Vedi PRIVERNO dell'anno: 1965 - 1996
PRIVERNO (Privernum)
Città del Lazio, di origine Volsca. Virgilio (Aen., vii, 803 ss.; xi, 532 ss.) la dice fondata da Metabo, fratello di Camilla, ma la leggenda non trova il benché minimo addentellato storico. La storia di P. volsca ci è del tutto ignota fino al momento in cui, nel IV sec. a. C., venne più volte in conflitto con i Romani (Liv., vii, 15, 11; 16, 3-6; 42, 8; viii, 1, 1-3; 19, 4-21, 10). Fu definitivamente conquistata nel 329 a. C. Le mura furono distrutte, i nobili deportati a Roma. Gran parte del territorio, confiscato, divenne ager publicus e fu assegnato poco dopo a cittadini romani, che formarono il nucleo originario della nuova tribus Oufentina (Liv., ix, 20, 6), istituita nel 318. La città, entrata nell'orbita romana, fu ordinata come praefectura, retta da un praetor urbanus. In un primo tempo rimase senza dubbio civitas sine suffragio; ma non è chiaro se ottenne i pieni diritti prima della guerra sociale.
La colonia romana di P., la cui esistenza è indiscutibilmente provata da iscrizioni, fonti letterarie e monumentali, venne fondata probabilmente in seguito ai provvedimenti della Lex Iulia del 59 a. C. Per molto tempo era stata considerata dagli studiosi colonia sillana, ma una tale datazione sembra smentita da un passo ciceroniano (De lege agraria, 266) particolarmente significativo al riguardo.
Dell'abitato volsco non resta alcuna traccia: dallo studio del territorio si può tuttavia supporre con certa verosimiglianza che sorgesse sulla collina di Monte Macchione, l'unica che per altezza, estensione, posizione isolata e dominatrice della valle, offra tutti i requisiti favorevoli all'insediamento di un oppidum, certo piuttosto notevole, se ebbe il coraggio di provocare ripetutamente l'ostilità di Roma, attaccando territorî di sua pertinenza. Sulle pendici del Monte Macchione esistono inoltre dei muri di sostruzione molto antichi, che rivelano la presenza di una strada che portava alla sommità: se appartengono effettivamente all'epoca volsca, come è stato supposto, costituiscono l'unico resto preromano dell'agro privernate.
Nulla sappiamo anche dell'insediamento romano anteriore alla colonia. A parte forse alcuni resti di muri in tecnica molto rozza di incerta destinazione (e d'altronde anche di incerta datazione) sparsi qua e là per la campagna, mancano in complesso testimonianze concrete della vita della città fino al I sec. a. C., quando deducendo la colonia, fu costruita una nuova città. Questa sorse in pianura, nella valle dell'Amaseno, un chilometro e mezzo a N della moderna P., sul luogo occupato oggi dal paese chiamato Piperno Vecchio, in località Madonna di Mezz'Agosto. Che si tratti di un insediamento piuttosto tardo è chiaro per il fatto stesso che si trova in una piana aperta. I resti conservati inoltre mostrano che la costruzione di tutti gli edifici almeno nella loro fase originaria, avvenne contemporaneamente e seguendo un piano urbanistico organico e prestabilito. Hanno tutti lo stesso orientamento, lungo una strada che gira da O ad E, passando attraverso un arco che segna il confine settentrionale della città romana: tutte le rovine che si estendono verso E, al di là dell'arco, appartengono esclusivamente a costruzioni medievali.
La strada, nella quale si deve riconoscere senz'altro il decumanus maximus, delimita anche a N la piazza del Foro, che dovrebbe corrispondere, con una certa approssimazione, all'area occupata dall'attuale Piazza della Regina. Qui sembra siano stati rinvenuti: la colossale statua seduta di Tiberio, oggi al Museo Vaticano (Amelung, Die Skulpturen des Vat. Mus., i, tav. 67), altri frammenti scultorei di un certo rilievo (per esempio una notevole testa marmorea di Claudio), oltre ad alcune iscrizioni onorarie. Ma purtroppo non abbiamo i resoconti esatti degli scavi di questa zona, condotti alla fine del 1700 con assai scarsa scrupolosità scientifica. Secondo una tipologia che divenne abbastanza comune solo in epoca più tarda (cfr. per esempio il Foro di Timgad), l'area del Foro di P. era circondata interamente, o forse su tre lati, da una parete muraria, di cui restano in alcuni punti tracce evidenti.
L'arco, in pietra calcarea locale, largo alla base 4 m, è conservato solo per l'altezza di pochi blocchi al di sopra dei pilastri di base e delle cornici d'imposta. Se è anch'esso databile all'epoca della fondazione della colonia o poco dopo, costituisce, in una forma non comune e particolarmente semplice, uno dei primi esempî di quegli archi onorarî innalzati sulla via principale che conduce alla città o al Foro, che divengono caratteristici delle città dell'Italia alla fine del I sec. a. C.
Dalla parte opposta del Foro, a N della moderna strada, appaiono i resti di un tempio: se ne distingue con una certa chiarezza la pianta originaria che subì più tardi alterazioni con l'aggiunta di un'abside, quando l'edificio fu trasformato in chiesa; nulla però rimane dell'interno e del tutto insignificanti sono i frammenti della decorazione architettonica sopravvissuti. Gli studiosi sono propensi a identificare questo tempio con il Capitolium della colonia, ma nessuna testimonianza letteraria o epigrafica lo prova.
Meno importanti sono gli altri scarsi resti conservati nella parte ad E del Foro e del tempio.
Nuovi scavi, peraltro ancora inediti, sono stati condotti in questi ultimi anni proprio entro l'area della città. Sembra sia stata identificata, tra l'altro, l'esistenza di un edificio termale.
Se le tracce monumentali del centro urbano di P. sono relativamente scarse in confronto a quelle di molti altri centri consimili, numerose e cospicue sono le rovine di costruzioni romane in tutto il territorio intorno a P., dalle colline e montagne a N della valle dell'Amaseno, fino alle colline che si elevano fra la piana stessa e le Paludi Pontine. Si tratta per lo più di mura di terrazzamento e sostruzioni di ville, costruite nella maggior parte fra la metà del I sec. a. C. e la fine del I d. C.; non mancano però costruzioni e rifacimenti della tarda età imperiale e anche medievali. Caratteristica è la presenza di cisterne, pozzi o serbatoi d'acqua.
I complessi più notevoli sono quello di Ceriara, soprattutto quello della collina di S. Erasmo, dove oltre ad una tomba monumentale, a numerosi ambienti identificabili come serbatoi e alle rovine imponenti della cosiddetta villa di Seiano, resta, in ottimo stato di conservazione, una grandiosa cisterna, costituita nel suo corpo principale da una sala rettangolare con copertura a vòlta, sostenuta da pilastri sporgenti dalle pareti a formare nicchie. In base alla tecnica muraria impiegata (opus reticulatum a parete piena di secondo tipo) la costruzione dovrebbe essere datata alla prima metà dell sec. d. C. Anche la villa nelle sue parti più antiche sembra appartenere allo stesso periodo, ma la sua costruzione si protrasse a lungo nel tempo e numerosi appaiono essere stati i restauri e i rimaneggiamenti, addirittura fino all'epoca medievale.
Bibl.: T. Valle, La regia et antica Piperno, città nobilissima di Volsci nel Latio, Napoli 1637; G. Marocco, Descrizione topografica e cenni storici di Piperno, Roma 1830; id., Monumenti dello stato Pontificio, IV, Roma 1833-37, p. 162 ss.; G. B. Giovenale-L. Mariani, Costruzioni poligonali ed altre antichità dei dintorni del paese, in Not. Scavi, 1899, p. 88 ss.; H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1902, II, p. 646 s.; G. Iannicola, in Not. Scavi, 1904, p. 53; G. Mancini, ibid., 1910, p. 293; id., Rinvenimento di due teste marmoree nell'agro privernate, ibid., 1913, p. 308; H. H. Armstrong, Privernum: I, The Volscian City; II, The Roman City; III, Roman Remains in the Territory of the Roman Colony, in Am. Journ. Arch., XV, 1911, pp. 44 ss.; 170 ss.; 376 ss.; G. Saeflund, Ancient Latin Cities of the hills and the Plains; A Study in the Evolution of Settlements in Ancient Italy, in Opuscula Archaeologica Instituti R. Sueciae, I, 1934, p. 83 ss.; M. E. Blake, Ancient Roman Constructions in Italy from the Prehistoric Period to Augustus, Washington 1947, pp. 93, 99, 195, 236; G. Lugli, La tecnica edilizia, Roma 1957, pp. 57, 83, 93, 432, 478, 511; G. Radke, in Pauly-Wissowa, XXIII, i, 1958, co. 15 ss., s. v.; G. Jacopi, in Fasti Arch., XII, 1959, p. 189, n. 2894, f. 79.
(S. De Marinis)