PRIMA PORTA
Il borgo di P. P. deve la sua denominazione, attestata a partire dal XIII sec., a un arco in laterizio posto sulla Via Flaminia poco oltre il bivio con la Via Tiberina. Il sito divenne celebre quando, nel 1863, gli scavi condotti sulla collina che domina il piccolo centro abitato portarono alla scoperta della Villa di Livia ad Gallinas albas, con la statua loricata di Augusto e gli affreschi con veduta di giardino. Dopo il fervore degli scavi ottocenteschi il complesso archeologico, soprattutto a seguito del trasferimento delle pitture al Museo Nazionale Romano (1951), fu lasciato in abbandono senza che in realtà di alcuno dei monumenti si fossero acquisiti nella loro completezza i dati conoscitivi.
Dell'arco rimane, parzialmente inglobato nelle strutture della chiesa seicentesca dei Ss. Urbano e Lorenzo, il pilastro sinistro, a pianta rettangolare, con una semplice cornice all'imposta dell'arcata nella quale si riconoscono nervature costituite da catene di laterizî. Questo particolare costruttivo e la scadente qualità dell'opera muraria confermano la datazione al IV sec. d.C. (Ashby, in JRS, XI, 1921, p. 145, nota 2), mentre di recente si è avanzata l'ipotesi che non si tratti di un arco onorario, come generalmente sostenuto, o di un semplice limite territoriale (Frothingam, in AJA, XIX, 1915, p. 158), ma del pilone superstite di un acquedotto (Calci, Messineo, 1984-1986).
Alla base della collina su cui sorge la Villa di Livia, in corrispondenza dell'arco, si apre una vasta grotta il cui accesso è occultato da moderni edifici: un muro in opera reticolata di tufo ne chiudeva l'intero prospetto, mentre altri setti murarî con testate in blocchetti la suddividono in più vani. Del monumento non è chiara l'originaria funzione, né l'eventuale rapporto con la sovrastante villa imperiale.
Alla fine dell'800 si scoprirono, nell'area prossima al bivio tra la Via Flaminia e la Tiberina, strutture in parte di carattere idraulico: la ripresa e il completamento delle indagini (1985) hanno consentito di riconoscere in quello che secondo il Lugli (in BullCom, ν, 1923, pp. 39-40) era un «bottino d'acqua» una fontana a pianta rettangolare, in opera reticolata di tufo con rifacimenti e modifiche in laterizio, coperta con volta a botte e decorata ad affresco con una testa di Oceano e figure di pesci. L'impianto originario risale alla seconda metà del I sec. a.C., mentre un bollo di Domitia Lucilla costituisce il terminus post quem per la fase successiva. Lungo l'asse centrale della fontana corre un cunicolo scavato nella roccia; non è precisabile la funzione del corpo addossato alla fontana a NO, né dell'adiacente piccola grotta artificiale. Delle strutture scoperte più a E si conserva parzialmente un vano in laterizio con abside che una stretta intercapedine isola dalla parete rocciosa. Il complesso potrebbe configurarsi come un compitum suburbano, e in tal caso nell'edificio absidato sarebbe da riconoscere un sacello.
Oltre l'arco, la Via Flaminia passava tra l'altura della Villa di Livia e una collinetta conica, dominata da una torre rinascimentale, sulla quale le indagini del 1982-1985 hanno rivelato l'esistenza di un complesso archeologico estremamente stratificato, con una successione di fasi dal IX sec. a.C. al tardo impero.
Sulla sommità, in parte sotto la torre, rimangono strutture pertinenti a un edificio di età repubblicana, costruito con blocchi parallepipedi di tufo reimpiegati; l'ambiente più meridionale è diviso in due parti da un gradino in travertino e conserva all'angolo E elementi di una scala e una base marmorea di colonna in posto. Allo stesso complesso devono riferirsi murature in opera incerta sul versante orientale che sembrano costituire un'imponente sostruzione con rampa ascendente a due tratti ortogonali.
L'edificio, alla cui decorazione appartengono rocchi di colonne scanalate in peperino, frammenti di pavimenti in signino e mosaico di rivestimento parietale di I stile, nonché terrecotte architettoniche con elementi figurati, sembra aver rivestito carattere cultuale. Del precedente insediamento arcaico, forse un presidio dell'ager veientanus in un sito di estrema importanza strategica, rimane essenzialmente un deposito di materiale ceramico, in gran parte di produzione veiente, accanto a isolati frammenti di loutrophòroi di tipo apulo. All'impianto repubblicano risultano connessi anche due complessi idraulici scavati nel tufo e intonacati, l'uno a E consistente in una cisterna cilindrica collegata a un sistema di cunicoli e pozzi, l'altro a S, articolato in una serie di gallerie con quattro pozzi, divisi in due settori da un diaframma con parapetto e gradini.
La ripresa delle indagini dopo più di un secolo, nel 1982, ha consentito di definire l'impianto planimetrico della villa di Livia. Il muraglione di sostegno con contrafforti si estende per tutta la fronte prospiciente il Tevere, costituendo una vera e propria basis villae: tra esso e un secondo muro analogo e parallelo sul crinale della collina è compreso un vasto giardino quadrilatero che occupa l'angolo orientale, conformemente all'ipotesi avanzata dal Kähler. Il complesso semisotterraneo con il triclinio estivo decorato da pitture di giardino è risultato inserito nell'ambito di un vasto quartiere residenziale: la sala con pavimento marmoreo descritta al momento della scoperta (1863) sopra il triclinio e distrutta per la ricostruzione della volta di questo era fiancheggiata da ambienti analoghi con pavimenti in opus sectile o mosaico. Fra i vani dell'ala SO uno presenta un pavimento musivo (II sec. d.C.) in bianco e nero con i Geni delle Stagioni e Saturno (?) in trono, mentre altri conservano parte della decorazione ad affresco (prima metà del II sec. d.C.) con riquadri e piccoli elementi figurati; accanto è una latrina e un ambiente riscaldato.
Addossato al lato SO della grande cisterna già individuata dal Lugli si estende un impianto termale con strutture in laterizio, comprendente un'ampia sala con due vasche; a O del complesso termale una scala a due rampe immette in un vano sotterraneo coperto con volta a botte da cui si diramano alcune gallerie di servizio. Presso il muro di delimitazione del giardino è una serie di vani disposti intorno a due atrî: l'uno, risalente alla fase augustea della villa, è circondato su tre lati da un portico su cui si affacciano due cubicula separati da un’exedra, con pavimenti in mosaico; l'altro, aggiunto nel II sec. d.C., conserva intorno all'impluvio una fascia perimetrale a mosaico con motivo a mura urbiche. Altri ambienti ridecorati nel II sec. d.C. si aprivano sul peristilio, quasi interamente distrutto. Sul lato NE della cisterna si è riconosciuta infine l'ampia strada di accesso dalla Flaminia, fiancheggiata da vani di servizio.
Se la pertinenza al praedium liviano è forse ipotizzabile per le strutture scoperte nel 1879 e nel 1892 in località Montebello, essa sembra da escludere per il grande complesso ora all'interno del Cimitero Flaminio, già definito come edificio termale, ma in realtà una villa con settore residenziale e pars rustica gravitante sulla Via Tiberina (come un'altra individuata nel 1978 al km 1 della stessa via): l'ambiente inizialmente interpretato come ninfeo è un grande sepolcro con arcosolî che incorporò, forse nell'ambito di una generale ristrutturazione nel III sec. d.C., un piccolo monumento a tempietto della prima metà del II sec. d.C.
Bibl.: Notizie di scavi: C. Calci, G. Messineo, in BullCom, LXXXIX, I, 1984, p. 188 s.; AA.VV., Notiziario di scavi e scoperte in Roma e Suburbio, ibid., XC, 1985, pp. 143 s., 171 s., 400 s.; C. Calci, G. Messineo, ibid., XCI, 1986 p. 710 ss.; XCII, 1987, p. 471 ss.; XCIII, 1989-90, p. 246 ss.; XCIV, 1991-92, p. 195 ss.
In particolare: P. A. Gianfrotta, Villa sulla Via Tiberina, in Archeologia Laziale II (QuadAEI, 3), Roma 1979, pp. 86-90; C. Calci, G. Messineo, La villa di Livia a Prima Porta, Roma 1984, pp. 15 s., 19 s. e passim; G. Messineo, La torre di Prima Porta, in Archeologia Laziale VIII (QuadAEI, 14), Roma 1987, pp. 130-134; id., La via Flaminia, Roma 1991, p. 203 ss.