CAPOZIO, Priamo
Nacque intorno alla metà del sec. XV quasi certamente a Marsala. Egli stesso si dichiarava "Lilybita Siculus", cioè nativo di capo Lilibeo.
Le vaste lacune che presenta la sua biografia riguardano soprattutto la giovinezza. Oltre che una preparazione letteraria, il C. dové sicuramente possedere una solida cultura giuridica, ma allo stato attuale delle ricerche è impossibile stabilire presso quale università italiana egli abbia studiato. Il Graesse ritenne di poter additare in Lipsia la città ove il C. avrebbe perfezionato la propria preparazione umanistica, senonché la prima data sicura circa il soggiorno dello scrittore a Lipsia è il 1487, e in quell'anno egli svolgeva nella città tedesca un'attività letteraria ufficiale: segno che il periodo del suo apprendistato umanistico era già concluso.
L'intimità di cui godé, a Lipsia, con Bolesas Hassenstein barone di Lobkowitz e Corrado Celtis potrebbero anzi far pensare che il C., al tempo del suo trasferimento nella città tedesca, godesse già di buona fama come erudito e poeta.
Bolesas Hassenstein, viaggiando in Italia e in Oriente, aveva raccolto una notevole quantità di codici e la sua biblioteca era tra le più apprezzate dagli studiosi tedeschi. Il Celtis, elegante poeta in latino, era considerato tra gli umanisti tedeschi come il più aperto agli influssi letterari provenienti dall'Italia. Aveva del resto soggiornato lungamente a Roma frequentando l'accademia fondata da Pomponio Leto; tornato in Germania e caldeggiata la fondazione di una istituzione simile, egli venne laureato poeta, come era avvenuto per il Petrarca, per mano di Federico III. Non è improbabile che proprio durante il soggiorno romano Corrado Celtis abbia conosciuto il C. e lo abbia convinto a seguirlo in Germania, come testimone dell'onore che egli, alla maniera dei grandi italiani del passato, avrebbe conseguito. D'altro canto, non è da escludere che Roma abbia costituito anche per il C. una meta indispensabile per la propria carriera intellettuale: nessun altro ambiente meglio che l'Accademia Pontaniana avrebbe potuto favorire una precoce cultura erudita volta alla poesia umanistica.
Le uniche testimonianze che possediamo del C. scrittore sono due opere fiorite nell'ambiente dell'università di Lipsia e della corte di Sassonia che ospitava il letterato siciliano. Si tratta di una Oratio metrica Capotylilybite inalma Lipsensi universitatehabita (s. l. né d., ma Lipsia 1487 0 1488) e di un poema intitolato Fridericeidos: PriamiCapotij Siculililibite fridericeidosliber, "Impressum lipczyk per Mauritium Brandiss Anno Domini MLXXXVIII [sic, ma 1488], vigesimoprimo die mensis Novembris".
L'Oratio è un ditirambo in cui si tessono le lodi del fondatore dell'università di Lipsia, Federico di Sassonia. Dagli elogi del figlio Federico II, il discorso prende lo spunto per passare in rassegna i maggiori rappresentanti della casa di Sassonia sino ai nipoti di Federico: Ernesto e Adalberto e ai figli di quest'ultimo Giorgio, Enrico e Federico. Nel poema il C. canta le imprese militari di Federico: anche in esso prevale un intento largamente apologetico e i pregi sono da ravvisarsi nell'estrema abilità con cui il poeta maneggia il verso eroico, oscillante tra la rude espressività di Ennio e l'accurata rifinitezza dell'esametro virgiliano. Ingombra lo svolgimento del filo narrativo il pesante ricorso a situazioni canonizzate dalla poesia epica classica: interventi degli dei in favore dei contendenti, similitudini naturalistiche di derivazione omerica e virgiliana, vaticini che preconizzano future glorie della dinastia sassone.
Ugualmente improbabile è la larga contaminazione di reminiscenze classiche e di significati cristiani che il C. si studia di dedurre dalla vicenda: ciò che costituiva del resto una prassi diffusa presso gli scrittori in latino nei centri italianizzanti di cultura e rappresentava un tentativo coerente di sviluppare anche in Germania una poesia colta, retoricamente adeguata ai grandi modelli del passato e non sospettabile di indifferenza nel campo religioso, anzi intimamente cristiana dietro il velame della mitologia classica.
In questo senso dové essere valutata e apprezzata la poesia del C. soprattutto all'università di Lipsia, i cui studenti lamentavano, nell'ultimo scorcio del secolo XV, una preparazione assai imperfetta riguardo alle lingue e alle letterature classiche ed erano spesso costretti a interrompere gli studi per terminarli più proficuamente in Italia.
Di fronte a questa diffusa esigenza (che si riconnetteva alla richiesta di una maggiore diffusione dei testi classici, di una più solida ricognizione filologica, di una più vasta e spregiudicata attività editoriale), i maestri di retorica replicavano con molta incertezza. Forse va ravvisata in questa situazione la ragione per cui, partito il Celtis da Lipsia, fu invitato a sostituirlo nella cattedra di letteratura proprio il C., che aveva già risposto con l'Oratio e con il poema epico alle "avances" di rinnovamento umanistico della cultura tedesca e più sembrava promettere, garantendo al pubblico universitario uno studio sistematico della grammatica latina, una conoscenza diretta, e filologicamente adeguata, dei maggiori "auctores": Lucrezio, Cicerone, Virgilio, Orazio, un'attività editoriale che avrebbe potuto competere con quella che da oltre un secolo si svolgeva in Italia.
Purtroppo del suo insegnamento non si ha notizia alcuna. Che di fronte a tali promesse egli fosse venuto, almeno in parte, meno, sembra lecito dedurre dal fatto che anche la sua scarsa produzione poetica rimase pressoché ignota fuori dell'università di Lipsia e nei secoli che seguirono fino al Settecento (fu ristampata dalla ormai rara edizione quattrocentesca nella raccolta, Sammlung vermischter Nachrichten zur sächsischen Geschichte, V, Chemnitz 1770, pp. 346 ss.). Ma soprattutto dovettero interrompersi quei rapporti con l'Italia che costituivano agli occhi degli intellettuali tedeschi la maggiore garanzia per la sua opera di diffusione dell'umanesimo italiano: basti pensare che un solo epigramma del C. venne riprodotto in Italia nel Cinquecento (quello in lode di Gian Giacomo Adria che lo stesso Adria stampò nell'opuscolo Topographia inclyte civitatis Mazarie, Panormi 1516) e che la sua opera era quasi del tutto sconosciuta agli specialisti sei e settecenteschi di letteratura siciliana.Forse una maggiore notorietà poté conseguire il C. come maestro di grammatica e lettore di classici: dové tuttavia trattarsi, con l'andare del tempo, di una professione sempre più instabile e malsicura, tanto che, intorno al 1500, l'autore decise di fare ritorno in Italia puntando sulla sicurezza che avrebbe potuto procurargli la cultura giuridica.
Ancora una lacuna nella biografia del C. riguarda gli anni che vanno dal suo abbandono della Germania al 1511, ma in questa data la sua presenza a Palermo è attestata da documenti di archivio e le mansioni sono quelle di avvocato fiscale. In tale carica il C. divenne membro del Sacro Consiglio e fece parte della Magna Regia Curia, che si valeva dei suoi pareri in questioni riguardanti gli interessi finanziari dello Stato. Non si conosce l'entità degli emolumenti spettanti al C. per questo ufficio: si sa (da una disposizione del 26 luglio 1511) che gli veniva concessa una rendita annua di 8 once sui beni incamerati degli ebrei già residenti a Sciacca e a Siculiana; il 28 luglio 1515 il viceré interveniva perché fosse permesso al C. di importare un certo numero di schiavi da Tripoli senza pagare tasse, essendo egli esonerato da ogni imposta come padre di dodici figli.
Nei primi mesi del 1516 scoppia a Palermo una insurrezione popolare in seguito al conflitto tra il viceré Ugo Moncada e alcuni nobili del Regno. Data l'atmosfera particolarmente infocata della città, il viceré decise di riparare a Messina dove lo seguì il C. insieme ai membri, rimasti fedeli al viceré, del Sacro Consiglio. Un esposto tendente a scusare i membri di detto Consiglio per aver consentito il rilascio del donativo dovuto alla Corona mettendo in cattiva luce il conte di Golisano, principale avversario del Moncada, porta la firma del C. e la data del 10 apr. 1516. L'iniziativa del Consiglio era motivata in effetti dal desiderio di sedare la rivolta popolare, senonchè il tentativo fallì e il movimento popolare assunse a Palermo la fisionomia di una aperta ribellione contro il governo spagnolo.
Il primo oggetto del furore popolare fu il tribunale dell'Inquisizione i cui atti processuali furono dati alle fiamme. Dopo il tribunale dell'Inquisizione, i rivoltosi si diressero contro i giudici della Gran Corte, ritenuti strumenti della politica oppressiva e pesantemente fiscale perseguita dal successore del Moncada, il viceré Pignatelli. Il 24 luglio 1517, uccisi i giudici, cominciò, da parte dei ribelli, la ricerca dell'avvocato fiscale, rientrato clandestinamente a Palermo e ritenuto uno dei maggiori responsabili del malgoverno spagnolo. Oramai non c'era più scampo per il Capozio. Sottrattosi per due giorni alla furia popolare, fu rinvenuto il 26 luglio 1517 in una casa presso la chiesa di S. Giovanni dei Tartari e ucciso al grido di "mora lu mal consiglio" dopo essere stato fatto segno di pubblico ludibrio.
Le notizie riguardanti la tragica fine del C. sono state tramandate da una cronaca contemporanea, quella di Antonio Merlino (edita da G. Salvo Cozzo in Arch. stor.sicil., n. s., VI [1881], p. 126).
Fonti e Bibl.: F. Del Carretto, Expulsio Ugonis de Moncada Siciliae Proregis, in Opuscoli di autori siciliani, I, Catania 1750, p. 25; T. Fazello, Della storia di Sicilia deche due, III, Palermo 1817, p. 533; G. Buonfiglio Costanzo, Dell'historia siciliana, Venezia 1604, p. 411; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1714, p. 192; F. Maurolico, Sicanorum rerum compendium, Messina 1715, pp. 212 s.; F. G. Th. Graesse, Lehrbuch einer allgemeinen Literaturgeschichte, II, 3, Leipzig 1843, p. 87; G. B. Caruso, Storia della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, III, Palermo 1876, pp. 380 s.; G. Bauch, Geschichte des Leipziger Frühhmanismus mit besonderer Rücksicht auf die Streitigkeiten zwischen Konrad Wimpina und Martin Mellerstadt, Leipzig 1899, p. 23; N. D. Evola, Un umanista siciliano del secolo XV: P. C., in Arch. stor. siciliano, s. 3, IX (1957-58), pp. 205-613.