TRIBUTARIA, PRESSIONE
Con il concetto di p.t. si fa riferimento generale a un gruppo di indicatori che esprimono, in termini relativi e percentuali, la presenza del settore pubblico nell'economia di un paese. Per misurare la p.t. pertanto si deve fare ricorso a una frazione che presenta, al numeratore, un valore numerico indicante alcune componenti delle entrate pubbliche e, al denominatore, un valore di contabilità nazionale, più o meno corretto con altri valori. Se s'impiega il concetto di p.t. in senso stretto l'indicatore più semplice è dato dal rapporto tra la somma delle imposte dirette e indirette di contabilità nazionale e il prodotto interno lordo. Se T è il totale delle imposte, e Y è il PIL, la p.t. è data da T/Y. Tale valore è inteso, talora, come un'aliquota media aggregata che esprime una media di prelievo tributario sul reddito nazionale dell'anno.
Un indicatore più completo della presenza del settore pubblico è costituito dalla pressione del prelievo obbligatorio. Esso si calcola lasciando inalterato il denominatore Y e aggiungendo nel numeratore, al totale delle imposte, i contributi sociali, effettivi e figurativi, che logicamente si possono assimilare alle imposte, in quanto vengono prelevati in maniera coercitiva e obbligatoria. Indicando con C tali contributi, l'indicatore diventa (T+C)/Y, e prende il nome di pressione del prelievo obbligatorio. Nell'uso corrente si trovano generalmente assimilati il primo e il secondo indicatore, di modo che quando si fa riferimento alla p.t. in pratica ci si riferisce alla pressione del prelievo obbligatorio. Quindi si assume implicitamente che i contributi sociali siano inclusi in T. Talora si usa anche il termine di pressione fiscale.
Una definizione più ampia è quella di pressione finanziaria, che sta a indicare il rapporto tra tutti i proventi pubblici (imposte e contributi, ma anche prezzi, tariffe, canoni) e il prodotto interno lordo. Si tratta di un indicatore più generale, rispetto a quello della p.t., in quanto vuole dare evidenza soprattutto alla dimensione delle entrate pubbliche relativamente al complesso dell'economia di un paese.
Si è discusso sull'opportunità d'introdurre modifiche al numeratore e al denominatore della frazione che indica la p. tributaria. Da un lato si è affermata la correttezza dell'inclusione, fra le entrate, di quelle che determinano un sacrificio netto per gli individui e per la collettività, escludendo quelle che vengono immediatamente restituite, sotto forma di spesa che genera utilità e benessere, agli individui e alla collettività. In questo modo si vorrebbe delimitare il concetto di p.t. a quei prelievi che determinano diminuzioni del potere d'acquisto delle famiglie e aumenti del costo di produzione delle imprese senza contropartite di spesa, in quanto il gettito dei prelievi è destinato a spese improduttive. D'altro canto si è rilevato che al denominatore della frazione il prodotto interno lordo può essere sostituito dal prodotto nazionale distribuito sotto forma di reddito (redditi di lavoro, rendite, profitti, redditi di capitale). Ancora, si ritiene che una parte del reddito nazionale sia da considerare non comprimibile e non riducibile con prelievi pubblici, in quanto rappresenta un livello minimo intangibile a garanzia della sussistenza dei contribuenti. Tenendo conto, quindi, dei servizi pubblici (SP) in cui il prelievo si trasforma e del reddito minimo (M), la formula della p.t. viene corretta in (T−SP)/(Y−M). Nelle applicazioni pratiche di questa formula all'analisi dei dati di diversi paesi si è constatata la difficoltà, di per sé evidente già da un punto di vista teorico, di dare definizioni e dimensioni anche di buona approssimazione al valore dei servizi pubblici corrispondenti a prelievi obbligatori e al reddito minimo intangibile.
Per quanto riguarda il concetto di pressione finanziaria, è stata proposta la distinzione tra pressione finanziaria da partite correnti e pressione finanziaria in conto capitale: la prima prende in considerazione entrate correnti e spese correnti in beni e servizi pubblici, mentre la seconda è calcolata con entrate da prelievi in conto capitale e spese in beni d'investimento e di utilità straordinaria.
Poiché gli indicatori di p.t. trovano impiego per dare una valutazione approssimativa del grado di presenza del settore pubblico, o in diversi momenti per lo stesso paese, o nello stesso momento in paesi diversi, sono state proposte ulteriori correzioni al fine di rendere tali indici più completi.
Un elemento che si è voluto introdurre direttamente è la popolazione di un paese, che indirettamente si considerava già con l'indicazione del reddito minimo aggregato M. Indicando con P la popolazione, si è quindi proposto di ragionare in termini di prelievo obbligatorio pro capite (T/P) e di reddito nazionale pro capite (Y/P). Esistono, in particolare, due indici di p.t. espressi in termini di valori pro capite. Uno di questi indici propone semplicemente di correggere la formula originaria T/Y in (T/Y)/(Y/P): quest'ultima formula si riduce a TP/Y2. L'altro indice è leggermente diverso: [T/(Y−T)]/(Y/P), che diventa: TP/(Y2−TY). Si tratta di due indici, un po' differenziati, che danno approssimazioni migliori rispetto ai precedenti e che, tra di loro, possono dare risultati più o meno apprezzabili nella loro diversificazione; come spesso accade per gli indicatori statistici, è possibile considerarli congiuntamente, ricorrendo alla radice quadrata del prodotto dei due indici medesimi.
Altre correzioni, oltre a quella della popolazione, riguardano il denominatore degli indicatori di p. tributaria. Il prodotto o reddito nazionale possono non essere considerati come termini di riferimento soddisfacenti, soprattutto perché non includono tutte le fonti del prelievo indicato al numeratore. Per far diventare la p.t. un corretto indicatore del rapporto tra prelievo obbligatorio e imponibile, vanno inclusi nel denominatore anche quei redditi ''incassati, ma non prodotti'' che si escludono dal prodotto nazionale (trasferimenti alle famiglie, come pensioni, interessi sul debito pubblico, trasferimenti dall'estero) ma sui quali si possono pagare imposte. Ancora, secondo altri, sarebbe corretto tener presente, sempre al denominatore, il saldo tra le imposte contabilizzate nel reddito nazionale e gli effetti dell'impiego di tali imposte.
Un problema ulteriore è rappresentato dalle imposte patrimoniali. Se si tratta di imposte ordinarie, pagate con il reddito, si possono assimilare a imposte sul reddito. Nel caso di imposte sui trasferimenti patrimoniali possono ancora essere assimilate a queste ultime purché non eccedano il reddito dell'anno. Se si tratta invece di imposte a incidenza patrimoniale (vale a dire che assorbono tutto il reddito e in più decurtano il patrimonio), viene a riproporsi il problema della non coincidenza tra prelievo e imponibile indicati nella formula della p. tributaria.
Numerose difficoltà si presentano nel corretto uso degli indicatori di p. tributaria. Anzitutto va rilevato come essi possano assumere diversi valori, a seconda del modo in cui sono stati costruiti. L'indicatore più semplice T/Y può oscillare tra 0 e 1: è uguale a 0 quando (teoricamente) non esiste prelievo obbligatorio, ed è uguale a 1 quando (altrettanto teoricamente) tutto il reddito nazionale affluisce nel prelievo obbligatorio. Attualmente, per i paesi più industrializzati, tale indicatore oscilla tra valori compresi fra il 35% e il 48%. Gli indicatori che, invece, tengono conto del reddito pro capite e del prelievo pro capite possono assumere valori diversi, in quanto tengono conto dell'elemento ''popolazione''.
Un altro indicatore, meno usato, sostituisce il prodotto (reddito) nazionale calcolato ai prezzi di mercato con il reddito netto disponibile delle famiglie (togliendo dal primo le imposte, i profitti non distribuiti dalle imprese, e aggiungendo i trasferimenti alle famiglie). Si ottiene un denominatore depurato dal prelievo obbligatorio (questo prelievo compare al numeratore ma non al denominatore della frazione). Un'altra variante considera, sempre al denominatore, il reddito nazionale disponibile, maggiore di quello disponibile delle famiglie perché include pure i redditi disponibili di imprese, pubblica amministrazione e istituzioni sociali. Quest'ultima variante appare più corretta della precedente, in quanto considera tutti i redditi che concorrono a formare la base imponibile che rappresenta la fonte del prelievo. Il valore di quest'indice è uguale a 0 quando (teoricamente) non c'è prelievo obbligatorio, uguale a 1 quando il prelievo rappresenta il 50% dell'imponibile (numeratore e denominatore della frazione sono uguali), e maggiore di 1 se il prelievo supera il 50% dell'imponibile. Oltre a una necessaria cautela nella lettura dei valori numerici che gli indici di p.t. possono assumere, è opportuno chiedersi sempre qual è il più corretto significato economico da associare a tali indici.
Per riassumere i molteplici problemi sorti in sede di applicazione e, prima ancora, di costruzione degli indici di p.t. si possono evidenziare i seguenti punti.
a) L'indice di p.t. dovrebbe rappresentare un indicatore di sacrificio determinato dalla rinuncia a risorse private in seguito al prelievo obbligatorio. Ciò è vero se non si considerano gli effetti delle spese finanziate con il prelievo, che possono aumentare l'utilità individuale e il benessere collettivo. Di qui i tentativi d'inserire negli indici anche gli effetti delle spese. Bisognerebbe tener conto della distribuzione individuale dei benefici delle spese in beni e servizi pubblici a confronto con i sacrifici tributari, e calcolare il saldo. L'impossibilità pratica di effettuare calcoli così precisi di costi e benefici già di per sé limita notevolmente la portata degli indicatori.
b) Gli indici di p.t. trovano impiego con aggregazioni di contribuenti e imponibili, così che rappresentano ''aliquote medie aggregate'' per un'economia nel suo insieme. Tale livello di aggregazione è senz'altro insufficiente. Sarebbe più corretto procedere al calcolo di indicatori su gruppi sociali omogenei di contribuenti, e poi comporre (con indici di variabilità) le diverse p.t. settoriali. Sarebbe in tal modo evidente come a un unico valore di p.t. aggregata possono corrispondere situazioni molto diverse, riferite a gruppi di contribuenti.
c) Gli indici di p.t. non tengono conto del fatto che le componenti del prelievo obbligatorio, come pure le spese pubbliche, presentano fenomeni di traslazione. C'è il rischio di costruire indicatori con assunzioni implicite sull'incidenza di imposte, contributi e spese, non identificando correttamente i contribuenti di fatto e i beneficiari ultimi delle spese. Quindi il giudizio di ''troppo alto'' o ''troppo basso'' formulato in base a un indicatore di p.t. sul livello di entrate pubbliche può risultare poco fondato.
Per un impiego corretto degli indici di p.t. è necessario associarli a indicatori di benessere individuale e di benessere sociale. Il livello del reddito è generalmente preso come indicatore approssimativo del benessere di una collettività, ma altre formulazioni più convincenti devono fare ricorso alle ''funzioni di benessere sociale'', che, a loro volta, devono tener conto di elementi quali la distribuzione del reddito e del patrimonio. Perciò è facile immaginare come da un indicatore grezzo come T/Y ci si avvii verso definizioni molto complesse e di difficile applicazione, e nelle quali permangono sempre caratteristiche di arbitrarietà.
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