Praga, primavera di
Moto popolare che appoggiò il processo di democratizzazione e di riforme promosso da A. Dubček. Il processo di destalinizzazione che si era sviluppato in Cecoslovacchia dall’inizio degli anni Sessanta fu accompagnato da crescenti pressioni in senso riformista (soprattutto fra intellettuali e studenti) e da una forte ripresa dell’autonomismo slovacco, che sfociarono, nei primi mesi del 1968, nell’avvio della primavera di Praga. Dubček assunse la direzione del partito, L. Svoboda divenne presidente della Repubblica e O. Černik capo del governo. Il rinnovamento di gran parte del gruppo dirigente cecoslovacco aprì la strada a un processo di democratizzazione e di riforme che ottenne presto un largo sostegno popolare, investendo importanti aspetti della vita politica ed economica del Paese (libertà di stampa, federalizzazione del Paese, riattivazione dei partiti non comunisti e delle organizzazioni di massa, riorganizzazione del sistema produttivo, maggiore autonomia dall’URSS ecc.). Il timore, da parte sovietica, che questi sviluppi potessero pregiudicare la collocazione internazionale della Cecoslovacchia e rappresentare una minaccia per la stabilità dell’intero blocco orientale portò, dopo una serie di pressioni e di avvertimenti, all’invasione del Paese (21 ag. 1968) da parte delle truppe del Patto di Varsavia. I dirigenti cecoslovacchi furono costretti a bloccare il processo riformatore, progressivamente indeboliti e infine sostituiti da una nuova leadership più gradita a Mosca.