PRESCRIZIONE
Diritto romano. - Prescrizione acquisitiva. La prescrizione acquisitiva o usucapione è un modo d'acquisto della proprietà attraverso il possesso giustificato e continuato per un periodo di tempo legale (Dig., XLI, 3, de usurp. et usuc., 3: usucapio est adiectio dominii per continuationem possessionis temporis lege definiti). L'usucapione o prescrizione acquisitiva del diritto giustinianeo risulta dalla fusione di due istituti diversissimi, sia per la funzione originaria sia per l'ambito in cui sono sorti, l'usucapio e la longi temporis praescriptio.
L'usucapio era un istituto antichissimo, quiritario, e consisteva nell'acquisto del diritto mediante il possesso (come dice anche il nome, perché usus in antico non significa se non possesso) continuato, secondo una norma delle XII Tavole, per due anni trattandosi di fondi e per un anno trattandosi di tutte le altre cose: in antico l'usucapio non conduceva soltanto all'acquisto della proprietà, ma anche di altri diritti sulle cose, come le servitù, e di potestà familiari, come la manus sulle donne: abolita poi l'usucapione delle servitù da una lex Scribonia di data incerta, e caduto in desuetudine l'acquisto della manus mediante l'usus, restò limitata all'acquisto della proprietà, e conduceva al dominium ex iure Quiritium. Le ipotesi d'applicazione dell'istituto erano due: l'acquisto da chi non fosse proprietario o non avesse capacità di alienare, e l'acquisto di una res mancipi dal vero proprietario, ma senza fare uso dei modi civili di alienazione. In questa seconda ipotesi il possessore, prima della decorrenza del tempo necessario ad usucapire, fu tutelato dal pretore mediante l'azione publiciana, cosicché il suo possesso divenne in sostanza una vera forma di proprietà, cui si evitò peraltro di dare il nome di dominium, riservato al dominium ex iure Quiritium. Sottratte all'usucapione erano le cose non suscettibili di rapporti giuridici privati (res extra commercium), quelle alienate dalla donna senza l'auctoritas del suo tutore, le res furtivae e le res vi possessae. Altri limiti il diritto più antico non conosceva: bastava, insomma, che l'acquisto del possesso fosse avvenuto senza lesione del possesso altrui, cioè che non fosse derivato da furto, spoglio clandestino o concessione precaria (nec vi nec clam nec precario); la possessio avente questi requisiti era iusta. Più tardi si richiese, inoltre, che il possesso fosse stato acquistato sulla base di un rapporto col precedente possessore, idoneo a giustificare il trasferimento del dominio: trasferimento, però, non per mancanza o di diritto nel trasferente o dei modi civili di alienazione (iusta causa usucapionis), e che il possessore andasse al possesso con la coscienza di non ledere il legittimo possessore (bona fides).
Tracce del più antico ordinamento rimasero però in alcune figure anomale, in cui segnatamente non si richiedeva la buona fede: così nell'usucapio pro herede, a favore di chi prima dell'erede avesse preso possesso delle cose ereditarie, e nelle cosiddette usureceptiones; tuttavia queste figure eccezionali vennero sempre più limitate e nel diritto classico più evoluto tendono a sparire.
La longi temporis praescriptio ha origine affatto diversa. Nelle provincie, dove l'usucapione non era applicabile perché ivi non esisteva il dominium ex iure Quiritium, forse sulla base di un istituto greco e certo già all'epoca dei Severi, spuntò un istituto di carattere processuale, un'eccezione concessa contro il rivendicante al possessore che per dieci anni tra presenti (cioè dimoranti nella stessa città o provincia) o per venti anni tra assenti avesse posseduto la cosa. In confronto all'usucapione, questa longi temporis praescriptio non faceva acquistare al possessore la proprietà provinciale né gli consentiva di rivendicare la cosa quando l'avesse perduta, ma soltanto lo difendeva contro il rivendicante.
Tuttavia nella pratica, specialmente in Oriente, i due istituti tendevano a fondersi: la longi temporis praescriptio tendeva a trasformarsi in modo d'acquisto della proprietà, e pare che al possessore ricuperar la cosa perduta. La fusione dei due istituti fu operata da Giustiniano nel 531 (Cod. VII, 31, de usuc., I): egli trasformò la longi temporis praescriptio in un modo d'acquisto della proprietà applicabile ai beni immobili, per i quali conservò il limite di tempo di dieci o venti anni, mentre il nome di usucapio fu lasciato al solo acquisto di beni mobili, ed elevato a tre anni il limite di tempo.
I requisiti dell'unico istituto giustinianeo derivano sia da quelli e sono: il possesso, il decorso del tempo, la capacità della cosa, la giusta causa o, come ora si preferisce dire, il giusto titolo, la buona fede. Quanto al possesso, si richiede, come nell'usucapio classica, il possesso vero e proprio, cioè il possesso della cosa con intenzione di tenerla come propria. Se il possesso si perdeva, l'usucapio classica era interrotta (e se il possesso si ripristinava, cominciava una nuova usucapione); mentre non interrompeva l'usucapione, fondata sul rispetto alla longi temporis praescriptio. Il diritto giustinianeo riconosce ambedue i casi d'interruzione - si parla d'interruzione naturale nel primo caso e d'interruzione civile nel secondo - nonché talune ipotesi di sospensione della prescrizione: cioè, che in taluni casi per un certo periodo il tempo dell'usucapione non decorra. Al decorso del tempo si ricollegano i due istituti della successio e dell'accessio possessionis. Il primo deriva dall'usucapio: quando l'usucapiente fosse morto durante il decorso del tempo necessario ad usucapire, l'erede ne continuava l'usucapione, in quanto subentrava nella posizione giuridica del defunto, e quindi anche nel possesso così come era in testa al defunto, tanto da non tenersi conto se l'erede fosse personalmente in buona o mala fede. L'accessio possessionis, invece, sorse nella longi temporis praescriptio e nel classico interdetto utrubi, e consiste nella facoltà del possessore di aggiungere al proprio il possesso del suo autore, a condizione che anche questo sia giustificato e idoneo all'usucapione: si ha qui la somma di due possessi distinti, tanto che la buona fede si richiede anche all'inizio del possesso dell'avente causa, mentre nella successio possessionis si ha la continuazione di un unico possesso. Quanto alla capacità della cosa, restano gli antichi divieti delle res furtivae e delle res vi possessae e altri se ne aggiungono: nel diritto delle Novelle è vietata l'usucapione degl'immobili acquistati da un possessore di mala fede. Quanto alla giusta causa o giusto titolo e alla buona fede, si atteggiano in generale come nell'usucapio classica; in particolare, la buona fede si esige soltanto all'inizio del possesso e non importa se in seguito si venga a conoscenza del vero stato delle cose (mala fides superveniens non nocet).
Quanto alla giusta causa, mentre i giureconsulti classici, salvo alcuni, esigevano che esistesse realmente e non si accontentavano del titolo putativo, cioè della mera credenza (fondata su un errore scusabile) del subbietto che questa esistesse, Giustiniano, accogliendo l'opinione della minoranza dei giureconsulti classici, si è contentato del titolo putativo.
Il diritto giustinianeo riconosce una longi temporis praescriptio decennale o ventennale come modo d'acquisto delle servitù, e una longi temporis praescriptio dello status libertatis a favore di colui che per venti anni in buona fede sia vissuto come libero. È certo che in entrambi i casi si tratta di un'innovazione di Giustiniano o almeno della prassi postclassica. Accanto alla longi temporis praescriptio il diritto giustinianeo conosce pure una praescriptio longissimi temporis, che si compie di regola in trent'anni (o in quaranta, trattandosi di cose litigiose o dello Stato, della Chiesa o di opere pie), la quale non richiede la iusta causa, e nemmeno il titolo putativo, ma soltanto la buona fede all'inizio del possesso: si tratta di una innovazione di Giustiniano, sulla base della trentennale prescrizione delle azioni, introdotta da Teodosio II, cui fu attribuito carattere acquisitivo.
Prescrizione estintiva. - Essa è un istituto per il quale ogni azione, o meglio diritto ridotto al puro momento dell'azione, dopo un determinato spazio di tempo può esser estinto mediante eccezione. Di comune con la prescrizione acquisitiva ha, dunque, soltanto il nome e l'elemento del decorso del tempo, sebbene nella sistematica del codice teodosiano, delle compilazioni giustinianee e dei codici moderni, come pure nelle sue vicende storiche nel diritto intermedio, sia stata sempre confusa con quella. Ciò che per altro si spiega con la sua origine dalla longi temporis praescriptio, che dapprincipio aveva questo carattere e che poi in seguito divenne in parte, come si è visto, un modo d'acquisto del dominio.
La prescrizione estintiva s'introduce in modo generale soltanto nell'età postclassica. Non si può parlare di prescrizione, nel diritto romano classico, per tutti i numerosi esempî di azioni esperibili entro l'anno utile, perché si tratta piuttosto di casi di decadenza. Il diritto classico ne aveva soltanto uno spunto nell'estinzione delle servitù: le servitù rustiche e l'usufrutto si estinguevano per non uso, le servitù urbane in seguito a usucapio libertatis, cioè quando il proprietario del fondo servente l'avesse posseduto in modo da impedire l'esercizio della servitù; il periodo di tempo richiesto era quello consueto dell'usucapione, che Giustiniano portò a dieci e venti anni come nella longi temporis praescriptio. Ma soltanto nel 424 Teodosio II (forse sulla base di poco note riforme di Costantino), su imitazione della longi temporis praescriptio, che rispetto alla rei vindicatio aveva anche carattere estintivo, stabilì che a tutte le azioni, di qualsiasi specie, fosse opponibile la prescrizione trentennale. La costituzione di Teodosio II fu accolta da Giustiniano, che, come si è visto, attribuì carattere acquisitivo anche alla prescrizione trentennale, e questo spiega come nelle vicende ulteriori i due tipi seguano le stesse sorti.
In taluni casi al posto della prescrizione di trent'anni si ha una prescrizione di quarant'anni.,
Bibl.: P. P. Zanzucchi, La successio e l'accessio possessionis nell'usucapione, in Arch. giur., LXXI (1904); J. Partsch, Die longi temporis praescriptio, Lipsia 1906; P. Bonfante, La iusta causa dell'usucapione e il suo rapporto colla bona fides, in Scritti giurid. vari, II, Torino 1918, p. 469 segg.; id., Le singole iustae causae usucapionis e il titolo putativo, ibid., p. 552 segg.; id., I limiti originari dell'usucapione, ibid., p. 683 segg.; id., Corso di dir. rom., II, sez. 2ª, Roma 1928, p. 204 segg.; id., Ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, p. 272 segg.; V. Arangio Ruiz, Ist. di dir. rom., 3ª ed., Napoli 1934, p. 200 segg.
Diritto moderno.
Diritto privato. - Il legislatore italiano sotto un unico titolo del cod. civ. (tit. XXVII del libro III) disciplina due istituti aventi origine, scopi, caratteri sostanzialmente diversi: la prescrizione acquisitiva (o usucapione) e la prescrizione estintiva. Si perpetua, così, nel codice italiano, quella teoria unificatrice della prescrizione che si afferma energicamente nella legislazione canonica, giustificata dal fatto che il diritto della Chiesa richiedeva la buona fede tanto per chi pretendeva conseguire col decorso del tempo l'acquisto di un diritto, quanto l'estinzione di una obbligazione. Il che spiega come, adottato dalla scuola del diritto naturale, questo concetto unitario sia passato nel codice napoleonico e quindi nell'italiano, pur essendosi nelle moderne codificazioni abbandonati i principî di diritto canonico in materia di buona fede. Sintomatica è, peraltro, la tendenza delle più moderne legislazioni (cod. civ. tedesco, 1900; cod. civ. svizzero, 1907; cod. civ. brasiliano, 1916; cod. civ. cinese, 1930), nonché dei più recenti progetti (progetto italo-francese delle obbligazioni del 1927; prog. cod. civ. it.; prog. cod. civ. polacco), verso un'autonoma disciplina della prescrizione acquisitiva seperata da quella della prescrizione estintiva: tendenza, che già era prevalsa nella scuola storica e a cui s'informa oggi la quasi unanime dottrina.
Prescrizione acquisitiva. - Non si contesta dagli storici del diritto l'influenza del diritto romano sul barbarico, in ordine all'istituto della prescrizione acquisitiva; ma in diritto germanico per effetto della Gewere il diritto di proprietà si acquistava immediatamente; il diritto barbarico non riconosce quindi, originariamente, il principio che il decorso del tempo possa costituire causa di acquisto di diritti; esso non ha che questo effetto: liberare il possessore dall'obbligazione di esibire il titolo: costituisce, quindi, una mera presunzione di legittimità.
Il concetto dell'usucapione romana s'introduce nel diritto longobardo esigendosi che il possesso abbia carattere di legittimità, cioè un iustum initium, ed escludendo quindi il possesso tenuto malo ordine; prescrizioni più brevi dànno al possessore soltanto il diritto di difendersi col giuramento e col duello. Ancor più decisiva è l'influenza del diritto giustinianeo nelle scuole longobarde che, interpretando il possesso malo ordine come possesso di mala fede, richiedono nell'usucapione trentennale la buona fede. Tale elemento viene poi ripreso dal diritto canonico e più rigorosamente disciplinato, richiedendosi come requisito necessario l'esistenza della buona fede per tutto il periodo prescrizionale (mala fides superveniens nocet); principio che, affermato da un canone del concilio lateranense del 1215, penetra nella giurisprudenza civile con Accursio e con Baldo, nonostante la contraria pratica volgare. Al diritto canonico è altresì dovuta l'estensione ai rapporti di diritto privato dell'istituto della praescriptio ab immemorabili, in cui la vetustas crea una presunzione di conformità al diritto obbiettivo di uno stato di fatto cuius memoria non exstat.
Il diritto statutario e il diritto comune si mantengono fedeli alle idee romane per quanto riguarda i requisiti della prescrizione (riassunte nel noto verso mnemonico: res habilis, titulus, fides, possessio, tempus: cfr. E. Besta, I diritti sulle cose nella storia del diritto italiano, Padova 1934, p. 174 segg.); regna invece la più grande varietà circa i termini: si hanno così prescrizioni di 15, 20, 25, 29, 30, 40 anni per gl'immobili, di 5 o 10 anni per i mobili. Più rigorose norme sono dettate per la prescrizione dei beni della Chiesa, dei comuni, del fisco.
Nel diritto italiano la prescrizione acquisitiva o usucapione è un mezzo con cui, mediante il possesso legittimo continuato per il tempo dalla legge prescritto si acquista la proprietà o un diritto reale capace di un esercizio continuato (esclusi i diritti di garanzia, che possono acquistarsi solo nei modi stabiliti dalla legge). Il codice civile riconosce così al possesso, continuato nel tempo, efficacia di acquisto della proprietà. Non è, quindi, il concetto di pena per la negligenza del proprietario che prevale come giustificazione dell'istituto: l'inerzia del precedente proprietario è un presupposto meramente passivo, si tratta di una cooperazione negativa. L'efficacia operativa dell'acquisto è così da attribuirsi al possesso; rappresenta il lavoro applicato dal possessore alla cosa (B. Dusi, Ist. dir. civ., 2ª ediz., Torino 1933, I, § 51, p. 319, n. 21). Di qui la conseguenza che l'usucapione dovrebbe considerarsi come un modo di acquisto originario.
I requisiti di questo istituto (che si è venuto liberando dalla necessità del titolo e della buona fede richiesti dal diritto giustinianeo e dal canonico) sono: una res habilis a essere usucapita (art. 2113 e 690 cod. civ.); il possesso legittimo (art. 2106 cod. civ.); la durata di esso (continuatio possessionis) per il periodo di trent'anni (art. 2135).
Questa specie di usucapione, detta ordinaria, si riferisce agli immobili, alle universalità di mobili e ai mobili. Per questi ultimi l'usucapione si applica solo nei limiti in cui non trova applicazione il principio di cui all'art. 707 cod. civ. "in fatto di mobili il possesso vale titolo ',. Questo principio, che è di origine germanica (Hand nuss Hand wahren "la mano deve garentire la mano"; Wo man seinen Glauben gelassen hat, da soll man ihn suchen "dove si è riposta la propria fiducia colà si deve ricercarla"; cfr. Gierke, Deutsches Privatrecht, II, Lipsia 1905, p. 558) e che deriva nel diritto italiano (art. 707-709 cod. civ.; 57 cod. comm.) dal cod. napoleonico (art. 2279), che a sua volta lo deriva dal droit coutumier francese, importa che ogni terzo possessore di buona fede di cose mobili per loro natura, che non siano rubate o smarrite, o di titoli al portatore, viene considerato proprietario nel momento stesso in cui s'inizia il suo possesso (si parla da alcuni, ma impropriamente, di prescrizione istantanea). I casi, in cui, pertanto, rispetto alle cose mobili si rende applicabile l'usucapione, sono quelli delle cose mobili rubate o smarrite, che il terzo possessore di buona fede usucapisce in un biennio (art. 708, 2146 cod. civ.) e il possessore di mala fede nel trentennio.
Oltre la prescrizione acquisitiva trentennale, il codice civile italiano accoglie la prescrizione acquisitiva decennale che viene considerata come usucapione straordinaria. Per effetto di essa chi possiede un immobile in forza di un titolo (atto di vendita, di donazione, testamento, ecc.), che sia stato debitamente trascritto e che non sia nullo per difetto di forma, ne acquista la proprietà (ma non perciò la libertà, se, per ipotesi, sul fondo usucapito gravino servitù od oneri) in dieci anni dalla data della trascrizione del titolo (art. 2137 cod. civ.) purché l'acquirente sia in buona fede. Buona fede vale qui ignoranza dei vizî del titolo ed è data dalla convinzione dell'acquirente fondata sul titolo di avere legalmente acquistato il dominio dell'immobile senza lesione del diritto altrui. La buona fede, diversamente che nel diritto canonico, è richiesta solo all'inizio della prescrizione.
È resa, così, evidente la differenza sostanziale fra l'usucapione trentennale e decennale: nella prima l'efficacia dell'acquisto è nel possesso legittimo (di qui la massima: tantum praestaptum quantum possessum); nell'altra l'acquisto si opera per effetto di un titolo che, quantunque difettoso (non è però sufficiente il mero titolo putativo), viene a convalidarsi per effetto del possesso. L'usucapione ha, quindi, la funzione d'integrare le lacune del titolo.
Accanto all'usucapione decennale prevista dall'art. 2137 cod. civ., e a quella quinquennale che il codice di commercio (art. 918) accoglie per le navi, quando il titolo di acquisto sia stato trascritto e annotato sull'atto di nazionalità (per analogia il citato articolo si ritiene applicabile anche agli aeromobili), si disputa se, in mancanza di una speciale disposizione legislativa, l'usucapione abbreviata di cui all'art. 2137 cod. civ. si applichi agli autoveicoli per i quali l'articolo 6 del r. decr. 16 marzo 1927 dispone una forma speciale di pubblicità per registri: l'opinione negativa sembra da preferirsi.
La legge dispone che il tempo prescrizionale deve essere continuo e ininterrotto: essa, pertanto, disciplina un sistema d'interruzione e di sospensione del possesso.
L'interruzione distrugge ogni efficacia del tempo prescrizionale già decorso: essa ha l'effetto di far decorrere un nuovo termine di prescrizione dal momento in cui si è verificato il fatto operativo dell'interruzione: pertanto il nuovo periodo prescrizionale non può congiungersi all'antico. L'interruzione è naturale o civile. La prima non è da considerarsi in senso volgare come qualsiasi momentanea privazione del possesso; essa ha un significato tecnico: consiste nella perdita del possesso durata per più di un anno (art. 2124 cod. civ.); la seconda consiste nell'atto (domanda giudiziale, precetto, sequestro o qualsiasi altro atto di costituzione in mora) con cui il proprietario manifesta al possessore il proposito di far valere il suo diritto di proprietà, oppure consiste nella dichiarazione esplicita o implicita con cui il possessore riconosce il diritto del proprietario (art. 2125 e 2129 cod. civ.).
La sospensione determina, invece, una sosta nel decorso del tempo utile a prescrivere: è come una parentesi che in essa si apre, per cui ne consegue che, cessata la causa di sospensione, la prescrizione riprende il suo decorso computandosi il periodo trascorso precedentemente. Le cause della sospensione sono fondate o su uno speciale rapporto di parentela o di protezione (patria potestà, tutela, cura) in cui si trovano le persone a cui vantaggio e a cui danno dovrebbe operare la prescrizione (art. 2119 cod. civ.), o su una condizione speciale del titolare del diritto (art. 2120, n. 1), o su una condizione giuridica della cosa oggetto della prescrizione (art. 2120, n. 3 segg.).
L'usucapione non agisce ope legis, ma per modum exceptionis: il giudice non può di sua iniziativa opporre la prescrizione già compiuta. Ad essa non si può rinunziare se non quando siasi già compiuta (art. 2107); e ciò si spiega poiché, quantunque l'usucapione sia stata introdotta dal legislatore in vista di un interesse generale e pubblico (quella di rendere certi i dominî), pure l'usucapione già compiuta dà vita a un diritto di natura patrimoniale privato.
Prescrizione estintiva. - Già abbiamo detto che si deve all'influenza del diritto canonico il requisito della buona fede anche per la prescrizione estintiva che il diritto romano ammetteva solo per l'acquisitiva (decretale di Innocenzo III: can. 20, de praescr., 2, 26); il che portava quasi ad abolire l'istituto essendo ben raro che un debitore ignorasse la sua condizione. Di qui l'interpretazione restrittiva data alla decretale da alcuni giuristi i quali pensavano che essa si dovesse riferire alle sole azioni reali o alle sole azioni reali aventi per oggetto la restituzione delle cose altrui; l'influenza del diritto canonico, però, non senza contrasto negli statuti italiani, si mantenne nella dottrina del diritto comune e fino al sec. XVIII in alcune legislazioni degli stati italiani. Il codice napoleonico ritornò al diritto romano e sulle sue tracce il codice albertino e il codice italiano che all'art. 2135 dispone: "Tutte le azioni tanto reali quanto personali si prescrivono col decorso di trent'anni senza che possa in contrario opporsi il difetto di titolo o di buona fede "Più propriamente diremo che l'inerzia del titolare del diritto prolungata nel tempo è causa di estinzione dei diritti e delle relative azioni: è da rilevarsi inoltre che, nonostante la contraria dizione dell'art. 210 cod. civ., la prescrizione non si riferisce ai soli diritti di credito poiché, salvo i diritti imprescrittibili (quelli che si attengono allo stato, alla capacità, al nome delle persone, alle qualità familiari, agli attributi nobiliari, i diritti facoltativi, il diritto di proprietà), sono soggetti alla prescrizione tutti i diritti patrimoniali.
Perché possa parlarsi di estinzione per prescrizione occorre che sia nata l'azione a tutela del diritto: di regola l'azione è nata nei diritti personali quando esista la possibilità di realizzarli, nei diritti reali quando il diritto sia stato leso (actioni nondum natae non praescribitur).
La prescrizione presuppone, oltre l'inerzia del titolare, che essa sia ingiustificata. Se l'inazione è giustificata, cessa la ragione d'essere della prescrizione. Da un sistema di eccessiva larghezza, per cui nel diritto intermedio ogni impedimento di fatto in cui si veniva a trovare il titolare del diritto (epidemie, guerre, calamità pubbliche, ignoranza del diritto, ecc.) costituiva causa giustificatrice di sospensione della prescrizione (contra non valentem agere non currit praescriptio), il codice italiano è passato a un sistema di eccessivo rigore stabilendo in modo tassativo i casi di sospensione (art. 2119 e 2120 cod. civ.): un correttivo è dato dalla giurisprudenza che, pur escludendo come motivi di sospensione le condizioni subbiettive in cui si sia trovato il titolare del diritto, ha riconosciuta efficacia sospensiva agl'impedimenti che per virtù di legge tolgono possibilità di agire (impedimenti di diritto). L'inazione, inoltre, deve essere ininterrotta: quando, perciò, il corso della prescrizione è troncato (e ciò può avvenire o per fatto del titolare che manifesta la volontà di esercitare il suo diritto o per riconoscimento dello stesso debitore o possessore: art. 2135, 2129, 2130) deve iniziarsi un nuovo periodo prescrizionale (nella prescrizione estintiva non si rende applicabile l'interruzione naturale che è propria dell'usucapione).
La prescrizione si compie di regola col decorso di trent'anni in materia civile (art. 2135 cod. civ.), di dieci in materia commerciale (art. 917 cod. comm.). Vi sono però termini minori di prescrizione. Di tali prescrizioni più brevi possono distinguersi due categorie: l'una comprende i casi di prescrizione in cui la natura del credito che giustifica la convenienza di un termine più breve: tale la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2144 cod. civ. (annualità delle rendite e delle pensioni, pigioni, fitti, interessi, ecc.: l'accumularsi di parecchie annualità renderebbe troppo gravosa la condizione del debitore), tale la prescrizione del cod. di commercio in materia di società, di assicurazioni, di trasporti, o per le azioni derivanti da cambiali, da assegni bancarî (art. 919 cod. comm.; art. 94 r. decr. 5 dicembre 1933, n. 1669). L'altra categoria comprende prescrizioni da tre anni a sei mesi, che hanno un carattere speciale, in quanto la prescrizione non estingue l'azione, ma importa solo una presunzione di avvenuto pagamento del debito (salarî, onorarî, conti di albergo, ecc.). La legge, però, consente al creditore di distruggere tale presunzione provocando il debitore a dichiarare sotto il vincolo del giuramento se il debito fu estinto (art. 2142 cod. civ.): eguale efficacia si riconosce alla confessione.
La legge non consente rinuncia anticipata alla prescrizione (art. 2108 cod. civ.): invece è possibile ed è atto di onestà la rinuncia alla prescrizione già compiuta: il pagamento di un debito prescritto è anzi da ritenersi esecuzione di un'obbligazione naturale e, purché fatto animo solvendi, non costituisce donazione. È dubbio se sia valido il patto con cui si abbrevi il termine della prescrizione: senz'altro invalido è da ritenersi invece il patto col quale si allunghi il detto termine. Si disputa pure se la prescrizione estintiva delle azioni operi ipso iure o ope exceptionis: più comunemente si ritiene che, se il convenuto non l'opponga (e può opporla anche in appello), il giudice non può rilevarla d'ufficio. Quanto, infine, alla prescrizione dell'actio iudicati si osserva che essa ha sempre carattere civile; anche quando perciò la questione decisa sia di natura commerciale, l'actio iudicati si prescrive in trent'anni.
Bibl.: C. A. D. Unterholzner, Ausführliche Entwickelung der gesammten Verjährungslehre, Lipsia 1858; A. Tartufari, Effetti del posesso, I, Torino 1887; III, ivi 1888; G. Mirabelli, Della prescrizione, Napoli 1892; A. Jourdan, La prescription d'après le code civil allemand, Parigi 1906; G. Segrè, Addizione II a G. Baudry-Lacantinerie, Prescrizione, Milano 1909; G. Pugliese, La prescrizione acquisitiva, 4ª ed,. Torino 1921: id., La prescrizione estintiva, 4ª ed., ivi 1924; G. Baudry-Lacantinerie e Tinier, Traité de la prescription, 4ª ed., Parigi 1924; N. Coviello, Man. dir. civ. it., Milano 1924, p. 457 segg.; M. Planiol, G. Ripert e M. Picard, Traité de droit civ. franç., III, Parigi 1926, p. 657; E. Groppallo, Contributi alla teoria generale della prescrizione, in Pubbl. Univ. Cattolica, Milano 1930; id., Prescriz. estintiva, in Diz. dir. priv., ivi 1935; F. Ferrara, Usucapione delle cose mobili, in Riv. dir. priv., 1932, p. 257; A. Montel, Il possesso di buona fede, Padova 1934; A. Cherchi, Prescr. acquisitiva, in Diz. dir. privato, Milano 1935.
Diritto pubblico. - La questione se esista, o non, un concetto di prescrizione proprio del diritto pubblico, o almeno un concetto generale di prescrizione applicabile al diritto pubblico, non è mai stata affrontata e risolta. Invece di solito si è soltanto discusso se poteva applicarsi al diritto pubblico l'istituto della prescrizione del diritto privato, restando fuori della disputa i casi in cui esplicitamente dispongano precetti speciali di leggi di diritto pubblico. E, siccome nel diritto civile italiano la prescrizione acquisitiva è collegata al possesso di diritti reali, si notò che i diritti reali pubblici dello stato e delle altre persone giuridiche pubbliche attengono così strettamente all'interesse generale da non poter subire modificazioni per il decorso del tempo e che, d'altro lato, non sussistono diritti reali pubblici dei privati. Principi, questi, contestabili tutti, benché oramai generalmente ripetuti anche dalla giurisprudenza, specialmente amministrativa (non contestabile è l'inammissibilità della usucapione dei beni demaniali - articoli 2113 e 2114 i cod. civ. - da parte di privati). Si ritiene così, e non del tutto esattamente, impossibile l'acquisto di diritti pubblici a prestazioni concrete sia da parte dell'amministrazione sia contro l'amministrazione.
Però, nonostante tali premesse, si ammette con una certa larghezza la prescrizione ab immemorabili del diritto comune anche come antico titolo d'acquisto dei diritti in confronto dell'amministrazione, e si ritiene, anzi, che la base e i requisiti di essa mutino a seconda delle diverse parti del territorio dello stato, avendo avuto la detta prescrizione fisionomia diversa nelle diverse parti del territorio anteriormente all'unificazione. Ad ammettere tale prescrizione s'invoca la consuetudine, riconosciuta, nel caso, fonte di diritto pubblico. Ora, siccome per lo stesso diritto comune vigente negli stati anteriori alla formazione del regno (diritto che, se non abolito, continua a sussistere, ove non contrasti coi mutati principî generali del diritto pubblico) era ammessa la prescrizione acquisitiva come titolo per l'acquisto di diritti pubblici reali e personali, da parte sia dell'amministrazione sia dei privati, tale prescrizione di diritto comune può essere ammessa alla stessa stregua dell'immemorabile.
Si è, invece, più larghi nell'ammettere la prescrizione estintiva, e si deve convenire che, mentre sono rarissimi nelle leggi speciali gli accenni alla prescrizione acquisitiva e immemorabile nel campo del diritto pubblico, troviamo numerose disposizioni che in tale campo ammettono esplicitamente l'estintiva, sia contro sia in favore dell'amministrazione (v., ad es., contro l'amministrazione: art. 136 e 139 testo unico legge sul registro, 21 dicembre 1923, n. 3269; art. 32 e 59, r. decr. 24 settembre 1923, n. 2030, sui dazi di consumo; art. 15 e 16 testo unico 26 gennario 1896, n. 20, legge doganale; art. 73 testo unico 30 dicembre 1923, n. 3268, legge sul bollo; art. 86 testo unico 30 dicembre 1923, n. 3270, legge trib. sulle successioni: art. 35, legge trib. sulla manomorta, 30 dicembre 1923, n. 3271; art. testo unico 30 dicembre 1923, n. 3272, sulle tasse ipotecarie; art. 28 legge 30 dicembre 1923, n. 3275, sulle tasse di bollo sui trasporti; art. 21 legge 30 dicembre 1923, n. 3278, sulle tasse sui contratti di borsa; art. 37 e 38, legge trib. sulle assicurazioni, 30 dicembre 1923, n. 3281; art. 59 testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, sulla ricchezza mobile; art. 146 legge 16 febbraio 1913, n. 89, sul notariato; ecc.; e, in favore, oltre molti degli articoli già citati, p. es., di prescrizione contraria: art. 380 reg. 29 maggio 1924, n. 827, sulla prescrizione delle rate di stipendio o pensione degl'impiegati dello stato; articoli 42, 62, 81 testo unico 24 dicembre 1899, n. 591, sulle leggi postali, per la responsabilità inerente al recapito di raccomandate, vaglia, pacchi postali; art. 181 e 182 testo unico 21 febbraio 1895, n. 79, sulle pensioni impiegati civili e militari, circa la prescrizione di rate mensili o parti di pensione). Ciò induce a ritenere che, nei limiti in cui la prescrizione estintiva è ammessa nel diritto privato (vale a dire: prescrizione delle azioni, e quindi non prescrizione di capacità, di stati, di facoltà, di diritti potestativi), ove non vi siano disposizioni derogative espresse, la prescrizione possa ammettersi anche nel diritto pubblico, e particolarmente nel caso di azioni rivolte al pagamento di somme.
Bibl.: T. H. Schulzenstein, Verjährung, ecc., in Verwaltungsarchiv, 1909, p. i; L. Raggi, Oss. metodologiche a proposito della prescrizione del dir. pubb., in Riv. it. sc. giur., 1917, p. 269; G. Jellinek, Verwaltungsrecht, Berlino 1929.