PRIAPEA (Πριάπεια, Priapēa)
Il culto di cui Priapo (v.) era oggetto presso i Greci e i Romani, e specialmente l'usanza di fornire i giardini d'una rozza statua del dio (che con la falce e col fallo proteso doveva difendere dalle incursioni dei ladri) diede origine a un apposito genere di componimenti poetici; i quali dapprincipio erano come inni in lode di Priapo, ma poi, perdendosi il significato religioso, caddero sempre più verso l'artificioso e l'osceno.
Essi furono introdotti nella letteratura degli Alessandrini, allorquando ci si compiaceva di cercare le novità e di sfruttare a scopi artistici culti o usanze provinciali, curiose, strane. Specialista di πριάπεια fu Eufronio di Cherronesos (presso Alessandria d'Egitto), filologo e poeta drammatico, vissuto alla corte di Tolomeo IV Filopatore, dove, fra le altre smanie mistico-letterarie, era in voga anche questa; e il culto di Priapo si mescolava alle orge notturne e ai misteri di Bacco. Di Eufronio non abbiamo se non pochi frammenti. Ma il "genere" passò presso i Romani; fu adottato nella scuola dei poetae novi, come si vede da Catullo, di cui c'è giunto qualche frammento priapeo, e specialmente da Virgilio. Infatti, nella cosiddetta Appendix Vergiliana si trovano tre priapei, i quali, pur essendo giudicati spurî da molti critici, appartengono con ogni probabilità alla giovinezza del poeta mantovano e costituiscono un'opportuna fase di preparazione alle Bucoliche. Due di essi sembrano ispirati dal paesaggio della Gallia Traspadana; un altro, invece, il più vivace, si riferisce al soggiorno napoletano (verisimilmente alla villula di Sirone). Non hanno intenzioni oscene: il concetto della difesa degli orti per mezzo di Priapo non è adoperato se non per svolgere delicate immagini di vita campagnola, con tenerezza tale che sembra veramente di riconoscervi l'anima virgiliana. Invece i successivi poeti dell'età augustea si valsero di questo tema per ogni sorta di lubriche variazioni. Un esempio ci è offerto già da Orazio, nella satira 8ª del libro I. Alcuni Priapei abbiamo poi di Tibullo, in cui la delicatezza del sentimento si mescola con le impertinenze della fantasia. Oltre a questi componimenti, che sono tramandati a parte, col nome del loro autore, i manoscritti ci conservano una raccolta di 80 Priapei anonimi - diversorum auctorum Priapeia -, in cui il "genere" trova pieno svolgimento. Uno almeno di essi è citato da altra fonte come di Ovidio: e può darsi che non questo soltanto, ma parecchi appartengano al poeta di Sulmona, del quale sono degni per l'esuberanza e la procacità delle immagini. In generale furono composti nell'età augustea, o poco dopo; la raccolta stessa doveva già essere costituita al tempo di Seneca il Retore. Sono assai interessanti per la storia del costume. La materia trattata è uniforme; ma notevole lo sforzo dei poeti di variarla, in qualche modo, con atteggiamenti e combinazioni impensate. Vi si mescolano non di rado elementi mitologici, reminiscenze letterarie, espressioni solenni adoperate in senso parodico.
La raccolta degli 80 Priapea, cui si aggiungono i tre di Virgilio e due di Tibullo, è pubblicata nei Poetae Latini minores del Baehrens, vol. I, pp. 54 segg.; così anche in appendice all'edizione dei Catulli Tibulli Propertii carmina di L. Müller, Lipsia 1880; e insieme con Petronio (Petroriii Saturae et liber Priapeorum) a cura di Bücheler-Heraeus, Berlino 1922. Edizione italiana commentata, a cura di A. Maggi, Napoli 1923.
Bibl.: M. Schanz, Geschichte der römischen Litteratur, II, parte 1ª, 3ª ed., Monaco 1911, pp. 367-68; C. Calì, Studi sui Priapea, Catania 1894 (rifatti in Studi letterari, Torino 1898); V. Ussani, Storia della letteratura latina nelle età repubblic. e augustea, Milano 1929, pp. 411-13; R. F. Thomason, The Priapea and Ovid: A Study of the language of the Poems, Nashville Tennessee 1931; A. Rostagni, Virgilio Minore, Torino 1933, pp. 345-49.