presente
Il presente è un tempo della ➔ coniugazione verbale il cui significato non si limita, come suggerisce il termine, a esprimere contemporaneità rispetto al momento dell’enunciazione, ma può anche denotare situazioni future e, in determinati usi testuali, anche passate.
Tradizionalmente si riconosce un presente in tutti i modi del sistema verbale italiano (➔ modi del verbo), ma in effetti se ne trovano forme morfologicamente differenziate solo all’➔indicativo, al ➔ congiuntivo, al ➔ condizionale, all’➔infinito, al ➔ gerundio e al ➔ participio, mentre all’➔imperativo il cosiddetto presente è l’unica forma disponibile e si riferisce necessariamente a situazioni future. Da un punto di vista semantico bisogna anche tenere distinto il comportamento dei modi non finiti, in cui il presente non ha un valore temporale predefinito.
Una stretta contemporaneità si ha solo quando un parlante descrive azioni momentanee che coincidono con l’atto di enunciazione, come avviene in testi cronistici in presa diretta:
(1) Brambilla dribbla sulla destra, crossa al centro, irrompe Sornioni, palla che si perde sul fondo (Bertinetto 1991: 66)
Più generalmente il presente si riferisce a situazioni che includono il momento dell’enunciazione ma possono estendersi temporalmente nel passato, come dimostrano i seguenti esempi di indicativo (2 a.), congiuntivo (2 b.) e condizionale (2 c.):
(2)
a. Paolo è a casa da 2 ore
b. credo che Paolo sia a casa da 2 ore
c. Paolo sarebbe a casa da 2 ore (se fosse partito in tempo)
L’estensione temporale del presente può dilatarsi indefinitamente denotando situazioni indipendenti da specifiche contingenze temporali (è il cosiddetto presente intemporale o acronico: Serianni 1988; Bertinetto 1991), in quanto queste contingenze vengono assunte come sempre valide (3 a.) oppure perché, appartenendo a mondi fittizi, sono prive di un riferimento temporale specifico (3 b.):
(3)
a. il gatto è un felino
b. «Scusi, signor Paleari, – gli obbiettai io – un grand’uomo passeggia, cade, batte la testa, diventa scemo. Dov’è l’anima?» (Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, da Bertinetto 1991: 65)
Dal punto di vista dell’➔aspetto, il presente neutralizza la distinzione che al passato viene codificata dall’opposizione tra forme imperfettive (➔ imperfetto) e perfettive (➔ passato remoto; ➔ tempi composti). Oltre ad essere regolarmente usato per visualizzare imperfettivamente situazioni in corso al momento dell’enunciazione (che cosa fai in questo momento?), il presente ammette infatti anche una visualizzazione perfettiva di azioni momentanee delle quali si focalizza l’intero processo, come dimostrano gli impieghi cronistici (1). In questi casi il presente svolge anche la funzione testuale tipica dei tempi perfettivi, che permettono di far procedere la sequenza narrativa concatenando gli eventi in stretta successione temporale (➔ testi narrativi). L’interpretazione aspettuale del presente viene disambiguata dalla perifrasi progressiva (stare + gerundio; ➔ perifrastiche, strutture), che è ammessa negli impieghi imperfettivi (che cosa stai facendo in questo momento?), ma non potrebbe essere usata nella sequenza perfettiva del testo cronistico (1).
Il presente non è l’unica forma del sistema verbale italiano a esprimere contemporaneità rispetto al momento dell’enunciazione. In generale i tempi che assumono valori modali (possibilità, irrealtà, congetture del parlante; ➔ modalità) tendono a neutralizzare le distinzioni temporali e possono riferirsi anche al momento presente. Ad es., nell’espressione delle congetture il futuro semplice può avere un valore temporale di presente (adesso saranno le 4), mentre nel ➔ periodo ipotetico la contemporaneità con il momento dell’enunciazione può essere espressa dal congiuntivo imperfetto (se adesso fosse aperto, ci andrei volentieri) ma anche dal congiuntivo trapassato e dal condizionale passato (se adesso fosse stato aperto, ci sarei andato volentieri), che nei registri informali vengono sostituiti dall’indicativo imperfetto con valore modale (se adesso era aperto, ci andavo volentieri; ➔ lingua parlata; ➔ substandard). Di fatto, i tempi che esprimono i valori modali di possibilità e irrealtà (congiuntivo trapassato, condizionale passato, indicativo imperfetto) neutralizzano totalmente ogni distinzione temporale e sono compatibili anche con situazioni future (se domani fosse stato aperto, ci sarei andato volentieri; se domani era aperto, ci andavo volentieri).
Oltre che dall’imperativo, la cui funzione pragmatica (dare ordini o concedere permessi) impedisce di riferirsi a situazioni in corso, la posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione è regolarmente espressa dal congiuntivo presente e dal condizionale presente, che non hanno forme dedicate all’espressione del futuro e usano la stessa forma per il presente (2 b. e 2 c.) e per il futuro (4 a. e 4 b.):
(4)
a. credo che Paolo vada a casa domani
b. Paolo andrebbe a casa domani (se potesse)
Coerentemente con il comportamento di congiuntivo e condizionale, anche l’indicativo presente può riferirsi a situazioni posteriori al momento dell’enunciazione, sostituendosi così alle funzioni dell’indicativo ➔ futuro (5). Considerato un fenomeno dell’italiano informale (Berretta 1993: 210), l’uso del presente al posto del futuro riguarda in particolare eventi che seguono immediatamente il momento dell’enunciazione (5 a.), ma più in generale si riferisce a situazioni che siano già programmabili al momento dell’enunciazione, indipendentemente dalla distanza temporale (5 c. e 5 d.: domani o tra 20 anni):
(5)
a. arrivo subito
b. Paolo arriva domani
c. la tessera scade domani
d. la tessera scade tra 20 anni
Come nell’uso cronistico in (1), l’impiego in contesti in cui ci si riferisce a situazioni future visualizzate nella loro globalità (5 a. e 5 b.) conferma la possibilità da parte del presente di assumere valore aspettuale perfettivo.
Forme di indicativo presente con valore temporale di futuro si trovavano già in ➔ italiano antico, in particolare nelle protasi di periodi ipotetici:
(6) e s’io rivengo a certo termine [= «ritorno alla data fissata»], quello che tu vorrai mi renderai, e li altri ti terrai (Novellino, da Squartini 2010a: 513)
Come già in italiano antico (7 b.), anche in italiano moderno (7 a.) le regole della ➔ concordanza dei tempi impongono inoltre l’uso dell’indicativo presente (che sbaglia, ch’elli pecca) al posto del futuro nelle frasi completive (➔ completive, frasi), in cui il presente esprime contemporaneità rispetto al tempo della frase reggente (dirò):
(7)
a. se Gianni prenderà questa decisione, gli dirò che sbaglia (Vanelli 1991: 627)
b. S’elli dirà [che è migliore] la giudea [= la religione ebraica], io dirò ch’elli pecca contra la mia (Novellino, da Squartini 2010b: 929).
Oltre a indicare contemporaneità e posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione, il presente può anche riferirsi a situazioni collocate temporalmente nel passato. Si tratta del cosiddetto presente storico (o narrativo), che si trova in testi letterari (8), ma che è possibile incontrare anche nell’orale e nello scritto informale (Sorella 1983; Bertinetto 1986, 1991, 2003a; Berretta 1993) (➔ presente storico):
(8) La sera del 25 ottobre del 1958, la signora Cres si presenta all’ispettorato di polizia. Chiede di parlare con l’ispettore. Il piantone e l’ispettore notano che è agitata, sconvolta, impaurita. La signora ha in mano un involto di forma cilindrica. Lo svolge: viene fuori un pentolino di metallo smaltato che la signora scoperchia e mette sotto gli occhi dell’ispettore (Leonardo Sciascia, Il contesto, da Bertinetto 2003a: 69)
A differenza degli altri impieghi del presente indicativo, il presente storico ha restrizioni testuali molto più rigide. Mentre un presente che indica contemporaneità rispetto al momento dell’enunciazione può riferirsi a una singola situazione (2 a.) oppure trovarsi in una sequenza narrativa (1), il presente storico compare solo in questa seconda funzione di tempo del racconto.
Da un punto di vista aspettuale, l’impiego narrativo del presente storico neutralizza l’opposizione tra aspetto imperfettivo e perfettivo. Se la sequenza narrativa in (8) fosse raccontata usando i tempi del passato, la distinzione aspettuale sarebbe infatti codificata da un’alternanza tra l’imperfetto (era sconvolta, agitata, impaurita; aveva in mano un involto) e una forma perfettiva, ad es. il passato remoto (si presentò; chiese di parlare, ecc.). Da un punto di vista testuale la mancata distinzione tra forme imperfettive e perfettive produce la perdita dell’opposizione tra lo sfondo narrativo, la cui espressione è affidata alle forme imperfettive, e la trama principale portata avanti dalle forme perfettive. Questa neutralizzazione si trova già nei primi esempi documentati di presente storico in italiano antico. In (9) il presente si inserisce in una sequenza narrativa di tempi al passato indicando sia situazioni imperfettive di sfondo (valletti vegnono di giù e di sù: chi porta freni e chi selle) sia eventi perfettivi con funzione propulsiva della trama narrativa (s’adira):
(9) Quando venne la mattina, Tristano fe’ sembianti di cavalcare [= finse di voler partire a cavallo]: fe’ ferrare cavalli e somieri [= animali da soma]; valletti vegnono di giù e di sù: chi porta freni e chi selle: il tremuoto [= frastuono] era grande. Il re s’ adira forte del partire di Tristano, e raunò ’ baroni e ’ suoi cavalieri, e mandò comandando a Tristano che, sotto pena del cuore [= pena la morte], non si partisse sanza suo commiato [congedo] (Novellino, da Squartini 2010a: 514)
Pur neutralizzando la distinzione tra sfondo e sequenza principale, l’inserzione del presente all’interno di una narrazione condotta per il resto con tempi del passato permette di articolare la struttura narrativa in porzioni di testo segnalate proprio dall’alternanza tra i tempi grammaticali:
(10) Era lì che agitava una di quelle sue banderuole guardando nel cannocchiale, ed ecco che s’illumina tutta in viso e ride. Capimmo che Cosimo le aveva risposto (Italo Calvino, Il barone rampante, da Bertinetto 2003a: 74)
Già in italiano antico il presente storico (11) assumeva questa funzione segnalando un punto di svolta (mi converto) all’interno di una sequenza narrativa raccontata per il resto con tempi del passato (passato remoto, trapassato remoto, imperfetto). In (11) l’unica altra forma di presente (è peccato forte) ha invece valore intemporale o acronico riferendosi a una situazione considerata sempre valida:
(11) Così tutto pensoso un giorno di nascoso entrai in Mompuslieri [= Montpellier], e con questi pensieri me n’andai a li frati, e tutti mie’ peccati contai di motto in motto [= esposi parola per parola]. Ahi lasso, che corrotto [= pianto] feci quand’ebbi inteso com’io era compreso [= prigioniero] di smisurati mali oltre [= più che] criminali! ch’io pensava tal cosa che non fosse gravosa, ched è peccato forte più quasi che di morte [= di quello mortale]. Ond’ [= per cui] io tutto a scoverto [= senza riserva] al frate mi converto [= mi rivolgo] che m’ha penitenziato [= ha confessato] (Brunetto Latini, Tesoretto, da Squartini 2010a: 514)
A proposito degli impieghi di forme di presente con valore di passato si deve anche ricordare il comportamento del condizionale presente. Coerentemente con la sua origine etimologica, in cui si riconosce una forma di passato del verbo latino habere (cantare > *cantare ha(bu)i > cantarei > canterei), in italiano antico il condizionale presente poteva comparire in un contesto di concordanza dei tempi al passato come in (12), laddove l’italiano contemporaneo richiede obbligatoriamente un condizionale passato:
(12) sapea che sarei domandato [= sarei stato interrogato] (Bono Giamboni, Il Libro de’ Vizî e delle Virtudi, da Squartini 2010a: 540)
Questa funzione, che è ancora oggi regolarmente espressa dal condizionale presente nelle altre lingue romanze (➔ lingue romanze e italiano; Squartini 1999), caratterizza una lunga fase della storia dell’italiano, arrivando in alcuni testi fino all’inizio del Novecento. In italiano contemporaneo il condizionale presente ha invece perso ogni relazione con l’origine etimologica di passato specializzandosi come forma dedicata solo all’espressione del presente o del futuro e lasciando al condizionale composto l’espressione del passato.
Il cosiddetto presente dei modi non finiti (infinito, gerundio, participio) non ha in realtà nessuno specifico ancoraggio al momento dell’enunciazione (Bertinetto 2003b) e può essere usato per riferirsi a situazioni passate, presenti e future, come dimostrano i seguenti esempi di infinito (13 a.) e gerundio (13 b.):
(13)
a. mi sembra (o sembrava o sembrerà) di essere a casa
b. pur essendo a casa, non risponde (o rispondeva o risponderà) al telefono
Per quanto riguarda l’infinito, l’indeterminatezza rispetto alla collocazione temporale viene anche sfruttata come strumento narrativo in frasi principali, in cui l’infinito si caratterizza appunto come forma verbale detemporalizzata (Fava & Salvi 1995):
(14) tutti i giorni le stesse cose: alzarsi presto, andare a lavorare, tornare a casa tardi
Anche il participio presente, nonostante la sua ridottissima e residua produttività come forma verbale che non può riferirsi a eventi veri e propri ma solo a situazioni statiche (Benincà & Cinque 1991: 605), non presenta restrizioni temporali:
(15) le norme attualmente [o un tempo o in futuro] concernenti gli stranieri
Le forme semplici dei modi non finiti si possono quindi definire solo in contrasto con il valore semantico delle forme composte corrispondenti, le cosiddette forme di passato (infinito passato, gerundio passato, participio passato), che in real-tà indicano anteriorità temporale rispetto a un momento di riferimento che può essere presente, passato o futuro:
(16) mi sembra [o sembrava o sembrerà] di aver finito.
Benincà, Paola & Cinque, Guglielmo (1991), Il participio presente, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1991-1995, vol. 2º, pp. 604-609.
Berretta, Monica (1993), Morfologia, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 1º (Le strutture), pp. 193-245.
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
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Bertinetto, Pier Marco (2003a), Tempi verbali e narrativa italiana dell’Otto-Novecento. Quattro esercizi di stilistica della lingua, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
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Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1991-1995), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 3 voll. (vol. 2º, I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione, 1991; vol. 3º, Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole, 1995).
Salvi, Giampaolo & Renzi, Lorenzo (a cura di) (2010), Grammatica dell’italiano antico, Bologna, il Mulino, 2 voll.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
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Vanelli, Laura (1991), La concordanza dei tempi, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1991-1995, vol. 2º, pp. 611-632.