Prestazioni di lavoro occasionale
Il contributo analizza il superamento del lavoro accessorio e la sua sostituzione con la nuova disciplina delle prestazioni di lavoro occasionale. Vengono esaminate luci e ombre della innovazione legislativa, gli avanzamenti sul fronte della tenuta antiabusiva e su quello del necessario ridimensionamento del campo di applicazione. Si mette in evidenza la regolazione diversificata posta per le persone fisiche, le imprese e la pubblica amministrazione, nonché la speciale disciplina protettiva, per la prima volta articolata in modo organico dal legislatore. Vengono da ultimo evidenziati i principali profili problematici legati, in particolare, all’incertezza che riaffiora sull’esatto significato da attribuire alla occasionalità.
L’art. 54 bis del d.l. 24.4.2017, n. 50 conv. con mod. dalla l. 21.6.2017 n. 96, rubricato (Disciplina delle prestazioni occasionali. Libretto Famiglia. Contratto di prestazione occasionale), ha introdotto la disciplina di un nuovo tipo di lavoro nel quale sono dedotte prestazioni lavorative di modesta entità rese in modo occasionale o saltuario. La nuova disciplina del lavoro occasionale sostituisce quella del lavoro accessorio, che ha fatto la sua prima comparsa nell’ordinamento italiano nel 2003 con la cd. legge Biagi per trovare ultimo assestamento con gli artt. 4850, d.lgs. 15.6.2015 n. 81, recentemente abrogati dall’art. 1, co. 1, d.l. 17.3.2017, n. 25, convertito dalla l. 20.4.2017, n. 49. Tale abrogazione è stata disposta con perfetto tempismo dal legislatore dopo che la Corte costituzionale, con sentenza 1127.1.2017, n. 28 aveva dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione degli artt. 4850 del d.lgs. n. 81/20151. Il quesito referendario, promosso dalla CGIL, era indirizzato alla completa eliminazione dall’ordinamento di questa forma di lavoro, da tempo oggetto di critiche e discussioni non soltanto presso l’opinione pubblica, ma anche in sede dottrinale2.
In realtà il lavoro accessorio regolato dal d.lgs. n. 81/2015 costituiva l’ultimo approdo della travagliata storia delle prestazioni retribuite con i buoni lavoro o voucher. Questi ultimi, introdotti originariamente dal d.lgs. 10.9.2003 n. 276 (artt. 70-73) con la denominazione di «Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti» (questa la rubrica del Capo II) erano inizialmente mirati all’emersione di lavori saltuari e marginali di cui si presumeva la diffusa irregolarità. La chiara scelta legislativa di collocare questa tipologia di lavoro al di fuori delle categorie classificatorie della autonomia e della subordinazione, unitamente alle modalità inconsuete di pagamento attraverso vouchers, ha spiazzato gli interpreti ed alimentato le preoccupazioni di alcuni. Sin dalle sue origini il tratto della occasionalità, tipico di questa forma di lavoro, era la risultante di un insieme di limiti legali quali-quantitativi rinvenienti dalla concomitante puntuale previsione delle specifiche attività lavorative ammesse, dei particolari soggetti impiegabili, della durata complessiva delle giornate lavorabili nell’anno, del tetto massimo dei compensi conseguibili nell’anno. Tutto ciò lasciava ben poco spazio all’interpretazione sul significato da attribuire alla accessorietà o occasionalità quale criterio delimitativo della fattispecie. La disciplina delle prestazioni di lavoro accessorio è stata oggetto, già a partire dall’anno successivo alla sua introduzione, di ripetuti interventi di modifica e riforma volti a ridisegnare – in senso per lo più espansivo – l’ambito di agibilità dell’istituto. È stata così via via ridefinita la nozione di occasionalità giuridicamente rilevante nell’accesso alle prestazioni di lavoro accessorio, mediante ritocchi del campo di applicazione soggettivo ed oggettivo, dei limiti temporali, delle soglie reddituali. Si è quindi approdati, con la l. 28.6.2012, n. 92 (art. 1, co. 3233) e con il d.l. 28.6.2013, n. 76 conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 993 ad una completa revisione, in esito alla quale, gli originari criteri di perimetrazione quali-quantitativi dell’ambito di applicazione facevano posto ad un criterio unico e oggettivo, basato sulla fissazione di tetti massimi di compenso conseguibili attraverso questa forma di lavoro. Ne risultava una nozione di occasionalità molto diversa da quella originaria e di fatto, entro i limiti reddituali prefissati, qualsiasi attività lavorativa poteva essere lecitamente prestata in questa forma, quale che fosse il settore di attività (salve disposizioni speciali per il settore agricolo e per la p.a.) e le caratteristiche soggettive del prestatore.
Un cambiamento, questo, che ha segnato in modo definitivo il distacco dalla originaria impostazione regolatoria del 2003, dove la marginalità del lavoro accessorio era intesa in senso qualitativo e socioeconomico e non meramente in senso reddituale. Il d.lgs. n. 81/2015, ultima tappa di questo iter evolutivo, confermando l’impostazione di fondo della riforma degli anni 2012-2013, ha proceduto sulla strada della semplificazione nominalistica (passando alla semplice denominazione di «Lavoro accessorio») e regolativa, con l’innalzamento ulteriore delle soglie reddituali4, unico criterio rimasto a definire i confini della fattispecie5. È da ravvisare in questa sorta di mutazione genetica, venutasi a determinare per gradi successivi, uno dei principali motivi di critica al lavoro accessorio, mossa da parte di quanti vi hanno scorto il pericolo che si istituzionalizzasse una sorta di canale di occupazione del tutto alternativo e parallelo a quello, maggiormente protetto e regolato, del lavoro subordinato6. Un secondo motivo diffuso di critica riguardava i meccanismi di comunicazione e tracciabilità delle prestazioni di lavoro accessorio, considerati inidonei a prevenire condotte abusive dei datori che avessero voluto giustificare ex post esibendo il buono lavoro l’impiego di lavoratori irregolari7. A questa preoccupazione invero ha inteso porre rimedio il legislatore nel 2016 introducendo l’obbligo della comunicazione preventiva almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione8. Ma non è bastato ad arrestare l’ondata critica che ha condotto alla proposizione del referendum abrogativo. Il nuovo lavoro occasionale introdotto dall’art. 54 bis del d.l. n. 50/2017 conv. con mod. dalla l. n. 96/2017 colma evidentemente la lacuna apertasi con l’abrogazione del lavoro accessorio9. Il legislatore ha allestito però una disciplina molto più puntuale ed articolata di quella abrogata, che supera l’approccio generalizzante del 2015 e, in larga misura, recupera alcuni elementi della primitiva impostazione del 2003, a cominciare dalla restaurazione di una nozione multifattoriale di occasionalità delle prestazioni. Una nozione non più semplicemente collegata ai limiti massimi di compenso, ma agganciata anche ad altri presupposti sostanziali e temporali. Nel complesso se ne ricava l’impressione di una disciplina divisa tra la finalità di semplificare lo scambio sul mercato del lavoro di prestazioni di ridotta entità e la finalità di tenerne sotto stretto controllo la diffusione. L’apparato normativo, un po’ bolso e non sempre di piana lettura, finisce per respingere questa forma di lavoro entro ambiti di agibilità molto angusti, condannandola forse ad una marginalità in senso giuridico, prima ancora che in senso socioeconomico.
Le prestazioni occasionali disciplinate dall’art. 54 bis, d.l. n. 50/2017 (di seguito per brevità si farà riferimento semplicemente all’art. 54 bis) sono tutte le prestazioni di lavoro, non qualificate né come autonome né come subordinate, che si connotano per i limiti massimi di compenso annuale e per la peculiare modalità di versamento del corrispettivo e di adempimento dei connessi oneri contributivi e assicurativi attraverso l’apposita piattaforma informatica dell’Inps.
Le prestazioni vengono rese da un soggetto chiamato prestatore di lavoro occasionale ad un soggetto beneficiario, oculatamente10 denominato utilizzatore, in forza di un contratto di lavoro tipico articolato in due varianti rispettivamente denominate «libretto famiglia» (co. 6, lett. a) e «contratto di prestazione occasionale» (co. 6, lett. b), a seconda che l’utilizzatore sia una persona fisica ovvero un diverso utilizzatore. La scelta nominalistica per il libretto famiglia crea l’illusione ottica che non si abbia a che fare con un contratto. Forse intenzionalmente volta a trasmettere agli utilizzatori persone fisiche una percezione di rassicurante semplificazione. Non del tutto fondata, peraltro, viste le asperità burocratiche disseminate nel dato legislativo e nelle disposizioni interpretative fornite in via amministrativa.
Sarebbe erroneo però rimanere alla superficie e pensare che in questo caso le prestazioni occasionali non abbiano fonte contrattuale. Anche nel libretto famiglia l’obbligazione lavorativa ha fondamento negoziale, non diversamente da quanto accade nel «contratto di prestazione occasionale».
In entrambe le varianti è chiaro che la prestazione viene resa sulla base di un accordo che, in mancanza di prescrizioni di forma, si perfeziona di norma tacitamente o, al più, per fatti concludenti con l’esecuzione della prestazione, anche se nulla vieta che venga stipulato in forma scritta. Non potrà che scaturire dalla pattuizione l’oggetto della prestazione lavorativa, la durata, le modalità e il luogo di svolgimento.
Tutti elementi, questi, che peraltro debbono formare oggetto di comunicazione pubblica, preventiva o successiva11. Vista la complessiva regolazione, nessun dato depone nel senso della natura acontrattuale del rapporto in esame. Un’ipotesi ricostruttiva, questa, che una dottrina12 invero ha avanzato con riferimento al vecchio lavoro accessorio, nel tentativo di sminuirne la rilevanza lavoristica e di esaltarne essenzialmente la portata sul piano fiscale e previdenziale, ma che appare oggi oggettivamente inconciliabile con il dato testuale e sistematico del lavoro occasionale regolato dall’art. 54 bis.
Pur nella diversificazione delle discipline13 e del nomen iuris appare quindi possibile identificare un nucleo della nuova fattispecie regolata dall’art. 54 bis comune tanto al libretto famiglia quanto al contratto di prestazione occasionale. Sicché queste si presentano in realtà come due varianti di un modello contrattuale unitario.
Un modello che si caratterizza innanzitutto per l’oggetto dell’obbligazione del prestatore, consistente in un facere e segnatamente nella esecuzione di «prestazioni di lavoro» non aggettivate in nessun modo salvo che per la loro occasionalità14.
Si tratta di un contratto di durata, ancorché non prolungata, la cui estensione temporale è scandita sulla base di una unità di misura oraria convenzionale, che funge da parametro di riferimento:
a) per la commisurazione del compenso legale dovuto;
b) per la determinazione dell’entità dei premi contributivi e assicurativi;
c) per la fissazione di tetti minimi e massimi di durata della prestazione.
Questi ultimi consistono in limiti massimi riferiti all’intero anno civile (280 ore annue) e alla singola giornata lavorativa, che non potrà prolungarsi oltre le tredici ore (come si evince dal combinato disposto dell’art. 54 bis, co. 3, e dell’art. 7, d.lgs. 8.4.2003, n. 66), fermo rimanendo il limite massimo di quattro ore consecutive previsto dal co. 1715 . Le prestazioni dedotte in contratto sono di modesta entità: non possono dar luogo nell’anno civile a compensi di importo superiore a 5.000 per ciascun utilizzatore con riferimento alla totalità dei prestatori e per ciascun prestatore con riferimento alla totalità degli utilizzatori; mentre tra le stesse parti il compenso non può eccedere i 2.500 euro.
È fissato inderogabilmente per legge il compenso orario minimo, non frazionabile per porzioni di ora. Il pagamento del compenso avviene attraverso l’apposita piattaforma informatica Inps e con le modalità particolari stabilite dal legislatore. Nulla dice la norma, né esplicitamente né implicitamente, in merito alle modalità esecutive della prestazione, non sono regolati in nessun modo poteri e obblighi delle parti. La prestazione potrebbe essere resa con modalità proprie dell’autonomia, della subordinazione o con forme ibride. Diversamente dalla consueta tecnica utilizzata dal legislatore, ciò che qualifica il tipo contrattuale dell’art. 54 bis e la conseguente applicazione della relativa disciplina non è costituito tanto dalla posizione delle parti nella loro relazione giuridica o dalla modalità con cui è resa la prestazione. La tipicità, entro i confini soggettivi ed oggettivi del campo di applicazione tracciati dal legislatore, sembra piuttosto racchiusa nella speciale modalità di pagamento del corrispettivo su piattaforma informatica che costituisce il tratto davvero specializzante ed esclusivo di questa figura giuridica16.
Oltre al limite generale della ridotta entità della prestazione espressa in termini di compenso complessivamente generato di cui si è già detto (co. 1, lett. a, b e c dell’art. 54 bis) è previsto quale ulteriore limite generale, onde evitare abusi, il divieto di ricorrere alle prestazioni occasionali di lavoratori con i quali l’utilizzatore abbia cessato da meno di sei mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa. Altri limiti concorrono a definire meglio l’ambito di applicazione e a specificare il significato della occasionalità, a seconda delle caratteristiche del soggetto utilizzatore. Su questo versante si può apprezzare lo sforzo del legislatore di differenziare la disciplina a seconda che la prestazione sia resa a favore di un privato ovvero a favore di un’impresa. Si supera così quella uniformità regolativa che ha sempre caratterizzato il lavoro accessorio e si lascia spazio ad una diversa configurazione dei limiti legali in funzione della specifica realtà in cui la prestazione di lavoro è destinata ad integrarsi.
E così per gli utilizzatori persone fisiche si è ritornati più o meno all’area originaria con finalità di contrasto al lavoro sommerso: la prestazione può riguardare soltanto le attività elencate dall’art. 54 bis, co. 10 (piccoli lavori domestici, compresi giardinaggio pulizia e manutenzione; assistenza domiciliare a bambini, anziani, malati e disabili; insegnamento privato complementare).
Per la pubblica amministrazione, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati, la prestazione di lavoro occasionale è destinato ad occupare uno spazio assolutamente interstiziale, infatti può riguardare soltanto esigenze temporanee ed eccezionali ed esclusivamente nell’ambito di lavori e progetti speciali con finalità sociale, emergenziale, solidaristica, culturale, sportiva o caritatevole elencati dall’art. 54 bis, co. 7, nel rispetto del limite complessivo massimo di 280 ore nell’anno civile e della normativa sul contenimento delle spese di personale.
Per gli altri utilizzatori, e quindi per imprese, professionisti, fondazioni, ecc., il ricorso è ormai circoscritto ai piccoli datori di lavoro che impiegano un numero di lavoratori subordinati a tempo indeterminato non superiore a 5 (co. 14). In questo caso non v’è una predeterminazione della tipologia delle attività eseguibili, essendo ammesse tutte le «prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità» (co. 13), ma comunque nel rispetto del limite complessivo massimo di 280 ore nell’anno civile (co. 20).
Per gli utilizzatori del settore agricolo, infine, valgono alcune ulteriori restrizioni di carattere soggettivo17 e quantitative18.
È sempre vietato il ricorso al contratto di prestazione occasionale nel settore edile, lapideo e delle miniere cave e torbiere (co. 14, lett. c) e nella esecuzione di appalti di opere o servizi (co. 14, lett. d).
Come si vede è stata del tutto superata l’impostazione generalista e liberalizzante degli artt. 4850 del d.lgs. n. 81/2015, mentre si è tornati anche nella tecnica legislativa ad una delimitazione del campo di applicazione molto più articolata ed incentrata sulla occasionalità delle prestazioni. Il richiamo a tale connotazione percorre l’intero provvedimento legislativo ad iniziare dalla rubrica dell’art. 54 bis e genera più di un profilo problematico che verrà esaminato successivamente (v. infra, § 3).
Nella abrogata disciplina del lavoro accessorio mancava la previsione organica di una tutela specifica del lavoratore che andasse al di là del compenso, della sicurezza e della sfera previdenziale. Anche su quest’ultimo piano, peraltro, il legislatore si limitava all’imposizione dell’obbligo contributivo alla gestione separata dell’Inps senza estendere espressamente ai lavoratori accessori la relativa assicurazione, lasciando quanto meno aperto il dubbio in merito alle prestazioni previdenziali e assicurative spettanti. Il silenzio del legislatore aveva fomentato il dibattito dottrinale poiché sembrava ai più inaccettabile l’idea che a questa forma di lavoro fosse negata qualsivoglia tutela sul piano lavoristico. Da qui il tentativo di molti, sicuramente tutto in salita per la mancanza di appigli testuali e sistematici, di ricondurre in via interpretativa questa forma di lavoro alle categorie tipiche del lavoro subordinato19, del lavoro autonomo20 al fine di attingere lì le discipline protettive applicabili al prestatore di lavoro. Il legislatore, certamente ben consapevole di questo dibattito, rompe il silenzio e con l’art. 54 bis si decide a dettare una speciale disciplina organica di tutela, dando corpo così a quello che potremmo definire una sorta di mini statuto protettivo del lavoro occasionale.
Sul piano del rapporto di lavoro non è banale che venga previsto un compenso orario minimo inderogabile di fonte legale, sebbene diversamente articolato a seconda che le prestazioni siano rese nell’ambito del libretto famiglia21, del contratto di prestazione occasionale22 o nel settore agricolo23. Nell’ordinamento vigente è l’unico contratto per il quale venga fissato un compenso minimo per legge.
Si tratta di un compenso forfetizzato e parametrale. Forfetizzato, perché nella remunerazione si prescinde dall’effettiva durata della prestazione resa, tanto che se dovesse avere una durata inferiore alle quattro ore giornaliere dovrebbe essere compensata comunque come se fossero state lavorate 4 ore (co. 17), così come deve essere compensata con l’importo convenzionale orario anche la frazione d’ora lavorata. Parametrale, perché nulla impedisce che il prestatore si obblighi a rendere una prestazione finalizzata al compimento di un’opera o un servizio. Pertanto la misurazione del tempo di lavoro in questo caso avverrà necessariamente in modo approssimativo e il compenso orario assume all’evidenza un valore parametrale del compenso equo.
Lo statuto protettivo riguarda anche diritti di natura non economica e, precisamente, comprende il diritto al riposo giornaliero, alle pause e ai riposi settimanali (ex artt. 7,8 e 9, d.lgs. n. 66/2003) e il diritto alla tutela della salute e sicurezza ai sensi dell’art. 3, co. 8, d.lgs. 9.4.2008 n. 81, nei limiti ivi indicati. La disciplina protettiva si compone di previsioni, come quelle sull’orario, che sono tipiche del lavoro subordinato e che vengono eccezionalmente applicate a forme di lavoro che potrebbero avere, come si è detto, caratteristiche tipiche del lavoro autonomo. Sul piano previdenziale si afferma il diritto del prestatore all’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, con iscrizione alla gestione separata dell’Inps nonché l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Tuttavia la disciplina contributiva applicabile è del tutto speciale in quanto, sul piano Inail, si assoggetta de iure il prestatore all’assicurazione a prescindere dai consueti criteri di verifica della pericolosità della lavorazione. Sul piano Inps, si impone un obbligo contributivo alla gestione separata anche a fronte di una prestazione occasionale normalmente esentata dall’obbligo contributivo a tale gestione. Si stabilisce, inoltre, un contributo in misura predefinita prescindendo dall’eventuale ulteriore copertura previdenziale del lavoratore interessato, cosa che normalmente determina una riduzione dell’onere contributivo alla gestione separata. Infine l’onere contributivo insiste per intero sull’utilizzatore24, in deroga alla regola consueta della ripartizione dell’onere tra le parti nella misura di 2/3 e di 1/3.
Il tratto veramente speciale della disciplina delle prestazioni occasionali, idoneo a distinguerle da qualsiasi altra forma contrattuale, è rappresentato dalle speciali modalità di esternazione pubblica del contratto e di pagamento del corrispettivo.
Partendo dal presupposto che per il contratto non è prescritta alcuna forma e, dunque, può essere stipulato per iscritto o oralmente, sono previsti degli adempimenti amministrativi preventivi e successivi necessari ad instaurare validamente la relazione contrattuale. Adempimenti che, diversamente da quanto comunemente accade, non costituiscono quindi mere formalità estrinseche al contratto. Il corretto espletamento di essi, cioè, non limita la sua rilevanza al piano dell’evidenza pubblica del rapporto contrattuale e delle connesse responsabilità verso le amministrazioni pubbliche, ma incide sulla stessa configurabilità del tipo contrattuale voluto dalle parti. In particolare i prestatori e gli utilizzatori, senza distinzioni25, sono tenuti a registrarsi su l’apposita piattaforma informatica gestita dall’Inps che sorregge un sistema elettronico di pagamento dei corrispettivi.
In primo luogo tale piattaforma serve a creare la provvista economica a carico degli utilizzatori che servirà all’ente previdenziale per compensare i prestatori. Per il libretto famiglia ciò avviene attraverso l’acquisto sulla piattaforma di un libretto nominativo intestato all’utilizzatore prefinanziato, contenente titoli di pagamento ciascuno di valore nominale pari a 10 euro. Per il contratto di prestazione occasionale si prevede, invece, da parte dell’utilizzatore il versamento sulla piattaforma delle «somme utilizzabili per compensare le prestazioni» (co. 15), tenendo presente che in questo caso non si acquistano titoli di pagamento di valore nominale predefinito, ma si crea una riserva economica da cui attingere per il pagamento del corrispettivo orario. Quest’ultimo potrà essere pattuito liberamente dalle parti tenendo conto che la misura minima del compenso orario è pari a 9 euro. Non è invece fissata una misura massima. La piattaforma informatica in secondo luogo serve ad effettuare le comunicazioni cui sono tenuti gli utilizzatori. La comunicazione è solo successiva, entro il giorno 3 del mese successivo all’effettuazione della prestazione, per i datori di lavoro persone fisiche (co. 12). Per tutti gli altri la comunicazione è preventiva, 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, salva la possibilità di revoca nei tre giorni successivi a quello di programmato svolgimento (co. 17 e 18). Infine la piattaforma è lo strumento attraverso il quale l’Inps provvede al pagamento del corrispettivo al lavoratore e all’accredito dei contributi previdenziali e assicurativi26 (con onere di trasferimento all’Inail delle quote di sua spettanza a due scadenze fisse annuali), dedotti i costi di gestione. L’ente previdenziale si comporta, quindi, come un incaricato al pagamento. Non si tratta di adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) in quanto è pur sempre l’utilizzatore ad adempiere per mezzo dell’Inps e quest’ultimo provvede al pagamento «nei limiti delle somme previamente acquisite a tale scopo dagli utilizzatori» (co. 19).
Scarno ma puntuale è l’apparato sanzionatorio predisposto dal legislatore che, anche sotto questo profilo, prende le distanze dalla normativa abrogata che taceva del tutto in merito alle conseguenze delle trasgressioni.
La sanzione civilistica della trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato – non è detto espressamente ma si può ragionevolmente presumere di natura subordinata – è prevista soltanto per gli utilizzatori diversi dalle persone fisiche e dalla p.a., a fronte:
a) del superamento del limite massimo annuo complessivo dei 2.500 euro di cui al co. 1, lett. c;
b) del superamento da parte dell’utilizzatore del limite massimo annuo delle 280 ore complessive27.
In entrambi i casi si sterilizza ai fini della applicazione della sanzione forte della trasformazione, il superamento di limiti che pertengono al prestatore (quelli di cui al co.1, lett. a e b) e che sfuggono alla sicura conoscibilità ed al controllo diretto dell’utilizzatore. Non è dato comprendere, dalla ambigua formulazione della norma, se la sanzione della trasformazione si applichi o meno anche al settore agricolo nel caso di superamento del tetto massimo orario annuo complessivo. Sono poi previste sanzioni amministrative pecuniarie: a) per la violazione dei divieti di cui al co. 14 e b) per la violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva di cui al co. 17. Può stupire che la sanzione della trasformazione non venga prevista nel caso di violazione dei divieti, ciò implica che non può aversi automatica trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato. Sembra che sia parimenti da escludere, in questi casi così come nelle ipotesi di violazione di altri limiti e presupposti sostanziali non espressamente sanzionati, il rimedio della nullità ex art. 1418, co.1, che si risolverebbe in danno del prestatore di lavoro28. In base al principio di conservazione del contratto di lavoro contrario a norme imperative, immanente all’ordinamento, si dovrà allora procedere alla qualificazione o riqualificazione corretta del rapporto, sulla base dell’accertamento in concreto delle caratteristiche e delle modalità di effettiva esecuzione. Operazione, questa, che potrebbe condurre al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, autonomo, coordinato autonomamente o eteronomamente organizzato, nelle diverse varianti ormai tipizzate dall’ordinamento.
Alla luce di quanto in precedenza detto sembra possibile affermare con ragionevole certezza che il legislatore abbia inteso dare forma ad nuovo tipo contrattuale, dotato di una propria e speciale disciplina giuridica di carattere amministrativo, sostanziale e previdenziale.
A fronte di una regolazione così puntuale e certamente ben consapevole del dibattito formatosi nella vigenza della normativa abrogata, non può essere attribuito ad una dimenticanza o svista del legislatore l’assoluto silenzio dell’art. 54 bis in merito alle modalità esecutive della prestazione e, più in generale, alla posizioni soggettive di potere/dovere delle parti nello svolgimento del rapporto. Le prestazioni di lavoro occasionale sono volutamente non qualificate dal legislatore.
Non si frappongono allora ostacoli alla possibilità che la prestazione sia svolta con caratteri tipici dell’autonomia, della subordinazione e delle gamme intermedie ormai previste dall’ordinamento.
Anche lo statuto protettivo applicabile non dipende dalla qualificazione della natura della prestazione lavorativa, in quanto – come si è visto – a tale prestazione si applica senza distinzioni un singolare mix di frammenti di norme proprie del lavoro subordinato (pause e riposi) e del lavoro autonomo coordinato (gestione separata), rimaneggiate e combinate con altre del tutto speciali (salute e sicurezza; compenso minimo legale).
Anche per quanto riguarda l’obbligazione contrattuale, la normativa non specifica mai in cosa debba consistere la prestazione, preferendo riferirsi al più ad ambiti di attività al cui interno può essere resa (cfr. co. 7, lett. ad; co. 10, lett. ad; co. 13).
Nulla vieta quindi che, con il contratto di cui l’art. 54 bis, il lavoratore assuma l’obbligo di rendere una prestazione più o meno strutturata dai contenuti più disparati (immissione di dati informatici, operazioni di vendita e cassa, allestimento di uno stand o di una vetrina, lavori di manutenzione o pulimento, docenze ecc.); ovvero assuma l’obbligo di compiere un’opera o un servizio (una campagna telefonica o pubblicitaria, la correzione o traduzione di un testo letterario, la costruzione di un manufatto, ecc.). Entro i limiti e gli ambiti definiti dal legislatore, tutto sembrerebbe rimesso all’autonomia privata individuale; sarà l’accordo delle parti a dare assetto alla relazione giuridica e questa potrà assumere le sembianze dell’autonomia così come della subordinazione. In realtà la configurazione in concreto scelta dalle parti è del tutto irrilevante sul piano della disciplina applicabile al rapporto; quest’ultima è invariabilmente ed esclusivamente quella speciale appositamente dettata dall’art. 54 bis. Ne risulta quindi ormai del tutto superata la questione qualificatoria, che ha polarizzato in passato il dibattito29. Ammesso pure che si volesse qualificare la prestazione come subordinata, l’operazione qualificatoria sarebbe ora di certo infruttuosa, non potendosene ricavare alcun risultato utile in termini di estensione del blocco di tutele proprie del lavoro subordinato al prestatore di lavoro occasionale. Sul piano giuridico il problema che si pone all’interprete è semmai quello della razionalità della scelta operata dal legislatore (che sta poi al fondo della questione, a volte evocata a sproposito, dell’indisponibilità del tipo). La scelta cioè di riconoscere all’autonomia privata la possibilità di optare tra il contratto di prestazione di lavoro accessorio in alternativa ad altri tipi contrattuali, attingendo a discipline lavoristiche e previdenziali così significativamente differenziate. La razionalità della scelta del legislatore, che all’apparenza può sembrare ardita, poggia comunque sul presupposto della marginalità delle prestazioni in esame, nel senso più volte precisato e quindi sulla sostanziale peculiarità del modo di atteggiarsi di simili rapporti. Una peculiarità che può giustificare – sul piano della razionalità dell’art. 3 Cost. – una siffatta semplificazione delle regole di impiego e dei relativi costi economiconormativi nel caso di attivazione di una relazione di lavoro di scarsa entità. La possibilità di opzione lasciata ai privati, bisogna ricordarlo, può d’altronde esercitarsi in una zona molto ristretta che si situa sotto la soglia tracciata con dovizia di particolari dal legislatore e che sembra idealmente identificare una sorta di linea di demarcazione tra un lavoro sans phrase, senza aggettivi, dotato di un nucleo minimale di tutele ed il lavoro che, assunta una certa consistenza, risulta classificabile in uno degli schemi tipici, con tutto ciò che ne deriva in termini di disciplina applicabile. Con la consapevolezza, peraltro, che questi schemi presentano ormai confini sempre più permeabili e mostrano con progressiva evidenza la fallacia del tentativo, forse storicamente anacronistico, di catturare entro modelli e tutele predefiniti la multiforme realtà del lavoro nel suo divenire. Forse si potrebbe intravedere sottotraccia, proprio nella recente regolazione del lavoro occasionale, assieme a quella delle collaborazioni etero organizzate e del lavoro agile, un primo segnale di una traiettoria evolutiva della normativa lavoristica, ancora allo stato embrionale, che sembra orientarsi a passare da un modello rigido di protezione per grandi blocchi ancorati ai tipi (peraltro sempre più scollati dai socialtipi), ad un modello più articolato di protezione sociale per gradazioni crescenti.
Una delle principali questioni che pone l’art. 54 bis riguarda l’esatta portata dell’aggettivazione “occasionale” utilizzata dal legislatore.
Mentre con il Jobs act si era approdati ad una sorta di presunzione legale di occasionalità delle prestazioni contenute entro i limiti di compenso annuo stabiliti dal legislatore, il vigente disposto normativo consegna all’interprete una nozione più complessa ed anche differenziata in relazione ai settori di impiego e alla natura giuridica dell’utilizzatore.
In parte il significato della occasionalità continua ad essere legalmente identificato attraverso i limiti quantitativi di compenso annuo di cui all’art. 54 bis, co. 1.
Sotto questo profilo l’occasionalità può ritenersi coincidente con la «ridotta entità» delle prestazioni, menzionata nel co. 13 per definire la fattispecie contrattuale.
L’entità delle prestazioni è da intendersi ridotta nella prospettiva tanto del lavoratore quanto dell’utilizzatore, atteso il doppio limite stabilito dall’art. 1, co. 1, lett. a) e b).
Si parla però anche di prestazioni «saltuarie» e allora gli interrogativi cui deve dare risposta l’interprete sono molti, ad iniziare da quello se “occasionalità” e “saltuarietà” sono da intendersi come un’endiadi per esprimere un medesimo concetto oppure rimandano a due significati distinti. E poi, se l’occasionalità è una qualità della prestazione rispetto ad una attività tipica e principale dell’utilizzatore (con un significato prossimo a quello di “accessorietà”, che però è termine ormai espunto dal testo legale) oppure può riguardare l’ordinaria attività dell’utilizzatore quando occorra fronteggiare picchi o intensificazioni di attività ovvero esigenze particolari.
Certo è che la tecnica legislativa adoperata, in netta controtendenza con l’impostazione che percorre il Jobs act volta a minimizzare gli spazi di incertezza interpretativa, rischia di riproporre quelle medesime incertezze sulla esatta portata del campo di applicazione della fattispecie contrattuale che hanno caratterizzato altre stagioni regolative e che potrebbero di fatto vanificare la ratio di semplificazione dell’art. 54 bis e lo stesso impatto pratico del nuovo lavoro occasionale.
1 Il referendum popolare è stato indetto con d.P.R. 15.3.2017.
2 Per un riepilogo della dottrina in argomento si v. tra i più recenti Occhino, A., Il lavoro accessorio (artt. 4850, d.lgs. n. 81/2015), in I contratti di lavoro, Magnani, M.Pandolfo, A. Varesi, P.A., a cura di, Torino, 2016, 231 ss.; Fedele, I., Il lavoro accessorio, in AA.VV. Fonti e tipologie dei contratti di lavoro, Curzio, P.Di Paola, L.Romei, R., a cura di, Milano, 2017, 319 ss.; Ponzio, A., Prestazioni di lavoro accessorio, in AA.VV., Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, privato e pubblico, Santoro Passarelli, G., a cura di, Milano, 2017, 247 ss.
3 Il d.l. n. 76/2013 ha provveduto anche alla riformulazione della rubrica dell’art. 70 «Prestazioni di lavoro accessorio». Nel nomen iuris si perdeva ogni traccia della occasionalità, anche se permaneva ambiguamente un riferimento ad essa nella rubrica del Capo II.
4 L’art. 48 portava il limite a 7.000 euro nel corso di un anno civile con riferimento alla totalità dei committenti, ma con un tetto massimo di 2.000 euro per prestazioni rese a favore di un singolo committente imprenditore o professionista.
5 Il d.lgs. n. 81/2015 espungeva definitivamente ogni riferimento testuale alla natura occasionale delle prestazioni di lavoro accessorio.
6 Tra le posizioni critiche si v. Balletti, E., Lavoro, accessorio, in AA.VV., Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Carinci, F., a cura di, Modena, 2015, 294 ss; Carinci, M.T., Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro»? Contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato versus contratto di lavoro subordinato a termine, somministrazione di lavoro e lavoro accessorio, in Riv. giur. lav., 2016, 2, 316 ss.
7 Zilli, A., Prestazioni di lavoro accessorio e organizzazione, in Argomenti dir. lav., 2017, 1, 86 ss.
8 Cfr. art. 49, co. 3, d.lgs. n. 81/2015 sostituito dall’ art. 1, co. 1, lett. b), d.lgs. 24.9.2016, n. 185.
9 I buoni per prestazioni di lavoro accessorio già acquistati prima dell’abrogazione sono utilizzabili fino al 31.12.2017.
10 Per sottolinearne evidentemente la distinzione, anche sul piano nominalistico, rispetto al datore di lavoro subordinato e al committente del lavoro autonomo.
11 Cfr. il co. 12 che impone all’utilizzatore del libretto famiglia di comunicare «il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione, nonché ogni altra informazione necessaria ai fini della gestione del rapporto». V. anche l’analoga previsione del co. 17 per il contratto di prestazione occasionale.
12 Specialmente Bellocchi, P., Il lavoro occasionale di tipo accessorio tra politiche previdenziali e riforma dei “lavori”, in Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Carinci, F., diretto da, Bellocchi, P.Lunardon, F.Speziale, V., a cura di, IV, Milano, 2004, 82 ss. V. anche Bellomo, S., Le prestazioni di tipo accessorio tra occasionalità, atipicità e «rilevanza fattuale», in AA.VV., Lavoro, istituzioni, cambiamento sociale, Studi in onore di Tiziano Treu, Contratti di lavoro, vol. II, Napoli, 2011, 771 ss.
13 Le principali diversità di disciplina riguardano l’entità del corrispettivo, i contributi assicurativi e previdenziali e gli adempimenti amministrativi.
14 Cfr. la rubrica dell’art. 54 bis e il co. 1. Così sul piano semantico non c’è sovrapposizione tra l’obbligazione assunta dal prestatore occasionale e quella del lavoratore subordinato a collaborare nell’impresa ex art. 2094 c.c., ma neppure con quella di compiere un’opera o un servizio prevista dall’art. 2222 c.c. È altresì ben distinta dalla «prestazione di opera continuativa e coordinata» dell’art. 409 c.p.c. e dalle «prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative» ed etero organizzate dal committente di cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015.
15 Nel contratto di prestazione occasionale in realtà si presume che l’estensione temporale giornaliera della prestazione sia di almeno quattro ore, dal momento che non può essere corrisposto al prestatore un compenso giornaliero inferiore a 36 euro (co. 17). Nulla impedisce però che nella medesima giornata possano legarsi due spezzoni di quattro ore ciascuno, fermo rimanendo l’intervallo e il diritto alla pausa per orari eccedenti le sei ore ricavabile dal combinato disposto dell’art. 54 bis, co. 3, e dell’art. 8 d.lgs. n. 66/2003.
16 Cfr., con riferimento al previgente normativa, Occhino, A., op. cit., 235.
17 È ammesso il ricorso soltanto per soggetti svantaggiati o ai margini del mercato del lavoro elencati dal co. 8 (pensionati di vecchiaia e invalidità, studenti infraventicinquenni, disoccupati, percettori di trattamenti del sostegno del reddito) purché non compresi negli elenchi dei lavori agricoli nell’anno precedente (co. 14. lett. b).
18 In luogo del limite delle 280 ore annue, si applica il diverso limite previsto dal co. 20.
19 V. Pinto, V., Il lavoro accessorio tra vecchi e nuovi problemi, in Lav. dir, 2015, 4, 679 ss.; Id., La riforma (mancata) del lavoro accessorio, in Commentario breve alla Rifoma “Jobs Act”, Zilio Grandi, G.Biasi, M., a cura di, Padova, 2015, 675 ss.
20 Pedrazzoli M., Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Bologna, 2004, 841 ss.
21 Co. 11, pari a 10 euro fissi orari.
22 Co. 16 primo periodo, pari a 9 euro minimi orari.
23 Co. 16 secondo periodo, pari alla retribuzione oraria del lavoro subordinato prevista dai CCNL stipulato dalle oo.ss. più rappresentative sul piano nazionale.
24 Sulla imposizione integrale a carico dell’utilizzatore dell’onere contributivo e assicurativo il disposto legale sembra chiaro. Dai co. 11 e 16 si evince che gli importi orari stabiliti dal legislatore nella misura, rispettivamente, di 10 e 9 euro, dovrebbero essere al netto dei contributi e premi assicurativi. Sembra però andare in altra direzione l’Inps nel definire l’importo spettante al lavoratore nel libretto famiglia: cfr. circ. Inps, 5.7.2017, n. 107.
25 L’obbligo di registrazione è previsto dal co. 9 in modo inequivocabilmente generale. Opinabile, pertanto, è l’esclusione della p.a. da tale incombenza, prevista dalla circ. Ispettorato nazionale del lavoro, 9.8.2017, n. 5.
26 L’entità dei contributi è diversa nelle due ipotesi. Per il libretto famiglia i contributi sono stabiliti in cifra fissa sul singolo titolo nominale di pagamento e sono pari a 1,65 euro per contributo alla gestione separata Inps, 0,25 euro per premio assicurativo Inail (co. 11). Per il contratto di prestazione occasionale invece la misura del contributo alla gestione separata è pari al 33% del compenso e il premio Inail pari al 3,5% del compenso (co. 16).
27 L’Ispettorato nazionale del lavoro con la circ. n. 5/2017 specifica che la trasformazione si ha a far data dal superamento dei limiti prescritti.
28 Secondo l’insegnamento di C. cost., 11.5.1992 n. 210.
29 Ma sulla sostanziale neutralità della questione qualificatoria anche nel passato regime v. condivisibilmente Bollani, A., La nuova disciplina del lavoro occasionale di tipo accessorio, in Previdenza, mercato del lavoro, competitività, Magnani, M.Pandolfo, A.Varesi, P.A., a cura di, Torino, 2008, 396 ss.; cfr. anche Lo Faro, A., in AA.VV., Commento sub artt. 7074, in La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, Gragnoli, E.Perulli, A., a cura di, Padova, 2004, 792 ss.; Gambacciani, M., La complessa evoluzione del lavoro accessorio, in Argomenti dir. lav., 2010, 2, 392 ss.