Abstract
La trattazione ha ad oggetto la previsione delle prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, che la legge 146 del 1990 e successive modificazioni, rimette, in primo luogo, all’autonomia collettiva, fermo restando un’attività di supplenza della Commissione di garanzia, in caso di inerzia delle parti sociali. Viene, altresì, esaminato il sistema di raffreddamento del conflitto la cui previsione è considerata dal legislatore come parte integrante dell’accordo, al pari delle prestazioni indispensabili.
Il sistema di garanzie predisposto dalla l. 12.6.1990, n. 146, come modificata dalla l. 11.4.2000, n. 83, si realizza con la interconnessione tra diritto del cittadino, costituzionalmente protetto, e servizio pubblico essenziale.
Il diritto del cittadino può ritenersi definito sulla base di un interesse generale, alla cui soddisfazione è rivolta la garanzia di soglie minime di servizio. La natura pubblica di tale interesse deve essere ricercata, come affermava Massimo Severo Giannini, in virtù della sua eminente rilevanza sociale, individuabile sulla base di una cerchia di interessi generali (Giannini, M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993, 23 ss.).
La l. n. 146/1990 accoglie una configurazione di diritti che ricomprende sia quelli inviolabili dell’uomo (la vita, la libertà, la salute), sia i cd. diritti sociali (l’assistenza, la previdenza sociale, l’istruzione etc.). Essi costituiscono l’oggetto della tutela della legge e vengono identificati dall’art.1 in modo tassativo, vale a dire non suscettibili di essere ampliati ulteriormente. A tali diritti si collega la nozione di servizio pubblico essenziale (sciopero nei servizi pubblici essenziali). Sono, dunque, quei servizi pubblici, attraverso i quali si tutelano gli anzidetti diritti costituzionali dei cittadini (Alaimo, A., La legge n.146 del 1990, dopo la novella del 2000 (legge n. 83 del 2000): il ruolo dei soggetti erogatori dei servizi pubblici essenziali, in Riv. giur. lav., 2003, I, 383 ss.
Anche la nozione di servizio pubblico essenziale è configurata in modo ampio dal legislatore, «indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione» (art. 1, co. 1). Essa è, poi, ulteriormente esplicitata, nel successivo co. 2, attraverso un’elencazione, esemplificativa, di quelli che possono essere i settori nei quali si rende necessaria l’effettuazione di prestazioni indispensabili, in caso di sciopero, per garantire una soglia minima di servizio all’utenza.
Tale indicazione non deve essere considerata come tassativa, la norma, infatti, recita «in particolare nei seguenti servizi» e, dunque, non esclude la possibilità di un ampliamento o di una interpretazione estensiva, tutte le volte che ciò possa ritenersi funzionale agli scopi stessi della legge (Treu, T., Sub. art. 1, in Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Nuove leggi civ. comm., 1991, 10; Vallebona, A., Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2007, 55 ss; Commissione di garanzia, del. 4.10.2001, n. 110, in www.cgsse.it). Così, ad esempio, mentre in tema di diritto alla mobilità dei cittadini, la legge si limita ad indicare i servizi di trasporto pubblico urbano ed extraurbano, ferroviario, aereo e marittimo, ad essi sono stati aggiunti, dalla Commissione in via interpretativa, anche il servizio taxi, distribuzione di carburante, sicurezza e soccorso autostradale, autonoleggio con conducente (del. 4.10.2001, n. 100, in www.cgsse.it). Devono essere, inoltre, considerati i servizi cd. strumentali (ad esempio, la pulizia delle sedi aeroportuali, o il catering negli aeromobili, o manutenzione degli impianti radar, sono tutti strumentali per garantire il servizio essenziale di trasporto e navigazione aerea).
Al concetto di essenzialità dei diritti va affiancato anche quello del limite minimo, con il quale si vuole identificare proprio il grado della limitazione dell’esercizio e godimento dei diritti costituzionali che non saranno garantiti nella loro interezza, ma soltanto in un soglia minima, attraverso, appunto, l’individuazione di prestazioni indispensabili.
La previsione non tassativa dei servizi pubblici ben si concilia, altresì, con il passaggio da sistemi di loro erogazione di tipo monopolistici o oligopolistici, a sistemi più aperti. Al riguardo, un ampliamento dei servizi rientranti nel campo di applicazione della l. n. 146/1990 si è avuto anche a seguito dei recenti programmi economici di liberalizzazioni. Si tratta come è noto di scelte di politica economica, richieste direttamente dalla normativa europea e legate all’esigenza di garantire concorrenza e competitività dei mercati, oltre che libertà di circolazione delle persone e delle merci. Da questo punto di vista, una liberalizzazione dei servizi che, ovviamente, non coincida, tout court, con una mera deregulation, ma risponda a delle regole certe, può favorire, ulteriormente, una maggiore fruizione di questi per i cittadini utenti (Pino, G.-Glinianski, S., a cura di Decreto liberalizzazioni e sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2013).
Un riferimento eloquente può essere ritrovato nel settore del trasporto ferroviario, a seguito del processo di riforma avviato dall’Unione europea, sin dai primi anni ‘90 e finalizzato alla creazione di un unico grande mercato ferroviario su scala europea, con la progressiva liberalizzazione dei singoli mercati ferroviari nazionali. Ciò nel nostro Paese, ad esempio, ha posto fine ad un modello del trasporto viaggiatori a lunga percorrenza (con particolare riferimento all’alta velocità), tradizionalmente configurato come monopolista, aprendo all’ingresso di nuovi competitori privati.
L’entrata in vigore del d.l. 24.1.2012, n. 1, convertito in l. 24.5.2012, n. 27, in materia di liberalizzazioni (rinominato dal Governo Monti, cd. “Cresci Italia”), ha prodotto un’ulteriore apertura del sistema dei servizi pubblici, con l’ingresso, di nuove realtà imprenditoriali e differenti sistemi di erogazione, ed insieme, un ampliamento delle dimensioni del conflitto e della nozione stessa di interesse collettivo.
La determinazione delle prestazioni indispensabili è rimessa, dal legislatore, in primo luogo all’autonomia collettiva. Sono le parti che devono concordare nei contratti collettivi, o negli accordi, le misure necessarie per consentire l’erogazione delle soglie minime di servizio (Rusciano, M., Diritto di sciopero e assetto costituzionale, Milano, 2010, 46 ss.).
Si tratta di una precisa scelta volta a valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva e del sindacato per una regolamentazione del conflitto basata, prevalentemente, sul consenso (Treu, T., Il conflitto e le regole, in Dir. lav. rel. ind., 2000, 22 ss.; Ballestrero, M.V., Sub artt. 2, in Romagnoli, U.-Ballestrero, M.V., Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, Bologna, 1994, 85 ss.).
L’opzione del legislatore si pone, altresì, come una conferma della natura relativa della riserva di legge, contenuta nell’art. 40 Cost. (Balduzzi, R.-Sorrentino, F., Voce Riserva di legge, in Enc. dir., Vol. X, Milano, 1989, 1207 ss.), nel senso di non attribuire alla legge un riconoscimento pieno ed esclusivo nella disposizione delle regole (riserva assoluta), ma soltanto, la definizione di una disciplina di principio, demandando la regolamentazione concreta della materia ad altre fonti, quali, appunto, l’autonomia collettiva (riserva relativa). Ciò, peraltro in linea con la giurisprudenza costituzionale che, già nella metà degli anni ’70, aveva contribuito a far si che l’attuazione del modello costituzionale del diritto di sciopero si consolidasse proprio su una inattività del legislatore (Ghera, E., La Corte costituzionale e il diritto sindacale, Bari, 1990, 96 ss.; Carinci, F., Il conflitto collettivo nella giurisprudenza costituzionale, Milano,1971).
L’impegno a dar luogo ad una negoziazione sulle prestazioni indispensabili è rivolto, nella sua bilateralità, alle parti. Se non di un vero e proprio obbligo a contrarre (nel senso di concludere il contratto), si può ritenere che, per le parti, derivi un vero e proprio dovere a dar corso ad una trattativa negoziale sulle prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero. È evidente, peraltro, che la Commissione, per il suo ruolo di garanzia del funzionamento del sistema, possa svolgere, in tale frangente, una intensa attività di mediazione, finalizzato alla buona riuscita del processo negoziale.
Non essendo plausibile che il datore di lavoro possa trattare con chiunque ne faccia richiesta, si pone un problema di selezione delle organizzazioni sindacali ammesse alla conclusione degli accordi. A tal fine, uno dei maggiori indici rivelatori rimane quello della sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro: in questi casi l’accordo sulle prestazioni indispensabili è complementare alla sigla del contratto collettivo. Nel settore del pubblico impiego (lavoro pubblico), peraltro, l’ammissione stessa dell’organizzazione sindacale alla contrattazione collettiva – e dunque alla predisposizione delle regole per il conflitto – è subordinata al riconoscimento di una effettiva rappresentatività del sindacato, dedotta su requisiti associativi (percentuali di deleghe) ed elettorali (percentuali di voti ottenuti nelle elezioni delle Rsu).
Data la peculiarità dell’accordo sulle prestazioni indispensabili, non si può escludere che alla conclusione di esso possa essere ammesso anche un soggetto collettivo non firmatario del contratto collettivo che abbia, oggettivamente, una certa rappresentatività e svolga attività sindacale in quel determinato settore. In simili casi, in pratica, l’organizzazione sindacale conquisterebbe sul campo la sua titolarità a negoziare le regole sullo sciopero, fermi restando i possibili strumenti previsti dalla legge stessa, quali ad esempio il referendum (art. 14), su intese contrattuali sulle quali si registri un significativo dissenso (Pino, G., Manuale sul conflitto nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2009, 35 ss.).
Anche in sede di valutazione degli accordi, la Commissione potrebbe guardare al criterio della effettiva rappresentatività dei soggetti collettivi che lo siglano, come requisito di idoneità e di tenuta dello stesso (Ghezzi, G., Rappresentanza e rappresentatività sindacale, Milano, 1999, 13 ss.).
Per quel che riguarda, inoltre, l’applicazione della normativa sullo sciopero alle astensioni collettive dalle prestazioni a fini di protesta o di rivendicazione di categoria dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, definitivamente confermata, con la riforma della legge 146 ad opera della l. n. 83/2000, l’art. 2 bis rimette la determinazione delle prestazioni indispensabili alla predisposizione di codici di autoregolamentazione, anch’essi soggetti al giudizio di idoneità della Commissione di garanzia.
Una riflessione appare opportuna in merito alla natura costitutiva o semplicemente integrativa degli accordi sulle prestazioni indispensabili, rispetto alla legge. Vale a dire, se la legge possa già considerarsi, di per sé, autosufficiente ed efficace, ai fini dell’obbligo delle prestazioni indispensabili, anche in assenza di accordi.
In verità, si deve dedurre che la l. n. 146/1990 abbia blindato quel principio generale, già richiamato dalla giurisprudenza costituzionale, che stabilisce come nel settore dei servizi pubblici, non si possa esercitare il diritto di sciopero senza la garanzia di soglie minime del servizio e di prestazioni indispensabili. Ciò appare, peraltro, esplicitamente, confermato in alcune disposizioni dell’art. 2, ove si afferma che: «il diritto di sciopero è esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili (co. 1); Le amministrazioni e le imprese … concordano, nei contratti collettivi o negli accordi … le prestazioni indispensabili che sono tenuti ad assicurare (co. 2); I soggetti che promuovono lo sciopero … sono tenuti all’effettuazione delle prestazioni indispensabili … (co. 3)».
Pertanto, in linea di principio, deve concludersi per un’esigibilità delle prestazioni indispensabili, direttamente alla legge, indipendentemente dalla conclusione degli accordi, ai quali sarà demandata la funzione di esplicitare regole già presenti nel sistema legale (Santoro Passarelli, G., Sub. art. 2, in Lo sciopero nei servizi essenziali, Milano 1991, 31; D’Atena, A., voce Sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc. dir., Agg., 1999, Vol. III, 955 ss.).
A parte questa affermazione di principio, sul piano concreto deve, tuttavia, ritenersi che un’assenza di accordi possa sussistere solamente in termini di provvisorietà, non essendo, infatti, plausibile, nell’ambito di un settore dei servizi pubblici essenziali, che la garanzia delle prestazioni indispensabili si regga esclusivamente e definitivamente sulla sola legge. Ciò, non solo perché tale situazione rischierebbe di rivelarsi insufficiente di fronte alla complessità e peculiarità dei vari settori, ma anche (e soprattutto) perché il modello normativo della l. n. 146/1990 è concepito, come si è già detto, proprio in funzione di una definizione delle prestazioni indispensabili ad opera dell’autonomia collettiva.
Tale impostazione vale anche a dirimere la problematica relativa ad un possibile potere unilaterale del datore di lavoro di predisporre le prestazioni indispensabili. Se tale possibilità può essere astrattamente configurabile, in assenza di accordo, essa non può, tuttavia, considerarsi come una soluzione definitiva, sostitutiva dell’accordo. Si tratterebbe, infatti, di una possibilità praticabile solo in via provvisoria e di breve durata, dal momento che, in simili casi, il mancato accordo tra le parti attiverebbe, giocoforza, l’intervento risolutore della Commissione di garanzia con i propri poteri di regolamentazione provvisoria.
Insomma, l’art. 2 l. n. 146/1990 si rivelerebbe, nel suo co. 1, come una norma completa, con regole applicabili direttamente a tutti i soggetti collettivi che proclamano lo sciopero, quali, l’obbligo di comunicare, entro il termine legale di preavviso, la durata, le modalità di attuazione e la sua motivazione; nel suo co. 2, invece, esso rileverebbe come una norma aperta, di per sé incompleta, se non perfezionata con la disciplina cui la stessa fa rinvio, vale a dire la disciplina contrattuale.
Ciò premesso, appare evidente come il modello di autonomia collettiva, richiamato nella l. n. 146/1990, si riveli come un sistema fortemente guidato, nei contenuti e nelle modalità. La legge, infatti, non si limita a rinviare all’accordo tra le parti come strumento di attuazione delle regole e come fonte principale delle prestazioni indispensabili, ma si spinge ad indicare una serie di contenuti di massima che tale accordo dovrà contenere, come requisiti necessari, ancora prima di essere sottoposto al giudizio di idoneità della Commissione di garanzia. Alcune di queste sono di contenuto precettivo, altre di contenuto programmatico.
Così, «Le amministrazioni e le imprese … concordano nei contratti collettivi o negli accordi … le prestazioni indispensabili che sono tenute ad assicurare … e le altre misure dirette a consentire gli adempimenti … Tali misure possono disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori … Nei predetti contratti o accordi collettivi devono essere in ogni caso previste procedure di raffreddamento e di conciliazione» (art. 2, co. 2); in caso di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, «I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere … » (art. 2 bis, co. 2).
Indicazioni di massima possono, indirettamente, dedursi anche relativamente al quantum delle prestazioni indispensabili, con riferimento alle percentuali stabilite dall’art. 13 lett. a), come limite per la Commissione di garanzia di determinazione delle prestazioni indispensabili, nella regolamentazione provvisoria che essa adotta in assenza di accordi. Vero che tali criteri (50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e un terzo del personale normalmente impiegato), sono, qui, richiamati come limite al potere discrezionale della Commissione, tuttavia, non può non riconoscersi come esse finiscano per influire anche nella determinazione contrattuale delle prestazioni indispensabili. Peraltro, l’art. 13, lett. a) della legge indica, alla Commissione di garanzia, tali criteri percentuali come parametri di riferimento ai fini della valutazione di idoneità degli accordi. Difficilmente, quindi, le parti individueranno quantità di prestazioni indispensabili diverse da tali percentuali indicate nella norma.
Fermo restando che il datore di lavoro, in caso di proclamazione di sciopero, procederà a comandare in servizio quella quota di lavoratori stabilita nella disciplina del singolo settore, necessaria per garantire la soglia minima di servizio, è opportuno, qui, precisare come nell’ambito delle prestazioni indispensabili rientrino anche il lavoro straordinario e la reperibilità. Il grave pregiudizio ai diritti costituzionali dei cittadini utenti può derivare, infatti, anche da astensioni da tali prestazioni poste in essere in totale assenza di regole.
A tal proposito, la Commissione ha puntualizzato che non di qualsiasi prestazione straordinaria deve trattarsi, ma quelle «legittimamente richieste», vale a dire «dovute» in base al contratto collettivo di riferimento (del. 11.9.2003, n. 130, in www.cgsse.it). Inoltre, in deroga alle regole di durata, generalmente previste per le azioni di sciopero delle prestazioni ordinarie, l’astensione dallo straordinario può essere protratta fino ad un limite massimo di 30 giorni consecutivi e sarà considerata come un’unica azione di sciopero.
Sull’insieme delle prestazioni indispensabili individuate nell’accordo, ancor prima del giudizio di idoneità della Commissione di garanzia, deve essere acquisito il parere delle Organizzazioni dei consumatori e utenti operanti nel territorio (rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e utenti istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, art. 8 l. 30.7.1998, n. 281). Tale parere sarà richiesto dalla stessa Autorità di garanzia come condizione necessaria per il giudizio di idoneità. Esso rientra nella categoria dei pareri obbligatori, ma non vincolanti, nel senso che l’Autorità è obbligata a richiederlo, ma non ad adeguarvisi, potendo decidere anche in difformità motivandone adeguatamente, le ragioni.
La valutazione di idoneità dell’accordo, da parte della Commissione di garanzia, ai sensi dell’art.13, lett. a), l. n. 146/1990, costituisce il momento di verifica dell’attività negoziale delle parti e del contemperamento tra diritto di sciopero e diritti degli utenti e rende, così, l’accordo, oggettivamente opponibile ai terzi (Grandi, M., Sciopero e prevenzione del conflitto nei servizi pubblici essenziali, in Riv. it. dir. lav., 1999, 281).
Con la valutazione di idoneità, l’accordo acquista efficacia erga omnes, quindi anche i soggetti non firmatari si dovranno attenere alle prestazioni indispensabili in esso stabiliti, per poter esercitare il diritto di sciopero. La validità generale degli accordi ex l. n. 146/1990 è stata, implicitamente, riconosciuta dalla Corte costituzionale (C. cost., 18.10.1996, n. 344, in Foro it., 1997, I, 381), la quale, ha ricondotto tale efficacia, non all’accordo in se, ma al regolamento di servizio emanato dal datore di lavoro, che recepisce i contenuti dell’accordo.
Inoltre l’accordo valutato idoneo è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ad ulteriore garanzia della sua efficacia oggettiva (si tratta di una pubblicazione che valore di pubblicità notizia e non di natura costitutiva).
In assenza di accordi tra le parti, la Commissione di garanzia sarà chiamata a predisporre una regolamentazione provvisoria, ai sensi dell’art. 13 lett. a), l. n. 146/1990 (Magnani, M., Voce, Sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc giur. Treccani, Agg., Roma, 2008). A tal proposito la norma si è spinta ad indicare delle percentuali entro le quali ricondurre la soglia delle prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero: «… in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e … non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio».
Si può convenire che tali percentuali siano da ritenere, come un criterio orientativo e non tassativo. Il legislatore stesso, infatti, utilizza i termini mediamente e salvo casi particolari, prospettando così la possibilità di minime deroghe, da motivare in relazione alla particolare natura di alcuni servizi pubblici essenziali e al loro funzionamento e la loro sicurezza.
Ci si può chiedere se entrambe le indicazioni percentuali debbano ricorrere in maniera congiunta, oppure se il contemperamento tra i diritti debba ritenersi esaudito con il realizzarsi, alternativamente, dell’una o dell’altra indicazione percentuale. La norma sembra utilizzare in modo congiunto e non alternativo le due indicazioni percentuali, tuttavia, ci si può sbilanciare maggiormente in favore del requisito del 50 per cento, ritenendo questo assorbente nei confronti dell’altro indicato per il personale in servizio (Pino, G., Manuale sul conflitto, cit., 106 ss.). In realtà, nella prassi attuativa, l’erogazione del 50 per cento del servizio normalmente fornito è stata ritenuta come una soglia equa di servizio minimo, indipendentemente dal personale che occorrerà per garantirla.
L’art. 13, lett. a), fa, altresì, riferimento ad un sistema di garanzia delle prestazioni indispensabili che prevede l’erogazione di fasce orarie (nella prassi sono, generalmente, due e di tre ore ciascuna), durante le quali il servizio viene assicurato nella sua interezza. Questa tecnica di contemperamento è ormai assunta come consuetudine nel settore dei servizi pubblici di trasporto e rappresenta un modello di certezza per il cittadino utente, il quale sa di poter contare sull’intero servizio solo in un preciso arco temporale della giornata. Peraltro, secondo l’art. 13, lett. a), quando la garanzia del servizio minimo è individuata attraverso fasce orarie, si potrà non tener conto della percentuale del 50 per cento, ciò perché, verosimilmente, la previsione di tali fasce orarie integra, di per sé, tale soglia di servizio. La norma, invero, non fa qui alcuna menzione all’altro criterio numerico del terzo del personale e ciò può essere letto a conferma della soluzione che considera il criterio del 50 per cento assorbente.
Un profilo di estrema rilevanza riguarda le procedure di raffreddamento e conciliazione che devono essere previste negli accordi, al pari delle prestazioni indispensabili (art. 2, co. 2). Lo svolgimento di tali procedure è, dunque, considerato come misura necessaria a garantire il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti costituzionali della persona, e deve avvenire prima della proclamazione dello sciopero.
Le procedure di raffreddamento, trovano previsione in ambito contrattuale e il loro svolgimento avviene tra le parti, generalmente, in sede aziendale/categoriale essendo articolate in varie fasi e livelli (locale, nazionale). La procedura di conciliazione, invece, indipendentemente dalla previsione contrattuale, viene svolta in sede amministrativa, con la mediazione di un soggetto pubblico terzo: presso la Prefettura, o il Comune, se lo sciopero ha rilevanza locale; il Ministero del lavoro, se lo sciopero ha rilevanza nazionale. Certo, deve trattarsi di una mediazione meno possibile invasiva dell’autonomia delle parti e senza che al soggetto amministrativo interveniente si attribuisca il potere di assumere una decisione vincolante sull’esito della controversia.
L’obbligo grava su entrambe le parti: il soggetto collettivo che intende proclamare lo sciopero deve chiedere l’espletamento di tali procedure; il datore di lavoro non può sottrarsi dall’obbligo di svolgerla, anche se il sindacato richiedente non sia firmatario del contratto collettivo, o non intrattenga rapporti con esso, non riconoscendogli una rilevante rappresentatività. In queste ultime ipotesi, un recente orientamento della Commissione sembra consentire al datore di lavoro di non convocare tale sindacato in sede aziendale, ma riscontrarne semplicemente la richiesta, motivando le ragioni per le quali non intenda procedere ad una convocazione. In tal caso, la procedura di raffreddamento si considererà come espletata e la Commissione di garanzia terrà conto, in una eventuale valutazione del comportamento, delle motivazioni addotte a giustificazione della mancata convocazione. Rimane fermo, invece, l’obbligo, per l’azienda, di partecipare alla successiva procedura di conciliazione presso l’Autorità amministrativa, qualora convocata da quest’ultima (v. del. 22.10.2012, n. 417; in precedenza, del. 20.7.2005, n. 426 e del 9.12.2004, n. 665, in www.cgsse.it).
L’art. 2, co. 2, l. n. 146/1990 (come modificata dalla l. n. 83/2000) sembrerebbe concedere alle parti una libera alternativa tra l’adozione della procedura di raffreddamento, o di conciliazione. Si deve, tuttavia, sottolineare l’esigenza, ribadita dalla Commissione di garanzia, almeno per i firmatari dell’accordo, di non by-passare le procedure contrattuali di raffreddamento, in favore della (generalmente più rapida) procedura conciliativa in sede amministrativa (del. 18.5.2000, n.173-3.2; del. 1.6.2000, n. 174; del 21.9.2000, n. 210-4.1, in www.cgsse.it).
Le procedure di raffreddamento e conciliazione possono non essere effettuate nell’ipotesi di «adesione per la medesima vertenza e con le stesse modalità, ad uno sciopero proclamato da altre organizzazioni sindacali, per le quali siano state esperite, con esito negativo le procedure di raffreddamento e di conciliazione» (del. 20.7.2000, in www.cgsse.it); ancora, in caso di scioperi «in senso lato politici e comunque non connessi a vertenze nelle quali sia precisamente individuabile una controparte … essendo tale obbligo evidentemente sancito per evitare il ricorso allo sciopero ove esista ancora una ragionevole possibilità di comporre la vertenza fra le parti» (del. 12.10.2000, n. 00/226-4.2; del. 30.1.2003, n. 26, in www.cgsse.it).
Una volta effettuate le procedure, lo sciopero deve essere proclamato non oltre 90 giorni dalla conclusione di queste, salvo diversa specifica previsione nelle discipline di settore (del. 30.7.2008, n. 402, in www.cgsse.it ).
L. 12.6.1990, n. 146, modificata dalla l. 11.4.2000, n. 83.
Alaimo, A., La legge n. 146 del 1990, dopo la novella del 2000 (legge n. 83 del 2000): il ruolo dei soggetti erogatori dei servizi pubblici essenziali, in Riv. giur. lav., 2003, I, 383 ss.; Balduzzi, R.-Sorrentino, F. Voce Riserva di legge, in Enc. dir., Vol. X, Milano,1207 ss.; Ballestrero, M.V., Sub artt. 2-3-16-19, in Romagnoli, U-Ballestrero, M.V., Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commentario alla Costituzione, Bologna, 1994, 85; Carinci, F., Il conflitto collettivo nella giurisprudenza costituzionale, Milano,1971; D’Atena, A., voce Sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc. dir., Agg., Vol., III, Milano, 1999, 955 ss.; Ghera, E., La Corte costituzionale e il diritto sindacale, in Giustizia costituzionale e relazioni industriali, Bortone, R., a cura di, Bari, 1990, 96 ss.; Ghezzi, G., Rappresentanza e rappresentatività sindacale: esperienza e prospettive della Commissione di garanzia, in Sciopero e rappresentatività sindacale, Milano, 1999, 13 ss.; Giannini, M.S., Diritto amministrativo, t. II, Milano, 1993; Grandi, M., Sciopero e prevenzione del conflitto nei servizi pubblici essenziali, in Riv. it. dir. lav., 1999, 257; Magnani, M., Voce, sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc giur. Treccani, Agg., Roma 2008; Pino, G., Manuale sul conflitto nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2009; Pino, G.- Glinianski, S., a cura di, Decreto liberalizzazioni e sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2013; Rusciano, M., Diritto di sciopero e assetto costituzionale, in Diritto di sciopero e assetto costituzionale, Frosini, T.E.-Magnani, M., a cura di, Milano, 2010, 39 ss.; Santoro Passarelli, G., Sub. art. 2, in Lo sciopero nei servizi essenziali. Commentario alla legge 12 giugno 1990 n. 146, Milano, 1991, 31; Treu, T., Sub. art. 1, in Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Nuove leggi civ. comm., 1991, 10 ss; Treu, T., Il conflitto e le regole, in dir. lav. rel. ind., 2000, 22 ss.; Vallebona, A., Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2007.