priorato
A Firenze era l'organo di natura politico-amministrativa, al vertice dell'organizzazione comunale; i suoi membri sono detti per lo più priori, mentre in un secondo momento, dal Trecento in poi, più spesso e più volentieri si chiamano ‛ signori '.
L'etimologia di ‛ priore ' e ‛ signori ', comunque, è chiara e in ognuno di essi è pregnante il significato di supremazia, sotto qualsiasi angolo si guardi, su ogni altro organismo dello stato (" il quale nome priori dell'arti, viene a dire i primi eletti sopra gli altri ", Villani VII 79).
Il termine ‛ priore ' nella vita politica fiorentina del Duecento non era cosa nuova e già in precedenza si era adoperato più volte per indicare i rappresentanti delle arti nei consigli cittadini, o in altri organi collegiali del comune: ma è col 1282 che i priori, e quindi il p. che ne è l'ufficio relativo, diventano il centro della costituzione comunale, al quale fanno capo le funzioni più importanti dello stato; il p. delle Arti ab origine è così il vero centro motore del comune, riservato a un ristrettissimo numero di famiglie del gruppo oligarchico, come ha dimostrato senza ombra di dubbio la recente storiografia sull'argomento, tra cui, basilare, l'opera dell'Ottokar.
Come a Firenze si sia giunti all'istituzione del p. è cosa nota: ne ripetiamo i tratti più salienti.
Il governo dei Quattordici istituito più per suggestione e incitamento del cardinal Latino (18 gennaio 1280, secondo lo stile comune) che per forza di un naturale processo politico si rivelò subito, oltre che innaturale in una città come Firenze portata al guelfismo per antica tradizione tanto da divenirne quasi vocazione naturale, anche assolutamente non pratico perché il miscuglio guelfo e ghibellino era artificioso, imposto da forze esterne (e il miscuglio, non si deve dimenticare, anche in natura è sempre innaturale) e quindi assolutamente inattuabile.
A questi elementi, interni e determinanti sulla sorte dell'istituto, altri se ne aggiunsero di natura esterna (queste, secondo il Villani le " novitadi " esterne: perdita " che 'l re Carlo avea già fatta dell'Isola di Cicilia ", venuta " in Toscana del vicario dello 'mperio " e, ultimo, le " guerre cominciate in Romagna per lo conte di Montefeltro per gli ghibellini ") e tutti di tale entità da destare serie preoccupazioni nel partito guelfo fiorentino per il rinfocolarsi delle fortune ghibelline, un'eco delle quali è pur chiaramente percepibile, come già si è detto, nelle pagine del Villani (VII 79).
Matura così rapidamente - e ingloriosamente, aggiungerei, perché non si nota nessun segno di reazione - la fine della magistratura dei Quattordici, genuino prodotto dell'utopia politica del cardinal Latino.
Il movimento contro i Quattordici parte dall'ambiente oligarchico guelfo, fortemente legato alla Parte guelfa, del quale fan parte anche gli esponenti più in vista delle arti capitalistiche, specialmente di quella di Calimala (" E questo trovato e movimento si cominciò per gli consoli e consiglio dell'arte di Calimala, della quale erano i più savi e possenti cittadini di Firenze, e del maggiore seguito, grandi e popolani ", Villani VII 79). Ma si andò per gradi, senza rivoluzioni cruente fino al trionfo delle Arti, specialmente di quelle più importanti e nelle quali si trovano, stretti vicendevolmente da vincoli di sangue e d'interesse, grandi guelfi e popolani grassi.
Il p. ebbe inizio nel giugno del 1282 come organo coesistente coi Quattordici; ma era destinato a imporsi rapidamente sull'altro perché aveva alla base le forze più importanti e meglio organizzate della città, le Arti, le quali con la conquista del potere concludevano il cammino iniziato già da qualche anno. Il p. rappresenta così l'ultimo momento del " lento e profondo spostamento costituzionale che si delinea già fin dal principio del 1281 " (Ottokar, p. 19).
La nuova istituzione suggella definitivamente il trionfo delle Arti, la fortuna delle quali si era chiaramente delineata già da molti anni. Ma sarebbe fuori luogo pensare che questo avvenimento segni la fortuna delle sole forze popolari, anche se con questa espressione si deve pensare al solo popolo grasso, e la totale esclusione dal governo dei grandi guelfi, quasi che essi fossero due mondi contrapposti e visceralmente ostili tra loro: posizioni così rigide sono ormai sfatate dalla ricerca dell'Ottokar e debbono essere abbandonate.
Nel p., in quanto espressione delle Arti e all'inizio specialmente delle maggiori, confluiscono così non solo le forze genuinamente popolane, ma anche quelle guelfe annidate nella Parte guelfa (" ed eranvi ", nel p., ," de' grandi come de' popolani uomini grandi di buona fama e opere ", Villani VII 79): interessi e parentele fanno di questo ambiente un ceto unico, senza rigide contrapposizioni, per cui si capisce molto bene come mai il nuovo organo fu, ora e dópo, istituzione sostanzialmente favorevole al guelfismo.
Altro fatto importante e che dev'essere segnalato: il p., fin dal suo sorgere, non rappresenta solo le Arti di cui i priori fanno parte (inizialmente solo tre), bensì tutto il mondo artigiano, nella sua totalità e senza eccezione alcuna; quindi i priori rappresentano tutto l'ambiente della produzione e del mercato, nella più vasta accezione delle parole.
Per una lacuna degli atti consiliari per il periodo 27 aprile - 26 giugno 1282 non si conoscono i particolari e le circostanze che portarono all'istituzione del p.; col bimestre 15 giugno - 15 agosto, comunque, il nuovo ufficio è già esistente essendo priori Bartolo di messer Iacopo de' Bardi per l'arte di Calimala e in rappresentanza del sesto d'Oltrarno, Rosso Bacherelli per il cambio e San Piero Scheraggio, Salvi del Chiaro Girolami per la lana e San Pancrazio; nell'agosto, parendo essere tre poco rappresentativi, specialmente dal punto di vista topografico, i priori furono portati a sei e quindi tutti i sesti della città vi furono rappresentati, con le altre tre Arti dei medici e speziali, della seta e dei vaiai e pellicciai; poco dopo vi saranno rappresentati anche i giudici e notai e così il p., in questi primi anni della sua vita, è espressione diretta delle sette Arti maggiori.
La coesistenza coi Quattordici non è lunga, segno evidentissimo questo della maggiore vitalità del nuovo istituto: col maggio del 1283 i Quattordici vengono a cessare e tutti i loro poteri passano automaticamente ai priori delle Arti, che diventano così il vero centro motore del comune.
Nel primo decennio della sua vita (1282-1292) il p. non porta affatto a uno " spostamento notevole del ceto governante " (Ottokar, pp. 118-119) rispetto agli anni precedenti: popolo grasso e magnati vi sono largamente rappresentati, nonostante l'emanazione di una legislazione antimagnatizia che da tanti indizi sembrerebbe non osservata del tutto: " il p. ", dice giustamente l'Ottokar, " è un'aristocrazia nel seno della società artigiana ". Le cose, com'è noto, cambiano sostanzialmente negli anni 1293-1294 in seguito a uno spostamento su basi più genuinamente popolari del ceto di governo: cambia allora la composizione personale del p., mentre i magnati vengono esclusi dalla vita politica (aprile 1293) e perseguitati duramente, cose queste che porteranno alla reazione dei ceti perseguitati conclusasi con i temperamenti degli Ordinamenti del 6 luglio 1295 (cfr. ORDINAMENTI DI GIUSTIZIA).
L'elezione dei componenti l'ufficio del p. è prima fissata volta per volta e solo successivamente, con gli Ordinamenti di Giustizia del 12 gennaio 1293, i criteri vengono ancorati a una legge, da cui passeranno poi di sana pianta nello statuto del capitano del popolo del 1322-25: l'elezione era congegnata in modo da garantire la permanenza al potere del gruppo dirigente. Diamogli uno sguardo.
Due giorni prima della scadenza, i priori in ufficio convocano presso di loro un certo numero di savi e le Capitudini delle Arti maggiori e tutti insieme scrutinano i nomi di quei cittadini che a loro giudizio meritassero l'onore della carica.
L'elezione, tutto sommato, era un circolo vizioso perché eletti ed elettori appartenevano allo stesso ambiente e le operazioni erano congegnate in modo da dare l'ufficio a individui dello stesso gruppo. Dall'elezione erano esclusi i cavalieri, mentre con l'aprile del 1293 l'esclusione fu estesa anche ai magnati: per l'ammissione, sempre dal 1293, si richiedeva " exercere continue artem ", principio a cui fu poi aggiunto, nei raddolcimenti del 6 luglio 1295, la più tenue iscrizione (" vel in cuius artis libro seu matricula scriptus fuerit "). Dopo l'elezione, generalmente il 13 di ogni mese, i nuovi priori si ritiravano collegialmente in un convento, per lo più Santa Croce e Ognissanti, dove l'ufficio in carica li metteva al corrente degli affari in corso; la presa di possesso e l'inizio dell'incarico avvenivano il 15 di ogni secondo mese e ciò era fatto in forma molto solenne, stante l'importanza del p., prima nella chiesa di San Piero Scheraggio, presenti i rettori forestieri, e poi davanti alla ringhiera di Palazzo Vecchio, dove veniva costruita una loggia in caso di pioggia.
Successivamente, il Davidsohn dice col 1321, il sistema di elezione dei priori e degli altri uffici del comune cambiò radicalmente perché s'incominciò ad applicare la regola delle imborsazioni precedute dallo ‛ squittinio ' generale, ma anche questo non eliminò affatto il vizio della partigianeria verificatosi negli anni precedenti.
Del p. faceva parte anche un notaio, detto appunto notaio dei priori o della signoria, sul quale si hanno molte notizie nel volume sulla cancelleria del Marzi (p. 8 e passim): da notare, comunque, che quella del notaio è carica amministrativa, mentre il p. è incarico di natura squisitamente politica per cui più tardi e con molta proprietà il notariato sarà detto ufficio d'utile, mentre i secondi, i priori, saranno carica d'onore.
Il numero dei priori variò diverse volte nel tempo: principio costante, comunque, fu che la rappresentanza fosse legata alla divisione militare amministrativa della città; tre all'istituzione (giugno 1292) e sei nell'agosto successivo, cui fu poi aggiunto, nel gennaio 1293, un gonfaloniere di giustizia; furono quattordici nel febbraio-giugno 1304, dodici dal 1313 al 1315, sedici nel 1316. Dopo la cacciata del Duca d'Atene, in concomitanza col ritorno alla divisione della città in quartieri, i priori furono nove col gonfaloniere di giustizia, numero rimasto poi fisso fino alla caduta della repubblica del 1532.
Il gonfaloniere di giustizia è istituito nel gennaio del 1293 e negli omonimi Ordinamenti, alla rubrica IV, se ne fissano i compiti e i criteri di elezione: gerarchicamente primo dei priori, una specie di primus inter parer, fu istituito allo scopo di garantire l'osservanza degli Ordinamenti di Giustizia, per il che ebbe ai suoi ordini una forza di 1000 fanti.
In quanto ‛ signori ' dello stato i priori ebbero vastissimi poteri: essi sono al centro della costituzione comunale e a essi fa capo tutto il movimento politico e amministrativo dello stato: le loro attribuzioni sono contenute in una rubrica dello statuto del capitano del popolo del 1322 dal titolo " de offitio dominorum priorum artium ", edito, oltre che nel Caggese, anche dal Marzi in appendice al volume sulla cancelleria fiorentina. Quando poi l'ufficio doveva provvedere a materie non contemplate nello statuto, era necessario che i consigli opportuni, titolari dell'intera sovranità, concedessero loro un'autorità speciale, specifica o anche generale, chiamata, nei territori fiorentino e senese, ‛ balia '.
In seno al collegio dei priori le deliberazioni erano prese o a maggioranza assoluta, o coi due terzi o in altro modo: le votazioni eran fatte a bossoli e pallottole, quindi erano segrete, contando il colore bianco per il no e il nero per il si; altre volte palesi per alzata e seduta; alle votazioni stesse era sempre presente un religioso della Camera del comune, al quale spettava il conteggio dei voti.
Molteplici erano i divieti: chi scadeva dall'ufficio non doveva essere eletto al p. per due anni consecutivi, né potevano far parte contemporaneamente dell'ufficio due membri della stessa casata o della stessa Arte; dall'elezione erano esclusi i cavalieri e tale esclusione nel periodo di Giano della Bella colpì anche i magnati. Analoghi divieti valevano pressappoco per la carica di gonfi loniere di giustizia.
Priori e gonfaloniere di giustizia dovevano dimorare in una stessa casa e le spese relative erano a carico del comune (" e furono rinchiusi per dare audienza, e a dormire e a mangiare alle spese del comune ", Villani VII 79): era fatto divieto ai cittadini di parlare con loro e solo nella pubblica udienza era permesso conferire coi membri del priorato. Nessun priore poteva allontanarsi dalla residenza dell'ufficio e solo in casi gravissimi (morte di un congiunto o altra cosa del genere) poteva farlo, ma previa autorizzazione dei colleghi che lo facevano accompagnare da un discreto numero di ‛ berrovieri ' del priorato.
Fino alla costruzione dell'attuale Palazzo Vecchio, divenuto poi sede ufficiale del p., i priori non ebbero stabile dimora: risiederono all'inizio nelle case di Badia (torre della Castagna), dove già erano stati gli Anziani del primo popolo e poi i Quattordici: abitarono diversi anni nelle case di Gano del Forese, in quella di Pela di Domenico, o nel palagio di messer Gherardino dei Cerchi nel popolo di San Procolo: dal 1301 si stabilirono nel nuovo palazzo di piazza Signoria, che poi fu detto ‛ Vecchio ' o ‛ dei Signori ', denominazioni, specialmente la prima, conservata tuttora.
Bibl. - I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, Firenze 1879, 33, 39, 60, 146; II, ibid. 1889, 25, 443-444; Carlo di Tommaso Strozzi, Il governo della città di Firenze dall'anno MCCLXXX al MCCXCVIII, in G. Salvemini, Magnati e popolani a Firenze dal 1280 al 1295, ibid.1899, 308-319; Le consulte della repubblica fiorentina dall'anno MCCLXXX al MCCXCVIII, a c. di A. Gherardi, I, ibid. 1896, VII-VIII, XI, XIV, XXI; G. Salvemini, Le consulte della repubblica fiorentina dal secolo XIII, in " Archiv. Stor. Ital. " s. 5, XVIII (1899) 91; P. Villari, I primi due secoli della storia di Firenze, Firenze s.d. [ma 1893-1894], 118 passim; D. Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca S. Casciano 1910, 11 passim; Marchionne Di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a c. di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., Città di Castello 1913, rubr. 157-158, 196; N. Ottokar, Il comune di Firenze alla fine del Dugento, Firenze 1926, 19-20, 22-25, 28, 81, 278-279, 285; A. Doren, Le arti fiorentine, traduz. ital., ibid. 1940, I 36, 44-45; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Torino 1960², 107, 111-113, 118-119, 129, 131-132, 176, 185, 189, 196; Davidsohn, Storia, ad indicem (sub v. Collegio dei priori).