Primo Mobile
Mobile. - D. chiama Primo M. o anche cristallino (v.) il nono cielo, che abbraccia tutti i cieli inferiori e trasmette a essi il moto e, con ciò, la capacità d'influire sul mondo sublunare. La funzione del Primo M. nella generale concezione del mondo di D. si specifica e determina in rapporto all'Empireo da un lato, e nel contesto dell'azione delle cause seconde sul processo di generazione e corruzione che ha luogo su questa terra dall'altro.
L'Empireo (v.) è il ‛ luogo ' del Primo M. e quindi dell'universo, e ciò sia che s'intenda il ‛ decimo cielo ' come un cielo tra gli altri e perciò come corpo dotato di materia e di parti, sia che lo s'intenda come un'entità spirituale o immateriale, pura luce emanante da Dio. Secondo la dottrina enunciata nel Convivio, l'Empireo è immobile perché perfetto in ogni sua parte, e il Primo M. si muove di velocissimo movimento; infatti, per lo ferventissimo appetito ch'è 'n ciascuna parte di quello nono cielo.., d'essere congiunta con ciascuna parte di quello divinissimo ciel quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua velocitade è quasi incomprensibile (II III 9). Come osserva B. Nardi (Note al Convivio, pp. 65-75, in partic. 71 ss.), ciascuna parte del nono cielo (il quale è tutto perfetto quanto alla sua sostanza) è in potenza per rispetto ai vari luoghi o siti occupati dalle altre parti, e quindi rispetto all'Empireo; ciò è anche esplicitato da Ep XIII 71, dove si dice che ogni cielo (ma si prende a esempio il cielo della Luna) si muove propter aliquam partem sui, quae non habet illud ubi [sito] ad quod movetur, e tende perciò a conseguirlo; in ciò consiste il suo appetito: quia sui pars quaelibet non adepto quolibet ubi, quod est impossibile, movetur ad aliud, inde -est quod semper movetur et nunquam quiescit, et est eius appetitus.
D. riprende nella Commedia la caratterizzazione del Primo M. come di quel cielo che si muove di moto velocissimo, senza darne però la giustificazione ora ricordata (in Pd I 122-123 l'Empireo è il ciel sempre quïeto / nel qual si volge quel c'ha maggior fretta) anche se ripete il concetto che l'Empireo è il luogo del Primo M. (XXVIII 53-54 miro e angelico tempio [Primo M.] / che solo amore e luce ha per confine [l'Empireo], e XXVII 110-111 e questo cielo non ha altro dove / che la mente divina, giacché l'Empireo è lo splendore della mente divina). Esso è il maggior corpo, in contrapposizione all'Empireo, ciel ch'è pura luce (XXX 39), è lo real manto di tutti i volumi / del mondo, che più ferve e più s'avviva (XXIII 112-113).
Per rapporto alla dottrina delle cause seconde, è da tener presente che come unico è il Motore del mondo, cioè Dio (è dottrina aristotelica: cfr. Phys. VIII 8, 260a 3 e Metaph. IV 8, 1012b 31), unico è il Primo M. (Mn I IX 2 cum coelum totum unico motu, scilicet Primi Mobilis, et ab unico motore, qui Deus est, reguletur); la deduzione della necessità e. della natura del Primo M. è attribuita da D. a Tolomeo (Cv II III 5; v. MOBILE). Dal Motore immobile prende vivere e potenza il mobile primo (Pd XXX 107-108), sicché nella virtù di questo l'esser di tutto suo contento giace (II 114), e cioè è contenuta tutta l'influenza che si esercita sulle sfere inferiori e che queste trasmettono al mondo sublunare onde produrre le forme nella ‛ pura potenza ' o ‛ materia ' (‛ essere ' qui vale " forma "; la forma infatti dà l'essere alla materia, come nota B. Nardi [La dottrina delle macchie lunari, pp. 22-23]). Così D. può affermare: La natura del mondo... / quinci [dal Primo M.] comincia come da sua meta (Pd XXVII 106-108) e aggiungere che nella mente divina (nel senso precisato) per un verso s'accende il desiderio che muove il Primo M., per un altro ha origine la virtù ch'ei piove (v. 111), dove per ‛ virtù ' è da intendere la " bontà " o ricchezza di essere che, indifferenziata nel Primo M., riceve specificazione e differenze dai cieli inferiori ai quali viene comunicata.
Nella comparazione tra cieli e scienze, infine, il Primo M. è paragonato alla filosofia morale (Cv II XIII 8): come quello regola il movimento dei cieli, questa ordina noi a le altre scienze (XIV 14).
La descrizione della permanenza di D. nel Primo M. occupa i versi che vanno da Pd XXVII 100 a tutto il c. XXIX. D., che si trova nel cielo ottavo o Stellato, narra di essersi innalzato nel cielo nono (o Primo M.), cielo cui egli già in Cv II III 13-15 aveva attribuito la caratteristica della massima velocità. Beatrice chiarisce a D. che si trovano nel cielo da cui comincia tutto il moto (e quindi anche il tempo), indotto da Dio, che è nell'immobile Empireo. Qui il discorso si volge verso diversi temi, e Beatrice sottolinea che si tratta di verità alte, cui gli uomini non pongono mente, perché sommersi dal male dopo aver conosciuto il bene, in un pervertimento dovuto (dalla morale si passa alla considerazione politica) alla mancanza di chi governi: finché verrà chi invertirà il corso delle cose, e darà vero frutto dopo il fiore.
D. vede negli occhi di Beatrice, come riflessa da uno specchio, una vivida luce; onde volgendosi al cielo contempla direttamente un punto di acutissima luminosità, figura della divinità indivisibile, in quanto, come punto matematico, privo di estensione e di materialità (secondo quanto Tommaso diceva in Sum. theol. I 11 2-4); e attorno al punto vede ruotare nove cerchi (i cerchi angelici), il primo con moto più veloce di quello del Primo M., perché infiammato da ardentissimo amore, gli altri con velocità inversamente proporzionale all'ampiezza della loro circonferenza, e dunque alla distanza dal punto che rappresenta il centro. D. osserva che nel mondo sensibile le sfere celesti, al contrario, sono tanto più pregne di divinità quanto più remote dal centro, e ambisce conoscere il perché di questa diversità. Beatrice spiega che le sfere sono ampie o strette secondo il più o il meno della bontà che debbono ricevere o distribuire col loro influsso. Ma una bontà o virtù può produrre tanto maggior bene o salute quanto più è grande; ed egualmente un corpo può procurare tanto maggiore bene o salute quanto più è grande, se ha tutte le parti perfette. Perciò la nona sfera, che è la più ampia, corrisponde a quello dei cerchi che più è ricco di virtù, e precisamente al più piccolo, che è però il più luminoso e veloce, a dimostrazione appunto di questa maggiore virtù.
Beatrice acqueta poi, un altro desiderio di D., illustrandogli la collocazione degli ordini angelici, e seguendo in ciò la distinzione di Dionisio Areopagita, mentre in Cv II V 5-11 D. aveva accettato, come già Brunetto nel Tresor, l'ordinamento proposto da s. Gregorio. Egli stesso chiarisce, attraverso le parole di Beatrice, la differenza delle due teorie, narrando che Dionisio si applicò ad approfondire il problema degli ordini angelici con tanto grande desiderio di conoscere la verità che li nominò e distinse come fa Beatrice, e questo con l'aiuto di Paolo che li vide quando fu rapito al terzo cielo. Gregorio Magno si allontanò dall'opinione di Dionisio, ma quando salì al cielo rise di sé medesimo. Dopo una breve pausa, Beatrice spiega che Dio creò gli angeli affinché il suo splendore, attuandosi in altri elementi, potesse godere della propria esistenza; che li creò assieme al tempo, cioè il primo giorno, nell'Empireo; che li fece tutti buoni, anche quelli che poi furon ribelli: sono, essi, pura forma, perché in loro la forma non avviva materia alcuna. Una parte degli angeli si ribellò a Dio appena creata, mentre gli altri cominciarono a ruotare intorno al punto luminoso: ragione della caduta fu l'insuperbirsi di Lucifero, mentre gli angeli che sono nel Paradiso riconobbero umilmente di dovere il loro essere a Dio, e per questa ragione ricevettero la grazia illuminante e la grazia consumante, dono meritato in misura proporzionale all'affetto con il quale è richiesto. Poiché nelle scuole terrene s'indicano cose false sugli angeli, Beatrice spiega che gli angeli hanno volontà e intelletto, ma non la memoria, perché vedono tutto in Dio: verità ben diversa rispetto alle falsità che taluni insegnano sulla terra, spesso per distinguersi dagli altri, per amore delle apparenze. Queste son cose che comunque si sopportano in Paradiso più degli errori che si commettono quando è trascurata o si volge a falso senso la Sacra Scrittura, dimenticando con quanto sangue fu seminata nel mondo, e si cerca di dir cose nuove e menzognere, pascendo di vento i fedeli, e tentando anche, per aver successo, di farli ridere per ispirazione del demonio. Tornando all'argomento degli angeli, Beatrice afferma che essi sono in tal numero quale nessun mortale potrebbe concepire. Ognuno degli angeli riceve la luce divina in tanti diversi modi quanti essi sono: e poiché diversa è in ogni angelo la visione beatificante di Dio, diverso è in ognuno l'amore verso Dio, ciò che induce a considerare la sublimità e la grandezza del loro creatore, poiché si è spezzato in tanti specchi rimanendo uno.
L'intensità umana dei versi dedicati al Primo M. (contrassegnati da un rigoroso contenuto teologico e polemico, senza che in tale cielo appaiano figure di beati) nasce dalla duplice consapevolezza espressa da D. di vedere ivi la fonte della vita, la verità assoluta e globale del cosmo, o un aspetto fondamentale di esso, quale era per D. la totale e armonica azione degli angeli, colta nella sua nitidezza, in un suo simbolo trascendentale anche visivamente suggestivo, tutto tramato com'è sul tema della luce; e nel vedere quanto ordine quella verità, sinteticamente ritratta, contrassegni. Tutto ciò, per reazione e per contrasto, conduce D. a una sferzante polemica da una parte contro il disordine degli uomini, sicché per tal via ricompare pur qui il tema politico, dall'altra contro le varie forme di errore in cui gli uomini cadono, non soltanto per insufficienza innata, ma anche per colpa, sulle fondamentali verità (particolarmente su quelle che riguardano gli angeli): atteggiamento che, se ha dapprima un andamento tranquillo e quasi ilare nella gioia del rivelarsi immediato di tutte le verità (che è uno dei temi della vita paradisiaca), e quindi nella descrizione di Gregorio che aprendo gli occhi nel Paradiso ride di sé e del suo errore, cerca invece immagini più efficaci e sferzanti (tale quella del piccolo demonio racchiuso nel cappuccio), allorché l'ira si sposta sui cattivi filosofi trasportati dall'amore delle apparenze, e sui predicatori che per vanitoso amore di successo popolare, ricercando una faceta piacevolezza con l'immettere motti e freddure, distorcono la verità, e distruggono la loro austerità, nell'atto stesso dell'ufficio sacro. Venature polemiche che giovano e agguagliano questa a molte altre parti del Paradiso, mentre costituiscono, col loro contrasto, un movimento stilistico-strutturale che anima il testo altrimenti troppo uniformemente teologico: contrasto creato anche da volutamente improvvise aperture su fatti e scene naturali (il cielo fatto splendido e sereno da Borea di Pd XXVIII 79-84; la primavera eterna ricordata in XXVIII 115-117).
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