acheuleana quale l'hachereau, di vasta diffusione africana, costituisca una sorta di dimostrazione dell'esistenza di questo collegamento Africa-Europa (ibid.), per lo meno in epoca rissiana, o non sia invece più semplicemente dovuta a fattori inerenti alla disponibilità di materia prima di forma e dimensioni particolari (v. Villa, 1983).
2. Gli inizi del popolamento
Qualunque sia stata o siano state le vie di penetrazione in Europa, è certo che intorno alla soglia di un milione di anni fa alcuni siti testimoniano una presenza diffusa ma ancora sporadica di gruppi umani nelle regioni centromeridionali del continente.
La testimonianza archeologica e paleontologica del sito di Chilhac, vicino Brioude in Alvernia (Francia), costituisce finora l'unica eccezione a questo limite cronologico. Per questo sito, segnalato fin dal 1875 e nel quale le ricerche sono riprese poco più di un decennio fa (v. Guth e Chavaillon, 1985) è difficile tuttavia garantire l'effettiva associazione tra i pochi ciottoli sicuramente tagliati dall'uomo e le faune provenienti dallo stesso deposito di pendio; queste ultime, tra le quali figurano crani di Elephas meridionalis e di Anancus arvernensis, riflettono una tipica associazione villafranchiana che si colloca cronologicamente intorno, se non oltre, un milione e mezzo di anni fa.
In altri giacimenti francesi (grotta del Vallonnet a Roquebrune Cap-Martin) e iugoslavi (grotta di Sandalja vicino Pola) i complessi faunistici riferibili alla fine del Pleistocene inferiore, o agli inizi del medio, sono con maggiore sicurezza associabili con lo scarso strumentario litico proveniente dagli stessi depositi. Secondo i dati ricavabili sulla base dello studio paleomagnetico del deposito del Vallonnet, il secondo riempimento continentale di questa grotta, dal quale provengono le faune e l'industria, si sarebbe formato in un periodo corrispondente all'episodio positivo di Jaramillo, in un'età quindi compresa tra 970.000 e 900.000 anni fa (v. de Lumley e altri, Grotte ..., 1976). Della stessa età, o di poco più antica, sarebbe la breccia ossifera scavata a Sandalja da M. Malez (v., 1976), dalla quale provengono anche due ciottoli (uno dei quali con distacchi intenzionali, l'altro con picchiettature sulla superficie apparentemente dovute ad azione umana) e un primo incisivo superiore sinistro umano che costituirebbe, malgrado l'impossibilità di una sua più esatta determinazione a livello specifico, la prima documentazione di resti umani nel continente europeo, qualora la sua età potesse essere confermata da ulteriori dati.
Numerosi siti di superficie, in gran parte datati relativamente sulla base dei terrazzi alluvionali sui quali insistono, sono probabilmente coevi a questi giacimenti con contesto paleontologico, ma a differenza di questi, o per le condizioni di giacitura, o per la loro originaria natura di siti all'aperto, o ancora per altri motivi che ci sfuggono, sono caratterizzati unicamente da concentrazioni talvolta quantitativamente spettacolari di manufatti litici tipologicamente poco differenziati.
Questa tecnologia diffusa e uniforme che copre vastissime aree del continente europeo e un lunghissimo arco di tempo valutabile in circa mezzo milione di anni, è nota col termine vago di pebble culture o di Preacheuleano ed è ampiamente documentata, per citare solo qualche esempio, in centinaia di siti nel Roussillon (terrazzi del Tet) e in Catalogna (terrazzi del Ter) (v. Tavoso, 1976), vicino Carmona (Siviglia) sui terrazzi del Guadalquivir (v. Bordes e Viguier, 1969), a Puerto di Santa Maria a nord-est di Cadice (v. Bordes e Viguier, 1971), a Münzenberg (Assia meridionale) in Germania (v. Krüger, 1959), nelle alluvioni del Dirjov in Romania (v. Nicolaescu-Plopsor, 1963), a Colle Marino, Arce e Fontana Liri, Castro dei Volsci lungo la valle del paleo-Sacco nel Lazio meridionale (v. Biddittu e Segre, 1982), a Casella di Maida vicino Catanzaro (v. Gambassini e Ronchitelli, 1984).
Lo spettro tipologico di questi complessi comprende una percentuale generalmente molto alta di strumenti su ciottoli di quarzo, quarzite, calcare e selce, choppers di vario tipo, monofacciali e bifacciali, poliedri, rabots e grattatoi spessi, sovrabbondanti rispetto ai rari strumenti su scheggia tra i quali compaiono denticolati, intaccature clactoniane e ritoccate, raschiatoi ottenuti con ritocco sommario e irregolare su supporti altrettanto irregolari per forma e dimensioni.
L'impressione che se ne ricava è di complessi di un'estrema monotonia tipologica, privi di reali innovazioni tecnologiche per lo meno fino a quelli riferibili al secondo glaciale di Mindel. Nella sua configurazione complessiva questa prima attività strumentale in Europa richiama l'Olduvaiano africano per quanto riguarda la produzione di strumenti su ciottolo, ma ne rappresenta una versione estremamente impoverita rispetto alla varietà tipologica e alla componente su scheggia che costituiscono aspetti essenziali dell'Olduvaiano.
In epoca corrispondente al primo interglaciale cromeriano (Günz-Mindel) alcuni siti europei con industria litica e contesto paleontologico mostrano l'emergere di un phylum tecnologico con elementi innovativi o per lo meno differenziati rispetto alla pebble culture.
I tecnocomplessi dei siti di Stránská Skalá (v. Musil e Valoch, 1968), Prezletice (v. Fejfar, 1976) e Becov (v. Fridrich e Smoliková, 1976) in Cecoslovacchia, e di Monte Peglia (Umbria) in Italia (v. Piperno, The Monte Peglia..., 1972) presentano infatti diversi manufatti su scheggia, spesso ritoccati, accanto a una più modesta percentuale di strumenti tagliati su frammenti naturali di rocce locali quali la quarzite e la ftanite, equiparabili agli strumenti su ciottolo della pebble culture. È stata giustamente sottolineata l'importanza di questa prima dicotomia culturale e tecnologica osservabile, già in epoca così arcaica, nell'ambito delle prime manifestazioni di attività strumentale in Europa (v. Valoch, 1976; v. Fridrich, 1976; v. Piperno, Presenza di..., 1972); come si vedrà più avanti, il Paleolitico inferiore europeo appare infatti caratterizzato da una continua sovrapposizione sincronica di tradizioni tecnico-tipologiche diverse, la cui interpretazione è di basilare importanza per comprendere la dinamica culturale del più antico popolamento di questo continente, anche in relazione alla specie umana che di questo popolamento fu responsabile e che resta finora del tutto priva di identità.
3. Dall'Africa all'Europa: un problema di sfasamento cronologico tra culture affini
Nel confronto archeologico tra due culture o tradizioni litiche affini devono essere considerate nella loro reciproca interdipendenza due variabili, quella cronologica e quella geografica.
È generalmente ritenuto probabile, e la supposizione si basa sull'interpretazione complessiva delle testimonianze preistoriche del Vecchio Mondo, che un movimento di trasmissione di dati culturali e tecnologici, al seguito di una migrazione di gruppi umani dall'Africa, sia avvenuto intorno a 1,5 milioni di anni fa. Nessuna regione dell'Eurasia presenta prima di questa data una benché minima traccia indiscutibile di presenza umana, mentre le savane dell'Africa meridionale e orientale sono, nello stesso periodo e da lungo tempo, popolate da una moltitudine di ominidi nell'ambito della quale, proprio su questa soglia cruciale di 1,5 milioni di anni fa, possono addirittura essere coesistite specie diverse.
In un ambiente relativamente poco influenzato da variazioni climatiche di grossa portata l'adattamento a una nicchia ecologica favorevole, quale dovette essere appunto la savana, non presento problemi insolubili. Se l'inizio dell'attività strumentale in Africa orientale può datarsi intorno a poco meno di 3 milioni di anni fa, la piena maturità tecnologica e culturale dell'Olduvaiano è evidente intorno ai 2 milioni di anni fa e fino a circa 1,4/1,3 milioni di anni, epoca in cui la struttura tipologica, il modo di vita, l'organizzazione e la scelta dell'ubicazione dei campi base e dei siti di occupazione più occasionale mostrano un insieme di mutamenti che insensibilmente preannunciano il grande ciclo acheuleano. Queste manifestazioni culturali coincidono cronologicamente con la comparsa delle prime forme di Homo erectus che intorno a 1,5 milioni di anni fa sostituiscono il primo rappresentante del genere Homo, il cosiddetto Homo habilis, noto da resti fossili rinvenuti in diverse località dell'Africa meridionale e orientale e generalmente considerato il responsabile, o quanto meno uno dei più plausibili responsabili, delle più antiche testimonianze archeologiche in questo continente. La diffusione dell'Acheuleano appare pertanto verosimilmente correlata alla diffusione dei primi rappresentanti africani di Homo erectus e questa stessa specie umana, secondo l'interpretazione più corrente, estenderà il proprio habitat a tutto il continente eurasiatico, nel periodo compreso tra 1 milione e mezzo e 1 milione di anni fa.
L'evidenza archeologica sembra contrastare tuttavia, per certi aspetti, con l'ipotesi ora riportata di questa diaspora di Homo erectus nel Vecchio Mondo. Come si è visto, le prime testimonianze strumentali in Europa non sono infatti acheuleane, ma ricordano piuttosto tecniche di taglio e tipi olduvaiani, mentre la comparsa dell'Acheuleano in Europa non risale oltre gli inizi del Pleistocene medio, intorno a 700.000 anni fa, con un ritardo quindi di quasi un milione di anni rispetto all'Acheuleano africano.
È in via teorica possibile sostituire il modello monodiffusionistico ora esposto con l'ipotesi di una duplice diaspora, che abbia portato a un primo popolamento del continente eurasiatico da parte di gruppi umani in epoca preacheuleana e a una successiva diffusione di gruppi acheuleani nelle fasi iniziali del Pleistocene medio; tuttavia, l'assenza in Europa di fossili umani associati alla pebble culture non ci consente finora di conoscere quale tipo umano ne sia effettivamente responsabile, e d'altra parte la stessa cronologia di queste prime forme strumentali europee non risale al momento attuale oltre la soglia di un milione di anni.
4. Isernia La Pineta e le più antiche testimonianze di strutture di abitato
La monotonia e la frammentarietà dei dati relativi ai primi 2 o 300.000 anni di popolamento dell'Europa riflettono molto probabilmente più una grave insufficienza nella documentazione archeologica che non la situazione reale. In tali condizioni il livello interpretativo è necessariamente limitato al tentativo di inserire in un soddisfacente schema cronologico un insieme di dati tipologici sostanzialmente ripetitivi. L'entità di questa lacuna può essere valutata attraverso il confronto sia con la consistenza dei dati che in epoca corrispondente offre il continente africano, sia con le testimonianze disponibili da pochi anni nel sito di Isernia La Pineta nel Molise, cui una serie di datazioni assolute K/Ar, confermate dai risultati dello studio paleomagnetico, attribuiscono un'età di circa 730.000 anni (v. AA. VV., 1983).
Questa enorme presenza di resti faunistici e di industria litica diffusa su migliaia di metri quadri rappresenta, con i suoi due livelli di frequentazione, il primo esempio macroscopico e integro, in Europa, del modo di vita di gruppi umani del Paleolitico inferiore in epoca di poco posteriore alle primissime fasi del popolamento del continente.
La tecnologia di Isernia mostra innegabili collegamenti con i più antichi complessi litici europei dei quali ripete, in percentuali ancora alte, la produzione di uno strumentario su ciottoli calcarei. Essa è, tuttavia, per due aspetti innovativa rispetto ai primi: da una parte troviamo una diffusa produzione di schegge e strumenti su scheggia di selce, con una sorta di standardizzazione tipologica relativa al gruppo dei denticolati e delle intaccature; dall'altra una netta dicotomia nell'utilizzazione contemporanea e complementare di due tipi di materia prima, il calcare e la selce, con una destinazione funzionale già nettamente diversificata. La tecnologia di Isernia può essere considerata come un'industria di transizione verso i tecnocomplessi di fasi più avanzate del Pleistocene medio.
È difficile, anche per lo stato iniziale dello scavo e dei rapporti finora disponibili, avanzare un'interpretazione plausibile della concentrazione di fauna e industria a Isernia.
Sin da quando, come conseguenza del lavoro pionieristico di L.S.B. e M. D. Leakey a Olduvai, è stato constatato che la configurazione spaziale di resti ossei e industrie in siti in contesto primario può non essere casuale e riflettere al contrario una disposizione intenzionale dei resti, dipendente dalle diverse attività che avevano avuto luogo sul suolo di abitato, lo studio di questa organizzazione spaziale è stato oggetto di particolare attenzione nei maggiori cantieri di scavo.
La presenza di possibili strutture di abitato, di una modificazione artificiale del suolo di frequentazione o di una disposizione non casuale dei resti è stata osservata in numerosi siti del Paleolitico inferiore: in Africa a Melka Kunturé (v. Chavaillon e altri, 1979), a Gadeb (v. Clark e Kurashina, 1979) e a Olorgesaile (v. Isaac, 1977); in Asia a Ubeidja (v. Bar-Yosef; 1973), a Chirki on Pravara (v. Corvinus, 1973) e a Latamne (v. Clark, 1968); in Europa a Soleilhac (v. Bonifay e Bonifay, 1981), ad Aldène (v. Barral e Simone, 1972), a Tautavel (v. de Lumley e Boone, 1976), a Lunel-Viel (v. Bonifay, 1976), a Terra Amata (v. de Lumley, A Palaeolithic ..., 1969), nei livelli rissiani della Baume Bonne (v. de Lumley e Boone, 1976), al Lazaret (v. de Lumley, Une cabane ..., 1969), a Orgnac (v. Combier, 1967), a Torralba e Ambrona (v. Howell, 1966), a Bilzingsleben (v. Mania, 1974), a Castel di Guido (v. Pitti e Radmilli, 1984), a Venosa Loreto (v. Chiappella, 1964; v. Barral e altri, 1978) e a Venosa Notarchirico (v. Piperno e Segre, Pleistocene..., 1982), per citare i più noti.
Un atteggiamento prudentemente contrario a questa proliferazione di strutture vere o presunte (v. Villa, 1977), in qualche caso sorretto da una documentazione negativa difficilmente confutabile (v. Villa, 1983), costituisce un opportuno richiamo contro interpretazioni del dato archeologico in cui le ipotesi appaiono talvolta azzardate. Considerazioni dello stesso genere sembrano emergere da un recente contributo (v. Isaac, 1984) relativo agli aspetti archeologici del periodo delle origini dell'Uomo in Africa orientale, in cui, a proposito delle strutture di abitato, si sottolinea opportunamente come si operi sovente una sorta di proiezione retrospettiva di modelli culturali, di uomini e società attuali o subattuali nel mondo di Homo erectus sulla base del presupposto, possibile ma non dimostrato, di una fondamentale continuità, dalle origini a oggi, nel comportamento umano e nell'organizzazione sociale che di questo comportamento è una conseguenza.
Le ipotesi di strutture di abitato, fondi di capanna o bonifiche di suoli a scopo di drenaggio e di isolamento dall'umidità sottostante (secondo appunto l'ipotesi avanzata per Isernia) rappresentano la nostra gamma di risposte concettualmente possibili al dato archeologico e come tali vanno intese, più che come interpretazioni di situazioni archeologiche la cui natura appare in realtà, molto spesso, ancora inspiegabile.
5. La diffusione spazio-temporale dell'Acheuleano
Nella sua più larga accezione il termine ‛Acheuleano', usato per la prima volta da O. de Mortillet nel 1873 per l'industria del sito di Saint-Acheul, è comunemente riferito a complessi caratterizzati dalla presenza di un particolare strumento noto col nome di amigdala, i cui parametri distintivi principali sono la simmetria bilaterale più o meno accentuata della forma e la tecnica di scheggiatura bifacciale (v. Villa, 1983).
Già presente, sia pure in percentuali estremamente ridotte, in complessi olduvaiani e olduvaiani evoluti intorno a 1,5 milioni di anni fa (v. Chavaillon e altri, 1979), questo tipo di strumento perdura ancora in complessi premusteriani e musteriani dell'ultimo interglaciale e del Würm antico, ma la sua massima diffusione nel continente europeo, dove compare intorno ai 700.000 anni fa, avviene nel corso del Pleistocene medio. L'areale geografico dei complessi con bifacciali è caratterizzato da un'eccezionale estensione: al di fuori dell'Africa esso copre tutto il continente europeo, ad eccezione delle regioni subartiche, e si estende nell'Asia centrale sovietica, in Cina e nel subcontinente indiano.
Altrettanto differenziate (v. Villa, 1983) appaiono le situazioni geomorfologiche in cui sono state rinvenute industrie con bifacciali: aree costiere, zone di collina e di montagna, altipiani, valli fluviali e bacini lacustri. Come risulta evidente da questa sommaria descrizione, il termine di Acheuleano tende a identificarsi con un fossile guida tipologico che rappresenta in realtà l'unico elemento unificante di complessi estremamente differenziati per cronologia, struttura tipologica, collocazione geografica e situazione geomorfologica. Tra le diverse connotazioni dell'Acheuleano - etnica, culturale, tipologica e cronologica - quest'ultima, nella sua genericità, è forse la meno impegnativa, fino a quando l'intera nomenclatura degli aspetti culturali del Pleistocene medio europeo non sarà rielaborata su basi non rigidamente o non esclusivamente tipologiche.
6. Aspetti culturali nel Pleistocene medio: l'insediamento, le attività di sussistenza, il fuoco
Sia pure con le limitazioni precedentemente esposte per quanto riguarda le strutture di abitato, è abbastanza evidente che i gruppi umani di quest'epoca tendono a concentrarsi per periodi più o meno lunghi in spazi naturalmente circoscritti, come le cavità naturali, o in aree all'aperto - su estensioni variabili da pochi a migliaia di metri quadri - che assumono l'aspetto di veri e propri campi-base. Questi, nessuno dei quali è mai stato esposto per intero, dovevano rappresentare paleosuoli ripetutamente frequentati, sulla cui superficie si accumularono concentrazioni di resti che suggeriscono spesso una sorta di delimitazione artificiale dello spazio abitativo in aree grosso modo circolari. La tipologia dei siti acheuleani comprende anche concentrazioni di rapida formazione, costituite da siti di macellazione, da killing sites e da ateliers di taglio della pietra, che rappresentano insieme ai campi-base aspetti complementari del controllo e dello sfruttamento di determinati territori, nell'ambito dei quali gli spostamenti dei gruppi umani sono spesso testimoniati anche dal rinvenimento di particolari materie prime alloctone e localmente non disponibili. Centinaia di segnalazioni sporadiche di superficie, con modeste quantità di resti litici, costituiscono infine quanto resta di siti maggiori distrutti per eventi geologici o rappresentano le tracce isolate di occasionali soste da parte dei cacciatori acheuleani.
Anche se la predazione di carcasse può aver giocato un ruolo importante nell'approvvigionamento proteico dei primi ominidi (v. Shipman, 1983), la presenza dei resti ossei di diverse specie di animali - ‟dal coniglio all'elefante", come è stato sintetizzato da P. Villa (v., 1983) - in associazione con manufatti litici nei livelli di abitato in contesto primario documenta un'attività di caccia intensa e differenziata su mammiferi di tutte le taglie come fonte primaria di sostentamento. Recenti ricerche sulle tracce di scarnificazione e sui tagli dovuti a strumenti litici sui resti ossei (v. Potts e Shipman, 1981) sembrano dimostrare che dei due potenziali responsabili dell'accumulazione di resti ossei, l'uomo e la iena, il primo sia di gran lunga il più probabile, anche se talvolta in competizione con la seconda; è confermata così l'ipotesi che le concentrazioni di resti ossei siano soprattutto la conseguenza di fruttuose battute di caccia, che erano seguite da attività inerenti alla macellazione dell'animale e alla successiva frantumazione delle ossa. Le associazioni faunistiche ricostruite dai resti rinvenuti nei siti del Pleistocene medio europeo, oltre al significato più direttamente archeologico costituito dalle tracce di cui si è detto, dai tipi di fratture ricorrenti sui resti per l'estrazione del midollo e dall'interesse tafonomico della loro distribuzione spaziale sul suolo di abitato, rappresentano indicatori climatici e ambientali altrettanto importanti, nonostante siano inficiate da una selezione opportunistica dovuta all'uomo.
Diversi resti di uccelli, soprattutto in giacimenti della seconda metà del Pleistocene medio, mostrano che anche questa risorsa alimentare non era trascurata, pure se in certi casi quelle ossa sembrano trovarsi nel deposito per circostanze del tutto indipendenti dalla presenza dell'uomo. L'aquila del Bonelli, il falco grillaio e le pernici sono presenti nella grotta I di Lunel-Viel (v. Mourer-Chauviré, 1976); nel riempimento del Mindel-Riss di Orgnac le forme arboricole sono numerose insieme a specie fredde come la pernice, l'urogallo, il gallo cedrone, il piviere tortolino, il gufo delle nevi e la civetta capogrosso; nei livelli del Riss II della grotta del Lazaret si trovano specie di foresta fredda come il gallo cedrone e il picchio tridattilo (ibid.); il germano reale, il codone e la moretta tabaccata erano presenti a Torre in Pietra (v. Cassoli, 1978); l'oca granaiola, l'oca colombaccio, il codone, il fischione, il germano reale, la marzaiola, il porciglione e la starna popolavano la zona nei dintorni di Malagrotta (v. Cassoli e altri, 1982); l'oca dalla faccia bianca, l'allocco degli Urali e l'oca selvatica sono stati rinvenuti nel livello soprastante al suolo tayaziano di Loreto a Venosa (Cassoli, comunicazione personale); il cigno minore, il cigno reale, l'oca lombardella, la cicogna e il cormorano frequentavano il Monte delle Gioie (v. Blanc e altri, 1955); il fischione, la canapiglia e l'alzavola sono stati segnalati a Casal de' Pazzi (Anzidei e altri, 1983).
Una documentazione diretta assai più scarsa si ha per questo stesso periodo sull'utilizzazione delle risorse vegetali a scopo alimentare (noci, frutti e bacche sono stati rinvenuti nel sito di Bilzingsleben in Germania orientale: v. Mania, 1974) o come combustibile (rami di pino e di abete nei focolari di Terra Amata: v. Vernet, 1975), o per altri scopi (giacigli di alghe del Lazaret: de Lumley e altri, 1976), o, infine, presenti casualmente nei depositi antropici: resti di flora di Vértesszöllörs (Vertes, 1969), della grotta dell'Arago (v. Renault-Miskovsky, 1980), di Torre in Pietra (v. Follieri, 1 979), di Fontana Ranuccio (v. Biddittu e altri, 1984). Praticamente nulla, poi, sappiamo dell'utilizzazione del legno e delle fibre vegetali per oggetti e strumenti di uso quotidiano, anche se queste materie dovettero svolgere un ruolo probabilmente essenziale nella cultura materiale (v. Isaac, 1984).
Fanno eccezione un frammento appuntito di legno da Clacton-on-Sea (v. Crawford, 1921), un esemplare simile rinvenuto nel 1948 a Lehringen, in Sassonia, associato con qualche strumento riferibile all'Acheuleano superiore di facies Levallois, e 28 frammenti lignei, alcuni dei quali con evidenti tracce di intervento umano, provenienti dagli scavi del marchese di Cerralbo a Torralba in Spagna (v. Howell, 1966).
La dimostrazione archeologica del controllo del fuoco, sia diretta (carboni, ceneri, focolari costruiti, ossa combuste, pietre spaccate da forti fonti di calore), sia indiretta (desunta con l'ausilio di tecniche che consentono di stabilire l'entità del surriscaldamento subito da determinati materiali, come pietre e ossa sulle quali non siano rimaste tracce visibili), si moltiplica nel corso del Pleistocene medio europeo. Diversi siti documentano che questa conquista tecnologica è stata ormai acquisita e che il fuoco è diventato un aspetto importante del patrimonio culturale di Homo erectus.
Risalirebbero agli inizi del Mindel i focolari dell'Escale, la cui intenzionalità è però ancora in discussione (Chaline, 1972); seguono in epoca leggermente più recente le strutture, certamente costruite dall'uomo, di Terra Amata, di Lunel-Viel, di Vértesszöllöss (dove sembra che piccoli frammenti di ossa siano stati utilizzati come combustibile), di Port Pignot, della Roche Gélétan, di Bilzingsleben, di Torralba e Ambrona. Oltre al focolare più semplice, privo di strutture, ben sei diversi tipi di focolare sono stati sperimentati nel corso del Pleistocene medio (Perlès, 1976): in depressioni scavate nel suolo, circondati di pietre, di terra, protetti da muretti frangivento, situati su una struttura di pietre e provvisti di sfiatatoio.
7. Tecnologia, stile e province culturali
In concomitanza col rapido moltiplicarsi di dati che caratterizza la ricerca recente sul Pleistocene medio europeo, diversi aspetti relativi al significato culturale e paletnologico dell'evidenza archeologica sono stati sottoposti a una revisione metodologica che sembra attualmente caratterizzare la ricerca stessa più come fase critica di ripensamento che come momento di sintesi interpretativa.
Probabilmente nessuno dei dati che abbiamo finora presentato sfugge a questo processo: lo si è visto per le strutture di abitato, per lo sfasamento cronologico degli eventi culturali in Africa ed Europa, per il significato della pebble culture e dell'Acheuleano. Altrettanto in discussione è il significato della presenza dei resti faunistici nei siti di abitato (v. Isaac, 1984; v. Villa, 1983), la loro destinazione alimentare, la loro possibile fortuita introduzione nei siti da parte di agenti non umani (iene, porcospini, acque, ecc.), la loro stessa iniziale provenienza (caccia, predazione di carcasse). Anche l'approccio funzionale allo studio della tecnologia litica rappresenta una reazione a quello tipologico/morfologico e alle etichette culturali create tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento per definire e comprendere, sulla base dei risultati ottenuti con tale approccio, la dinamica degli eventi del Paleolitico inferiore: oggi si è in dubbio se davvero, e in quale misura, la morfologia dei reperti litici possa costituire un riflesso caratterizzante i gruppi umani e le società di cacciatori che ne sono stati gli artefici.
Una tradizione tecnologica di così vasta diffusione cronologica e geografica quale l'Acheuleano, che su basi tipologiche può a ragione essere considerata culturalmente statica, acquista un diverso significato quando l'informazione tipologica viene integrata da considerazioni che attengono più ai caratteri stilistici dei complessi litici che non ai loro parametri morfologici e al reciproco rapporto statistico intercorrente tra i diversi tipi. L'ipotesi dell'esistenza di province culturali già in epoca acheuleana è una prima, suggestiva conseguenza di un simile approccio. Nell'interpretazione di Bordes (1971) e di altri autori (de Lumley, 1976, Laville e altri, 1980), relativa all'Acheuleano francese, è possibile distinguere un Acheuleano meridionale, esteso fino ai siti di Torralba e Ambrona in Spagna, da una provincia settentrionale dell'Acheuleano nelle valli della Somma e della Senna. Altre varianti regionali sono distinguibili, per esempio, nell'Acheuleano della Garonna e una distinta provincia culturale sarebbe rappresentata dai siti acheuleani della regione compresa tra la Linguadoca e il Roussillon. La possibilità di distinguere più ristrette aree territoriali nell'Acheuleano italiano è stata suggerita dalle differenze stilistiche evidenti nei siti della facies di Torre in Pietra (Malagrotta, Castel di Guido e il livello m di Torre in Pietra) rispetto a quelli del Lazio meridionale (Ceprano, Pontecorvo, Aquino, ecc.: v. Piperno, 1982 e 1983).
Diversi autori tuttavia (Binford, 1972) ritengono che non si possa ancora intravvedere un emergere di distinzioni etniche nel corso del Pleistocene medio e che, nell'impossibilità di una dimostrazione dell'effettiva contemporaneità dei gruppi umani di queste province, altre cause, come per esempio la disponibilità locale di determinate materie prime, possano rappresentare spiegazioni alternative altrettanto valide delle differenze osservate (v. Villa, 1983).
Per la difficoltà stessa di definire questa variabile stilistica nella tecnologia paleolitica, l'esistenza, l'estensione e i caratteri delle eventuali province culturali acheuleane restano quindi finora a livello di ipotesi, anche se è indiscutibile che l'uniformità tecnico/tipologica osservata nella fase iniziale del popolamento dell'Europa appare sempre più frantumarsi nel corso dell'Acheuleano. Questo processo di regionalizzazione può essere stato favorito anche dalla diversificazione delle vie di transito che, come è stato già accennato, soprattutto durante il Pleistocene medio e in particolare l'Acheuleano, permise il raggiungimento di aree prima non abitate e il verificarsi di periodi di contatto e di successivo isolamento e rese possibile la presenza contemporanea di varie direttrici di transito.
8. Le altre tradizioni litiche: parallelismi culturali, attività differenziate o bias nella documentazione?
Il problema della possibile coesistenza di tradizioni litiche diverse costituisce un Leitmotiv tra i più discussi, forse, nello studio del Paleolitico.
L'Olduvaiano evoluto e l'Acheuleano antico sono considerati da alcuni (v. Leakey, 1972) il primo esempio di questa coesistenza, nella stessa area geografica, di gruppi umani con tecnologie sostanzialmente dissimili, mentre altri (v. Chavaillon e altri, 1979), sulla base dell'evidenza archeologica dei siti di Melka Kunturé, ritengono che i diversi aspetti culturali del Paleolitico inferiore, fra cui la tecnologia litica, rappresentino piuttosto un continuum caratterizzato da una sorta di evoluzione a mosaico per la quale ciascun elemento culturale si trasforma con ritmi e tempi diversi.
Nel corso del Pleistocene medio europeo, accanto ai complessi con bifacciali sono stati descritti tecnocomplessi privi di questo particolare strumento e con caratteri tecnico-tipologici che, stando a una diffusa interpretazione, giustificano l'ipotesi di una loro individualità e autonomia culturale rispetto ai primi.
Tali sono, per esempio, il Tayaziano rissiano e il Clactoniano. Il primo, che prende il nome dal sito di Tayac in Francia, presenta un'industria caratterizzata da assenza o scarsità di bifacciali, frequenza di denticolati, di intaccature clactoniane e di particolari punte dette di Tayac e di Quinson, presenza di proto-limaces, choppers unifacciali e bifacciali, debole indice Levallois e scarsa laminarità: a esso sono stati riferiti siti come gran parte dei livelli dell'Arago, la Baume Bonne, La Micoque, Vértesszöllöss, Bilzingsleben, Venosa (Loreto), ecc. Del Clactoniano - dal sito di Clacton-on-Sea in Gran Bretagna, scoperto verso la fine del secolo scorso - H. Breuil (v., 1932) ha descritto i caratteri tecnico-tipologici, consistenti nella tecnica di distacco su incudine, nella frequenza di nuclei informi e voluminosi e nella produzione di schegge con bulbi prominenti e ampi talloni molto inclinati rispetto alla faccia di distacco, sui quali sono spesso visibili tracce di precedenti falliti tentativi di distacco delle stesse schegge.
Definizioni più recenti del Clactoniano (v. Wymer, 1974) vedono la differenziazione di questo rispetto all'Acheuleano, oltre che nell'assenza dei bifacciali, anche nella mancanza di standardizzazione e specializzazione tipologica.
Le conclusioni di una recente sintesi (v. Ohel, 1979), basata su un riesame dei siti clactoniani (Clacton, Swanscombe, Hoxne, ecc.) e sul confronto tra questi e quelli acheuleani inglesi, propongono una suggestiva interpretazione alternativa a quella tradizionale: il Clactoniano non sarebbe una ‟entità tecnologica distinta dall'Acheuleano", ma i diversi complessi clactoniani rappresenterebbero piuttosto ‟aree preparatorie" dei gruppi acheuleani, intendendo per area preparatoria una zona di estrazione e di modificazione iniziale del materiale litico, prima del suo trasferimento nei siti di abitato e della sua definitiva utilizzazione.
Una campionatura inadeguata è infine un'altra delle ipotesi avanzate per spiegare la coesistenza di complessi litici privi di bifacciali e di complessi acheuleani nel corso del Pleistocene medio. In diversi casi, infatti, ricerche successive hanno dimostrato che questo tipo di strumento compare, sia pure in percentuali limitate, anche in siti originariamente definiti clactoniani proprio sulla base di un'enfatizzazione della sua presunta assenza.
Anche quest'aspetto del Paleolitico inferiore europeo è lungi dall'essere risolto ma, per una rigorosa impostazione della questione nei suoi termini generali, non si può non concordare con Villa (v., 1983): ‟La pratica di classificare i complessi in ‛culture' aveva utilità nel passato, al tempo in cui doveva essere costruita un'intelaiatura cronologica di base e dovevano essere definite delle unità cronostratigrafiche. Avulsa com'è attualmente da una finalità cronostratigrafica, ormai ampiamente conseguita, questa stessa pratica è diventata niente altro che uno sterile esercizio di contabilità".
9. La transizione
Diversamente da quanto potrebbero suggerire le suddivisioni culturali ora accennate, una sostanziale continuità priva di gaps e di sovrapposizioni sembra emergere da una generale considerazione diacronica della tecnologia litica del Pleistocene. Alla concezione di fasi culturali successive, autonome e differenziate l'una dall'altra per aspetti essenziali, può essere sostituita una concezione dell'apparato strumentale in dinamica, costante trasformazione, una sorta di transizione continua, conseguente all'inizio dell'attività strumentale che si dovette configurare probabilmente più secondo il modello del big bump suggerito da Isaac (v., 1977 e 1984) che non come un lento e graduale emergere di scoperte e innovazioni tecnologiche caratterizzate da una crescente complessità.
La suggerita transizione Olduvaiano/Acheuleano (v. Chavaillon e altri, 1979) costituisce il primo esempio di questa modificazione strutturale dello strumentario litico all'interno di una fondamentale continuità dinamica. Alla fine del Pleistocene medio l'evidenza di diversi siti europei mostra che è in atto un processo di standardizzazione tipologica contemporaneo a una progressiva diminuzione (sino alla definitiva scomparsa) dei bifacciali. Diversi complessi, fin dalla fine del Riss, presentano già un grado accentuato di musterianizzazione, sia a livello tecnico (tipi di ritocco, preparazione del tallone, regolarizzazione dei supporti, débitage Levallois) che tipologico (predominanza del gruppo dei raschiatoi, specializzazione di determinati tipi di strumenti, ecc.). Le stesse caratteristiche appaiono del resto già evidenziabili in complessi della fine dell'Acheuleano, come per esempio a Rosaneto in Calabria (Piperno, 1974), nel riparo esterno di Grotta Paglicci in Puglia (v. Palma di Cesnola, 1971) o nei siti della valle del Rodano e del sud della Francia dove ‟l'Acheuleano superiore sembra evolvere direttamente verso il Premusteriano di facies Levallois e quest'ultimo, a sua volta, costituire l'origine di alcuni aspetti del Musteriano di facies Ferrassie" (v. Combier, 1976). Nel corso della stessa epoca e dell'ultimo interglaciale esempi di transizione verso il Musteriano possono essere rappresentati, per citare siti italiani, dai giacimenti di Monte delle Gioie e Sedia del Diavolo nel Lazio (v. Taschini, 1967; v. Piperno e Segre, The transition ..., 1982), dal complesso del livello d di Torre in Pietra (v. Piperno e Biddittu, 1978) e dalla scarsa industria di Saccopastore (Blanc, 1948).
Allo stesso modo, e a conferma di questa sostanziale continuità nella tecnologia litica pleistocenica, gli esiti delle esperienze musteriane daranno origine, intorno ai 35.000 anni fa, ai primi complessi che tradizionalmente marcano l'inizio del Paleolitico superiore. La recente scoperta di una sepoltura neandertaliana nel livello castelperroniano del riparo ‛La Roche à Pierrot', a Saint-Césaire in Francia (v. Lévèque e Vandermeersch, 1980), rappresenta un esempio di questa transizione continua dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore e una riprova della discutibilità del rapporto più volte proposto secondo il quale esisterebbe una stretta interdipendenza tra gli aspetti culturali della più remota preistoria e determinate specie umane.
10. I protagonisti
La maggior parte dei resti umani fossili del Pleistocene medio europeo è stata rinvenuta in associazione diretta, o indiretta ma probabile, con industria litica e frequentemente in contesti con industrie e resti faunistici: mandibole di Atapuerca (Spagna), di Montmaurin (Francia), di Azych (Unione Sovietica), resti umani dell'Arago (Francia), occipitale e denti di Vértesszöllös (Ungheria), parietale di Cova Negra (Spagna), frammenti cranici e un dente di Bilzingsleben (Germania orientale), parietale e due denti del Lazaret (Francia), molare di Pontnewydd (Gran Bretagna), calotta cranica di Swanscombe (Gran Bretagna), cranio di Steinheim (Germania occidentale), denti di Orgnac (Francia), calotta cranica di Fontéchevade (Francia), cranio e frammenti di mandibole di Ehringsdorf (Germania orientale; per la bibliografia generale v. AA. VV., 1984).
Altri fossili umani sono stati estratti da sezioni di cave, come la mandibola di Mauer (Germania occidentale) con discussa attribuzione di presunta industria litica, o rinvenuti in depositi di grotta, come il cranio di Petralona (Grecia), avulsi da qualsiasi tipo di associazione diretta (v. Stringer e altri, 1979).
Del tutto particolare è il caso del canino superiore di latte rinvenuto nel riempimento della dolina di Vergranne (Francia) in associazione con resti scheletrici in connessione anatomica di animali (rinoceronti, Bovidi, Cervidi, cavalli, orsi, Canidi) precipitati nella stessa dolina in epoche diverse nel corso del Mindel.
Recenti scavi nella penisola italiana documentano con resti relativamente numerosi, anche se tutti estremamente frammentari, la stessa popolazione anteneandertaliana o di Homo erectus europeo testimoniata dalle forme più antiche note nel continente.
Fino alla fine degli anni cinquanta le scoperte effettuate in Italia erano rappresentate esclusivamente dai resti di Cava Pompi nel Lazio (due frammenti di cranio, un'ulna e una tibia frammentarie, di età incerta ma probabilmente databili intorno ai 400.000 anni: v. Biddittu e Segre, 1984) e da una diafisi di femore e un metatarsale provenienti dal Sito rissiano di Sedia del Diavolo, Roma; seguiva, verso la fine del decennio successivo, la scoperta di un coxale umano nei livelli rissiani della Grotta del Principe in Liguria, con un'età intorno ai 200.000 anni, stabilita con diversi metodi di datazione assoluta: risonanza elettronica di spin e rapporto U/Th, per i due orizzonti stalagmitici che includono la breccia da cui proviene l'osso umano, e misura del rapporto U/Th per spettrometria gamma sul resto stesso (v. Barral e Simone, 1984).
Quattro giacimenti hanno infine restituito negli ultimi anni resti riferiti a Homo erectus: nella discarica della cava di Fontana Ranuccio, Anagni, sono stati raccolti due incisivi, che rappresentano al momento attuale i più antichi resti umani italiani, provenienti con certezza dal livello acheuleano identificato nella stessa sezione e attualmente in corso di scavo (v. Biddittu e altri, 1984), datato col metodo K/Ar a 458.000 anni; probabilmente di età non troppo dissimile è il premolare umano rinvenuto nel 1983 in una breccia ossifera a poca distanza dal deposito del riparo di Visogliano vicino Trieste (v. Tozzi, 1984), la cui industria dei livelli inferiori è provvisoriamente riferita ai complessi di tipo clactoniano; nel sito di Castel di Guido, in corso di scavo, il suolo di abitato acheuleano, con industria assimilabile a quella del livello m di Torre in Pietra, si caratterizza per la presenza di bifacciali in osso, rinvenuti anche nel vicino giacimento di Malagrotta (v. Radmilli, 1984; v. Pitti e Radmilli, 1984; v. Mallegni, 1984): da esso provengono due femori frammentari e tre frammenti cranici, rinvenuti in superficie a poca distanza dall'area di scavo, ma anch'essi certamente associabili al contesto litico e faunistico del suolo di frequentazione. Ancora inedita è inoltre la recente scoperta (settembre 1985) di una diafisi di femore umano nel sito paleolitico inferiore di Notarchirico (Venosa), cui si può attribuire un'età approssimativa di circa 400.000 anni.
Non è in contesto primario, infine, il frammento di parietale rinvenuto nel corso di recenti scavi a Casal de' Pazzi, Roma: per esso è proposta un'età approssimativa intorno ai 200.000 anni, mentre i due crani di Saccopastore, attribuiti all'ultimo interglaciale e noti rispettivamente dal 1929 e dal 1935, presentano caratteri neandertaliani, come del resto nettamente musteriana può essere già considerata l'industria a essi associata.
(V. anche uomo: origine ed evoluzione).
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