Premi di risultato e legge di stabilità 2016
La legge di stabilità 2016, sulla scia di alcune buone prassi di relazioni industriali, disciplina i premi di risultato secondo una logica innovativa: essi esistono perché c’è maggiore laboriosità e il datore di lavoro intende valorizzare positivamente il lavoro, e non (più) la sola produttività. Pertanto, è stata rafforzata la relazione giuridica tra premio e welfare aziendale, valorizzando le funzioni organizzative della contrattazione decentrata e la funzioni promozionali della detassazione. Come avviene per la retribuzione, per cui il legislatore e la contrattazione collettiva ne stabiliscono il perimetro, anche la definizione dei premi di risultato è relativa e va valutata di volta in volta. Nel caso di specie, è la legge che, riconoscendo forme di agevolazione fiscale a un tipo di attribuzione economica, ne determina la natura retributiva e assegna alla contrattazione collettiva la funzione di individuare le modalità di valutazione del risultato ed erogazione del premio.
Con la legge di stabilità 2016 (art. 1, co. 182190, l. 28.12.2015, n. 208) è stata rafforzata la relazione giuridica del premio di risultato con il welfare aziendale, facendo leva sulle funzioni organizzative che la contrattazione collettiva decentrata (aziendale/territoriale) può realizzare e sulle funzioni promozionali della detassazione.
Ciò non è una novità per l’ordinamento giuridico: vengono disposti sgravi per i premi, con meccanismi volti a accelerare o supportare il perfezionamento di contratti collettivi aziendali/territoriali; il contratto collettivo, in questo quadro, può regolare la scelta individuale di cd. «conversione» del premio in alcuni schemi di welfare aziendale1. Nella pratica, c’è un processo di welfarizzazione del premio: il risultato consiste in un premio che, secondo una certa tempistica, tenendo presente la volontà del lavoratore nell’ambito del processo individuato dalla contrattazione decentrata, si trasforma in accesso agli schemi di welfare aziendale. Si noti che con la l. n. 208/2015 si premia in modo significativo il fatto che tale volontà di conversione venga disposta o programmata in un quadro di coinvolgimento paritetico dei lavoratori (si v. l’art. 1, co. 189, l. n. 208/2015).
La ricognizione del tema conduce a individuare almeno tre ambiti di indagine giuslavoristica. Il primo ambito di indagine attiene alla dinamica interna del premio secondo la l. n. 208/2015, e cioè sui criteri di determinazione del premio. Il secondo ambito di indagine riguarda il concetto di coinvolgimento paritetico dei lavoratori (nozione e pratica effettiva). Il terzo ambito di indagine riguarda la relazione giuridica tra premio e welfare aziendale cd. «voucherizzato», che significa, usando le parole dell’art. 1, co. 190, della l. n. 208/2015, che «l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale». In questo studio ci si soffermerà particolarmente sui primi due ambiti.
La norma chiave è l’art. 1, co. 182, della l. n. 208/2015, la quale stabilisce che, fatta salva la rinuncia del lavoratore, sono soggetti a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 2.000 euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a «incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione», misurabili e verificabili sulla base di criteri oggettivi, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa ex art. 2102 c.c. I premi devono essere erogati in esecuzione dei contratti collettivi decentrati (aziendali o territoriali) di cui all’art. 51 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81. Di qui il d.m. 25.3.2016 ha stabilito che debbono esserci criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività. Tali incrementi debbono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi o, ancora, nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, in periodo definito dal contratto decentrato. Il medesimo decreto richiede che il raggiungimento degli obiettivi «sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati». Con l’art. 1, co. 189, l. n. 208/2015 si fissa che il limite di cui al co. 182 venga incrementato fino a un importo non superiore a 2.500 euro per i datori di lavoro che abbiano posto in essere mezzi di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, con le modalità specificate nel d.m. 25.3.2016. Tale decreto esemplifica alcuni elementi del coinvolgimento paritetico. Si chiarisce che non è coinvolgimento paritetico la costituzione di gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.
Il regime del 2016 si posiziona in una più ampia riflessione interdisciplinare. È incentivo retributivo, o premio, ogni elemento della retribuzione direttamente finalizzato a un miglioramento quantitativo e qualitativo della prestazione di lavoro2.
Seguendo questa impostazione teorica, è premio l’alterazione dello scambio tra prestazioni certe del contratto di lavoro che deriva dall’introduzione di alcuni elementi di rischio in capo al lavoratore, i quali siano programmabili ex ante e verificabili ex post.
L’alterazione dipende, dunque, da variabili o parametri misurabili, endogeni o esogeni: qualora i parametri siano riconducibili alla quantità e qualità del lavoro, pur collegati a fattori esterni, l’alterazione, da cui deriva il rischio per il lavoratore, è più mitigata; qualora tali parametri siano riferibili esclusivamente all’andamento economico-finanziario aziendale, l’alterazione non è mitigabile. Qui, in tale definizione ampia di premio, si trovano il cottimo, i sistemi partecipativi basati su schemi civilistici (partecipazione agli utili, anche in forma azionaria, stock options), le provvigioni connesse all’andamento degli affari, i sistemi retributivi basati su prassi transnazionali, con algoritmi, indicatori, semplici e complessi di performance, individuale e/o collettiva, variabili di organizzazione, parametri di produzione/budget per aree macrogeografiche. Per il diritto del lavoro, in modo specifico, il premio è, nel contempo, nell’oggetto/causa del contratto di lavoro perché, da una parte, rappresenta costo del lavoro programmabile, in una variazione da un massimo a un minimo, dal datore di lavoro in accordo con il lavoratore, e, dall’altra, è una delle materie negoziabili nelle relazioni industriali, a livello nazionale e, per delega, a livello aziendale3.
Per il diritto della previdenza sociale, il premio è stato, per lungo tempo, esclusivamente riferito al quadro della base imponibile, in ragione del vantaggio eventualmente fissato dal legislatore per il ricorso a tale sistema; più recentemente il premio è stato altresì riferito, per la possibilità di conversione da premio in danaro in cd. benefit o schemi di welfare aziendale.
Il welfare aziendale coincide con quelle prestazioni integrative privatistiche, assistenziali o previdenziali, che favoriscono il benessere individuale e/o del nucleo familiare del lavoratore che si aggiungono o sostituiscono forme di previdenza privata mutualizzata (fondi pensione, fondi sanitari, cassa/enti bilaterali, etc.). Nell’ambito delle scienze dell’organizzazione, il premio potrebbe motivare i lavoratori a una maggiore produttività e adeguare la flessibilità alla variabilità del mercato.
Le tre visioni rappresentate (lavoro, previdenza, organizzazione aziendale) possono essere sintetizzate in modo più efficace, facendo perno su una tendenza del sistema delle relazioni industriali: correttamente si è ritenuto che la diffusione dei premi si sia maggiormente affermata nei periodi di decentramento contrattuale e di espansione economica; per studi più recenti del Cornell Institute for Compensation Studies, i premi si diffondono se c’è valore nel lavoro svolto in azienda. E ciò significa mutare l’approccio di analisi del tema: il premio esiste perché c’è una comunicazione positiva del valore del lavoro, inteso come tale e nella propria unitarietà; in altri termini, c’è maggiore laboriosità, e dunque premialità, perché il datore di lavoro intende valorizzare positivamente il lavoro, e non (più) solo la produttività, intesa come parte del tutto.
L’assunto di base è semplice4. C’è una nuova logica che si può intravedere anche nel regime del 2016: quella comunicazione sul valore del lavoro significa valorizzazione e promozione della professionalità; è una comunicazione che crea una tendenza aziendale endogena, non più orientata dall’esterno, che viene condotta alla stregua di una più ampia strategia aziendale di valorizzazione/promozione del lavoro mediante i compensi di tutte le figure professionali. Tale strategia è, in primo luogo, svolgimento di job analysis e job evaluation e, in secondo luogo, negoziazione collettiva aziendale e definizione del quadro delle regole.
C’è una certa relatività nella definizione di ciò che si intende per retribuzione: il legislatore, di volta in volta, secondo la disciplina applicabile, e la contrattazione collettiva stabiliscono il perimetro della nozione di retribuzione.
Nel caso che esaminiamo, sono le norme di legge che riconoscono forme di agevolazione fiscale a un tipo di attribuzione economica e determinano la natura retributiva del premio, assegnando alla contrattazione collettiva la funzione di procedimento entro cui determinare il modo e il tempo della valutazione del risultato e dell’erogazione del premio. In linea più teorica, nella nozione di retribuzione coesiste una pluralità di elementi che sono caratterizzati dal fatto di essere «corrisposti al lavoratore a causa del contratto di lavoro»5. Ciò significa che tutte le forme incentivanti e partecipative sono retribuzione in quanto riferibili al contratto di lavoro nonché comprese nel valore complessivo del lavoro e nell’utilità che esso realizza per il datore di lavoro6.
Tra tali elementi retributivi, a noi qui interessa il premio di risultato. La l. di stabilità 2016, ai fini della detassazione, non ripete la nozione di premio di produttività o di retribuzione di produttività che era stata definita dal d.P.C.m. del 22.1.2013, che a sua volta prendeva spunto dall’Accordo interconfederale del novembre 2012 sulla produttività7. La norma del 2016, invece, fa riferimento a una nozione più specifica.
In particolare, con una delimitazione qualificativa, la legge definisce gli effetti di agevolazione fiscale ai «premi di risultato», escludendo indirettamente voci retributive che erano state nel passato considerate utili dalla legislazione (tra queste, maggiorazioni di retribuzione o gli straordinari, corrisposti a seguito di un processo di riorganizzazione del lavoro).
Il punto centrale per focalizzare l’ambito di applicazione del regime del 2016 è, dunque, una certa «incrementalità» che si sostanzia in un premio di risultato: il d.m. 25.3.2016 e la circolare dell’Agenzia delle entrate del 15.6.2015, n. 28/E precisano che sono premi «le somme di ammontare variabile» la cui corresponsione sia connessa a forme incrementali di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. I criteri o forme incrementali, ai quali sono riferibili i premi, sono definiti dalla contrattazione collettiva aziendale o territoriale, possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi o nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche mediante riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile, inteso come modalità flessibile del lavoro subordinato, in un periodo congruo definito dal contratto decentrato.
Il raggiungimento dei risultati deve essere verificabile in modo oggettivo con indicatori numerici. Nella medesima logica di incrementalità rientra la partecipazione agli utili che è una specifica modalità di erogazione della retribuzione, e non, quindi, una quota di partecipazione al capitale. È noto, tuttavia, che il concetto di risultato possa essere riempito di significati diversi in relazione al contesto aziendale-organizzativo in cui viene inserito. Il linguaggio giuridico, infatti, può non coincidere con quello organizzativo. Questo è uno dei casi di non coincidenza: la norma del 2016, a differenza dei regimi precedenti 2012-2013, precisa che il premio è connesso a una prestazione di lavoro che diventa funzionale alla migliore organizzazione del lavoro, e ciò accade se sussiste un risultato che è considerato utile per il datore di lavoro. Di qui il risultato diventa suscettibile di valutazione matematica.
Nella l. n. 208/2015, si punta a consolidare la combinazione tra indicatori attinenti direttamente alla prestazione del lavoratore e indicatori aziendali, entrambi i tipi correlativamente valutabili ex post. Si passa, in altre parole, con il regime 2016, dalla valutazione della qualità del lavoro e dei risultati intermedi della prestazione, tra cui la produttività, ai risultati finali aziendali (incrementi di vendite, margine operativo, profitti, risparmi per l’introduzione di flessibilità interne).
La contrattazione collettiva decentrata per il premio di risultato, così inteso, mira a uno scambio contrattuale più complesso. I primi casi studiati8 segnalano che le parti negoziano flessibilità interne, tra cui si riscontrano spesso orario ordinario, lavoro agile, mobilità professionale, con un generalizzato premio di risultato a cui è connessa una certa incrementalità.
Il premio di cui alla l. n. 208/2015 non è inciso dal principio di sufficienza ex art. 36 Cost. Né potrebbe esserlo, dato che ragioniamo di retribuzione che è sopra il minimo contrattualmente fissato al livello nazionale e di un quantum marginale (al massimo 2.500 euro). Ammesso che si possa scindere il binomio proporzionalità-sufficienza per il premio, uno spunto più critico potrebbe essere rivolto al principio di proporzionalità. Sappiamo, infatti, che il risultato è esogeno e dipende da elementi che, seppur verificabili oggettivamente (incrementi vendite, prodotti, utili, risparmi), restano esterni e aleatori.
La giurisprudenza ha riportato il tema della proporzionalità nell’alveo della parità di trattamento e della procedura negoziale collettiva adottata9. Del resto non ci sono altri spazi: mettere in discussione i criteri oggettivi di incrementalità significherebbe incidere su equilibri aziendali più complessi rispetto a cui il giudice del lavoro dovrebbe porsi con una visione astratta sulle scelte organizzative e non facilmente argomentabile. La posta in gioco, tra art. 36 e art. 39 Cost., si chiude sulle scelte razionali che la contrattazione collettiva decentrata, fonte regolatrice degli elementi retributivi incentivanti, dispone e da cui derivano i limiti ai poteri datoriali. Ciò rileva perché non è possibile ex post svolgere valutazioni generali arbitrarie e predeterminate sulla proporzionalità e il rispetto della parità di trattamento dei singoli premi, se un contratto decentrato ha fissato criteri di accesso e le situazione soggettive giuridicamente rilevanti.
L’art. 46 Cost. trova uno spazio di operatività nella disciplina dei premi se riportato all’ambito della procedimentalizzazione negoziale volta a garantire la partecipazione. In questo modo, equità, trasparenza, coinvolgimento paritetico sono definiti mediante procedure collettive, anche precedute da informazione e consultazione, e, in fase esecuzione, dipendono dal modello di vigilanza sull’adempimento elaborato dalle parti del contratto decentrato.
Il procedimento negoziale fissa, dunque, la modalità di amministrazione del premio e indirettamente il quadro in cui le relazioni sindacali a livello aziendale sono determinate. È una verifica contestuale di due elementi che si alimentano a vicenda. Non essendoci a oggi, nel sistema sindacale italiano, una legge sulla rappresentanza dei lavoratori che istituzionalizzi funzioni, poteri e veti a livello aziendale, si osserva una certa genericità o elasticità dei criteri giuridici posti nella contrattazione decentrata, che sarà certamente coerente con il contesto organizzativo, ma non comparabile a esperienze di altri ordinamenti già dotati di norme sulla partecipazione a livello aziendale dei lavoratori, anche in forma di rappresentanza eletta10. Dato che i Protocolli 20132015 sulla rappresentanza sono in fase di prima applicazione11, la contrattazione decentrata che è oggi connessa alla l. n. 208/2015 muove da prassi sindacali esistenti che hanno un grado di continuata sperimentabilità12.
È noto, invece, che nel sistema tedesco i consigli di fabbrica godono ex lege di un potere di veto sui piani premiali e di un potere di controllo sul corretto adempimento delle obbligazioni derivanti da tali piani13. Ma il punto di ricaduta più interessante della norma del 2016, nella prospettiva dell’art. 46 Cost., risiede nel cd. coinvolgimento paritetico dei lavoratori. Questa è una norma eccezionale e non riferibile a altre discipline esistenti nell’ordinamento italiano perché promuove modifiche sulle dinamiche organizzative interne, creando un collegamento tra premi e regolazione congiunta-paritetica delle modalità di lavoro. Il che, se provato adeguatamente, determinerà l’ulteriore sgravio fiscale. Essa non crea squilibri tra art. 46 e art. 41 della Cost.; anzi il regime del 2016 prova a disegnare la partecipazione, intesa come principio costituzionale, in termini di coinvolgimento paritetico a livello aziendale, il cui contenuto giuridico è esclusivamente rivolto alle forme di co-organizzazione e co-applicazione di modelli di produzione e vendita (la cd. olacrazia)14. Qui si va oltre la consultazione e l’informazione, si entra in una dinamica innovativa di codeterminazione dei modelli di team-working. Si incide sull’art. 2103 c.c. e sull’inquadramento professionale, nel senso di relazione gerarchica, più che sulla retribuzione, che resta un riflesso del coinvolgimento paritetico declinato in termini organizzativi.
Possiamo osservare alcuni profili problematici, muovendo da analisi pratiche per poi giungere a quelle giuridiche.
Nell’analisi delle prassi più diffuse di premio, ci sono almeno tre elementi di cui tenere conto per delineare i profili problematici che la disciplina del 2016 deve affrontare. Il primo elemento problematico riguarda il cambiamento del modo di lavorare.
I premi generalmente sono basati sui «numerical performance management systems» i quali purtroppo non sono più allineati con i cicli brevi di business (mensili o settimanali, e non più annuali) in cui alcune figure professionali sono costrette a coordinare le attività. Il secondo elemento attiene alla necessità di una più efficiente collaborazione. Secondo studi recenti nordamericani15, i metodi convenzionali di misurazione delle performance inibiscono la collaborazione. In altre parole, quei meccanismi di premialità basati su performance creano ambienti di lavoro scoordinati e, dunque, rischiosi per il benessere piscofisico. Il terzo elemento è relativo al talento dei giovani (the need to attract and keep talent).
È stato dimostrato che gli schemi di misurazione numerica hanno un’incidenza negativa sulla comunicazione tra manager e giovani talenti. Cioè, a ben guardare, la formalità degli incontri periodici (annuali) nuoce al clima di impresa, che si traduce in quella naturale tensione di ciascuno a migliorare se stesso sulla base di suggerimenti e indicazioni informali, frequenti, efficaci. Sono questi problemi pratici rispetto a cui il regime del 2016 offre risposte nella misura in cui il procedimento negoziale sia capace di intercettare alcuni o tutti questi elementi e di tradurli in scelte operative. Ma questo non basta per inquadrare i profili problematici. Resta da considerare il tema dell’individuazione degli incrementi di produttività. Lasciando da parte la regolamentazione del 2013 e l’Accordo del 2012, i quali fissarono la nozione di produttività con inclusione onnicomprensiva di tutti gli elementi possibili (flessibilità ferie, orario, etc.), l’art. 1, co. 182, della l. n. 208/2015 ha una visione incrementale («incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione») e, pertanto, richiede specificità, misurabilità e algoritmi ex ante fissati. A ciò si aggiunga il tema del coinvolgimento paritetico nell’organizzazione del lavoro per accedere all’ulteriore sconto fiscale. Nel contesto sindacale attuale, la nozione di «pariteticità» assume molti significati. Nel contesto aziendale quel significato si complica ulteriormente.
Nel caso di PMI con meno di 15 dipendenti esiste, in molti casi, un problema di pratica attuazione del coinvolgimento paritetico che potrebbe essere risolto con la promozione di modalità o buone prassi già realizzate, in settori dell’artigianato o del terziario, nel centronord, dagli enti bilaterali territoriali.
Note
1 Sul premio di produzione e sullo sviluppo giurisprudenziale, si v. Occhino, A., Premio di risultato e fonte costitutiva del diritto, in Riv. it. dir. lav., 2009, I, 49 ss. Sul regime del 2016, si v. Treu, T., Introduzione al welfare aziendale, Catania, 2016. Per i profili di diritto comparato si v. Faioli, M., Welfare privato in Europa. Casi studio e comparazione, in Welfare aziendale, migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti, Treu, T., a cura di, Milano, 2013, 189 ss.
2 Giugni, G., Organizzazione dell’impresa e evoluzione dei rapporti giuridici. La retribuzione a cottimo, in Riv. dir. lav., 1968, I, 9 ss.; Zoppoli, L., L’art. 36 della Costituzione e l’obbligazione retributiva, in La retribuzione struttura e regime giuridico, Caruso, B.Zoli, C.Zoppoli, L., a cura di, Napoli, 1994, 93 ss.
3 Faioli, M., Attualità e dibattito in tema di costo del lavoro, retribuzione e politiche dei redditi, in Riv. dir. sic. soc., 2011, III, 663 ss.
4 Hallock, K. F., Pay. Why people earn what they earn and what you can do now to make more, Cambridge, 2012.
5 D’Antona, M., Le nozioni giuridiche della retribuzione, in Dir. lav. rel. ind., 1984, 269 ss..
6 Zoppoli, L., Nozione giuridica di retribuzione, incentivazione e salario varabile, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1991, I, 29 ss.
7 Per una disamina sui precedenti regimi, Ferrante, V., Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, mercato del lavoro, competitività. Commentario alla legge 24 dicembre 2007, n. 247 e al d.l. 25 giugno 2008, n. 113, Magnani, M.Pandolfo, A.Varesi, P.A., a cura di, Milano, 2008; si v. anche l. 28.11.1996, n. 608 e l. 23.5.1997, n. 135.
8 v. banca dati RI2020 in www.uil.it.
9 Si v. Cass., civ., sez. lav., 18.3.2015, n. 5435.
10 Laulom, S., Analyzing the evolutions in national situations: what does decentralization mean? – A comparative approach, in Collective bargaining developments in time of crisis, Lione, 2016; Faioli, M., Oltre la continuità. La contrattazione collettiva decentrata, in Riv. it. dir. lav., 2012, III, 481 ss.
11 Gaeta, L., La terza dimensione del diritto: legge e contratto collettivo nel novecento italiano, 2016, in www.aidlass.it.
12 Si v. Trib. Bologna, sez. lav., 22.7.2015, n. 691 in www.iusexplorer.it e Trib. Parma, 21.6.2004, in Giur. it., 2006, VIIIIX, 1619 ss. Si v. anche Cass., civ., sez. lav., 25.6.2008, n. 17310.
13 Carrieri, M.Nerozzi, P.Treu, T., a cura di, La partecipazione incisiva, Bologna, 2015.
14 Bernstein, E.Bunch, J.Canner, N.Lee, M., Beyond the Holocracy Hype, 2016, in www.hbr.org. Si v. anche Gargiulo, U., La promozione della meritocrazia, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Zoppoli, L., Napoli, 2009.
15 Rock, D.Jones, B., Why more and more companies are ditching performance ratings, 2015 in www.hbr.org.