PRIVATIVA industriale
Con questo termine inesatto, ma universalmente adoperato, viene indicata la protezione accordata dalla legge agli autori di nuove invenzioni o scoperte industriali. Si è affermato in modo preciso il diritto dell'inventore sulla propria invenzione, così come per l'autore delle altre opere dell'ingegno: colui che col proprio lavoro e specialmente con la propria intelligenza è riuscito a inventare una macchina, un prodotto, a scoprire un risultamento costituente un progresso nell'industria, ha evidentemente il diritto di sfruttare l'opera propria. Ma il diritto del singolo deve contemperarsi col diritto della società; ne consegue che il diritto dell'inventore debba subire restrizioni, specialmente nella durata. Inoltre, contrariamente a quanto ormai tutte le legislazioni stabiliscono per il diritto d'autore, è necessario che l'inventore, per ottenere la protezione della legge, depositi in pubblici uffici, a conoscenza di tutti, l'oggetto della propria invenzione. E la differenza dipende dalla differente natura della protezione; nelle opere letterarie e artistiche è protetta la forma, cioè l'estrinsecazione esteriore che è inconfondibile (v. autore, diritto d'); nell'invenzione si protegge invece la sostanza, che potrebbe essere scoperta contemporaneamente, o quasi, da due persone, talché la priorità non può essere data che dal deposito; è inoltre necessario conoscere in modo preciso in che consista l'invenzione, affinché altri possa studiarne dei miglioramenti, e alla scadenza del termine di durata si sappia con precisione qual è l'invenzione caduta in pubblico dominio.
In Italia la materia è regolata dal decreto-legge 13 settembre 1934, n. 1602, che regola pure i marchî di fabbrica, e i modelli o disegni ornamentali, e che, per le privative industriali ha sostituito la legge 30 ottobre 1859, n. 3731, pur mantenendo fermi quei principî essenziali che derivano dalla natura stessa del diritto e sono stati riconosciuti dalla giurisprudenza.
È innanzi tutto pacifico in tutte le legislazioni che l'inventore ha il diritto di attuare la propria invenzione o scoperta e di trarne esclusivamente frutto, nei termini fissati dalla legge. In linea generale deve ritenersi che inventore non possa essere che una persona fisica (e alcune leggi infatti impongono che soltanto questa possa provvedere al deposito); ma in realtà può accadere che l'invenzione sia il frutto dell'opera di parecchie persone, e da ciò è sorto nella dottrina moderna il concetto della "invenzione di azienda". In ogni modo è ammesso che l'invenzione sia depositata anche da una persona giuridica, ad esempio da una società di commercio: anche in questi casi si fa strada però la tutela del diritto morale dell'autore, e la nuova legge ha dichiarato che l'inventore abbia diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione, anche se il deposito, agli effetti dello sfruttamento industriale, sia fatto da altri.
L'invenzione di un impiegato o di un operaio appartiene a lui, o al proprietario dello stabilimento? La questione è stata molte volte dibattuta; il decreto-legge ha stabilito che l'invenzione appartenga al datore di lavoro, allorché l'attività inventiva è prevista nel contratto di lavoro ed è retribuita, e anche se l'invenzione è fatta nell'esecuzione di un contratto di lavoro: in questo secondo caso però spetta all'inventore un congruo compenso. In tutti gli altri casi l'invenzione appartiene all'impiegato o operaio, ma è concesso al datore di lavoro un diritto di prelazione per acquistarla.
I due requisiti essenziali di un'invenzione sono la novità e l'industrialità. È nuova quell'invenzione della quale non si conoscevano i particolari necessarî alla sua attuazione prima che ne fosse eseguito il deposito: quindi, se altri aveva attuata, pur non depositandola, la stessa invenzione, oppure, se l'inventore l'ha divulgata prima di depositarla, l'invenzione non è nuova agli effetti di legge. La conoscenza, che ne abbiano gli addetti all'opificio nel quale l'inventore esegue le prove di attuazione, non fa perdere all'invenzione il carattere della novità. Sono da ritenersi industriali quelle invenzioni che hanno per oggetto uno strumento, una macchina o un qualunque dispositivo meccanico, un prodotto o un risultamento industriale, un metodo o processo di produzione industriale, nonché l'applicazione tecnica di un principio scientifico, purché dia immediati risultamenti industriali. L'invenzione può anche consistere nell'applicazione nuova o nella combinazione nuova di mezzi conosciuti. Anche la modificazione di un'invenzione già esistente può dare luogo a privativa; però, se l'invenzione principale è coperta da un brevetto tuttora vigente, l'inventore della modificazione non può attuarla se non ottenga il permesso dell'inventore principale. Non costituiscono invece novità brevettabile il semplice cambiamento della forma, delle dimensioni o della materia e il trasporto da un'industria a un'altra, a meno che ciò non avvenga con mezzi nuovi, o ottenendo un nuovo risultamento. Non possono essere brevettati i medicamenti di qualsiasi genere; e ciò perché non si può sottrarre all'umanità il beneficio derivante da essi. Il decretolegge ammette però la privativa per i processi usati nella loro produzione: l'inventore, in ogni caso, può designare il proprio prodotto con una denominazione di fantasia, che resta a lui riservata (v. marchio: Marchio di fabbrica e di commercio). Le invenzioni riflettenti i prodotti agricoli si possono considerare industriali. Non è invece ritenuta brevettabile la scoperta di leggi naturali o di corpi esistenti in natura, a meno che dall'applicazione di tali leggi, o dallo sfruttamento di tali corpi non possa derivare un risultato industriale nuovo. Per essere industriale l'invenzione deve manifestarsi con effetti tangibili e con risultati pratici; sono quindi escluse le invenzioni o scoperte non aventi per scopo la produzione di oggetti materiali e quelle puramente teoriche.
L'inventore, il quale apporti modificazioni o miglioramenti alla propria invenzione, può chiedere un attestato completivo, il quale segue le sorti dell'attestato principale. Oltre ai brevetti propriamente detti, il decreto-legge, seguendo quanto è stato stabilito in Germania, ammette anche la cosiddetta privativa per modelli di utilità (Gebrauchsmuster), nella quale espressione si comprendono quelle piccole invenzioni che possono dare alle macchine o strumenti maggiore efficacia o comodità di applicazione.
La constatazione dell'esistenza di novità si deve fare prima della concessione del brevetto, o soltanto in caso di contestazione giudiziaria. Due sistemi si contendono il campo: quello francese e quello germanico. Il primo, seguito dalla legge italiana del 1859, permette il rilascio dell'attestato senza esame della novità, vale a dire come semplice constatazione dell'intenzione dell'inventore di richiedere la protezione della legge; il secondo impone un esame preventivo, col quale si dà un'ingerenza diretta all'autorità amministrativa nella concessione del brevetto, ammettendo opposizioni da parte di coloro che sono interessati a impedire la concessione dell'attestato. Contro il sistema dell'esame preventivo si obbietta che esso comporta la creazione di un costoso ufficio burocratico e che non esclude in ogni modo la contestazione della validità del brevetto avanti l'autorità giudiziaria anche dopo la concessione di esso dall'autorità amministrativa. È certo, però, che l'esame preventivo conferisce serietà all'attestato, elimina i brevetti illusorî, ehe possono qualche volta ostacolare l'industria, ed è di giovamento allo sviluppo delle invenzioni e alla loro pratica attuazione. Il decreto-legge ha accolto il sistema dell'esame preventivo, ma ne ha rimandato l'applicazione a epoca da destinarsi con decreto reale, per aver modo di organizzare il relativo ufficio.
Il deposito e rilascio dell'attestato di privativa ha per effetto la facoltà esclusiva di sfruttamento dell'invenzione, che consiste nell'attuazione dell'invenzione stessa e comprende tanto la fabbricazione quanto la vendita dell'oggetto brevettato, e l'uso dei processi o metodi che l'inventore ha voluto riservarsi. Di conseguenza, il titolare dell'attestato ha la facoltà d'inibire a chiunque l'esercizio dell'invenzione, sia con diffide o richiami sia con azione giudiziaria in via civile o anche in via penale, quando si possa comprovare il dolo di chi applichi abusivamente l'invenzione. Il titolare ha pure la facoltà di alienare in tutto o in parte il proprio diritto, cedendo la privativa, conferendola in società, dandola in pegno o in usufrutto, infine, concedendo licenze, esclusive o non esclusive, per l'uso dell'invenzione.
Al titolare del brevetto incombono però degli obblighi; primo, quello di pagare le tasse stabilite dalla legge, consistenti in una tassa fissa da pagarsi all'atto della domanda, nonché in una tassa annua progressiva per tutto il termine di durata del brevetto. Se la tassa non è pagata entro tre mesi dalla scadenza, chiunque può chiedere la nullità dell'attestato e gli effetti della nullità risalgono al giorno del mancato pagamento. Altro obbligo incombente al titolare è quello dell'attuazione; l'invenzione dev'essere messa in pratica in un determinato termine (che la legge precedente fissava in due anni, e il decreto-legge, conformandosi alla convenzione internazionale, ha portato a tre), a meno che non siano dimostrate cause legittime di tale inazione. Vi è attuazione, come ha ritenuto la Corte di cassazione con recenti sentenze, soltanto se l'oggetto della privativa fu fabbricato in Italia. La legge del 1859, e quasi tutte le legislazioni, ritenevano che, se l'attuazione non avviene, il brevetto cessa di essere valido. Che l'inventore debba perdere il frutto del suo lavoro per non aver potuto in un certo tempo porre in opera la sua invenzione, è un concetto così restrittivo che la dottrina lo ha sempre riprovato: d'altra parte, non si può ammettere che un'invenzione sia sottratta all'industria nazionale. Si è trovato un temperamento, già applicato da alcune legislazioni, e che la nuova legge italiana ha accolto: quello della licenza obbligatoria. Ove l'attuazione non avvenga nel termine fissato dalla legge, chiunque potrà fare uso dell'invenzione, chiedendo l'autorizzazione al Ministero delle corporazioni, il quale, sentite le parti, potrà anche accordare al titolare un ulteriore termine non superiore a due anni per attuare l'invenzione o concedere la licenza, fissando l'ammontare del compenso dovuto, il termine e le garanzie a cui è subordinata la concessione della licenza.
Anche dopo che l'autorità amministrativa abbia rilasciato l'attestato chiunque vi abbia interesse può chiedere che esso venga dichiarato nullo dall'autorità giudiziaria. A questo fine dovrà dimostrare che la pretesa invenzione non è nuova, o che scientemente il depositante ha dato all'invenzione un titolo che non corrisponde al suo soggetto, o che la descrizione unita alla domanda è insufficiente o dissimula e trascura indicazioni necessarie all'attuazione dell'invenzione. Potrà anche dimostrare l'esistenza dei casi di decadenza già accennati, quali il mancato pagamento delle tasse o la mancata attuazione. Nelle cause per nullità, la legge del 1859 faceva obbligo al giudice di chiedere avanti tutto il parere di tre esperti, qualora una delle parti l'avesse richiesto: e anche in appello era obbligatoria, ove richiesta, la revisione del parere dato dai primi periti. Tale obbligo è stato abolito dal decreto-legge, restando però sempre in facoltà del magistrato di nominare periti, ove lo ritenga necessario.
Il titolare dell'attestato può agire contro i contraffattori sia in via civile, sia in via penale. In questo secondo caso occorre dimostrare il dolo. La contraffazione è punita con pene pecuniarie. Per far constatare l'esistenza della contraffazione, il titolare del brevetto ha diritto di chiedere al presidente del tribunale che ordini la descrizione o il sequestro degli oggetti ritenuti una contraffazione: la descrizione o il sequestro sono nulli, ove non siano seguiti, entro otto giorni, da citazione avanti il tribunale.
Il diritto dell'inventore è limitato nella durata: la legge non può permettere che l'invenzione costituisca un monopolio per tempo indefinito, perché ciò creerebbe un grave ostacolo al progresso dell'industria. Quasi tutte le leggi determinano la durata della privativa in quindici anni; poche superano tale termine, e soltanto due (la belga e la spagnola) prolungano la durata a vent'anni. La nuova legge italiana ha aumentato la durata, portandola a 18 anni. Il diritto dell'inventore può aver fine anche prima, per interesse pubblico. Si discute in dottrina se sia ammissibile l'espropriazione di un'invenzione per pubblica utilità. In Italia il diritto di espropriazione è concesso allo stato nell'interesse della difesa nazionale. Lo stabilivano i rr. decreti 28 gennaio 1915, n. 49, 16 ottobre 1924, n. 1828, e 3 agosto 1925, n. 1491, e lo ha confermato la nuova legge.
Lo straniero può depositare le sue invenzioni in Italia e ottenere la medesima protezione dei cittadini. Se però egli abbia prima depositato l'invenzione nel proprio paese, tale deposito e la conseguente pubblicità potrebbero far perdere nel regno il carattere di novità. Si resero quindi necessarî accordi fra stato e stato. E così fu stipulato a Parigi tra quasi tutte le nazioni civili una convenzione in data 20 marzo 1883 per la proprietà industriale, riveduta successivamente a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all'Aia il 6 novembre 1925, e ultimamente a Londra il 2 giugno 1934. Il principio fondamentale di tale convenzione è quello di concedere un diritto di priorità: chi abbia depositato l'invenzione nel paese d'origine può depositarla negli altri stati unionisti entro dodici mesi, senza che i fatti avvenuti nel frattempo, come la pubblicazione dell'invenzione e la messa in vendita degli oggetti coperti dalla privativa, possano invalidare la novità dell'invenzione.
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