premiaiolo
agg. (iron.) Finalizzato a vincere un premio; che si adopera per far ottenere un premio.
• Sulle colonne di «Repubblica» ho scritto bene, anzi benissimo, di «Orizzonte mobile» di Daniele del Giudice: lo avrei votato allo Strega, se non fosse accaduto quel che è accaduto. Volgendomi intorno, non per motivi premiaioli ma per la curiosità intellettuale che muove i recensori (pardon, volevo dire alcuni fra essi), ho compulsato e scartato cinque o sei romanzi in circolazione, scritti un po’ troppo, secondo me, «per vincere i premi», (Alberto Asor Rosa, Repubblica, 30 aprile 2009, p. 1, Prima pagina) • È un’arringa senza freni, verbosa, capace di raggiungere alte vette linguistiche pur aggrappandosi a un tono ventrale non troppo lontano dalla moltitudine di commenti che oggi si leggono ovunque online in calce ad articoli e post sgraditi. A chi era dedicata? A quelli che avevano promesso rivoluzioni e avevano fatto l’avanguardia, ma che quindici anni dopo erano diventati, secondo definizione dell’autore, «mercanti premiaioli intrallazzatori di ministeri, di cattedre, di sedie, di editoria, di assessorati, di uffici tecnologici mobilifici bancari scolastici pubblicitari, di forme neopuristiche, iristiche, pirellistiche, olivettistiche, fiatistiche e altre e altro». La rabbia fantozziana ante litteram di quello sfuggente genio che fu Emilio Villa (1914-2003) riaffiora in un libretto da 21 pagine che riscopre un testo [...] vergato a mano nel 1978 su 12 fogli e destinato a circolare come un pamphlet clandestino all’interno di una ristretta cerchia di amici e intelligenze. (Simone Mosca, Repubblica, 19 ottobre 2017, Milano, p. XVII).
- Derivato dal s. m. premio con l’aggiunta del suffisso -aiolo.
- Già attestato nella Repubblica del 7 novembre 1991, p. 34, Cultura (Salvatore Tropea).