PROBO (M. Aurelius Probus)
Imperatore romano dal 276 al 282 d. C. Nacque a Sirmio il 19 agosto 232 da un Massimo. Manca la necessaria conferma per le notizie secondo le quali, fra l'altro, egli sarebbe divenuto ufficiale sotto Valeriano, sarebbe stato nominato da questo comandante di una legione, avrebbe ricevuto da Gallieno un alto comando nell'Illirico, sotto Aureliano avrebbe comandato una legione e partecipato alla seconda campagna contro Palmira. È certo però che la sua carriera militare dovette essere rapida e brillante e che egli teneva un altissimo comando in Oriente, quando fu proclamato imperatore dalle sue legioni contro Floriano (maggio o giugno del 276). Scomparso questo, ucciso dai suoi soldati, P. veniva riconosciuto nel resto dell'impero e dal Senato. Anzitutto punì quelli che poté degli uccisori di Aureliano e di Tacito. Poi liberò l'Asia Minore dai Goti, rimastivi dopo la campagna di Tacito, prendendo il titolo di Gothicus. Soffermatosi nell'inverno del 276 e nei primi mesi del 277 nell'Illirico e in Pannonia per la necessaria opera di raccolta e di riorganizzazione dell'esercito, si recò nella Gallia, dove da qualche tempo i barbari erano penetrati profondamente, seminando distruzione e strage. Dopo aver riconquistato le città (pare 60) occupate dai barbari e averli ricacciati con gravissime perdite al di là del Reno, P., continuando a combattere sull'Alto Reno e Danubio con gli Alamanni, mentre i suoi generali si battevano sul Basso Reno con i Franchi, respinse e inseguì gli Alamanni fin oltre il Neckar e l'Alb svevo. Con la costruzione di teste di ponte rafforzò la difesa del confine del Reno e accolse nell'esercito 16.000 Germani, con cui formò piccoli distaccamenti. A queste vittorie seguirono quelle riportate, pare sul fiume Lech, su Burgundi, Vandali e Ligi penetrati nella Rezia; essi furono prima sconfitti con uno strattagemma e poi, per il mancato adempimento dei patti, massacrati mentre si ritiravano; i sopravvissuti furono inviati come coloni in Britannia. Dopo queste vittoriose campagne, che durarono, sembra, fino a tutto il 278 e per cui si fregiò del titolo di Germanicus maximus, P., verso la fine del 278 passò nell'Illirico e nella Tracia, assicurando il confine del Danubio contro le incursioni dei Sarmati e di altre genti barbariche, fra cui anche i Goti; per questa azione, finita, pare, nel 279, prese il titolo di Gothicus maximus. Recatosi poi in Oriente, vi soffocò (verosimilmente prima metà del 280), dopo dure lotte, la ribellione degl'Isaurici, che, sotto il comando di un Lidio, vessavano l'Isauria, la Licia e la Panfilia; per garantire tranquillità alla regione vi stanziò veterani come coloni. Un altro pericolo che aveva minacciato l'Oriente, l'usurpazione di Giulio Saturnino, avvenuta in un anno che non si può precisare, fu eliminato senza l'intervento personale di P., che inviò un esercito contro il ribelle; Saturnino fu ucciso dai suoi soldati, forse ad Apamea. Anche altrove P. provvide alla sicurezza dell'impero mediante luogotenenti: così nel 280 i suoi generali liberarono l'Egitto dai Blemmî; il governatore della Mauretania Tingitana, Clemenzio Valerio Marcellino, tenne a freno la bellicosa tribù dei Baquates per mezzo di accordi che, stipulati nel 277 con il re dei Baquates Giulio Matif, duravano ancora nel 280 con Giulio Nuffusi, figlio e successore di Matif. A rinunciare per allora alla progettata spedizione offensiva contro i Persiani P. si vide costretto dalla situazione pericolosa formatasi in Occidente. Stretto perciò un trattato di pace con i Persiani, ritornò nella Tracia nella seconda metà del 280 e vi accolse 100.000 Bastarni che, premuti al di là del Danubio dai Goti, si erano rivolti a lui per aiuto; contemporaneamente, pare, egli stabiliva entro i confini dell'impero anche schiere di Gepidi, Grautungi e Vandali caduti prigionieri. Questi stanziamenti di barbari sul territorio dell'impero, una delle caratteristiche del regno di P., non ebbero sempre successo: una schiera di Franchi, ad es., nel 281, rotta la fede giurata, dal Mar Nero ritornò nelle sedi native, saccheggiando qua e là le coste lungo il percorso. Nella Gallia e sul Reno si erano levati contro P. due usurpatori, Proculo e Bonoso; la ribellione aveva guadagnato anche la Spagna. P. marciò contro gli usurpatori e li eliminò, non senza difficoltà e dopo un grave scontro presso Colonia (281). Di un ignoto usurpatore in Britannia si liberò per opera del luogotenente Vittorino. Dopo aver così ridato sicurezza e tranquillità all'impero, P. andò a Roma a celebrare il trionfo (281 e 282?). Credette allora di poter iniziare l'impresa che gli stava principalmente a cuore, la guerra contro i Persiani; ma, mentre nelle regioni danubiane attendeva ai necessarî preparativi, fu ucciso presso Sirmio (dopo il 28 agosto 282) dai suoi soldati, soprattutto insofferenti della dura disciplina a cui li sottoponeva; sulla sua fine dovette certo influire l'avvenuta proclamazione a imperatore di Caro da parte delle legioni del Norico e della Rezia.
Grande, come tutti gl'imperatori illirici, quale difensore dell'impero dai barbari, P. non lo fu meno per le cure dedicate a medicare i gravi mali di cui soffriva all'interno lo stato; notevoli principalmente i provvedimenti a favore della viticoltura nella Gallia, nella Spagna, nella Britannia, nella Pannonia e nella Mesia. Molto si occupò di opere di utilità pubblica; grandi lavori fece eseguire in Egitto, pare dopo la cacciata deí Blemmî, per riorganizzare il sistema d'irrigazione; la cinta muraria di Roma iniziata da Aureliano fu da lui condotta a termine. Grande soldato e generale, fu rigido nel mantenere la disciplina fra i soldati, che, a ovviare alle dannose conseguenze dell'ozio, impiegava durante le pause delle guerre in opere di pace; egli vide nell'esercito solo lo strumento necessario per raggiungere quello che pare fosse il suo ideale, la pace, tanto che glí si attribuì perfino il sogno di un impero interamente pacificato e sicuro, in cui non ci sarebbe stato più bigogno di soldati. Il buon accordo mantenuto col Senato si può affermare che non portò affatto a un indebolimento del potere imperiale, che P. volle anzi sempre più rafforzare servendosi della religione, per quanto non sia sicuro che egli si facesse ufficialmente onorare addirittura come dio; nel campo religioso grande importanza diede al culto del sole con la connessa teologia della vittoria imperiale. Nessun cambiamento introdusse nell'indirizzo instaurato da Gallieno, il cui editto, che bandiva dall'esercito i senatori, rimase in pieno vigore con tutti i suoi effetti sull'amministrazione delle provincie. Nell'insieme il governo di P. contribuì efficacemente a quel processo di trasformazione dell'impero che doveva sboccare nella riforma di Diocleziano, di cui P. fu un predecessore non solo nel tempo, tanto che si è supposto perfino che spettino proprio a lui alcune modifiche nell'ordinamento provinciale, dioclezianee, come la separazione dell'Isauria dalla Cilicia.
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