Prigione
Prigione (dal francese prison, che è il latino pre(he)nsio, "atto di prendere, cattura") e il suo sinonimo carcere, rispetto a cui è più usato nel linguaggio comune, indicano propriamente la costruzione adibita alla reclusione dei detenuti, ma possono essere estesi a intendere, più in generale, anche la forma di organizzazione carceraria, caratterizzata storicamente da diversi sistemi di trattamento del detenuto, i quali, a loro volta, hanno esercitato un ruolo determinante nella stessa evoluzione della prigione come complesso edilizio.
Nell'antichità non esistevano edifici costruiti appositamente per la detenzione: quanti erano in attesa di giudizio, i debitori, i rei politici erano generalmente custoditi in luoghi sotterranei, cisterne, torri. La storia della prigione nell'accezione moderna inizia non più di trecento anni or sono, anche se già Platone parlava di un sistema carcerario articolato in tre sedi: una per i detenuti in attesa di giudizio, una per i vagabondi e quanti vivevano in maniera sregolata e la terza, situata fuori dall'abitato, per i delinquenti. Anche a Gerusalemme la detenzione era articolata su tre livelli: una casa di detenzione, una casa per reclusi in catene e una casa per reclusi in catene ai piedi e alle mani. Era una suddivisione ispirata a parametri diversi rispetto a quella platonica, ma che comunque riconosceva una gradualità della pena. Molte delle prime prigioni erano cisterne sotterranee con accesso dall'alto. Il carcere Mamertino, a Roma, che si trova all'interno del Foro Romano, è di questo tipo: consta di una stanza rettangolare superiore, illuminata tramite un foro nel soffitto, con un dongione voltato sottostante. Un'ipotesi storiografica suggerisce che i detenuti attendessero il verdetto di condanna a morte nella stanza sovrastante, e, dopo il giudizio, fossero gettati nel sotterraneo dove morivano di fame oppure venivano strangolati.
Nel Medioevo i luoghi di detenzione erano costituiti da maschi o dongioni nei quali ai prigionieri era riservato ogni genere di brutalità. L'alternativa a questo trattamento consisteva nel supplizio o nella morte attraverso la tortura, oppure, più raramente, nella liberazione per grazia sovrana. Nel 16° secolo fecero la loro comparsa, in Inghilterra, le cosiddette bridewells. La necessità di risolvere il problema del vagabondaggio e della disoccupazione, divenuto particolarmente grave sotto i Tudor, diede impulso a una serie di esperimenti nel campo del trattamento rieducativo dei poveri: tra questi, l'istituzione di strutture all'interno delle quali vagabondi e mendicanti potessero provvedere al loro mantenimento attraverso il lavoro coatto. Il Royal Palace of Bridewell, da cui prende nome l'istituzione, fu aperto nel 1557. Più che di prigioni si trattava di case di correzione, con ampi dormitori e una serie di stanze collegate tra loro, adibite al lavoro. La maggiore diffusione delle case di lavoro si ebbe però in Germania e in Olanda: la Rasp-House di Amsterdam, fondata nel 1595, conteneva nove stanze, che assolvevano alla duplice funzione di dormitorio e luogo di lavoro. In questi ambienti di limitate dimensioni (raramente superavano i 20 m2 di superficie e oltrepassavano di poco i 2 m in altezza) trovavano sistemazione dai quattro ai dodici reclusi. Le stanze si sviluppavano intorno a un cortile interno dal quale erano separate mediante massicce doppie porte. Le finestre, anch'esse aperte sul cortile, erano sprovviste di vetri e protette mediante grate di ferro. Durante la stagione invernale non era previsto alcun tipo di riscaldamento. Altri ambienti destinati all'insegnamento, alla refezione, al culto religioso, alle punizioni e alle necessità amministrative completavano questo prototipo di carcere.
L'introduzione delle bridewells non soppiantò il modello tradizionale fondato su forme brutali di reclusione, riservate ai debitori e a coloro che erano in attesa di giudizio. Ben presto, tuttavia, la differenza tra le due istituzioni si limitò a un fatto meramente lessicale. La situazione descritta da J. Howard in The state of the prisons (1774) si caratterizza per l'estremo degrado, la promiscuità e l'insalubrità. Nel suo resoconto, le prigioni sono contenitori indifferenziati per diverse categorie di emarginati: i reclusi, anche nelle bridewells, non svolgono alcun lavoro, vivono in spazi oltremodo angusti, senza riscaldamento, senza protezioni di vetri o scuri alle finestre, in condizioni di mancanza di igiene, di acqua e di cibo che favoriscono la diffusione di malattie infettive, tra cui una patologia specifica detta appunto 'febbre carceraria'. Al male fisico - rileva Howard - si aggiunge il deterioramento morale: la promiscuità tra sani e malati di mente, la scarsa umanità delle guardie carcerarie, i ritardi nei processi, la diffusione del gioco d'azzardo, l'estorsione di denaro o di abiti, la presenza delle famiglie dei debitori, in prigione con i loro congiunti, fanno sì che il crimine si diffonda proprio tra i giovani detenuti e che anche gli incensurati finiscano con il corrompersi.
Il degrado delle prigioni raggiunse la punta massima all'inizio del 18° secolo. Ma in quello stesso torno di tempo due fenomeni, diversi tra di loro ma entrambi di matrice religiosa, contribuirono a maturare i termini del cambiamento all'interno del sistema penitenziario: la costruzione, per iniziativa pontificia, del San Michele a Roma, il primo carcere cellulare al mondo, e l'influenza dei quaccheri in America. Incoraggiato dai risultati ottenuti nella casa di lavoro per giovani 'riottosi e vagabondi', istituita a Firenze da F. Franci, Clemente XI ordinò la costruzione di una prigione per i giovani malfattori, allora dispersi in varie carceri della città. L'opera, progettata da C. Fontana e completata nel 1704, costituisce la prima realizzazione imperniata sulla corrispondenza tra forma edilizia e ipotesi 'trattamentale'.
L'invenzione planimetrica, consistente in una serie di celle disposte in modo tale che da ciascuna il detenuto potesse vedere l'altare posto nell'atrio centrale e unirsi alla celebrazione della messa, era la traduzione in termini architettonici del principio che ogni recluso dovesse meditare in solitudine per poter accedere, attraverso la preghiera e il lavoro, alla remissione delle colpe: il carcere è per la prima volta considerato un luogo transitorio di espiazione per la 'redenzione' del colpevole. L'impianto architettonico era semplice e rigoroso: la suddivisione in celle singole imponeva una disciplina nella gestione sconosciuta sino allora. L'impiego di un atrio centrale a tutt'altezza, dal piano terra al soffitto, divenne poi un motivo ricorrente nell'architettura delle prigioni fino al 20° secolo. Dall'esibizione spettacolare delle pene e dei supplizi, prima, e dalla segreta sofferenza della prigione, poi, si passava a una struttura globale polifunzionale di tipo assistenziale, sostenuta da programmi di recupero destinati ai ceti meno abbienti, agli emarginati e ai reprobi, con scuole professionali per i poveri e gli orfani, un ospizio per vecchi e malati, due prigioni distinte per gli uomini e per le donne, nelle quali l'apprendimento di un mestiere era finalizzato al reinserimento nella società. Questo salto di qualità non consente, tuttavia, di applicare uno schema evolutivo alla storia della detenzione: nonostante i nuovi indirizzi, il carcere 'trattamentale' continuò a coesistere con la cella sotterranea, il pozzo, la segreta.
La descrizione che dei Piombi di Venezia ci ha lasciato G. Casanova (Histoire de ma fuite, 1788), protagonista di una sensazionale evasione, o, ancora, la testimonianza di S. Pellico della sua reclusione nel carcere dello Spielberg (Le mie prigioni, 1832) segnalano come, anche in situazioni statuali avanzate sotto altri profili, persistessero condizioni di detenzione a dir poco drammatiche. Settant'anni dopo la costruzione del San Michele, un'altra importante prigione cellulare fu realizzata a Gand, in Belgio.
Nel frattempo sorsero molte case di correzione, la maggior parte a opera della Chiesa. Un ulteriore importante impulso all'affermarsi di un diverso atteggiamento nei confronti della detenzione fu offerto da C. Beccaria con il celebre trattato Dei delitti e delle pene (1764), che, pur tacendo sugli aspetti tecnici dell'istituzione carceraria, contribuì a rivoluzionare l'idea del 'castigo', privilegiando la prevenzione rispetto alla punizione, la riforma rispetto alla repressione, e denunciando pratiche come la tortura, la pena capitale, la confisca dei beni. Influenzato dalle nuove idee, Howard, nel corso dei suoi lunghi viaggi nel 'pianeta prigioni', effettuati fino alla morte avvenuta in Russia nel 1790, elaborò piani e istruzioni per la progettazione di carceri moderne e funzionali, in cui il rigore metodologico si accompagnava a criteri innovativi in termini di salubrità, sicurezza, igiene, praticità e rispetto per il detenuto, pur nei limiti entro i quali la cultura più avanzata dell'epoca prendeva coscienza della questione.
L'edificio carcerario, nella visione di Howard, sorge distante dai centri abitati, in luoghi aperti, privo di sotterranei e vicino a corsi d'acqua, ed è provvisto di muri di cinta non tanto alti da impedire la circolazione dell'aria. I luoghi di guardia sono coperti a volta per evitare le fughe, e così pure le celle per ridurre il pericolo d'incendio. Howard concepisce la realizzazione di celle individuali, perché ritiene il silenzio e la solitudine indispensabili per il ravvedimento; inoltre, l'isolamento notturno previene i propositi di fuga, generalmente attuati durante la notte. Nella sua ipotesi, le guardie di custodia sono diverse per uomini e donne, giovani e vecchi. Al personale di sorveglianza sono destinati un soggiorno o una cucina riscaldati, un cortile privato e uffici separati dagli ambienti detentivi. Ogni corte interna è pavimentata e munita di una pompa, presso la quale è collocato un bagno per lavare i detenuti al loro ingresso e invogliare all'igiene i residenti. Un forno per disinfestare gli abiti, un'infermeria, leggermente distaccata dal resto della prigione, e grate per l'aria disposte al centro del pavimento di ogni cella, completano la dotazione funzionale dell'organismo. Howard immaginò due istituti basati su questi principi, nessuno dei quali fu realizzato. E occorre ricordare che il Settecento fu anche il secolo che legalizzò la deportazione, il sistema, forse, più spietato e degradante: degli oltre centomila ‒ tra uomini, donne e bambini ‒ trasportati in Australia per alleggerire la pressione carceraria nella madre patria, l'Inghilterra, circa un terzo morì lungo il viaggio.
Tra Sette e Ottocento il sistema cellulare, sviluppato intorno a un fulcro centrale, giunge alle sue estreme soluzioni nel Panopticon progettato da J. Bentham. Il principio fondamentale che guida l'idea benthamiana è quella del massimo controllo dei carcerati ottenibile con il minimo impiego di personale di guardia. Il progetto del Panopticon conobbe in seguito numerose varianti, ma quello attorno al quale Bentham lavorò per tutta la vita può sintetizzarsi nella distribuzione radiale delle celle, su più piani, con un punto di vista centrale. Questo schema planimetrico si fonda su precisi principi di penologia: la separazione cellulare, la sicurezza, il lavoro intenso, in relazione al convincimento che l'emenda possa guadagnarsi con l'isolamento, l'occupazione e l'istruzione. Notevoli sono anche le idee innovative sotto il profilo costruttivo: è previsto l'impiego della ghisa per le strutture portanti, le cui cavità interne possono essere utilizzate come pluviali o canne fumarie, e di archi in mattoni tra cella e cella: il tutto a prova di fuoco. Si prefigurano inoltre servizi igienici in ogni cella, un sistema di riscaldamento e di ventilazione per mezzo di condotti a muro e a pavimento, un meccanismo di oscuramento per la copertura in vetro, un serbatoio per acqua corrente in copertura e partizioni metalliche scorrevoli lungo la torre di guardia.
Nonostante il notevole interesse teorico, la struttura cellulare, fino ai giorni nostri, non è mai stata compiutamente tradotta in pratica, con l'unica eccezione, forse, del bagno penale di Santo Stefano di Ventotene, realizzato nell'ultimo decennio del 18° secolo su progetto dell'architetto F. Carpi per volere di Ferdinando IV di Borbone. Tuttavia, il modello cellulare diede i suoi frutti negli Stati Uniti d'America, dove si svilupparono due distinte tipologie di regime penitenziario, dette 'filadelfiana' e 'auburniana'.
Come si è accennato, oltreoceano la riforma del sistema penitenziario fu sostenuta dal movimento religioso dei quaccheri, padri fondatori della Pennsylvania. Nel 1776 venne fondata la Philadelphia society for assisting distressed prisoners, all'origine di un influente movimento di riforma, ispirato agli scritti di Howard, Beccaria e Bentham, e che ebbe in B. Franklin e B. Rush le figure più eminenti. Altri Stati, oltre alla Pennsylvania, adottarono ufficialmente l'idea dominante della riforma, secondo cui la legge deve non solo punire ma anche emendare il colpevole. Espressione concreta del movimento fu, nel 1790, la costruzione della prigione di Walnut Street a Filadelfia: le celle, addossate ai muri perimetrali, si snodano lungo un corridoio centrale: il detenuto vive in regime di completa solitudine, giorno e notte, e impiega le ore diurne lavorando nella sua cella. Il sistema filadelfiano si perfezionò con il penitenziario di Cherry Hill. Completato nel 1829, esso si componeva di sette raggi, di cui tre a doppia altezza, i rimanenti a un livello; le 252 celle erano molto ampie e alte, per consentire il lavoro dei detenuti ivi confinati giorno e notte. Ogni cella, dotata di servizio igienico, era provvista di un cortile scoperto per l'attività ginnica; la luce entrava attraverso bocche di lupo e il riscaldamento fluiva tramite canalizzazioni passanti a pavimento nel corridoio. La disposizione radiale dei blocchi rispondeva allo scopo di assicurare il controllo centralizzato di ogni singola cella.
La rigidità del sistema filadelfiano pose ben presto problemi alle amministrazioni penitenziarie. L'applicazione dell'isolamento assoluto nelle prigioni di Walnut Street e Cherry Hill non diede affatto i risultati sperati: non solo essa non contribuiva al recupero dei condannati, ma incrementò in misura impressionante il numero di suicidi tra i detenuti. Il sistema auburniano, che si affermò come modello alternativo a quello filadelfiano, deve la sua origine a circostanze di fatto più che a un'impostazione di principio. Una serie di errori progettuali fece sì che il penitenziario di Auburn, nello Stato di New York, una volta terminato nel 1818, si rivelasse inadeguato alla separazione dei detenuti. Nel tentativo di mitigare e rimediare alle conseguenze devastanti del sistema filadelfiano, fu così possibile introdurre misure di sicurezza commisurate alla gravità dei misfatti: i criminali più incalliti rimanevano in un isolamento ininterrotto; i recuperabili venivano isolati all'inizio della pena e poi ammessi al lavoro in comune; i detenuti per pene minori potevano cominciare subito a lavorare in un ambiente comune, ma in assoluto silenzio, ed erano confinati alla solitudine solo durante la notte.
La configurazione planimetrica delle prigioni ispirate al sistema auburniano consiste in blocchi di celle a sviluppo lineare che affacciano su corridoi disposti lungo il perimetro dei blocchi. Al 1820 risale il prototipo, Maine Prison: le celle sono molto anguste, prive di luce e di riscaldamento. Il sistema fu poi perfezionato con il carcere di Sing-Sing, costruito dagli stessi detenuti. La valorizzazione del lavoro carcerario propugnato dal sistema auburniano era funzionale alla struttura capitalistica che si andava diffondendo, ma ciò non bastò a trasformare il carcere in un sistema economicamente efficiente, rovesciando quella costante storica che vedeva l'assoluta contraddizione tra la prigione e qualsiasi forma di produzione. Si discusse a lungo su quale dei due sistemi fosse da preferire. In linea di massima, il sistema filadelfiano si affermò in Inghilterra e nel resto d'Europa, quello auburniano in America.
In Italia, alla fine del 19° secolo, non esisteva un orientamento prevalente: l'eredità degli Stati preunitari impediva l'affermarsi di un indirizzo univoco. Nel 1861, all'indomani della proclamazione dell'Unità, fu creata la Direzione generale delle prigioni e l'anno successivo fu nominata una commissione incaricata di studiare le soluzioni più idonee. Il Congresso penitenziario di Roma del 1885 segnò l'acme, ma anche l'inizio del declino, del sistema trattamentale fondato sulla separazione dei reclusi e sulle capacità terapeutiche del sistema cellulare. Il trionfo della prigione, paradossalmente, ne accelerò la crisi: si moltiplicarono le critiche alle pene brevi e crebbe la richiesta di misure alternative, soprattutto di sanzioni pecuniarie. Le novità venivano soprattutto dai paesi anglosassoni, dove il diritto vigente, il cosiddetto Common law, consentiva la sperimentazione di misure alternative, mettendo in dubbio il monopolio della prigione nell'espiazione delle pene.
Nonostante questo impulso a rendere più razionale il sistema, il filone punitivo, fondato sull'intimidazione, non cessò di avere il suo peso e di annoverare illustri sostenitori, tra i quali C. Lombroso. Il 20° secolo è caratterizzato dall'ingresso delle scienze dell'uomo nella riflessione sul sistema penitenziario, pur se con scarse ricadute nella pratica carceraria quotidiana. Il nuovo orientamento scientifico contribuì alle grandi riforme penali e penitenziarie: quello penitenziario diventò esplicitamente un sistema finalizzato anche alla prevenzione.
Nella maggior parte dei paesi europei, le nuove codificazioni introdussero valenze trattamentali nella somministrazione della pena. In Italia, il codice del 1930 creò la figura del giudice di sorveglianza, accentuando il carattere garantista del sistema penitenziario, ma riservando al corpo di polizia di Stato e ai tribunali speciali l'applicazione delle misure di repressione politica. Nel secondo dopoguerra la questione si pose in una prospettiva del tutto nuova. Molti dei leader politici, che avevano fatto esperienza diretta delle prigioni sotto i regimi totalitari, indicarono la riforma penitenziaria come questione centrale nell'ambito del ristabilimento delle forme democratiche. Per la prima volta tale problema venne posto in relazione diretta con il rispetto dei diritti dell'uomo. Si rafforzò l'esigenza di instaurare misure preventive e si palesò la necessità di predisporre strumenti di controllo esterni e neutrali sulla legalità dell'esecuzione delle pene. Si estesero sempre più le misure alternative alla detenzione, e i sistemi penitenziari quasi ovunque assunsero anche la gestione delle misure di trattamento in ambiente libero. Il reinserimento sociale del detenuto, più che la sua punizione o il suo ravvedimento, ha rappresentato da allora il fine verso il quale si orientano i sistemi penitenziari.
Negli ordinamenti di riforma approntati negli anni Sessanta e Settanta si parla di diritti dei detenuti, il primo dei quali è il diritto al trattamento rieducativo. Nel decennio successivo, l'esperienza carceraria vera e propria è mitigata, oltre che dalle misure alternative al carcere, dall'istituto della semilibertà, diffuso dapprima nei paesi scandinavi, in Francia, Belgio, Portogallo, Paesi Bassi, Svizzera, Lussemburgo e, a partire dal 1976, anche in Italia. Per quanto riguarda gli aspetti progettuali e architettonici, la necessità di tener conto delle diverse categorie di detenuti suggerisce una struttura medio-piccola, facilmente convertibile, che favorisca i rapporti interpersonali e una gestione 'umana' della pena. Si affermano nuove tipologie edilizie, impostate su criteri di agibilità ed economicità, con la riduzione al minimo delle strutture di difesa passiva, anche in considerazione della tendenziale apertura dei regimi intramurali (forme di permesso, semilibertà). Significative le modificazioni cui vanno soggetti alcuni elementi morfologici tipici, come il muro di recinzione, che da limite invalicabile, o parte integrante del mondo 'interno', si trasforma in elemento di continuità tra interno ed esterno, o addirittura diventa diaframma permeabile che tende alla smaterializzazione del muro stesso.
M. Cappelletto, A. Lombroso, Carcere e società, Padova, Marsilio, 1976.
M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975 (trad. it. Torino, Einaudi, 1976).
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Immagini dal carcere, a cura di A. Di Lazzaro, M. Pavarini, Roma, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 1994.
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United Nations Social Defence Research Institute, Prison architecture, London, Architectural Press, 1975.