PRELUDIO
. Nel concetto originario questo termine indica un'introduzione strumentale a un componimento di qualsiasi tipo (vocale, misto o anch'esso puramente strumentale) e di qualsiasi genere (epico, lirico, drammatico, ecc.).
L'uso d'un preludio, auletico o citaristico, è frequente già nelle prime fioriture elleniche e anzi nei poemi omerici se ne parla come di già antico costume degli aedi. Esso si conserva poi durante l'intero svolgimento di quella civiltà e lascia documenti fin nel sec. II (preludio e inni attribuiti a Mesomede da Creta). Come si vede, l'improvvisazione è già spesso superata presso i Greci nel piano di vera e propria composizione, degna di essere scritta al pari di qualunque altra. Dalle civiltà classiche l'uso del preludiare passa nelle pratiche dei tempi cristiani, senza lasciarci però documenti che in epoca tarda, l'improvvisazione rioccupando per gran tempo il campo strumentale e ciò specialmente nel preludio. Praticato nell'arte trovadorica insieme con altri tipi strumentali (danze, ecc.), esso trova ambiente favorevole (se pur non sempre aperto dalle disposizioni liturgiche, le quali di tanto in tanto vietano l'uso di strumenti, e perfino dell'organo, in chiesa) nella pratica delle funzioni sacre. L'organista suole fin da allora, come anche oggi, avviare le voci del coro sacerdotale e soprattutto quelle della massa dei fedeli al canto innodico (senza netta esclusione del salmodico) mediante una preliminare intonazione (e il termine resterà e diventerà anzi nel secoloXVI titolo di ampie e meditate composizioni organistiche, come si vede a S. Marco con i Gabrieli e in Spagna con A. da Cabezón). Questa intonazione, come s'intende dalla parola stessa, aveva uno scopo pratico ben definito: indicare cioè alla pluralità dei cantori l'orbita tonale dell'inno. Di solito essa si compiva, quindi, presentando elementi del cantico in ordinata successione o anche in varia fantasia, liberamente avviata e liberamente risolta. Nell'andare dei tempi, formandosi una tradizione organistica di chiesa, ricca di esperienze d'arte e di consolidati usi liturgici, il fantasioso improvvisare cede sempre più di frequente il campo a meditate elaborazioni, che diventeranno del resto non soltanto intonazioni e Preludî, ma anche Canzoni, Toccate, Capricci, Ricercari, Tientos, ecc. E del resto la natura di tutti questi componimenti è fondamentalmente una, e i varî nomi precedono di molto un vero differenziamento delle forme. Le quali nel preludio possono tutt'al più presentare - in confronto, per es., scioltezza di discorso, spesso risolto in passaggi virtuosistici; caratteri che anche nei tempi moderni spesso compaiono a ricordare le pratiche improvvisatorie del preludio di mestiere.
Nell'affermarsi in questo modo come componimento avente in sé un valore estetico, il preludio compare nel sec. XVIII nel quadro della Suite, della Partita per tastiera d'organo o di cembalo (meno spesso in quelle per più strumenti, ove si trova invece, anch'essa non regolarmente, l'Ouverture), e in quello, più ristretto materialmente, del binomio Preludio-Fuga (o Toccata, Fantasia, ecc.). Le forme che quivi esso prende sono del resto ancora abbastanza varie, passando dall'estrema libertà di movimenti (che talvolta giunge perfino all'assenza della figurazione ritmica) del tipo "improvvisazione" allo schema della Sonata pre-classica (A : ∥ : A′), o anche, più di rado, dell'Aria. D'altra parte è questo il tempo in cui l'arte strumentale ricomincia ad accostarsi alla vocale, e anche nel preludio d'un J.S. Bach non è infrequente un atteggiamento quasi di "recitativo" o di passaggio di bravura, con diminuzioni, ecc., che ricordano, oltre la più diretta loro fonte puramente organistica, anche le pratiche della composizione e dell'interpretazione vocale di teatro, ricordate, del resto, anche dall'altro tipo di preludio Bach-Händel: quello ad Aria.
Nelle vicende posteriori, dal tardo Settecento in poi, il preludio, che s'avvia alle stesse possibilità d'autonomia di qualunque altro tipo componistico, viene perdendo sempre di più i vecchi caratteri di estroso virtuosismo improvvisatorio e cercando anzi, in quadri materialmente ristretti, valori di raffinato e intenso lirismo, come avviene, per es., nei 24 preludî per pianoforte di F. F. Chopin. I quali, come quelli che già aveva dato M. Clementi, al nome di preludî non annettono l'accezione che l'etimologia suggerirebbe, ma lo conservano soltanto per quel carattere di varietà formale che durante i secoli esso aveva mostrato. In questo senso pubblicano Preludî gli ottocentisti e i nostri contemporanei. Si vedano, per es., i 24 preludî di C. Debussy, che, con quelli dello Chopin, possono essere considerati tra le più preziose notazioni liriche di ogni tempo.
Nella musica teatrale, il termine Preludio distingue di solito un'introduzione che, senza assumere il quadro piuttosto autonomo dell'Ouverture o della Sinfonia né le forme tipiche di queste, abbia però una sua euritmia e un senso di sufficiente appagamento formale. Preludio potrebbe chiamarsi in tal senso la Toccata iniziale dell'Orfeo di Claudio Monteverdi. Gli schemi, entro questi limiti, possono variare all'infinito, ed anche essere sostituiti da uno svolgimento di tipo nomico, cioè "continuo". Esempî notevoli compaiono, in tal senso, presso i grandi operisti del sec. XIX e specialmente presso G. Verdi (Traviata, Ballo in maschera, Aida) e R. Wagner, che fa precedere un preludio (da lui detto, con traduzione letterale, Vorspiel) a quasi tutte le opere della maturità, dal Lohengrin in poi, con la sola eccezione dell'introduzione (piuttosto Ouverture) dei Meistersinger. E oggi, specialmente per l'opera seria l'introduzione di tipo preludio è di solito preferita a quella di tipo Ouverture o Sinfonia.