Prevenzione
In campo medico, per prevenzione si intende il tentativo di evitare la comparsa di una malattia, o di una sua specifica manifestazione o di un suo aggravamento o recidiva fino a un possibile evento fatale, nonché il complesso delle procedure messe in atto a tale fine. L'attenzione per la prevenzione è antica, ma solo nel 20° secolo il problema è stato affrontato in modo sistematico, prima per le malattie infettivo-contagiose, poi per quelle non infettive.
Il concetto di prevenzione è strettamente legato a quello di medicina, e non è nuovo. Anche se l'attenzione a esso rivolta ha registrato cicli storici di interesse, alternati ad altri di apparente disinteresse, il ruolo preventivo della medicina è riconoscibile in molti testi e attività del passato, anche remoto. Si può ricordare, per es., che i primi tentativi di vaccinazione antivaiolosa sono stati attribuiti all'antica medicina indiana; fra gli insegnamenti di Confucio vi era quello di cuocere i cibi per tener lontane le malattie che 'entrano dalla bocca'; negli scritti di un imperatore cinese di alcuni millenni or sono si raccomanda di limitare l'uso del sale per evitare che 'il polso si indurisca'; Ippocrate descrisse con precisione il ruolo lassativo dell'orzo integrale rispetto a quello raffinato, privato della crusca, e la Scuola medica di Salerno individuò in alcune abitudini alimentari il fondamento per mantenersi in buona salute.
Nel Medioevo la Repubblica di Venezia impose le prime quarantene nei suoi possedimenti dalmati per contenere l'espansione di alcune epidemie, e G.M. Lancisi, archiatra pontificio del 18° secolo, dettò regole tuttora valide per scongiurare la 'morte improvvisa'. Negli ultimi due-tre secoli il progresso scientifico della medicina è andato di pari passo con quello della prevenzione soprattutto nel campo delle malattie infettive.
L'individuazione di microrganismi responsabili di una serie di malattie infettivo-contagiose e la produzione dei vaccini, avvenuta talvolta su base empirica prima ancora che l'agente eziologico (causale) fosse identificato, hanno portato al declino, fino all'eradicazione in alcuni casi, di epidemie che avevano limitato per lungo tempo la speranza di vita e lo sviluppo demografico. Approcci di vario tipo hanno contribuito in modo diverso ai successi ottenuti in questo settore.
Malattie potenzialmente mortali o fortemente invalidanti, come la difterite, il tetano, il vaiolo, la poliomielite, sono state debellate, almeno in alcuni paesi, grazie alla produzione e diffusione dei vaccini, alle strategie vaccinali e ai provvedimenti legislativi di sanità pubblica per il loro uso. La prevenzione della malaria, che rappresenta tuttora un problema irrisolto se si eccettua l'uso preventivo di farmaci specifici adottati ormai da tempo, era stata avviata mediante opere di ingegneria civile con il prosciugamento delle paludi e rappresenta un caso storico importante di prevenzione efficace messa in atto prima ancora di conoscere l'agente causale della malattia.
Gran parte del regresso epidemiologico della febbre tifoide (così come di altre patologie infettive intestinali) è legato, oltre che alla diffusione di misure di igiene personale, a opere di ingegneria civile (acqua corrente, fogne ecc.). La tubercolosi si è giovata in termini terapeutici dell'avvento degli antibiotici, ma aveva già da tempo subito un declino epidemiologico grazie alle migliorate condizioni igieniche e nutrizionali. Al miglioramento della situazione igienico-nutrizionale è dovuta anche la diminuita incidenza della cardiopatia reumatica, quasi eradicata in alcune aree, grazie agli antibiotici capaci di combattere le infezioni da streptococco β-emolitico di tipo A, responsabile dell'innesco della catena patogenetica che porta a tale cardiopatia. Ancora più complessa e variegata è la storia della prevenzione nel settore delle malattie cronico-degenerative, che ha avuto luogo negli ultimi cinquant'anni del 20° secolo, con il progresso delle conoscenze e l'identificazione dei cosiddetti fattori di rischio (v. rischio).
Per molte patologie cronico-degenerative di tipo multifattoriale (a cominciare da quelle cardiovascolari di tipo aterosclerotico), l'eziologia non sembra avere una singola causa essenziale, salvo situazioni rare e isolate di condizioni geneticamente determinate. Ciò ha posto le basi per dare l'avvio a interventi efficaci, anche se ancora non del tutto soddisfacenti, nella prevenzione di molte malattie, agendo principalmente sui comportamenti individuali e collettivi, e in parte sull'ambiente, con procedure tipologicamente assai differenti da quelle impiegate nel settore delle patologie infettivo-contagiose. Non vanno dimenticati alcuni clamorosi successi. Il minor tasso di mortalità e probabilmente di incidenza dei tumori dello stomaco è l'effetto, in gran parte involontario, della diffusione dell'uso dei frigoriferi e del conseguente minor consumo di alimenti conservati con il sale e con l'affumicamento, che sembrano avere un potenziale cancerogeno sulla mucosa dello stomaco. Una sensibile riduzione delle conseguenze acute e croniche dello smog sull'apparato respiratorio fu ottenuta per la prima volta in Gran Bretagna a seguito di norme legislative sull'uso dei combustibili per scopi industriali e per il riscaldamento domestico. Il declino della mortalità per cardiopatia coronarica e accidenti cerebrovascolari, verificatisi negli ultimi decenni in molti paesi del mondo occidentale, si può attribuire per circa i 2/3 alle modificate abitudini alimentari, al minor consumo di sigarette e a un più diffuso ed efficace trattamento dell'ipertensione arteriosa.
Riferendoci in particolare all'Italia, nel corso di meno di un secolo, si è registrata una generale, sensibile regressione delle malattie infettive e parassitarie in rapporto alle migliorate condizioni igienico-nutrizionali e all'impiego di vaccini e antibiotici (v. tab. 1); restringendo il campo di osservazione, è possibile inoltre rilevare che una campagna di educazione sanitaria su scala regionale ha drasticamente ridotto di quasi i 4/5 gli attacchi di favismo osservati in Sardegna, dove il 15% dei maschi è portatore della condizione genetica che predispone a tale patologia in occasione di ingestione di fave. Da questa breve rassegna storica risulta che gli approcci alla prevenzione sono molto vari e che non tutti si identificano con procedure legate all'esercizio della medicina individuale tradizionalmente intesa. La tipologia genetica di ciascun individuo interagisce con l'ambiente in senso lato e con l'effetto dei comportamenti. Il risultato di tali interazioni è costituito dal mantenimento della salute o dallo sviluppo della malattia.
L'approccio alla prevenzione deve quindi passare attraverso molteplici canali: dall'eugenetica alla distruzione di parassiti e dei loro vettori; da norme igieniche tradizionali di tipo individuale alla realizzazione di opere architettoniche e ingegneristiche dirette anche a proteggere l'ambiente dall'inquinamento industriale; dalla modificazione dei comportamenti e abitudini come quelle alimentari, voluttuarie e motorie, fino al compimento di atti più squisitamente medici, come l'esecuzione di una vaccinazione oppure l'adozione di una terapia cronica, per es. antipertensiva (anche se in epidemiologia l'ipertensione arteriosa non viene considerata una malattia, ma soltanto un fattore di rischio).
La complessità e variabilità operative che si sono osservate, l'acquisizione assai recente di alcune conoscenze come quelle riguardanti le condizioni cronico-degenerative, il carattere non strettamente medico in senso tradizionale di molte procedure, hanno fatto sì che per lungo tempo una teoria della prevenzione e una sua pratica organizzazione siano risultate carenti, non sistematiche.
Una visione più omogenea è derivata recentemente dalla teorizzazione e classificazione di vari tipi di prevenzione, primaria, secondaria e terziaria, distinzione peraltro valida soprattutto per le malattie cronico-degenerative. Per prevenzione primaria si intende il complesso di attività finalizzate a scongiurare l'insorgenza della malattia quando essa è ancora clinicamente assente; consistono nell'agire sulle cause della malattia stessa, a livello individuale, collettivo e ambientale. Secondo alcuni, l'approccio volto a evitare la comparsa di fattori di rischio può essere definito prevenzione preprimaria (o primordiale). Altri, invece, considerano quest'ultima come la sola vera prevenzione primaria, assumendo che una quota di malattia, pur minima, debba esistere per la semplice presenza di livelli anche irrilevanti di fattori di rischio che, come tali, non possono essere eliminati. È chiaro tuttavia che la prevenzione primaria, comunque la si intenda, è l'essenza della prevenzione poiché, se essa è operante ed efficace, vengono pienamente realizzate le finalità che si propone. Pertanto, quando si parla di prevenzione, senza ulteriore specificazione, ci si riferisce generalmente alla prevenzione primaria. Come è ovvio, la prevenzione delle malattie infettive è sempre da considerarsi primaria.
Il significato che viene dato al concetto di prevenzione secondaria è variabile. Secondo alcuni, essa consiste nell'identificare soggetti con condizioni subcliniche di malattia e nell'intervenire su di essi, per evitare che la patologia diventi sintomatica o comunque progredisca. Per altri, invece, prevenzione secondaria significa agire su soggetti con malattia già instaurata e clinicamente riconoscibile, per scongiurare le recidive e le complicazioni e modificarne favorevolmente l'evoluzione. Secondo un'altra prospettiva, la prevenzione secondaria si identifica con il trattamento di soggetti ancora clinicamente sani ma portatori di livelli particolarmente elevati dei fattori di rischio e quindi definibili ad alto rischio. Si tratta, come si vede, di concetti molto diversi che peraltro si adattano più o meno bene, di volta in volta, a varie situazioni.
Il concetto di prevenzione terziaria si allontana in misura crescente da quello più elementare di prevenzione. In ogni caso si parte dalla presenza della malattia già instaurata, con tutti i suoi sintomi e segni; a parere di alcuni, essa consiste nell'agire sul soggetto allo scopo di prevenire la comparsa di recidive e aggravamenti (anche con la riabilitazione); secondo altri, invece, si tratta di intervenire specialmente sulle complicazioni per evitare addirittura il decesso. Ma questa è una degenerazione del concetto di prevenzione, perché in tal modo qualsiasi attività medica, anche la più eroica e disperata, dovrebbe essere considerata di carattere preventivo. Bisogna quindi restringere il concetto di prevenzione a quelle attività che si identificano con la prevenzione primaria e, in piccola parte, con quella secondaria. Tali attività tendono a evitare la comparsa di eventi e condizioni nuove, prima inesistenti, che rappresentano l'esordio della malattia clinica, evidente pure al paziente. È chiaro che ogni forma di prevenzione può avere significato, specie nell'ambito delle malattie cronico-degenerative, anche se essa è volta semplicemente a dilazionare nel tempo la comparsa della prima manifestazione morbosa, allungando così il periodo di vita esente da malattia.
Un concetto più allargato di prevenzione è quello che sta emergendo da qualche anno sotto forma di un'azione generalizzata, che in futuro potrebbe rappresentare un ambito di attività molto importante. Tale concetto è anzitutto orientato verso la comunità; inoltre, la prevenzione non è intesa in senso etimologico e tradizionale, ma tende ad acquisire il significato più ampio di 'controllo delle malattie'. È un tentativo di affrontare, a livello di comunità, il problema di certe malattie in modo globale. Esso comporta: una ricerca attiva dei malati, specialmente dei predisposti a diventarlo; lo svolgimento di un'opera costante di educazione sanitaria; la creazione di collegamenti tra le varie unità impegnate nel campo preventivo e terapeutico per far fronte in modo nuovo a problemi che sul piano individuale sono difficilmente risolvibili con la medicina tradizionale, pur essendo da tempo a disposizione mezzi tecnici adeguati. Nel momento in cui, in questo contesto, anziché orientarsi verso una singola malattia ci si orienta verso più malattie contemporaneamente, specialmente se connesse in qualche modo tra loro e, anziché orientarsi verso la specifica prevenzione di una o più malattie, si identificano gli strumenti utili per il mantenimento del benessere fisico e l'allungamento della speranza di vita, tale azione diventa sinonimo di promozione della salute. In questo senso la prevenzione di una serie di condizioni raggruppabili per talune affinità viene facilitata con interventi mirati su singoli fattori o singoli comportamenti.
Per es. è noto, non solo in termini predittivi ma anche preventivi, il ruolo multipotenziale del fumo di sigaretta, la cui soppressione può giovare per ridurre l'incidenza dei tumori del polmone e di altre sedi anatomiche, della bronchite cronica, di alcune malattie cardiovascolari, del sottopeso alla nascita. Adeguati comportamenti sessuali possono essere utili per la prevenzione non solo delle tradizionali malattie veneree ma anche di quelle recentemente classificate come tali, quali l'herpes, l'epatite B e l'AIDS. Alcune semplici regole di igiene personale, come per es. lavarsi le mani con frequenza, sono la base per la prevenzione di malattie a trasmissione orofecale. L'adozione di abitudini alimentari differenti da quelle che caratterizzano la 'dieta ricca' dei paesi industrializzati sembra valida per la prevenzione della cardiopatia coronarica, degli accidenti cerebrovascolari, di alcuni tumori e del diabete. Sempre in termini di tipologie della prevenzione, si possono classificare le azioni da intraprendere secondo il maggiore o minore coinvolgimento individuale.
Gli interventi possono essere: di tipo legislativo e normativo (imposti); basati sull'educazione sanitaria generalizzata (o su strati di popolazione) diretta a piccoli gruppi omogenei e selezionati; basati sull'intervento individuale mediante consigli, prescrizioni igieniche, vaccinali e farmacologiche (tab. 2).
Le considerazioni esposte hanno grande rilevanza perché, in rapporto a patologie sia a eziologia (causalità) ben identificabile come quelle infettive, sia a eziologia multipla o mal definita, il comportamento umano riveste una notevole importanza nel modulare il rischio. Ciò ha indotto alcuni ambienti accademici negli Stati Uniti ad avviare attività di ricerca, didattiche e applicative nel settore della cosiddetta medicina comportamentale. Questi nuovi indirizzi hanno determinato un allontanamento culturale della prevenzione dalla medicina diagnostica e curativa classica, e portato anche ad atteggiamenti differenti nei suoi confronti, specie quando essa non riguarda interventi tradizionali, come l'esecuzione delle vaccinazioni o il suggerimento di norme igieniche individuali specifiche. In rapporto alle opportunità di combattere sistematicamente i fattori di rischio di alcune condizioni cronico-degenerative e i comportamenti che ne sostengono elevati livelli, emergevano negli ultimi decenni del 20° secolo tre atteggiamenti diversi, definibili come accademico, pragmatico e nichilista. L'atteggiamento accademico riteneva che tali malattie fossero in gran parte geneticamente determinate, anche se talora influenzate dai comportamenti.
I tentativi di cambiare le abitudini di vita di intere popolazioni erano giudicati inutili o addirittura dannosi; un approccio preventivo veniva giustificato solo se diretto a soggetti ad alto rischio e una seria considerazione della prevenzione veniva rimandata alla soluzione dei problemi scientifici riguardanti i meccanismi biochimico-cellulari della patologia, usualmente indagati dalla ricerca di base. L'atteggiamento pragmatico attribuiva ai comportamenti un ruolo prevalente rispetto a quello della genetica e, in base a indicazioni osservazionali - e ancora prima di disporre di prove finali quali quelle fornite dai trials preventivi controllati -, suggeriva l'opportunità di intervenire sistematicamente e in modo generalizzato a livello di popolazione, allo scopo di indurre modificazioni dei fattori di rischio con la speranza di spostare le loro curve di distribuzione nella direzione che si associa a un minor pericolo di insorgenza morbosa. Tale impostazione dava grande rilievo all'educazione sanitaria, pur riconoscendo la necessità di trattare individualmente i soggetti a rischio molto elevato. Inoltre questo atteggiamento teneva conto dell'esistenza di 'malattie di massa' dovute a 'comportamenti di massa'. L'atteggiamento nichilista, infine, considerava inutile privare la popolazione dei 'piaceri della vita' semplicemente per ritardare di qualche anno eventi ritenuti inevitabili, fra i quali la morte.
Tale visione non teneva conto del fatto che qualsiasi atto medico, anche il più eroico, disperato o sofisticato, non fa che tentativi di allungare la speranza di vita anche quando ciò è impossibile o forse vano. In questo contesto si inquadrava l'atteggiamento di chi riteneva preferibile evitare la preoccupazione per la propria salute fino a quando non fosse accaduto qualcosa di grave, e anche di chi esprimeva il timore che l'efficacia della prevenzione potesse determinare un incremento inaccettabile della popolazione definita anziana con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne possono derivare. Questi vari atteggiamenti hanno pesantemente condizionato l'avvio della prevenzione come pratica sistematica da parte sia dei singoli medici sia della sanità pubblica. È opportuno qui sottolineare che la prevenzione è operante solo se vi è una convergenza nel modo di concepire il problema da parte dei singoli medici, della sanità pubblica e della popolazione. Sostanzialmente tre fattori, per alcuni versi occulti, hanno frenato tale evoluzione.
La sanità pubblica si è mossa con lentezza perché influenzata nei suoi interventi dal parere di quei clinici che, almeno fino a un recente passato, non approvavano o non comprendevano la filosofia e i meccanismi di ricerca e operativi alla base della prevenzione, spesso condizionata da decisioni politiche che hanno privilegiato, demagogicamente, obiettivi più appariscenti rispetto a quello medico-sanitario. Da parte del medico vi è stata, sia pure inconsciamente, una resistenza dovuta al fatto che, per quanto attenta possa essere la sua opera in questo campo, i risultati su scala individuale, fondati su piccoli numeri e a breve termine, non sono visibili né analizzabili; solo su larga scala, sulla base di validi sistemi di controllo e tempi lunghi, si può documentare e quantificare l'effetto di una procedura di prevenzione. Mentre nel settore clinico tradizionale molte malattie, anche trattate impropriamente, possono guarire o avere remissioni rapide con soddisfazione del curante e del curato, nessuno, individualmente, saprà mai se valeva la pena, per es., di essersi fatto vaccinare contro il tetano o aver smesso di fumare. Inoltre agire sui comportamenti è azione molto più lunga e faticosa di quella consistente nel prescrivere un farmaco.
La prevenzione non paga neppure in termini di pubblicità. L'eradicazione del vaiolo, completata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS ) nella seconda metà del 20° secolo, è stata una delle più grandi imprese della sanità pubblica, ma la stampa le ha dedicato solamente titoli minori e pagine interne, dando, per contro, grande risalto al suggerimento di abolire la vaccinazione allo scopo di evitarne i rari effetti collaterali. Titoli particolarmente vistosi riceve qualsiasi nuova procedura diagnostica o terapeutica purché di avanzata tecnologia, anche se costosa, non adeguatamente validata oppure potenzialmente utile unicamente per condizioni molto rare o casi disperati. Questa educazione alla medicalizzazione e al sensazionale ha finito per influenzare anche il grande pubblico, richiamato da diagnosi e terapie prodigiose, frastornato dalle rubriche e dalle enciclopedie mediche, ma poco sollecitato ad applicare semplici comportamenti a basso costo, in grado di ridurre l'incidenza e la mortalità per molte condizioni.
Un ulteriore aspetto distingue la medicina preventiva da quella curativa: la prima impone di adottare misure largamente sperimentate e sicure, mentre la seconda è stata sempre disinvolta nell'accettare qualunque rimedio, anche semplicemente miracolistico.
L'Italia ha una discreta tradizione in campo preventivo, per quanto attiene alla diffusione delle vaccinazioni, almeno quelle obbligatorie. La completezza della loro esecuzione è risultata tuttavia molto differente a seconda delle regioni e degli strati sociali. In tempi relativamente recenti, un formale interesse per la prevenzione è stato indicato dallo spirito e dai contenuti della l. 23 dicembre 1978, nr. 833, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale. Il legislatore ha voluto equiparare l'importanza e l'interesse della prevenzione a quello della diagnostica, della terapia e della riabilitazione. Ma a tali formulazioni di principio non è seguita un'azione altrettanto valida in termini applicativi: ciò è probabilmente dipeso da carenze finanziarie, da inevitabili scelte di priorità e anche da una sostanziale impreparazione degli operatori e dei medici. Sotto questo profilo non va dimenticato che la formazione dei medici, degli infermieri, dei paramedici e del personale sanitario in genere che si sono trovati di fronte alla riforma, era basata su un'impostazione diagnostico-terapeutico-individualistica, più rivolta ai problemi della malattia che a quelli della salute; era quindi impensabile che, improvvisamente, una cultura ben radicata riuscisse ad affrontare problemi nuovi che esigono orientamenti, competenze e tipo di organizzazione differenti.
Se oggi si intravede qualche miglioramento, nel settore sia pubblico sia privato, in termini di prevenzione e cultura della salute, ciò dipende da alcuni eventi verificatisi negli ultimi quindici-venti anni, primo fra tutti l'inizio del ricambio generazionale dei medici, che stanno mostrando una sensibilità sempre maggiore a queste tematiche. Ai tempi della definizione del Servizio sanitario nazionale fu dibattuta a lungo la questione su chi dovesse essere il depositario delle attività di medicina preventiva: prevalse l'opinione che poneva il medico - specie il medico di famiglia - al centro di ogni attività preventiva, diagnostica, terapeutica e riabilitativa, contro la proposta di adottare per la prevenzione strutture e personale specializzati. Tuttavia si è dovuto constatare che il ruolo centrale del medico di famiglia ha senso solo se questi ha tempo, disponibilità, competenza per dedicarsi alla prevenzione e quindi all'educazione sanitaria; in mancanza di ciò, organizzazioni situate a monte del medico sono necessarie per programmare la prevenzione e attivare sistemi di sorveglianza integrandosi con l'opera del medico e di altre professioni sanitarie, soprattutto considerando che la prevenzione è una medicina attiva e non passiva come quella tradizionale.
Sono poi emerse, da un lato, l'insufficienza del curriculum universitario e postuniversitario del medico e dunque la necessità di una sua formazione specifica e, dall'altro, la consapevolezza che altre componenti della società devono essere coinvolte nell'opera di promozione della salute, tra cui le organizzazioni di volontariato. Sta inoltre diventando evidente che è impossibile ottenere modificazioni dei comportamenti se non vengono coinvolti quei settori produttivi e commerciali che, avendo la possibilità di modificare alcuni prodotti (per es. quelli alimentari), e facendo leva sul potere della pubblicità tramite i mass media, sono in grado di influenzare motivazioni e scelte di stile di vita. In altri termini, il problema della prevenzione si identifica con quello della salute e con tutto ciò che deve essere fatto per mantenerla e promuoverla. Ogni soggetto deve essere parte attiva e passiva di tale processo. A livello pubblico, è necessario che la ricerca nel settore sia sostenuta in modo adeguato e non considerata secondaria a quella dei settori diagnostico e terapeutico, anche sul piano finanziario. Molto ci si attende ancora dalla ricerca, ma non vi è dubbio che l'applicazione pratica delle conoscenze acquisite non sia sufficientemente diffusa.
Il manuale teorico delle strategie disegnate dall'OMS, del 1997, intitolato Health for all in the year 2000 contiene proposizioni di facile esecuzione, destinate alla prevenzione, al prolungamento della speranza di vita e al miglioramento della sua qualità. I loro costi non sono proibitivi, ma perché il programma abbia successo serve un atteggiamento diverso che attribuisca la dovuta importanza all'adozione di semplici principi di prevenzione, anziché renderli più complicati, e privilegi le procedure per migliorare i comportamenti quotidiani rispetto alla promozione di rimedi, forse del tutto inutili, destinati a situazioni ritenute disperate.
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