Abstract
Vengono esaminati i fondamenti concettuali della nozione di procedimento amministrativo e l’evoluzione che il tema ha avuto nella normazione positiva a partire dalla prima versione della “legge generale sull’azione amministrativa” adottata nel 1990 e più volte, fino ad oggi, modificata. Di seguito vengono analizzati i contenuti della disciplina positiva della “legge generale” intrecciati ai nodi teorici (principi generali, governo del procedimento, relazioni tra le parti) che segnano anche le scansioni dell’architettura della legge.
1. Le giustificazioni di una nozione
1.1 Il complesso delle ragioni a fondamento della nozione
La nozione di procedimento amministrativo rimanda a una figura organizzativa espressiva di una sequenza preordinata e unitaria destinata alla produzione di effetti giuridici. In tal modo si risponde alla prima delle questioni che sorgono attorno al tema del procedimento: ovvero “che cosa è il procedimento”, lasciando sullo sfondo l’altra fondamentale domanda “perché il procedimento”, che ne introduce subito un’altra, ad essa strettamente conseguente, “quale procedimento”.
A ben vedere anche la seconda delle domande sopra poste ha modo di risolversi agevolmente in stretta connessione alla prima. Va considerato in tal senso che il procedimento amministrativo – non diversamente da ogni altra “procedura” per l’adozione di un atto dei pubblici poteri – altro non esprime che l’idea di un ordo productionis e da sempre (basti pensare alla esperienza storica del processo) l’ordo productionis ha una sua finalità precisa ed immediata che attiene a una generale ed astratta esigenza di legalità nell’esercizio di una funzione.
Il “perché” del procedimento è quindi dipendente dall’insieme delle ragioni di cui è espressione l’esigenza di legalità. Ragioni che rinviano alla necessaria osservanza delle prescrizioni normative sui modi di esercizio della funzione, ma anche alla necessità di un’adeguata evidenza dei fatti e degli interessi che in essa prendono vita, il che è condizione di un effettivo realizzarsi della legalità. Ed ancora, legalità come controllo, e quindi l’ordo productionis come premessa o strumento per rendere verificabili le potestà pubbliche: verifica sia del rispetto delle norme che disciplinano l’azione amministrativa (con l’eventuale rilevazione dei vizi di incompetenza e di violazione di legge), che dell’osservanza di principi non scritti, e tuttavia essenziali requisiti della legalità (sanzionati dall’eccesso di potere mediante le fattispecie sintomatiche del difetto di istruttoria, dell’omessa considerazione di interessi, del travisamento dei fatti, dell’incongruità tra le risultanze dell’istruttoria e la motivazione, della disparità di trattamento, ecc.).
Queste potrebbero dirsi le ragioni non soggette a variazioni, del “perché” della figura in ogni esperienza giuridica contemporanea. Il contesto di giustificazioni in cui va situata la figura del procedimento deriva pertanto dall’esigenza di legittimazione attraverso regole cui è finalizzato l’ordo productionis. Legittimazione dell’esercizio di una potestà pubblica attraverso il rispetto di norme ma che il progressivo affinamento delle esigenze di tutela ha subordinato anche al rispetto di criteri sostanziali di rilevanza degli interessi. Un contesto di giustificazioni, dunque, che sembra rifuggire dalle contrapposizioni dicotomiche tra legalità “formali” e “sostanziali” e dalla pretesa di assegnare alle diverse concezioni del procedimento l’adesione all’uno o all’altro modo di intendere la legalità.
Il contrasto che in proposito si registra nelle teorie sul procedimento in Italia, specie dal dopoguerra ad oggi, non va peraltro svalutato.
E infatti se si riguarda, con sufficiente distacco, la vicenda di pensiero rubricata nel capitolo della teoria del procedimento amministrativo nella nostra esperienza giuridica, si ha modo di osservare come ognuna delle concezioni che nel tempo è stata esposta ha un suo significato evolutivo. Dalla prima organica rappresentazione, tesa a far emergere analiticamente le “fasi” attraverso cui si svolge la dinamica della funzione (Sandulli, A.M., Il procedimento amministrativo, Milano, 1940), alla successiva ricerca dei nessi tra la forma di manifestazione della funzione e il potere che ad essa dà vita (Benvenuti, F., Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 118 ss.). Dagli sviluppi sul piano della ricostruzione dei profili procedurali (Pastori, G., La procedura amministrativa, Milano, 1964) e dei momenti di imputazione “organizzativa” delle attività (Berti, G., La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968), all’analisi dei contenuti conoscitivi dell’attività (Levi, F., L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967). E ancora dal graduale collegamento degli istituti che ritraggono giuridicamente il processo decisionale amministrativo – la discrezionalità e il procedimento (Piras, A., Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 65) – a quelli che ne consentono la verificabilità – procedimento e processo – colti in una prospettiva di complementarità e di integrazione (Nigro, M., Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, 252).
Pur senza nessi assoluti di linearità o conseguenzialità tra l’una e l’altra delle varie posizioni, ognuna di esse assorbe elementi delle altre e prepara ulteriori sviluppi nella direzione di un rafforzamento della tutela degli interessi nei riguardi dell’esercizio di potestà pubbliche, consentendo, con il tempo, di far emergere anche le esigenze obiettive della funzione e del suo realizzarsi con tempestività ed efficienza.
Una lettura già avviata in sede storico-critica (Allegretti, U., Procedimento amministrativo, in Grossi, P., a cura di, Giuristi e legislatori, Milano, 1997, 275 ss.; Schinaia, M.E., Il procedimento amministrativo, in AA.VV., A.M. Sandulli, Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, 331 ss.) che nei suoi risultati finali consente comunque di mettere in rilievo lo spessore teorico delle categorie richiamate dall’esercizio della funzione (fatto, interesse, accertamento, tecnica, potere, ecc.) e la diversità delle conseguenze cui si perviene nell’analisi teorica dei temi del procedimento (Cardi, E., La manifestazione di interessi nei procedimenti amministrativi, I-II, Perugia, 1983 e 1984) a seconda dei fondamenti concettuali da cui si diparte.
L’approfondimento dei temi che attraversano la teoria del procedimento postulerebbe un riesame di tutte le nozioni fondamentali del diritto amministrativo. Rinviando ad altre voci per il recupero delle premesse teoriche che qui vengono in rilievo ed avviando la nostra analisi verso una rigorosa prospettiva di diritto positivo, vi è un ulteriore motivo di riflessione relativo alle diverse elaborazioni che si rinvengono nel capitolo della teoria del procedimento. La figura del procedimento amministrativo infatti non coinvolge soltanto (rilevanti) istituti o concetti di spessore teorico e tecnico, ma anche sensibilità e consapevolezze che affondano le loro radici in terreni che si alimentano di (diverse) opzioni politico-ideologiche: ciò sia riguardo al modo di concepire, sul piano dell’esercizio delle potestà pubbliche, la sfera delle relazioni giuridiche tra il complesso dei poteri pubblici e gli amministrati (Cognetti, S., «Quantità» e «Qualità» della Partecipazione, Milano, 2000) ma anche (si pensi alla fitta trama delle relazioni procedurali che si stabiliscono tra i poteri pubblici in procedimenti pianificatori e programmatori) con riguardo ai nessi procedimentali del pluralismo istituzionale (D’Alberti, M., La «visione» e la «voce»: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1 ss.).
Il campo di incontro-scontro delle diverse opzioni è quello al quale rinvia la terza domanda che è stata posta in apertura di questa voce (“quale procedimento”): il campo cioè della scelta dei “modelli” procedurali propri della disciplina normativa (generale o particolare) dei procedimenti amministrativi. È questo anche il campo al quale si atterranno in termini ricostruttivi le note che seguono sull’evoluzione della disciplina positiva della materia.
1.2 L’aspirazione verso una “legge generale”
La soluzione del problema della disciplina positiva con la legge 7.8.1990, n. 241 I temi sui quali si incentrano, dall’immediato dopoguerra in poi, le prese di posizione teoriche di politica legislativa sono quelli relativi alla disciplina dell’attività amministrativa. Fino alla metà degli anni ‘60 l’attenzione prevalente si concentra sulla possibilità di introdurre (sul modello austriaco e statunitense) una legge generale sui procedimenti amministrativi. Dopo questa data, per il temporaneo arrestarsi in sede parlamentare dei tentativi di giungere all’emanazione della legge generale, questa tematica perde quota e viene gradualmente sostituita da una rinnovata attenzione alla produzione di regole in sede giurisprudenziale fino a giungere, proprio all’inizio dell’ultimo decennio del secolo, al recupero della tematica della disciplina legislativa dell’attività amministrativa, su basi sufficientemente nuove rispetto ai precedenti tentativi.
La traduzione in ipotesi normative delle indicazioni proprie dell’approccio contemporaneo al tema della disciplina generale dell’azione amministrativa è merito della Commissione sui procedimenti amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio, presieduta da Mario Nigro, i cui risultati, resi noti con Relazione del Presidente del Consiglio al Parlamento, presentata il 7 settembre 1984, vengono tradotti, con alcune significative varianti, nella l. 7.8.1990, n. 241.
1.3 Le novelle delle leggi del 2005-2012 fino alla prospettiva di “codificazione” del procedimento amministrativo
La l. n. 241/1990 più volte modificata negli anni successivi, è stata ampiamente novellata – in modo significativo – dapprima dalla l. 11.2.2005, n. 15 e dalla l. 14.5.2005, n. 80 ed in seguito dal d.P.R. 2.8.2007, n. 157, attuativo della l. 27.12.2006, n. 296; dalla l. 18.6.2009, n. 69 e ancora dalla l. 30.7.2010, n. 122, dalla l. 12.7.2011, n. 106 e dalla l. 14.9.2011, n. 148 e infine dal d.l. 9.2.2012, n. 5 (artt. 1 e 2).
La l. n. 241/1990 ha finito così con l’assumere – anche per la tecnica legislativa adottata con l’inserimento delle modifiche nel corpus originario – la funzione di contenitore di una “legge generale” dell’azione amministrativa costantemente aggiornata alla luce dell’evolversi degli assetti tecno-politici dell’amministrazione.
“Legge generale” destinata a porsi come pendant del “Codice del processo amministrativo” (d.lgs. 2.7.2010, n. 104, anch’esso costantemente “aggiornato” da ultimo dal d.lgs. 15.11.2011, n. 195) secondo uno schema, da tempo teorizzato da Nigro, di un circuito procedimento-processo-procedimento.
Così, ad esempio, il tema della “doverosità” dell’azione amministrativa muove da esigenze procedimentali (art. 2, l. n. 241/1990) e si avvale di norme processuali (artt. 31 e 117 c.p.a., ora espressamente richiamate dalla riformulazione dell’art. 2, co. 8, della “legge generale” effettuata dal d.l. n. 5/2012, cd. Decreto Semplificazioni). Dall’altro il tema degli “effetti” della pronuncia del giudice muove da finalità di accertamento processuale, ma è contemperato da ragioni sostanziali connesse all’azione (così nel raffronto tra art. 21 octies della “legge generale” e 34, co. 3, c.p.a.).
La lettura coordinata delle due normazioni (sostanziale e processuale) potrebbe proseguire indefinitamente, e in modo integrato, in quanto di molte norme contenute nell’uno o nell’altro capitolo di normazione non si è in grado di stabilire – quale che ne sia la collocazione – se si tratti di norme sul procedimento o sul processo.
Restando comunque sulla “legge generale”, la stessa è “legge generale” sull’“azione” e non solo sul procedimento, perché molte disposizioni si riferiscono a momenti e aspetti “altri” dal procedimento, che vanno dai contenuti “discrezionali” del potere amministrativo (per es. art. 12, sulla predeterminazione dei criteri nei provvedimenti attributivi di vantaggi economici) a verifiche “non discrezionali” attinenti ai documenti (art. 18), fino alla “sostituzione” del procedimento per via dell’amministrazione pattizia (art. 15) o delle “segnalazioni certificate” (art. 19) e ancora sulla disciplina del “provvedimento” (per es. art. 21 quinquies, septies e octies, rispettivamente relativi alla revoca, nullità o annullabilità del provvedimento stesso).
“Legge generale”, dunque, anche perché relativa all’intera tipologia di atti e alle attività che si configurano nel procedimento e ivi si dispiegano e si intrecciano.
“Legge generale” ma non esclusiva, per gli inevitabili rimandi oltre che al capitolo del processo amministrativo anche al capitolo sui contratti pubblici (art. 21 sexies) reso anch’esso in forma di Codice dal d.lgs. 12.4.2006, n. 163 e anch’esso – in seguito – incessantemente modificato.
“Legge generale”, infine, ma non definitiva in quanto destinata agli inevitabili correttivi come già accaduto negli oltre venti anni di evoluzione dalla legge, essendo la figura del procedimento espressione, si direbbe, “contemporanea” delle esigenze di una società e pertanto tesa alla costante, e – per definizione – instabile, ricerca di un “assetto” corrispondente a quelle esigenze («procedures are deeply rooted in an social context and will reflect the beliefs and understandings prevailing in it», come significativamente ricorda Galligan, D.J., Due Process and Fair Procedures, Oxford, 1996, 20; autore che appartiene a una scienza giuridica come quella inglese che pure fonda i principi dell’azione amministrativa sull’appello a valori assoluti quali quelli evocati dalla “natural justice”). Fatto è che una normativa sull’azione si nutre delle aspirazioni di cui in un dato momento quella società si alimenta o anche solo delle sensibilità del momento, che variano dall’attenzione alle modalità “tecnologiche” della comunicazione (art. 3 bis, 14-15 bis, 14 ter, co. 2) alla tutela differenziata per gli interessi ambientali, paesaggistico-territoriali, storico-artistici, della salute (art. 14 quater).
Instabilità singolarmente contraddetta dall’aspirazione ad una lettura della materia in termini di “codificazione” secondo quanto previsto dalla recente l. 3.10.2011, n. 174 che ha attribuito al Governo la delega ad adottare (entro dodici mesi) decreti legislativi per raccogliere in codici o in testi unici le disposizioni vigenti in materia di procedimento. Se la delega sarà esercitata, il capitolo sul procedimento si doterà di un proprio “codice” che lo allineerà – sul piano della tecnica delle fonti – ai codici vigenti e in costante adeguamento, in tema di contratti e di processo amministrativo, segnando il periodo 2006-2012 come un vero e proprio periodo delle codificazioni amministrative, destinate nell’insieme a tentare di stabilizzare le regole del diritto amministrativo agli inizi del secondo decennio del nuovo secolo.
2. Modelli positivi e nodi teorici
2.1 Le regole dell’azione nella “legge generale”: i “principi generali” dell’attività amministrativa
In via generale le linee di politica legislativa cui si ispira la “legge generale” dell’azione amministrativa sono sintetizzabili, nel vincolo per l’amministrazione – secondo un principio di proporzionalità – di non «aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria» (art. 1, co. 2); nel «dovere» (art. 2) di concludere il procedimento e di farlo in un tempo dell’azione amministrativa che sia un tempo certo (art. 2, co. 2-4) secondo un principio di doverosità dell’azione amministrativa che colora quindi di illegittimità – e ora di responsabilità disciplinare e contabile secondo la novella dell’art. 2, co. 8 e 9, introdotta dal citato d.l. n. 5/2012 – il mancato esercizio del potere e cioè il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione con conseguenze risarcitorie per l’inosservanza dolosa o colposa del termine certo (art. 2 bis).
Al principio di doverosità – riconducibile ad uno dei caratteri essenziali del potere giuridicizzato (Rossi, G.P., Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria, Torino, 2011, 29) – si ricollega inoltre la previsione dell’obbligatorietà tendenziale dell’osservanza dei risultati istruttori (la motivazione si pone «in relazione alle risultanze dell’istruttoria»: art. 3).
Norme profondamente innovate nel ventennio di evoluzione progressiva della “legge generale” per la necessità di superare le difficoltà attuative della originaria l. n. 241/1990, difficoltà derivate dal contrasto di fondo tra modernità delle soluzioni legislative e prassi orientate in senso opposto; norme costantemente accompagnate dalle sollecitazioni critiche della letteratura sviluppatasi sui testi normativi via via succedutisi nelle varie edizioni della “legge generale” (la vastità dei riferimenti letterari impone di rinviare sul punto alla Bibliografia essenziale qui in Appendice e soprattutto ai riferimenti bibliografici contenuti nelle opere ivi citate).
L’“idea” di amministrazione sottostante alla “legge generale” è il prodotto infatti di norme che se, da un lato, salvaguardano e integrano la configurazione delle espressioni di autorità dell’amministrazione – così le disposizioni in tema di efficacia, esecutorietà ed esecutività (art. 21 bis, ter, quater) –, dall’altro sanciscono la supremazia del risultato rispetto alla piena conformità procedurale dell’agire amministrativo (art. 21 octies).
E non di meno, la “legge generale” non è una legge limitativa dei poteri dell’amministrazione e/o astrattamente garantista a favore degli interessi privati. È al contrario una legge sul (o attributiva di) potere all’amministrazione e selettiva nell’attribuire rilevanza agli interessi privati.
Legge comunque di “principi” che devono informare l’operato delle pubbliche amministrazioni.
Nei limiti specificamente indicati, destinatari delle stesse sono anche i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative (art. 1 ter), indicati peraltro in alcune norme della “legge generale” con espressioni definitorie diverse (v. l’art. 23 in materia di ambito di applicazione del diritto di accesso riferito ai gestori di pubblici servizi o l’art. 29 sull’ambito di applicazione della legge alle «società con totale o prevalente capitale pubblico limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative»), definizioni fonte di problematiche interpretative sul piano soggettivo ma accomunate da un approccio “oggettivante” della nozione di pubblica amministrazione invalsa nella legislazione dell’ultimo decennio (e ripresa dal c.p.a.: art. 7, co. 2).
E così, da un lato, i Principi (come recita la rubrica del Capo I) costituiscono essi stessi regole di legittimità dell’azione amministrativa fissate già nell’art. 1 (con richiamo ai criteri di «economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza»), la cui osservanza è oggetto di sindacato giurisdizionale, ponendosi tutti come puntuale espressione dell’attribuzione del carattere di “doverosità” dell’agire amministrativo, mentre la previsione dell’art. 1 bis, in base alla quale l’amministrazione «nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato», amplia l’area dell’agire basato sul consenso delle parti, piuttosto che su quello del potere. Dall’altro, ognuno degli stessi “principi” trova riscontro e sviluppo applicativo in termini normativamente prescrittivi nell’ordito della disciplina.
E così è possibile scorrere le previsioni della “legge generale” dell’azione amministrativa ritrovando ciascuno di essi negli istituti che vi danno sviluppo e esplicazione applicativa e in tal modo ricucire i diversi fili e le trame dell’azione.
La disciplina generale dell’azione amministrativa che ne risulta esclude ogni automaticità di soluzioni essendo piuttosto orientata alla definizione di un minimo comune denominatore di disciplina dei rapporti, graduando poi (o diversificando) l’applicazione dei “principi” in relazione al variare del profilo funzionale dell’azione amministrativa medesima, delineando dunque uno spettro di soluzioni che salvaguardi generalità di principi e specialità delle procedure.
Un’impostazione questa che Nigro aveva già formulato in sede teorica, concependo l’idea della legge sul procedimento come «formulazione di ipotesi tipiche di combinazioni organizzative», solo modo per avere una legge valida per una realtà amministrativa fortemente differenziata e mutevole, senza cadere nella previsione di uno schema rigido e astratto.
C’è in questo impianto il rifiuto di ogni automaticità delle regole: la dequotazione dei vizi procedimentali a fronte di una verifica di irrilevanza (art. 21 octies) così come la valorizzazione del collegamento tra l’istruttoria – come strumento di corretto esercizio del potere – e la decisione (artt. 3 e 6 sub e) esprimono, in modo quasi antitetico ma speculare, una specifica fiducia nelle capacità dell’amministrazione di valutare, nell’esercizio della sua discrezionalità strumentale, la procedura più appropriata al caso concreto tra quelle “ipotesi di combinazioni organizzative” che la legge pone a sua disposizione. Vi è anche, in tutto questo, la meditazione dell’esperienza prodotta dalla giurisprudenza amministrativa che sembra aver perseguito finalità di tutela procedimentale degli interessi “rilevanti” e imposto l’adeguatezza e l’effettività delle rappresentazioni dei medesimi all’interno di una cornice di rispetto delle libertà e necessità operative dell’amministrazione (in contrasto, ancora una volta con le prassi amministrative e legislative verso aspirazioni a una puntuale “predeterminazione” di singoli momenti di esercizio del potere).
La “rilevanza” procedimentale delle medesime situazioni o degli interessi procedimentali risulta solo dal concreto dell’azione: ciò che è rilevante non risalta in maniera automatica o predeterminata. All’amministrazione è lasciata la “libertà di plasmare” (“Gestaltungsfreiheit”) l’azione secondo quelle che emergono come le esigenze della funzione, di cui sono parte (art. 1, co. 1) anche i «principi dell’ordinamento comunitario», espressione di per sé non tanto evocativa di istituti direttamente applicabili quanto di un insieme di valori nei quali si riflette la tensione verso l’equilibrio tra responsabilità e fiducia nello svolgersi dell’azione amministrativa (Harlow, C., Accountability in the European Union, Oxford, 2002 e, infra, § 2.2).
2.2 Il governo del procedimento: le soluzioni positive
Il punto dove i principi di efficacia, economicità e trasparenza incrociano gli ambiti della responsabilità risalta nella figura del responsabile del procedimento.
Il Responsabile del procedimento – cui è dedicato il Capo II della “legge generale” – è chiamato ad individuare i soggetti in grado di apportare circostanze significative alla comprensione dei fatti (art. 6, lett. a: «valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ...»), determinando la rilevanza o meno dell’apporto di una parte rispetto all’oggetto della decisione (... «i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento») ed a determinare, di volta in volta, l’ampiezza e l’incisività degli accertamenti dovuti (lett. b: «accerta di ufficio i fatti ... e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria»). Si evidenzia in tal modo come nella figura del responsabile – centrale nella costruzione della “legge generale” – il profilo del ruolo, della iniziativa e del potere è prevalente su quello della responsabilità e quest’ultima – a sua volta – si manifesta come un fattore di legittimazione del potere dell’autorità.
Lo conferma il fatto che l’unità organizzativa individuata è «responsabile dell’istruttoria», ma anche «di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale» (art. 4, co. 1).
Ciò nella consapevolezza che il procedimento non risulta interamente preformato nella successione degli atti che in esso si sviluppano e che – anzi – questa successione incorpora momenti valutativi e di scelta (la consapevolezza delle interdipendenze che si danno tra processo conoscitivo e processo decisionale costituisce il punto di arrivo dell’innesto delle tematiche proprie della discrezionalità sul tema del procedimento amministrativo). Non sono perciò ammissibili in punto teorico nette separazioni tra attività procedimentale e attività decisoria.
La figura del responsabile del procedimento è assunta da tutta la letteratura formatasi sulla “legge generale” come figura essenziale nel processo di modernizzazione della pubblica amministrazione ed è stata sostanzialmente tenuta ferma nelle numerose innovazioni susseguitesi nel ventennio di evoluzione della legge. Essa conferma la rilevanza pratica, oltre che teorica, dei collegamenti che si danno tra organizzazione e azione amministrativa, in ragione dell’esigenza di stabilire i nessi tra produzione e imputazione dell’attività e di stabilire per questa via i centri di responsabilità dell’agire amministrativo, dispersi nei rivoli delle competenze amministrative. Ne risulta rafforzata la giustezza delle posizioni teoriche da tempo formulate in questa direzione e la validità dell’opinione che il problema della regola dell’azione è problema condizionato dalle strutture.
Al responsabile dell’amministrazione procedente incombe – ai fini di certezza e di efficacia dell'azione – di ricercare con le altre amministrazioni coinvolte nel procedimento accordi e intese e rendere temporalmente certi gli apporti endoprocedimentali richiesti alle varie amministrazioni.
Segnatamente, l’impulso del responsabile del procedimento si sviluppa nel divenire del procedimento con funzioni propulsive nella predisposizione di accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale (art. 11), nella cura degli incombenti istruttori, tra cui l’indizione della conferenza di servizi e la sua gestione (artt. 14 ss.), la gestione delle attività consultive (art. 16, co. 2) e delle richieste di valutazioni tecniche (art. 17) (procedendo, in caso di ritardo sui tempi da parte dell’amministrazione di settore competente in modo indipendente ovvero richiedendo le valutazioni ad altri organi o enti dotati di qualificazione e competenza tecnica equipollenti, o ad istituti universitari), l’acquisizione d’ufficio dei «fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare» (art. 18, co. 3).
Certificazioni da ultimo sostituite da autodichiarazioni, con onere per le amministrazioni stesse – mediante un ufficio individuato come responsabile – di acquisizione d’ufficio delle informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive (art. 15, l. 12.11. 2011, n. 183).
In sostanza, la funzione del responsabile del procedimento può essere definita di governo del procedimento.
Il riconoscimento del criterio di responsabilità (autodeterminazione) dell’azione amministrativa, implicito nella disciplina contenuta nel Capo II della legge, segna dunque una definitiva evoluzione delle normative in materia di procedimenti amministrativi, esprimendo con la “legge generale” una decisa frattura rispetto alla tendenziale vincolatezza delle forme propria delle normazioni “di settore” e che storicamente si è posta alla base dei fenomeni di “sovraccarico” delle incombenze istruttorie.
Le premesse concettuali venivano appunto ravvisate nel passaggio da una concezione tesa a precostituire la certezza della partecipazione di una pluralità di figure soggettive (molto spesso altre autorità pubbliche) in nome di astratti disegni di competenza e di titolarità di interessi, a una concezione volta a sottolineare la responsabilità propria dell’organo dell’istruttoria di divisare le forme organizzative più idonee rispetto all’oggetto della indagine e alle concrete alternative disponibili.
Gli aspetti di rilievo in questo processo di attribuzione di efficienza ad una prestazione del sistema quale è il procedimento amministrativo ruotano intorno alla valorizzazione dell’istruttoria procedimentale intesa come vera e propria proposta definita di decisione amministrativa, e infatti «l’organo competente per l’adozione del provvedimento, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale» (art. 6, sub e).
Le ragioni della decisione si ritrovano nell’impianto istruttorio dove trova pieno svolgimento la relazione tra le parti del procedimento: una relazione in cui è esplicito l’elemento del dar conto (calling to account) delle scelte compiute. Accountability è espressione che rende il termine, con esclusività propria della lingua inglese, più denso di significati di valore rispetto alle nozioni più tecniche come quella di “responsabilità” ma è chiaro che nessuna relazionalità può funzionare senza una caratterizzazione basata sulla “fiducia” verso il potere (mai esplicita nel testo scritto) come fondamento di una relazione in cui il potere è esso stesso “parte” («accountability cannot function without trust»: Davies, A.C.L., Accountability, Oxford, 2001, 76; nella letteratura italiana per questa lettura v. Police, A., Commento all’art. 2, in Sandulli, M.A., Il codice dell’azione amministrativa, Milano, 2010, 226 ss.).
L’idea di amministrazione si svolge, dunque nella “legge generale” secondo uno schema volto a tutelare l’efficienza alla prestazione resa dal procedimento. Ciò in più direzioni: in primo luogo riducendo il sovraccarico di provenienza pubblicistica ed elidendo lo schema astratto, vincolato, delle competenze, per via – come si è visto – della imputazione al responsabile del procedimento della decisione in ordine ad atti istruttori (pareri, valutazioni tecniche) che per omissioni degli organi pubblici non siano rilasciati nei tempi dovuti.
In secondo luogo, sul piano della ricomposizione dei rapporti con gli amministrati, attraverso – come pure si è visto – gli istituti volti all’accordo con gli interessati in via integrativa o sostitutiva del procedimento (art. 11).
In terzo luogo – incidendo sui rapporti inerenti il pluralismo istituzionale – lo schema fa leva sull’arricchimento organizzativo dei moduli dell’azione; è il caso della conferenza di servizi (art. 14) «qualora sia opportuno … effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici» o, qualora sia necessario «acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi» o se è «intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate» concentrando così la valutazione degli interessi stessi in un unico momento temporale.
L’arricchimento dei modelli dell’azione salvaguarda – come era nell’ispirazione originaria di Nigro – generalità di principi e specialità di procedure: lo testimoniano i moduli diversificati e complessi della conferenza dei servizi relativi ai «progetti di particolare complessità» o agli «insediamenti produttivi di beni e servizi» nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico (art. 14 bis) o in materia di finanza di progetto (art. 14 quinquies) e che – nell’insieme – sanciscono la prevalenza della “legge generale” sulle normative procedimentali settoriali.
In questo senso, il rilievo degli istituti della responsabilità e del coordinamento evidenzia l’esigenza di coniugare il pluralismo delle competenze con le ragioni dell’unificazione: non avrebbe senso infatti aspirare ad un’organizzazione amministrativa ispirata a principi di pluralismo istituzionale, se poi non si apprestassero strumenti per unificare ciò che è diviso per raggiungere un obiettivo e ottenere un risultato utile.
2.3 I modelli di relazione tra le parti nel procedimento
Importanza centrale ha l’inquadramento, nella costruzione del procedimento, della funzione svolta dai soggetti nei cui confronti l’atto finale è destinato a produrre effetti e che pertanto sono chiamati alla Partecipazione al procedimento amministrativo (come è rubricato il Capo III) e ciò, fin dall'iniziale «comunicazione» dell’amministrazione (art. 7).
Dal punto di vista delle parti, il procedimento appare come un campo di rappresentazioni, delineato sul piano positivo dall’art. 9: «qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento». Ognuna delle rappresentazioni è veicolata in forma di contraddittorio. Questo nella “legge generale”, appare in linea con le forme processuali dello stesso pur nei limiti dell’assenza del contraddittorio nell’espletamento delle operazioni tecniche e nell’accertamento dei presupposti di fatto.
Ogni rappresentazione non è volta meramente a introdurre un’istanza di interesse, ma a suggerire un’alternativa che assorba l’indeterminatezza iniziale e riduca le varie possibilità di decisione a una determinata ipotesi di soluzione. L’amministrazione ha l’obbligo di valutare le rappresentazioni contenute in memorie e documenti presentati dagli interessati e «pertinenti all’oggetto del procedimento» (art. 10), ma si intende come la rilevanza dell’interesse viene a dipendere dalla rilevanza dei dati di fatto e delle alternative ad essi legate e si pone come distinta dalla legittimazione processuale.
E infatti, se ci si pone dal punto di vista della funzione occorre riconoscere che, affinché le posizioni delle parti acquistino un’effettiva rilevanza nel processo decisionale e la partecipazione non si risolva in una rassicurazione simbolica, è necessario che gli interessati escano dalle loro prospettive di interessi (le pretese partecipative) e questo per offrire all’organo della decisione alternative o, se si vuole, scenari o progetti alternativi sugli sviluppi del potere in grado di realizzare comunque l’interesse pubblico sotteso al potere in attribuzione all’autorità. Ciò implica, d’altro lato, il dovere per l’amministrazione di investigare costantemente tutte le alternative possibili nel corso della propria azione.
Risaltano, a contrasto di quest’ultima impostazione, le due carenze maggiori che a tutt’oggi si registrano nell’impianto legislativo: la mancanza dell’istituto dell’inchiesta pubblica e la sottrazione dei procedimenti per l’adozione degli atti normativi, generali e di pianificazione e programmazione alle regole generali sulla partecipazione.
In via generale, peraltro, una volta che si assuma il procedimento dal punto di vista della funzione cui esso adempie (di far emergere e selezionare alternative accettabili e rilevanti in ordine ai contenuti dell’esercizio di un determinato potere), e lo si riguardi obiettivamente come una prestazione del sistema a ciò rispondente, il procedimento appare legittimato solo dalla sua efficacia: ovvero dalla capacità di adempiere alla sua funzione e non da un qualche richiamo a fini tradizionali, come la verità materiale, la giustizia e l’imparzialità. Valori tanto evocati a proposito della “legge generale” dove poco si sottolinea che essi sono aspetti modali di un processo volto alla acquisizione di ciò che è rilevante ai fini del decidere.
In questi ambiti i canoni di doverosità implicano per l’organo dell’istruttoria capacità proprie di elaborazione.
La revisione del sovraccarico procedimentale si arricchisce nel Capo IV della “legge generale” – rubricato come Semplificazione dell’azione amministrativa – di una più radicale (e per forza di cosa limitata) soluzione volta alla parziale o totale elisione del procedimento.
Su quest’ultimo piano si collocano le prospettive aperte dagli artt. 19 e 20, l. n. 241/1990. La prima è relativa alle ipotesi di procedure semplificate per l’inizio di attività private attraverso la segnalazione certificata; la seconda rinvia ai casi di silenzio assenso per i quali la domanda di rilascio di un’autorizzazione o altro atto di consenso, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro un termine dato.
Il paradigma sopra indicato del procedimento come prestazione del sistema non esclude il riconoscimento del valore della “persona”, ma dà rilevanza a questa solo se funzionale al procedimento; altrimenti non conta, come testimoniato dall’art. 21 octies, secondo cui «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». La linea segnata da questa norma, dà esplicito riconoscimento normativo alla valutazione che deve compiere l’amministrazione in sede procedimentale circa la rilevanza delle alternative evocate ai fini dei possibili esiti della decisione ove venga dedotta l’illegittima esclusione del privato dalla pubblica funzione.
Tutto ciò non elide la rilevanza delle situazioni giuridiche soggettive nel procedimento che appaiono, anzi, in base alle disposizioni degli artt. 8, 9 e 10, inquadrabili in termini di diritti partecipativi.
Si tratta però di tener conto del fatto che questa rilevanza non discende semplicemente dall’esistenza in capo a determinati soggetti di una posizione di interesse nei confronti del risultato del procedimento.
Infatti anche un risultato negativo per il destinatario del provvedimento è già preso in considerazione espressamente (art. 10 bis, art. 21 octies) dalle norme nel momento in cui contemplano l’esercizio di un dato potere da parte dell’amministrazione. Sicché a questo potere non può opporsi semplicemente l’esistenza di un interesse in senso contrario. Occorre che – come prima si diceva – gli interessati superino le loro prospettive di interessi per offrire dei punti di vista che incorporino, per così dire, le esigenze proprie della funzione. Le considerazioni ora svolte non conducono pertanto all’indebolimento delle ragioni di tutela delle situazioni di interesse: al contrario, agganciando l’evidenza (degli interessi) alla rilevanza dei dati di fatto introdotti in sede di rappresentazione, si descrivono le condizioni di efficacia della tutela (procedimentale) di quei medesimi interessi.
Premessa indefettibile e essenziale perché il procedimento adempia alla sua funzione di elaborazione delle alternative è comunque l’esistenza di un terreno di comunicazione tra le parti, includendo tra le parti la stessa amministrazione.
La doverosità dell’adempimento da parte dell’autorità agente dell’onere di comunicazione appare ovviamente solo preliminare a ogni successivo sviluppo su questo terreno.
Quello che più occorre è la diffusione di prassi di disponibilità alla comunicazione, specie favorendo in sede amministrativa misure di conoscenza degli indirizzi e degli intenti perseguiti dall’amministrazione nel dare inizio a un procedimento, ponendosi in tal modo le condizioni per rendere significative le manifestazioni di interesse provenienti dalle parti (in contrasto con la limitazione posta dall’art. 24 sub c, all’«accesso» agli atti preparatori nel corso della formazione degli «atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione»).
Ed è invece particolarmente importante che una pratica di scambio delle informazioni e delle conoscenze tra l’amministrazione e le parti si diffonda, perché – per avere influenza effettiva – la procedura deve avere il carattere di un’interazione continua tra persona, società e istituzioni amministrative. Questa costituisce una premessa essenziale anche ai fini dell’effettività delle rappresentazioni provenienti dalle parti, le quali richiedono per incidere sul processo decisionale la conoscenza delle ipotesi di base che la stessa amministrazione ha assunto nel dare inizio al procedimento o che la medesima o altre figure soggettive sono venute elaborando nel corso della stessa azione amministrativa.
L’Accesso ai documenti amministrativi (come da rubrica del Capo V) – posto come “principio generale” dell’attività amministrativa, al pari di quelli proclamati dall’art. 1, attese le sue rilevanti finalità di interesse pubblico (art. 22) – dà luogo a un diritto (tutelabile con ricorso, secondo una procedura d’urgenza ex art. 116 c.p.a., davanti agli organi della giurisdizione amministrativa) che presuppone e, quindi, determina (o dovrebbe determinare) anche una nuova mentalità degli operatori amministrativi.
La tematica dell’accesso ha peraltro valenza più generale di quella specifica dell’accesso endoprocedimentale, sicché per esso occorre comunque fare rinvio ad una trattazione comprensiva di un principio – quello di trasparenza – che attiene oltre che ai canoni generali di esercizio dell’amministrazione a un più generale valore dell’ordinamento giuridico in ambito pubblicistico.
È possibile che la linea di effettività delle rappresentazioni e di ricerca di modi reali di tutela delle situazioni di interesse consenta di valorizzare le competenze proprie del responsabile del procedimento (con riferimento agli atti istruttori che lo stesso potrebbe disporre autonomamente in relazione alle esigenze proprie della funzione), specie in relazione alla responsabilità di questo nel rappresentare nel procedimento, per usare una locuzione in uso nell’esperienza americana a public interest not otherwise represented. La qualificazione di “pubblico” è da intendersi qui riferita sia alla tutela di un interesse generale nei confronti della capacità propria di elaborazione che dimostrano talora gli interessi “forti” o che si avvalgono della debolezza organizzativa dell’amministrazione, sia alla tutela degli interessi dei soggetti privi di capacità in tal senso.
L’insieme delle prospettive ora richiamate, se da un lato rappresenta il prodotto di nuove maturazioni anche nella sede legislativa, dall’altro certamente ha aperto e segna la via per nuovi e instabili equilibri. E ciò sia con riguardo all’esigenza di raccordi tra il disegno delineato nella “legge generale” e le normative di settore, che tra la “legge generale” e la prassi amministrativa che registra – ancor oggi – difficoltà da parte dell’amministrazione nell’adeguarsi alla responsabilità di dirigere e plasmare l’azione amministrativa voluta da una legge più avanzata della prassi stessa, ancora legata a schemi rigidamente precostituiti di obblighi di condotta determinati e deresponsabilizzanti; che tra tutela procedimentale e tutela giurisdizionale, al fine di porre la misura dell’equilibrio tra esigenze di evidenza delle situazioni tutelabili e principi di funzionalità dell’agire amministrativo.
Prospettive, tutte, che potranno trovare momenti di ricomposizione e ridefinizione nella ipotizzata “codificazione” del procedimento amministrativo di cui alla l. n. 174/2011 e che potranno guidare nel tempo l’evoluzione e della disciplina positiva del procedimento amministrativo.
Fonti normative
L. 7.8.1990, n. 241, come modificata dalle fonti legislative citate nel testo.
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