CONTARINI, Priamo
Patrizio veneziano, nacque presumibilmente a Venezia nel 1430, da Antonio di Bortolo e da Maria Turloni di Gasparin, di famiglia cittadinesca.
Quarto, di sei fratelli - con Lauro Alessandro, Nicolò, Lorenzo, Alvise -, il C. fu l'unico a prender moglie e ad assicurare così la continuità della discendenza. Sposatosi nel 1454 con Elisabetta Padavin, figlia dei nobile corfiota Piero, ne ebbe Gian Matteo, che fu poi membro della Quarantia e si maritò con Marina Bollani di Nicolò di Maffeo. Rimasto però presto vedovo, il C. passò nel 1457 in seconde nozze con Altadonna Dandolo di Giovanni di Benedetto. I registri dell'Avogaria delle iscrizioni per l'estrazione della "barbarella" danno notizia di cinque figli maschi: Alessandro, che secondo il Cappellari Vivaro morì non ancora ventenne, Vito, Marcantonio, che fu provveditore a Corfù, Girolamo e Stefano; gli Arbori del Barbaro aggiungono a questi anche un Marco e un Francesco, futuro capitano a Zara. Di una figlia, Elisabetta, sappiamo che nel 1490 andò sposa ad Andrea Donà di Polo.
Di una delle diramazioni minori della numerosa stirpe contariniana, quella di S. Felice, non sembra godesse di uno stato economico elevato. Ridotte a poca cosa le proprietà immobiliari - la "condizione" dei figli Stefano e Girolamo per la redecima del 1514 denuncia pochi campi a Mestre e alcuni vigneti e oliveti a Cittanova, per un reddito annuo complessivo inferiore ai trenta ducati -, il C. trasse probabilmente dalla mercatura i suoi proventi. Il Sanuto dà notizia di una sua nave attiva in Levante tra il 1496 e il 1497, la cui condotta spregiudicata - "ha cargato oglii de judei e mori et quello ge ha parso" - provoca "gran danno" suscitando le proteste dei "patron al trafego" Giacomo Marcello, per finire poi naufragata presso Tripoli. Ancora di una sua nave, però, nel critico inverno 1498-99 il Senato decreta la requisizione, trattenendola alla difesa di Modone minacciata dai Turchi. Le fonti non permettono tuttavia di stabilire con certezza se in questi casi si tratti di lui, ovvero di un suo omonimo figlio di Giovanni, di cui sappiamo solo che nel 1491, 1493 e 1502 si aggiudicò l'incanto di una galera per i viaggi di Alessandria e di Beirut.
Fosse comunque per il prevalere degli interessi privati e mercantili, o per altri motivi, l'impegno politico del C. appare per un lungo periodo tutt'altro che intenso e contrassegnato da incarichi di non grande rilievo. Essendo chiaramente errata l'informazione dei Cappellari Vivaro di una sua elezione nel 1449 alla podesteria di Napoli di Romania, il primo ufficio da lui ricoperto, di cui si abbia notizia certa, è quello di giudice dei Piovego, nel 1466. Tre anni dopo è membro del tribunale della Giustizia vecchia, mentre nel 1472 svolge la sua prima missione nel Dominio come conte di Pola; eletto nel 1478 nella Camera sopra i prestiti, nel 1480 viene inviato a Brescia in qualità di camerlengo. Dopo l'elezione a capitano delle galere per il viaggio di Alessandria, nel 1483, il C. scompare per quasi un decennio dai registri delle elezioni, fino a quando nel 1491 viene nominato rettore della Canea, nell'isola di Candia. Nel 1496 il rifiuto con vari pretesti dei tre eletti prima di lui offre al C. - che invece per parte sua "libentissime acceptoc" - l'opportunità di recarsi a Brindisi quale primo governatore veneziano della città, consegnata con Otranto e Trani da Ferdinando II d'Aragona in garanzia del rimborso dei soccorsi ricevuti dalla Repubblica nella guerra contro Carlo VIII.
Preso ufficialmente possesso della città il 30 marzo di quell'anno, il C. si preoccupa subito di inviare dettagliate informazioni sul nuovo acquisto, che suscitano per la loro completezza la lode e l'approvazione del Senato: ne descrive la composita popolazione, formata da italiani, greci, ebrei, albanesi e schiavoni, questi ultimi dediti ad "assassinamenti, latrocinii et sachirarii continuis temporibus", che sembrano ora placati al solo apparire del rappresentante veneziano; dà soprattutto un resoconto dettagliato di tutte le possibili entrate fiscali e segnala la presenza di alcune fabbriche di sapone in mano di mercanti genovesi, che vendono poi i loro prodotti a Costantinopoli, con grave danno per il commercio veneziano. Notevole sensazione suscita anche la scoperta di grandi saline nel territorio brindisino, fatta dal figlio del C., Girolamo.
Tornato a Venezia nell'estate del 1498, il C. resta ancora per un lungo periodo privo di incarichi di rilievo, riuscendo solo ad entrare nella zonta del Senato nel 1500 e nel 1502, e partecipando senza fortuna ai ballottaggi per le preture di Rovigo e di Vicenza. Dovrà accontentarsi invece dell'elezione a due magistrature cittadine, i Dieci savi alle decime e i Provveditori al sale, rispettivamente nel 1504 e nel 1505, prima di poter accedere, sul finire del 1507, all'importante carica di capitano e provveditore di Corfù.
Arrivato agli inizi di dicembre (dopo aver cercato invano di ritardare la partenza a tempi più miti), assieme con il bailo Giovanni Zantani (cui succederà nel 1508 Antonio Morosini), il C. deve concentrarsi quasi esclusivamente e "postponendo ogni altra cosa", secondo le raccomandazioni del Consiglio dei dieci, sul problema della difesa dell'isola, su cui grava prima la minaccia dei corsaro turco Kemal Re'is, e poi quella ben più preoccupante, nel giugno del 1509, di un attacco delle flotte alleate spagnola e francese. I due rettori si impegnano dunque alacremente in opere di restauro e di fortificazione, assillando di richieste il Consiglio dei dieci, e cercano di riporre ordine tra le truppe di difesa. È quest'ultimo certamente il problema più spinoso. poiché, eliminati dalle compagnie i nativi, i provenienti da terre suddite ai Turchi e gli italiani sposati con donne del posto, e fuggiti molti altri per arruolarsi in Italia, la cronica mancanza di fondi rende assai problematico procedere a nuovi reclutamenti, al punto che nel luglio del 1509 i Dieci si vedono costretti - pur con la gravissima situazione creatasi nella Terraferma - ad inviare urgentemente un contingente di soldati veneziani, mentre anche il capitano generale converge sull'isola. Alle difficoltà militari va poi aggiunta la scarsa affidabifità della popolazione, nella quasi totalità insofferente del dominio veneziano. Nella sua relazione al Collegio, tenuta il 21 apr. 1510 (benché fin dal settembre precedente egli fosse stato raggiunto dal suo successore, Marco Zen), il C. insisterà soprattutto su quest'ultimo punto, rilevando come tra i cittadini non vi fossero che sette "marcheschi", mentre "el resto è rebelli, più presto a Turchi cha altri", relazione che comunque il Sanuto giudicò" inesperta 9, meritevole solo di un encomio di prammatica da parte del doge.
Fallita due volte nello stesso 1510 l'elezione a consigliere e quella a governatore "alle intrade", nel febbraio del 1511 entra di nuovo nella zonta del Senato e finalmente, in agosto, riesce eletto consigliere per il sestiere di Dorsoduro. Morì poco tempo dopo, in una data imprecisata ma anteriore all'11 nov. 1511, quando venne eletto il suo successore Alvise Dolfin.
Fonti e Bibl..: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codici I, Storia venera, 18: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 489; Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163, c. 131v, Ibid., Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, reg. 107, c. 56 (per il padre), 79v; la "condizion" dei figli: Ibid., Dieci savi alle Decime, b. 23, San Benetto n. 18; il testamento di Altadonna: Ibid., Notarile, Testamenti, Priamo Busenello, b. 66, n. 52 (registrato nella st. b., reg. III, e. 12v); per la requisizione della sua nave: Ibid., Senato, Mar, Deliberazioni, reg. 14, c. 206v; Ibid., Segrerario alle voci, Misti, reg. 6, cc. 5, 48, 50, 63v, 81v, 83, 91v, 157v; reg. 7, c. 40; reg. 8, c. 89; reg. 9, c. 15; alcuni dispacci da Brindisi: Ibid., Commemoriali, libro 18, cc. 56-70v, 112v-114; i dispacci da Corfù: Ibid., Capi dei Consiglio dei dieci, Lettere di rettori, Corfù, b. 291, nn. 6876; cfr. inoltre Ibid., Consiglio dei dieci, Misti, reg. 32, cc. 17, 19, 21, 30, 51, 72v, 124; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 288v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 513 (= 8892): Racc. dei consegi, cc. 30, 43v, 165, 167, 184, 186; 814 (= 8893): Idem, cc. 37, 106, 122, 257, 282; 815 (= 8894): Idem, cc. 40, 98, 264v, 279v, 301, 317; 816 (= 8895): Idem, c. 14v; per i matrimoni dei figli: cfr. Ibid.. Mss. It., cl. VII, 156 (= 8492): M. Barbaro, Nozze Patrizio, cc. 128, 129; Venezia, Biblioteca del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna, 3781: G. Priuli, Prettiosi frutti del Maggior Consiglio, I, c. 177v; M. Sanuto, Diarii, I-III, V, VII-X, XII, Venezia 1879-1886, ad Indices; I libri commemoriali della Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 20 ss.