privazione
Il termine, sia nel linguaggio comune che in quello filosofico, denota la mancanza o il venir meno di qualità o proprietà, o di una forma. Occorre solo nel Convivio tra le opere in volgare di D., e una volta nella Quaestio.
La dottrina filosofica della p. (greco: ἡ στέρησις) è aristotelica. In Cat. 10, 11b 18, la contrapposizione στέρησις - ἕξις (p. - habitus o forma) è il terzo dei quattro modi di opposizione esaminati, e più oltre (11b 22) se ne fornisce un esempio nell'opposizione cecità-vista. In Metaph. X 4, 1055a 34 (cfr. V 22, 1022b 22 ss.) Aristotele afferma che p. si dice in molti modi; ma essa è, comunque, un certo tipo di contraddizione: quella che si verifica in ciò che è nato per avere e non ha (cfr. V 22, 1022b 27-32 e X 4, 1055b 7-8). L'opposizione p.-forma ha come medio il sostrato; la p. è detta perciò negazione in un ‛ sostrato ' (cfr. IV 2, 1004a 15) e costituisce, con la materia (sostrato o ‛ soggetto ') e la forma, uno dei tre principi della realtà (cfr. XII 2, 1069b 34 e 4, 1070b 18-19; cfr. Phys. III 1, 201a 3-5). Il nome di una p. si ottiene in greco premettendo al nome della qualità o proprietà corrispondente l'alfa privativo (Metaph. V 22, 1022b 33), cui corrisponde in latino e in volgare il prefisso ‛ in '.
In Cv II XIII 17 D. afferma: li principii de le cose naturali... sono tre, cioè materia, privazione e forma; il poeta richiama la dottrina aristotelica ricordata, secondo la quale la materia è sostrato sia della forma che della p. (cfr. IV XIV 10 con ciò sia cosa che l'una [nobiltà] e l'altra [viltà] si guardi come abito e privazione, che sono ad uno medesimo subietto possibili), sicché la p. dice disposizione attiva, o potenza prossima, della materia alla forma, come spesso è stato sottolineato nel Medioevo.
Si veda infatti in Alberto Magno Metaph. VII I 5 (ediz. Geyer, Münster W. 1960-64, 324): " Privationes... relinquunt subiectum cum aptitudine. Aptitudo autem dicit habitus et formae confusam inchoationem, quod non convenit materiae secundum esse materiae, sed potius per hoc quod aliquid accidit ipsi de esse formae quod est in ipsa ", e X II 5 (p. 446): " Potentia autem sub privatione existens privatio nominatur "; R. Bacone, Liber I Communium naturalium, partes I et II (ediz. Steele, Oxford s.a., II 4, 79): " Est igitur privacio potencia activa, set potencia activa est non ab aliquo actu, nisi quia mediante ea materia expedite appetit suam perfectionem ".
Secondo Quaestio 45 la natura universale, cioè i cieli, mira a che materia prima secundum suam totalitatem sit sub omni forma materiali, licet secundum partem sit sub omni privatione opposita, praeter unam, cioè: la natura vuole che la materia nella sua totalità sia sempre sotto ogni forma, nel senso che ogni forma sia sempre in atto, sebbene, considerata in ogni sua parte, la materia in cui è realizzata una forma sia sotto la p. di tutte le altre forme.
B. Nardi (Il tomismo di D. e il p. Busnelli S.J., in Saggi di filosofia d., Firenze 1967², 345-346) ritiene che il passo risenta d'influenze averroistiche. Cosa bisogna intendere con l'espressione " forma materialis " risulta da Averroè Phys. I comm. 83 (in Opera IV, Venezia 1550, f. 22vb): " consideratio de formis est duarum scientiarum, quarum una, scilicet Naturalis, considerat de formis materialibus, secunda autem de formis simplicibus abstractis a materia, et est illa scientia, quae considerat de ente simpliciter ".
Il presupposto della dottrina averroistica nella discussione del rapporto materia-p. - forma è l'eternità della materia, che, essendo pura potenza, può esistere solo grazie alla forma: cfr. Averroè De Substantia orbis I (in Opera IX, Venezia 1550, f. 3rb): " Si [subiectum, cioè la materia] ... haberet formam, nullam aliam reciperet, nisi illa destructa: unum nam subiectum habere plusquam unam formam est impossibile ... Unde natura huius subiecti recipientis substantiales formas, videlicet primae materiae, necesse est ut sit natura potentiae, scilicet quod potentia sit eius differentia substantialis. Et ideo nullam habet formam propriam, et naturam existentem in actu, sed eius substantia est in posse, et ex hoc materia recipit omnes formas ", e Phys. I comm. 69 (f. 20ra): " Si... prima materia innata est recipere omnes formas, necesse est ut sit in potentia omnes formas, et ut non habeat in sua substantia formam propriam, qua est materia ". Secondo Averroè, la p. non è principio allo stesso modo in cui lo sono materia e forma: cfr.. I comm. 66 (f. 19rb): " privatio est principium per accidens ", e comm. 76 (f. 21rb): " Et causa eius quod est per accidens, est haec, quoniam prima materia non potest denudari a forma ". Poiché è eterna, ed è potenza, la materia non può stare senza la forma che la attua; essa può ricevere successivamente tutte le forme, come spiega Giovanni di Jandun Metaph. VIII, q. I (Venezia 1525, f. 107k): " Dicendum quod ista forma singularis non est essentialis et propria materiae primae, ideo potest materia separari ab hac forma vel illa successive et divisim, sed tamen simul et coniunctim non separatur a qualibet forma, sed semper stat sub aliqua. Unde hoc est proprium materiae: semper esse sub aliqua forma; licet non semper stet sub ista forma, non tamen denudatur simul ab omnibus formis, quia quando abicit unam formam assumit aliam ". Ciò che è vero della materia in quanto tale, vale per la materia considerata nella stia totalità: essa sta sotto tutte le forme, e ogni parte di essa che riceve una forma è privata di tutte le altre; la conseguenza forse non si trova esplicitamente formulata nei testi degli averroisti, ma è in linea con la loro dottrina dell'eterna attualità del Primo Motore e dell'eternità delle specie, per cui cfr. Quaestio 46 - dove si cita Averroè Metaph. XII comm. 18, e non De Subst. orbis: cfr. Nardi, op. cit., p. 347 - e Sigieri di Brabante De Aeternitate mundi (ediz. Barsotti, Münster W. 1933, 26): " Quia... primum movens et agens semper est actu, non prius potestate aliquid quam actu, sequitur quod semper moveat et agat quaecumque non mediante motu facit, secundum philosophos. Ex hoc autem quod semper est movens et agens, sequitur quod nulla species entis ad actum procederet, quin prius praecesserit: ita quod eadem specie quae fuerunt circulariter revertuntur et opiniones, leges et religiones et alia, ut circulent inferiora ex circulacione superiorum, quamvis circulacionis quorundam, propter antiquitatem, non maneat memoria ".
In altre occorrenze il termine sta per " mancanza di ciò che è dovuto " in senso stretto. Così in Cv IV VIII 11 da distinguere è intra lo ‛ inreverente ' [e ‛ non reverente '. Lo inreverente] dice privazione, lo non reverente dice negazione: D. fa sua la distinzione corrente in logica (da Aristotele Interpr. 10, 19b 19-31, e An. Pr. I 46, 51b 41-52a 5 e 52a 15-17) tra termini negativi (nelle traduzioni da Arist. Interpr. 2, 16a 33 sono detti " nomina infinita ") preceduti dal ‛ non ', e termini privativi, che hanno il prefisso ‛ in ' (cfr. Cv III XV 5 E però si dice nel libro di Sapienza: " Chi gitta via la sapienza e la dottrina, è infelice ": che è privazione de l'essere felice); e afferma più oltre (IV VIII 13) che inreverente si contrappone alla reverenza, negandola privativamente in un " medium ", ma non è così per non reverente, e prosegue: sì come non vivere non offende la vita, ma offende quella la morte, che è di quella privazione; e ancora (§ 14): E... morte dice privazione, che non può essere se non nel subietto de l'abito.
Con riferimento alla mancanza del bene proprio di una facoltà, p. si trova in III XIII 2 E però che essa [Donna gentile] è beatitudine de lo 'ntelletto, la sua privazione è amarissima e piena di ogni tristizia. Infine, per mancanza di bene in generale, in IV XIII 10 Puotesi vedere la loro [di ricchezze] possessione essere dannosa per due ragioni: l'una, che è cagione di male; l'altra, che è privazione di bene, e 14 Anche è privazione di bene la loro possessione.