Problemi attuali in tema di recidiva
A distanza di oltre dieci anni dalla entrata in vigore della l. 5.12.2005, n. 251, proseguono gli interventi della Corte costituzionale in tema di recidiva, che hanno scardinato lo “statuto differenziato” introdotto per i soggetti recidivi, specie quelli reiterati. Continua anche l’opera interpretativa e di composizione dei contrasti svolta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Nello scritto che segue vengono analizzate le recentissime pronunce del Giudice delle leggi e di quello di legittimità, anche nei loro effetti, in parte dirompenti, e quindi evidenziate alcune questioni ancora controverse in dottrina e giurisprudenza, nella prospettiva di probabili nuovi interventi degli stessi giudici, intesi ad eliminare residui profili di incostituzionalità della disciplina vigente ovvero a chiarirne ulteriormente la corretta applicazione.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 3. I profili problematici 3.1 Questioni aperte sulla costituzionalità della disciplina 3.2 Recidiva e prescrizione
Anche da ultimo la Corte costituzionale è intervenuta sulla disciplina in tema di recidiva, come radicalmente modificata dalla l. n. 251/2005, progressivamente erosa dagli interventi del Giudice delle leggi.
Con la sentenza 7.4.2016, n. 74 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, c.p., nella parte in cui prevede(va) il divieto di prevalenza della circostanza attenuante ex art. 73, co. 7, d.P.R. 9.10.1990, n. 309, sulla recidiva reiterata (art. 99, co. 4, c.p.)1, ritenendo ingiustificata detta preclusione, che attribuisce «una rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo – quale sintomo della sua maggiore capacità a delinquere – rispetto alla condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato».
Con tre precedenti pronunce della Corte, la medesima disposizione, laddove prevedeva il divieto di prevalenza di qualsivoglia attenuante sulla recidiva reiterata, era stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in relazione all’attenuante prevista dall’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990 (C. cost., 15.11.2012, n. 251) ed a quelle ex artt. 648, co. 2, c.p. e 609, co. 3, c.p. (C. cost., 18.4.2014, nn. 105 e 106).
Invero, la “marcia” della Consulta in tema di recidiva2 era iniziata con la sentenza 14.6.2007, n. 1923, con la quale fu dichiarata l’inammissibilità di varie questioni di costituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p., essendosi prospettata la possibilità di considerare facoltative tutte le ipotesi di recidiva diverse da quella del 5° comma dell’art. 99 c.p., con un orientamento poi recepito dalla giurisprudenza di legittimità, divenuto diritto vivente dopo le note pronunce della Corte di cassazione a Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 27.5.2010, n. 35738 e Cass. pen., S.U., 24.2.2011, n. 20798)4.
L’opera di erosione dell’istituto proseguì con la sentenza 10.6.2011, n. 183, con la quale la stessa Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 bis, co. 2, c.p. nella parte in cui stabiliva che, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche ai recidivi reiterati autori dei gravi delitti indicati nel primo comma, non si potesse tenere conto della condotta del colpevole susseguente al reato: anche tale previsione urtava contro il principio di ragionevolezza, in quanto privilegiava la precedente attività delittuosa del reo come sintomatica della sua capacità a delinquere rispetto ad uno degli altri parametri indicati dall’art. 133, co. 2, c.p., benché la condotta successiva alla commissione del reato «possa essere in concreto ugualmente, o addirittura prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità».
Nell’occasione la Corte richiamò la propria giurisprudenza5, secondo la quale le presunzioni assolute sono compatibili con il principio di uguaglianza solo in quanto fondate su dati di esperienza generalizzati, insuscettibili di essere smentiti agevolmente in concreto6.
Alla luce di questo principio, il Giudice delle leggi, con la sentenza 23.7.2015, n. 185, ha espunto dall’art. 99 c.p. l’istituto della recidiva obbligatoria: l’automatismo sanzionatorio cui dava luogo il 5° comma di detto articolo, basato soltanto sull’inserimento del nuovo delitto nel catalogo di quelli indicati dall’art. 407, co. 2, lett. a), c.p.p., era irragionevole e non fondato su un dato di esperienza generalizzato.
Pertanto, anche per detti reati il giudice dovrà verificare se la reiterazione dell’illecito sia sintomo di maggiori riprovevolezza e pericolosità, al di là del riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Già in seguito alla prima declaratoria di incostituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p. si è posta la questione dei poteri d’intervento del giudice dell’esecuzione nella rideterminazione del quantum di pena da espiare, in sostituzione di quella inflitta sulla base della norma dichiarata incostituzionale.
Il tema, relativo proprio al rapporto tra l’attenuante ex art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990 e la recidiva reiterata, è stato affrontato nella sentenza 29.5.2014, n. 42858, con la quale le Sezioni Unite della Suprema Corte, sulla base del disposto dell’art. 30, co. 4, l. 11.3.1953, n. 87 («quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali»), hanno affermato che «la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione»7.
Pertanto, con riferimento al caso specifico, il giudice potrà riconoscere la prevalenza dell’attenuante de qua, principio applicabile anche nelle altre ipotesi sopra indicate, nei casi in cui il giudizio di prevalenza delle varie attenuanti sia stato escluso soltanto in virtù del relativo divieto, dichiarato incostituzionale.
Sempre con riferimento all’attenuante del fatto di lieve entità (poi divenuta ipotesi autonoma con la modifica operata dal d.l. 23.12.2013, n. 146, convertito nella l. 21.2.2014, n. 10), la Suprema Corte ha statuito che nel giudizio di cassazione va dichiarata la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena8, come poi ribadito dalle Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 26.2.2015, n. 33040), con la precisazione che la nullità è rilevabile d’ufficio anche quando il ricorso sia inammissibile, tranne che nel caso di ricorso tardivo.
Questi principi hanno nella prassi effetti dirompenti soprattutto a seguito della sentenza n. 185/2015 del Giudice delle leggi: in primo luogo si registrano numerosi annullamenti con rinvio, disposti dalla Suprema Corte anche d’ufficio9, delle sentenze ove è stato applicato un aumento di pena, per effetto della recidiva ritenuta obbligatoria, in assenza di una verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo. Si tratta di decisioni inevitabili, ad eccezione del caso in cui il giudice di merito, pur in presenza di una recidiva (all’epoca) obbligatoria, abbia motivato, eventualmente anche in modo implicito10, sulla maggiore pericolosità espressa in concreto mediante la reiterazione dell’illecito.
In secondo luogo, i giudici dell’esecuzione, investiti di richieste aventi ad oggetto la rideterminazione della pena inflitta con sentenze divenute irrevocabili prima della declaratoria di incostituzionalità della recidiva obbligatoria, sono chiamati a verificare se, in assenza di una pregressa valutazione sul punto da parte del giudice della cognizione, sussistessero i presupposti perché fosse ritenuta ed applicata la recidiva “divenuta” facoltativa.
Sul versante, invece, della interpretazione delle norme, diverse questioni si sono poste in tema di rapporti fra recidiva e reato continuato, avuto riguardo alla disposizione dell’art. 81, co. 4, c.p., secondo la quale l’aumento di pena per i reati commessi «da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva» reiterata, in continuazione (o concorso formale) con quello più grave, non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per quest’ultimo, «fermi restando i limiti di cui al terzo comma», secondo il quale la pena derivante dal cumulo giuridico non può superare quella applicabile in caso di cumulo materiale.
Sul significato di tale ultima previsione si è espressa da ultimo la Corte costituzionale (C. cost., 21.10.2015, n. 241) con una sentenza che, dichiarando inammissibile una questione di legittimità dell’art. 81, co. 4, c.p., per erroneità del presupposto interpretativo, ha precisato che – come già ritenuto dai giudici di legittimità (Cass. pen., 2.7.2009, n. 32625) – «il riferimento alla pena applicabile in caso di cumulo materiale è evidentemente alla pena che il giudice ritiene adeguata alla fattispecie concreta, non certo a quella massima edittale»: ciò significa che la clausola di salvezza consente di contenere l’aumento al di sotto del terzo della pena base, se il cumulo materiale delle pene da infliggere in concreto porterebbe ad una sanzione complessivamente più mite.
Detta interpretazione, conforme al principio del favor rei cui è ispirato l’istituto della continuazione, risulta assai rilevante perché concerne il tema più generale del concorso formale e del reato continuato.
È pacifico un altro principio che, ancora una volta, restringe il margine di operatività del trattamento sanzionatorio deteriore per i recidivi: «il limite di aumento minimo per la continuazione (…) trova applicazione nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa antecedentemente alla data di commissione dei reati per i quali si procede»11.
Anche da ultimo, inoltre, la Corte di cassazione (Cass. pen., 12.4.2016, n. 18092), ha ribadito che detto limite va riferito all’aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo.
È stato necessario, invece, l’intervento delle Sezioni Unite per dirimere un contrasto insorto fra i giudici di legittimità: pur non essendo dubbio che l’art. 81, co. 4, c.p. operi solo quando il giudice ritenga la recidiva reiterata espressione di maggior colpevolezza del reo, secondo un primo indirizzo, ai fini della operatività del limite minimo di aumento, era sufficiente che la recidiva fosse ritenuta in concreto, pur non comportando un aumento di pena, svolgendo essa comunque la funzione di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l’effetto alleviatore di una o più circostanze attenuanti.
Secondo altro orientamento non vi sarebbe stata ragione per non equiparare l’esclusione della recidiva alle ipotesi in cui la stessa fosse ritenuta equivalente alle attenuanti, non avendosi un aumento di pena.
Le Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 23.6.2016, n. 31669), seguendo l’indirizzo maggioritario, hanno statuito che il limite de quo «opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti», ribadendo, anche sulla scorta di una propria precedente pronuncia (Cass. pen., S.U., 18.6.1991, n. 17), che una circostanza aggravante è riconosciuta ed applicata non solo quando è produttiva del suo effetto tipico di aumento dell’entità della pena, ma anche quando si determinino altri effetti, quali quello della neutralizzazione di una circostanza attenuante concorrente, ad esito del giudizio di comparazione12.
Nonostante le numerose e recenti pronunce del Giudice delle leggi, permangono taluni dubbi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni tuttora vigenti in materia di recidiva; si registra, inoltre, un contrasto in seno alla Corte di cassazione in tema di rapporti tra recidiva e prescrizione, che potrebbe richiedere un nuovo intervento delle Sezioni Unite.
La “cancellazione” della recidiva obbligatoria, prevista nel caso di commissione di uno dei delitti previsti dall’art. 407, co. 2, lett. a), c.p.p., non ha reso irrilevante il fatto che il soggetto al quale sia stata applicata la recidiva reiterata abbia commesso uno di tali delitti, nel caso in cui il minimo edittale sia non inferiore a cinque anni di reclusione13.
L’art. 62 bis, co. 2, c.p., infatti, è stato solo parzialmente inciso dalla ricordata declaratoria di incostituzionalità: gli argomenti utilizzati nella sentenza n. 183/2011 ben potrebbero essere pertinenti anche a fronte di questioni concernenti il divieto di valutazione della intensità del dolo ed i residui criteri inerenti la capacità a delinquere, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche; non sorprenderebbero, dunque, altri interventi del Giudice delle leggi che rilevassero ulteriori profili di irragionevolezza della norma, come sostenuto da buona parte della dottrina14.
Restano poi aperti i dubbi di costituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p., circa il divieto di prevalenza di ulteriori circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, tant’è che di recente è stata sollevata la relativa questione, con riferimento prima all’attenuante del fatto di lieve entità nel sequestro di persona a scopo di estorsione, giudicata inammissibile per difetto di rilevanza (C. cost., 1.7.2015, n. 128), poi, da ultimo, a quella del danno patrimoniale di speciale tenuità nei reati di bancarotta (App. Ancona, ord. 29.2.2016, n. 127, in G.U. n. 27 del 6.7.2016) ed a quelladel vizio parziale di mente (GUP Trib. Cagliari, ord. 30.6.2016, n. 193, in G.U. n. 41 del 12.10.2016).
In ordine all’incidenza della recidiva sulla prescrizione15, è pacifico che, quando il giudice non abbia in concreto applicato la recidiva, essa debba ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato16 (diversamente se la recidiva venga posta in equivalenza con circostanze attenuanti17).
Pareva altresì indubbio che la recidiva, eccezion fatta per quella semplice, incidesse sulla determinazione sia del termine ordinario di prescrizione (art. 157, co. 2, c.p.), quale circostanza aggravante ad effetto speciale, sia del termine massimo (art. 161, co. 2, c.p.)18.
Di recente, però, la sesta sezione della Suprema Corte (Cass. pen., 9.9.2015, n. 47269), in consapevole contrasto con detto orientamento, ha sostenuto che una siffatta interpretazione «equivarrebbe a porre due volte lo stesso elemento – la recidiva – a carico del reo, in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale», mediante argomentazioni successivamente contrastate in una pronuncia della seconda sezione (Cass. pen., 18.2.2016, n. 13463), con la quale è stata ribadita l’esattezza del tradizionale indirizzo.
Dall’esito dei futuri pronunciamenti dei giudici di legittimità sul tema si capirà se si tratta di un altro contrasto per dirimere il quale sarà necessario un nuovo intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Note
1 Secondo costante giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cass. pen., 28.4.2016, n. 26103 e Cass. pen., 31.5.2016, n. 29544), la recidiva reiterata può essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice.
2 In proposito v. Bianchi, D., La “marcia” della Consulta sul campo della recidiva riformata, in Cass. pen., 2016, 31 ss.
3 Cui fecero seguito numerose ordinanze d’inammissibilità di analogo tenore (C. cost., 30.11.2007, n. 409, 12.3.2008, n. 33, 4.4.2008, n. 90, 6.6.2008, n. 193, 10.7.2008, n. 257, 29.5.2009, n. 171).
4 Per una esaustiva ricognizione sul tema v. Gatta, G.L., Sub art. 99, in Marinucci G.Dolcini, E., a cura di, Codice penale commentato, IV ed., Milano, 2015.
5 Si vedano, ad esempio, l’ordinanza 9.5.2012, n. 155, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nonché le pronunce sull’art. 275 c.p.p., anteriori alla modifica operata dalla l. 16.4.2015, n. 47, con le quali si è costruita la presunzione relativa di pericolosità (C. cost., 21.7.2010, n. 265, 12.5.2011, n. 164, 22.7.2011, n. 231, 3.5.2012, n. 110, 29.3.2013, n. 57, 18.7.2013, n. 213, 23.7.2013, n. 232, 26.3.2015 n. 48).
6 In tema di presunzioni assolute v. Leo, G., Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 121 ss.
7 In senso conforme v. Cass. pen., S.U., 24.10.2013, n. 18821, (dep. 17.1.2014, cd. “vicenda Scoppola”); sull’art. 630 c.p. cfr. Cass. pen., 4.12.2014, n. 5973, (dep. 10.2.2015); sul patteggiamento per reati in materia di stupefacenti cfr. Cass. pen., S.U., 26.2.2015, n. 37107.
8 Cfr., ad es., Cass. pen., 21.5.2013, n. 41834; Cass. pen., 19.9.2013, n. 9193, (dep. 25.2.2014); Cass. pen., 27.9.2013, n. 32236, (dep. 21.7.2014).
9 Cfr., ex plurimis, Cass. pen., 10.3.2016, n. 16560; Cass. pen., 7.4.2016, n. 30744; Cass. pen.,19.5.2016, n. 26177.
10 In questo senso cfr. Cass. pen., 20.4.2016, n. 20205, che fa leva sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita», invero contrastato dall’opposto indirizzo secondo il quale «sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva» (così Cass. pen., S.U., 27.10.2011, n. 5859, (dep. 15.2.2012), seguita da varie altre conformi: cfr., ad es., Cass. pen., 17.12.2014, n. 19170, (dep. 8.5.2015).
11 Così Cass. pen., 1.7.2010, n. 31735; in senso conforme, v. ex multis Cass. pen., 26.3.2013, n. 18773, nonché, da ultimo, Cass. pen., 17.3.2016, n. 20110.
12 L’indirizzo minoritario, fondato anche sul riferimento testuale all’applicazione della recidiva (cfr. Cass. pen., 26.6.2015, n. 43040), non considerava come fosse pacificamente riconosciuto che all’applicazione obbligatoria della recidiva non conseguisse necessariamente – a dispetto del dato letterale (art. 99, co. 5, c.p.) – un aumento della pena, ben potendo il riconoscimento di attenuanti con giudizio di equivalenza (o addirittura di prevalenza, laddove non si trattasse di recidiva reiterata: v. Cass. pen., 15.11.2012, n. 48655) paralizzare detto aumento.
13 A nulla rilevando che in detto catalogo rientri anche il delitto per cui vi è stata la precedente condanna (per tutte v. Cass. pen., S.U., 24.2.2011, n. 20798). Di tale orientamento ha preso atto la Corte costituzionale nella sentenza 10.6.2011, n. 183.
14 Cfr., ad es., Caruso, G., Recidiva riformata, attenuanti generiche e discrezionalità, in Arch. pen., 2011, 14 ss.
15 Sulle cui criticità si è espresso, fra i tanti, Melchionda, A., La nuova disciplina della recidiva, in Dir. pen. e processo, 2006, II, 186 ss. Sulla costituzionalità della disciplina non si è mai pronunciato nel merito il Giudice delle leggi, stante la inammissibilità delle questioni proposte per ragioni processuali (C. cost., 1.8.2008, n. 324 e 6.2.2009, n. 34).
16 Di recente v. Cass. pen., 26.11.2015, n. 48293; Cass. pen., 17.11.2015, n. 9834, (dep. 9.3.2016); Cass. pen., 10.2.2016, n. 10167.
17 Cfr. Cass. pen., 16.9.2015, n. 39849; Cass. pen., 2.12.2015, n. 2731, dep. 21.1.2016; Cass. pen., S.U., 23.6.2016, n. 31669.
18 In questo senso v., ad es., Cass. pen., 21.10.2008, n. 40978; Cass. pen., 24.3.2009, n. 22691; Cass. pen., 7.6.2010, n. 25852.