preposizioni
Le preposizioni sono ➔ parti del discorso invariabili, che hanno la funzione di mettere in relazione un costituente della frase con altri costituenti della stessa frase (metti il libro sul tavolo; la macchina sta dietro all’angolo; va di male in peggio; nevica di brutto; è arrivato in cima alla torre) o una frase con un’altra frase (studia per migliorare il voto; è bello da morire). Le preposizioni si suddividono comunemente in preposizioni proprie (quali a, da, in, con), preposizioni improprie (quali davanti, vicino, dopo, mediante) e locuzioni preposizionali (quali in fondo a, per via di, a causa di; ➔ preposizionali, locuzioni; ➔ locuzioni).
Il valore semantico della relazione espressa dalla preposizione dipende in larga parte dal contesto (natura dei costituenti, tipo di ➔ reggenza, ecc.), ma per la maggioranza di esse si può indicare un valore di base, o piuttosto un nucleo di significati affini, in molti casi riconducibile a un significato originario di tipo locativo.
Le preposizioni, come le ➔ congiunzioni, gli ➔ avverbi e le interiezioni (➔ interiezione), sono parti del discorso invariabili e fanno parte di quell’insieme di elementi denominati anche particelle perché materialmente piccoli; i membri prototipici delle classi delle particelle sono infatti monosillabici (➔ monosillabi).
La preposizione (lat. praepositio) deve il suo nome al fatto che viene preposta a un elemento lessicale, formando il cosiddetto ➔ sintagma preposizionale. La funzione centrale della preposizione è di mettere in relazione fra di loro altri elementi lessicali. Se l’elemento che segue la preposizione è un nome, un pronome, un avverbio o un aggettivo, si determina una relazione fra esso e altri costituenti della frase:
(1) Gli attori si muovono con una frenesia di animali braccati, in un’America tradotta in fogli di lamiera, e punteggiata da video accesi come lumini nei cimiteri (Baricco 1995: 10)
Se la preposizione è preposta a un verbo di modo non finito (➔ modi del verbo), la relazione si instaura invece fra due o più frasi:
(2) A vederlo, non li dimostra tutti questi anni (Baricco 1995: 11)
I costituenti messi in relazione dalla preposizione si possono indicare rispettivamente coi termini base e aggiunto: l’elemento aggiunto funziona da specificatore della base, come si vede nella costruzione prototipica nome + preposizione + nome:
(3) il gatto sul tappeto; la casa nel bosco; l’amica del fratello; il vento dal Nord; la lettera per lo zio
Anche quando base e aggiunto appartengono a classi grammaticali diverse, la preposizione esercita la stessa funzione di specificazione, quasi sempre subordinante: la base, sia essa un nome, un aggettivo, un verbo o un’intera proposizione, regge sintatticamente un altro costituente che per mezzo della preposizione ne diventa il complemento (➔ completive, frasi):
(4) il desiderio di venire; disposta a venire; rifiuta di venire; ha studiato per venire; idea di venire
La preposizione svolge dunque una funzione di estrema importanza nella costruzione della frase. Solo il ➔ soggetto, il complemento oggetto (salvo il caso dell’➔accusativo preposizionale; ➔ oggetto), i predicati nominali (➔ predicato, tipi di) e alcuni avverbiali (spesso temporali, quali oggi, la settimana prossima, ogni sera) possono essere introdotti senza preposizione; tutti gli altri costituenti di frase, per legarsi, ne richiedono una. In particolare, le preposizioni intervengono nel fondamentale fenomeno sintattico della reggenza: pensare a una cosa, accorgersi di un pericolo, pentirsi di una colpa, ecc.
Il ruolo centrale delle preposizioni si spiega col fatto che, oltre alle funzioni ereditate direttamente dalle preposizioni latine, esse svolgono anche molte funzioni a suo tempo assolte in latino dal sistema dei casi (➔ latino e italiano). Quando questo si dissolse, per diversi casi – il genitivo, l’ablativo, il dativo – si fece ricorso alle preposizioni, nell’ambito del generale passaggio dalle forme sintetiche del latino a quelle analitiche dell’italiano.
Per quanto riguarda l’inventario, l’italiano eredita dal latino molte preposizioni, quali ad, de, cum, contra, in, supra (che hanno dato luogo, rispettivamente, ad a, di, con, contro, in, sopra). Altre preposizioni latine si perdono, come ab, apud, erga, ob, prae, pro, di cui alcune sono però riconoscibili nelle nuove preposizioni che si vanno formando, quali de + ab > da (oppure, come sembra essere il caso per alcuni usi, de + ad > da); ab + ante > avanti; de + retro > dietro; de + post > dopo. Altre innovazioni sono le numerose preposizioni derivate da lessemi appartenenti ad altre classi grammaticali: avverbi, aggettivi, participi (durante, rasente, ecc.; vedi oltre; ➔ grammaticalizzazione).
Come si è detto, la grammatica tradizionale suddivide le preposizioni in tre gruppi: (a) preposizioni proprie; (b) preposizioni improprie; (c) locuzioni preposizionali.
Sebbene tale suddivisione non sia priva di problemi, per ogni gruppo sono individuabili diversi tratti distintivi, dal punto di vista morfosintattico come semantico.
Le preposizioni proprie italiane sono otto. Le più frequenti sono di e a, a cui seguono (con qualche fluttuazione di frequenza rispetto alla variazione diamesica e diafasica) da, in, con, su e per, mentre meno frequente è tra / fra (in alternanza per ragioni d’eufonia; ➔ allotropi). Come indica il nome, le preposizioni proprie sono i membri centrali o prototipici della classe, cioè i migliori rappresentanti della categoria, intorno ai quali gli altri membri si dispongono sulla base del principio di somiglianza di famiglia.
Queste preposizioni sono monosillabiche (quindi vere particelle), un tratto che le dispone a fondersi con gli articoli determinativi (➔ articolo). Accanto alle preposizioni proprie semplici compaiono così le preposizioni articolate:
il lo la i gli le
di del dello della dei degli delle
a al allo alla ai agli alle
da dal dallo dalla dai dagli dalle
in nel nello nella nei negli nelle
con col collo colla coi cogli colle
su sul sullo sulla sui sugli sulle
per pel pei
Come si vede, non tutte le combinazioni fra preposizione e articolo sono ammesse: alcune sono scomparse, altre sono in disuso. Interessante è il caso di con: le preposizioni articolate collo, colla, cogli e colle (indicate in corsivo nello specchietto) compaiono ormai solo in testi antichi o di registro letterario, mentre le forme col e coi sono molto attestate anche in testi di registro colloquiale e nel parlato, come si vede negli esempi (5) e (6), tratti dal web:
(5) La prima, col pari col Livorno, non è stata entusiasmante
(http://orgogliogobbo.forumcommunity.net/?t=35321623&st=15)
(6) Berlusconi se la prende coi Pm
(http://www.newsrimini.it/news/2010/febbraio/11/nazionale)
L’uso delle preposizioni prima dei nomi propri con articolo pone parecchi problemi agli utenti della lingua: tra le tre soluzioni possibili e attestabili, in La Spezia, ne La Spezia, e nella Spezia, di norma viene consigliata l’ultima (► nomi propri), in quanto più conforme alle regole generali di articolazione e rispecchiante più fedelmente la pronuncia.
Un breve commento va fatto anche sull’uso di di + articolo come articolo partitivo (➔ partitivo), su cui cfr. l’es. (7):
(7) dovremo fare delle analisi approfondite anche a lei (Ligabue 2005: 89)
Che si tratti di un uso particolare, non preposizionale, si vede dal fatto che di + articolo può essere preceduto da un’altra preposizione, il che costituisce una peculiarità dell’italiano moderno, specialmente nel registro parlato:
(8) ho bisogno un consiglio su delle canzoni
(http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20100930101201AAtl4Du)
In omaggio al loro nome, le preposizioni proprie (ad eccezione di su) richiedono sempre un aggiunto a cui sono appunto preposte. Non è ammesso l’uso della preposizione senza complemento in assoluto (uso avverbiale), che invece si ammette per buona parte delle preposizioni improprie:
(9) è entrato in casa / *è entrato in ~ è salito sopra il tavolo / è salito sopra
Non è neanche possibile l’estrazione del complemento tramite pronominalizzazione (➔ pronomi), ammessa invece per molte preposizioni improprie:
(10) ho votato per Marco / *gli ho votato per ~ ho votato contro Marco / gli ho votato contro
Facendo un parallelo con i verbi si può distinguere (come già Jespersen nel 1924, a proposito dell’inglese: Jespersen 1965) fra le preposizioni usate in maniera solo transitiva, come appunto le preposizioni proprie, e quelle che ammettono l’uso sia transitivo che intransitivo, come buona parte delle preposizioni improprie (e su).
Le preposizioni proprie si contraddistinguono anche per la loro frequenza e per il loro ventaglio di funzioni sintattiche. La loro semantica è assai generica, e in proporzione inversa alla specificità semantica si accentua la funzione generale di mettere in relazione. Le preposizioni più frequenti (di, a, da) in molti contesti funzionano come puri relatori, in quanto non contribuiscono, o contribuiscono solo in maniera minima, alla semantica del rapporto fra base e aggiunto: in costruzioni come macchina da scrivere, l’amore dei figli, vestito a fiori, sono i significati della base e dell’aggiunto, nonché il contesto generale, a determinare il tipo di relazione.
L’area in cui è forse più evidente il valore prevalentemente relazionale della preposizione è quella delle frasi completive all’infinito (➔ infinitive, frasi), cioè quando la preposizione (nella maggioranza dei casi preposizioni proprie) precede un verbo all’infinito:
(11) esco per fare la spesa
(12) non c’è niente da mangiare
Nelle completive introdotte da di e a la preposizione funziona come puro introduttore dell’infinito, equivalente al che delle frasi con verbo di modo finito. A volte è obbligatoria:
(13) aspetto di essere invitato personalmente
(14) ha imparato a nuotare
Altre volte è facoltativa:
(15) non sopporto di stare seduta tanto a lungo ~ non sopporto Ø stare seduta tanto a lungo
Tale ultima oscillazione è uno dei tratti che più distinguono le lingue romanze dall’italiano:
(16) conto di partire domani / fr. je compte partir demain
(17) spero di vederti presto / spagn. espero verte pronto
In termini di categorizzazione, in questi casi si può discutere se si tratti di preposizioni o congiunzioni. In ogni caso, tali slittamenti categoriali confermano l’affinità delle funzioni assolte dalle preposizioni e dalle congiunzioni, appunto quella di mettere in relazione.
Altra caratteristica delle preposizioni proprie è il loro diffuso impiego nella formazione di nuove parole. Come nel caso della fusione con l’articolo, la loro ‘leggerezza’ materiale le predispone a essere usate come ➔ prefissi, per es. verbali: innamorarsi, arrossire, coabitare, fraintendere, ecc. Troviamo la preposizione come prefisso in molti lessemi ereditati dal lati-no (esempi più o meno trasparenti: ex + ire > uscire; de + trăhere > detrarre; per + durāre > perdurare), e il fenomeno è ancora produttivo.
Le preposizioni improprie, tutte polisillabiche, costituiscono una classe meno chiusa, con membri più numerosi e diversi. Sono denominate improprie perché quasi tutte derivano da parole appartenenti ad altre categorie grammaticali e che svolgono anche altre funzioni sintattiche. Alcune sono originariamente aggettivi (come vicino, lontano, lungo); altre derivano da verbi, più specificamente da participi (➔ participio) presenti o passati, molti dei quali svolgono ormai prevalentemente funzioni preposizionali (quali durante, mediante, nonostante, rasente, eccetto e dato). Più numerose sono le cosiddette preposizioni avverbiali, come sotto, sopra, accanto, davanti, fuori, contro, verso, oltre e una lunga serie di altri lessemi, che a seconda del contesto sintattico, si comportano rispettivamente come preposizione e avverbio, cioè con e senza complemento. La polifunzionalità, già presente nel gruppo di preposizioni proprie di cui molte si prestano ad uso come congiunzione, può dirsi quasi tratto distintivo delle preposizioni improprie.
Alcune preposizioni polisillabiche possono dirsi improprie anche perché, per svolgere la funzione preposizionale, cioè per legare a sé un altro costituente della frase, hanno bisogno a loro volta di una preposizione propria. Tra le preposizioni improprie troviamo così membri come:
(a) accanto, addosso, vicino, davanti, ecc., che richiedono obbligatoriamente l’appoggio di una preposizione propria, più comunemente a:
(18) scendiamo di macchina davanti ai cancelli della cittadella industriale (Celati 1992: 79)
(19) poche persone sulla piazza chiacchierano di politica attorno ad un palco (Celati 1992: 75)
ma anche di, con e da, come ad es.:
(20) fuori dalla palazzina i fiocchi sembrano stracci (Ligabue 2005: 161)
(21) portalo fuori di casa
Nondimeno, a questa regola vi è un’eccezione costituita da una serie di espressioni fisse in cui il nome che funge da elemento specificatore (frequente il lessema casa) compare senza articolo, per es. fuori casa, davanti casa, vicino casa;
(b) dietro, sopra, dentro, a rischio, ecc., che compaiono a volte con, a volte senza preposizione d’appoggio:
(22) sotto l’argine abbiamo incontrato una costruzione tetra (Celati 1992: 74)
(23) sotto al Vesuvio siamo ancora vivi!
(http://www.rifiutizerocampania.org/articololibero/worgxtqtsunmj?page=29)
(c) attraverso, dopo, senza, meno, ecc., che invece non ammettono seconda preposizione, reggendo quindi direttamente il complemento:
(24) ha un […] cortile interno a cui si accede attraverso un portone quadrato (Celati 1992: 13)
(25) il circo, dopo le verdure lesse, è la cosa più triste del mondo (Baricco 1995: 45)
Va aggiunto inoltre che, quando il complemento consiste in un pronome personale o riflessivo, le preposizioni improprie (e fra le preposizioni proprie anche su e fra / tra) scelgono in genere la preposizione di come elemento d’appoggio:
(26) sotto di noi la pioggia schiaccia a terra tutte le foglie cadute (Ligabue 2005: 110)
(27) dietro di lui ci sono i pm di Palermo
(http://www.repubblica.it/politica/2010/02/08/news/reazioni_ciancimino-2227536)
L’area delle preposizioni ‘doppie’ presenta una grande variazione, e sono frequenti i dubbi dei parlanti rispetto all’aggiunta o meno di una seconda preposizione. Ancora più rilevante in questa sede è il disaccordo fra gli studiosi rispetto alla classificazione delle combinazioni preposizione impropria + preposizione propria: si tratta di preposizioni improprie con «reggenza mediata attraverso un’altra preposizione» (Rizzi 1988: 508) o di locuzioni preposizionali (Serianni 2000: 234)?
Come già accennato sopra, un certo numero di preposizioni improprie ammette l’estrazione del complemento tramite pronominalizzazione. Si vedano gli esempi (28) e (29) in cui, rispettivamente, a Monica si pronominalizza in le e al pavimento nell’avverbio pronominale ci:
(28) Monica singhiozza e Maria le si siede accanto
(29) Però il pavimento […] la gente non osa nemmeno camminarci sopra (Baricco 1995: 20)
Il fenomeno dell’estrazione è più frequente per le preposizioni improprie che richiedono o ammettono come preposizione d’appoggio a (come negli esempi citati: accanto / sopra + a), e sembra anche più comune nei casi in cui il sintagma preposizionale rientra nella struttura argomentale del verbo (➔ argomenti) e non svolge una funzione puramente circostanziale; delle costruzioni seguenti la prima è dubbia e la seconda inaccettabile:
(30)
a. ?le ha mangiato accanto
b. *le è felice accanto
L’estraibilità del complemento è interessante perché porta la preposizione impropria in posizione finale (paragonabile al fenomeno delle stranded prepositions «preposizioni scomposte», comunissimo in molte altre lingue) e sembra puntare già in direzione della sparizione totale del complemento, cioè, all’uso puramente avverbiale della preposizione.
È questo infatti il tratto distintivo più saliente delle preposizioni improprie: gran parte di esse (fra le eccezioni troviamo soprattutto derivati da verbi e aggettivi, quali riguardo, rispetto, attraverso, rasente, lungo, ecc.) possono occorrere anche senza complementi, o, volendo fare un’analogia con i verbi, in maniera anche intransitiva. Gli esempi seguenti illustrano la polifunzionalità sintattica di questi elementi lessicali (e di conseguenza le difficoltà di categorizzarli), ma rivelano allo stesso tempo come rimanga stabile sia il significato specifico del lessema sia il suo valore relazionale. Infatti, anche nell’uso avverbiale, questi lessemi incorporano quasi sempre l’idea di una messa in relazione: il complemento mancante si può dedurre o dal cotesto o dal ➔ contesto:
(31) ieri sera mio fratello è andato sotto il tavolo e poi io ho guardato sotto
(32)
a. ma la pioggia è tutta sotto e non sopra l’ombrello (http://succodimela.splinder.com/post/6062832)
b. l’ombrello ha un paio di dita di neve sopra (Ligabue 2005: 175)
(33)
a. un vecchio [...] è stato messo a prendere il fresco fuori dall’uscio (Celati 1992: 75)
b. ho deciso di prendere un po’ d’aria fuori
(34)
a. tutto attorno a me ci sono solo io (Ligabue 2005: 175)
b. quella che ho attorno è una piccola cabina (Ligabue 2005: 53).
Le locuzioni preposizionali sono combinazioni di parole che costituiscono un’espressione unica, con funzioni sintattiche e significati simili a quelli delle preposizioni (➔ locuzioni; ➔ preposizionali, locuzioni). Come detto sopra, già la combinazione preposizione impropria + preposizione propria (accanto a, insieme con, fuori da, ecc.) può essere definita una locuzione preposizionale, ma la sua forma esemplare è la combinazione preposizione + nome + preposizione, come in mezzo a, a causa di, a favore di, in base a, per mezzo di, di fianco a, a rischio di, ecc. Non poche preposizioni improprie derivano da locuzioni preposizionali con ➔ univerbazione: accanto a ← a canto a; invece di ← in vece di.
A volte il significato della locuzione è composizionale, cioè derivabile dai significati delle parole che la compongono; questo è il caso dell’es. seguente, che illustra al contempo come anche la locuzione preposizionale possa essere usata in maniera avverbiale, senza complemento:
(35) l’albero di fianco a quello dell’impiccato, proprio quello di fianco (Baricco 1995: 10)
Altre volte il significato della locuzione è non trasparente, idiomatico, come in (36), in cui la scelta di per via di invece della semplice preposizione propria per può servire a precisare la relazione instaurata fra i costituenti frasali:
(36) ProSca fa la schifiltosa per via del pantano sotto i piedi (Ligabue 2005: 66)
Nelle locuzioni preposizionali prototipiche il nome non è introdotto da articolo; l’introduzione dell’articolo a volte comporta il cambiamento di una o entrambe le preposizioni coinvolte nella locuzione: cfr., nell’es. seguente, in mezzo a ~ nel (bel) mezzo di:
(37) Nel bel mezzo di un cortilone di non-so-cosa, in mezzo a un mare di cartelli per non-so-cosa, la processione sfila (Baricco 1995: 10)
Come tutte le locuzioni, ovvero le unità polirematiche (➔ polirematiche, parole), anche quelle preposizionali si collocano fra il lessico (regolarità e fissità dell’espressione) e la sintassi (variazione e libertà di costruzione). Anziché un confine netto fra locuzione e struttura libera, in molti casi sembra trattarsi piuttosto di un passaggio graduale, come illustrano gli esempi seguenti: in (38) troviamo una tipica locuzione preposizionale dal significato idiomatico (a bordo di); in (39) ci avviciniamo alla costruzione libera, con il nome al plurale, introdotto da articolo, e dal significato composizionale (ai bordi di); in (40), benché più vicini alla costruzione libera, si ha il fenomeno d’estrazione del complemento tipico delle preposizioni improprie: ai bordi si comporta come si comporta comunemente fuori («me ne sto fuori»):
(38) I sapori italiani salgono a bordo di Alitalia (http://www.ilprimato.com/la-buona-tavola.html?start=6)
(39) Ci fermiamo ai bordi di un canale ampio (Ligabue 2005: 66)
(40) Non è che sto fuori dalla festa. Me ne sto ai bordi per un po’ (Ligabue 2005: 124).
La semantica delle preposizioni può essere affrontata da due punti di vista: quello del sintagma preposizionale nella sua funzione di complemento, o quello della preposizione di per sé.
Nel primo caso si parte dalla funzione logica svolta dal sintagma preposizionale nella frase, come si vede nella distinzione tradizionale nei vari tipi di ➔ complementi: complemento di luogo, di specificazione, di tempo, di compagnia, di causa, di mezzo, di modo, di agente o causa efficiente, ecc., arrivando talvolta a una vera proliferazione di sottocategorie, quali i complementi di moto entro luogo circoscritto o di stato in luogo figurato. Lo stesso tipo di complemento può essere introdotto da preposizioni diverse, così come la stessa preposizione può introdurre vari tipi di complemento; non sussiste quindi un rapporto diretto fra specifiche preposizioni e specifici complementi, sebbene certe preposizioni si impieghino con più frequenza nella costruzione di determinati complementi (ad es., i complementi di agente e di causa efficiente sono tipicamente introdotti dalla preposizione propria da).
Come si è detto, il valore della singola preposizione è in larga parte determinato dal contesto sintattico e semantico in cui si trova. Ciononostante, per la maggioranza delle preposizioni è possibile indicare un nucleo semantico, a cui sono riconducibili grosso modo i diversi significati assunti nei contesti specifici.
Riprendendo la distinzione fra preposizioni proprie, improprie e locuzioni preposizionali si può parlare di una scala di gradualità rispetto alla specificità semantica (Dardano & Trifone 1997: 367). Le preposizioni proprie, considerate di norma parole grammaticali, hanno carattere generico e introducono relazioni assai diverse, a volte addirittura contrastanti: più frequenti sono (come di e a), più ‘incolori’ diventano (Spang-Hanssen 1963; Weinrich 1988), e più esteso e vario diventa il loro campo d’impiego. Le preposizioni improprie, collocate di solito nella categoria di parole lessicali, sono semanticamente più specifiche e il loro impiego è meno esteso. Ciò vale anche per le preposizioni improprie più frequenti (come sotto, sopra, dentro, fuori, contro, davanti; quasi tutte fra quelle che ammettono anche l’uso intransitivo, avverbiale), che sono comunque meno frequenti e più specifiche di tra / fra, più specifiche e meno frequenti fra le preposizioni proprie. Semantica ancora più univoca hanno le locuzioni preposizionali, più lontane dalle preposizioni proprie monosillabiche anche per la loro ‘pesantezza’ materiale.
Abbiamo così un continuum basato sulle correlazioni fra specificità semantica, frequenza e materiale (le proprietà semantiche delle preposizioni):
preposizione propria preposizione impropria locuzione preposizionale
specificità + + ++
semantica
frequenza ++ + +
d’impiego
materiale monosillabica polisillabica unità polirematica
L’impiego di preposizioni improprie o locuzioni preposizionali può servire a disambiguare la polisemia delle preposizioni proprie (come nell’esempio classico l’amore del vicino, in cui è incerto se il sintagma preposizionale abbia valore di soggetto o di oggetto diretto: l’amore da parte del vicino ~ l’amore nei confronti del vicino), o anche solo ad aggiungere più pregnanza semantica alla relazione istituita dalla preposizione (per es.: una casa al mare / una casa in riva al mare; è salito sulla torre / è salito in cima alla torre).
Per quanto riguarda il valore semantico delle singole preposizioni, in particolare quelle proprie e quelle improprie più frequenti, quasi tutte le trattazioni di grammatica fanno riferimento al carattere locativo, a volte per accentuarne la centralità rispetto ad altri significati assunti, a volte per esprimere invece dubbi su, o respingere addirittura, tale primato semantico. In ogni caso, parlando della semantica delle preposizioni sembra quasi doveroso portare il discorso sulla rilevanza della categorizzazione spaziale per la cognizione umana. La percezione, la concettualizzazione e la codificazione verbale delle relazioni spaziali fra le entità che ci circondano sono fra le facoltà cognitive fondamentali e primarie. Con un procedimento per analogie e metafore, le rappresentazioni mentali delle relazioni spaziali sembrano in seguito servire da modello per rendere concepibili anche relazioni meno concrete, quali quelle temporali o più astratte ancora. Uno degli argomenti di tale ipotesi (formulata con più fervore dalla linguistica cognitiva) è appunto il frequente slittamento semantico, nel lessico, dal dominio spaziale ad altri domini, innanzitutto quello temporale; slittamento che si riscontra con molta evidenza nel campo delle preposizioni (nel mese di maggio; da una settimana a questa parte; fino alla settimana scorsa; fuori dell’orario stabilito; sotto natale).
Passando in rassegna le preposizioni proprie, dalla semantica più generica, si vede come in effetti sia quasi sempre possibile definire un valore fondamentale locativo, spesso anche etimologicamente primario. La lingua, poi, per analogia o metaforizzazione, espande il campo d’impiego del significato locativo a domini non locativi, arrivando talvolta a una gamma di significati così vasta che il valore fondamentale sembra perdersi. Tuttavia, perfino la preposizione più puramente relazionale di tutte, l’incolore di, in vari contesti ritiene il primitivo significato di «origine» ereditato dalla preposizione latina de, a volte con valore specificamente locativo (esco di casa), a volte indicante una provenienza più generale (mia nonna è di Parma; i fiori del giardino; la statua è fatta di marmo).
Le preposizioni intervengono in maniera determinante nel dar luogo a una categoria di ➔ locuzioni, tipicamente romanze (le lingue germaniche ne hanno solo pochi equivalenti), che hanno varie strutture. Ad es.:
(a) preposizione (o preposizione articolata) + (aggettivo) + nome: a briglia sciolta, ad alta voce, in piena coscienza, a gambe levate, alla follia, a tarda sera, di buon mattino, di buon carattere, di turno, in alto mare, in mare aperto, per amor di dio, di tutto rispetto;
(b) preposizione (o preposizione articolata) + aggettivo (spec. femminile): alla grande, all’italiana, alla carlona, alla garibaldina.
Tali locuzioni hanno funzione di ➔ attributo, essendo modificatori o del solo verbo (lavorare alla carlona) o del solo nome (persona di fatica) o dell’uno e dell’altro. In italiano queste locuzioni, pur essendo diverse decine di migliaia, non sono ancora studiate. È facile notare però che in talune di esse la specifica preposizione scelta ha un significato relativamente stabile: ad es., il di di di turno, di guardia, di servizio, ecc., sembrerebbe designare uno stato provvisorio.
Un ulteriore tipo di locuzione è costituito da un ristretto numero di verbi di cui la preposizione sembra fare parte integrante e il complemento essere un complemento predicativo: passare per ingegnere, spacciarsi per medico, prendere per stupido, ecc.
Baricco, Alessandro (1995), Barnum. Cronache dal grande show, Milano, Feltrinelli.
Celati, Gianni (1992), Verso la foce, Milano, Feltrinelli (1a ed. 1989).
DISC (1997) = Dizionario Italiano Sabatini Coletti, a cura di F. Sabatini & V. Coletti, Firenze, Giunti.
Ligabue, Luciano (2005), La neve se ne frega, Milano, Feltrinelli (1a ed. 2004).
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Jespersen, Otto (1965), The philosophy of grammar, New York, The Norton Library (1a ed. London, Allen & Unwin, 1924).
Rizzi, Luigi (1988), Il sintagma preposizionale, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1º (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 507-531.
Serianni, Luca (2000), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi; con un glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.
Spang-Hanssen, Ebbe (1963), Les prépositions incolores du français moderne, Copenhague, Gads.
Weinrich, Harold (1988), Preposizioni incolori? Sulle preposizioni, franc. de e a, ital. da, in Id., Lingua e linguaggio nei testi, prefazione di C. Segre, Milano, Feltrinelli, pp. 139-180 (ed. orig. Sprache in Texten, Stuttgart, Klett, 1976).