Abstract
Viene esaminata la struttura e la funzione del procedimento di ingiunzione, disciplinato dagli artt. 633 ss. c.p.c., e configurato dal legislatore come rito speciale, alternativo a quello ordinario di cognizione (sempre esperibile, per le medesime liti), per le sole controversie aventi ad oggetto somme di danaro, altri beni fungibili o consegna di cosa mobile determinata. Il procedimento è caratterizzato da una doppia fase: la prima, instaurata per iniziativa del creditore e diretta ad ottenere, senza il coinvolgimento del debitore, un decreto giudiziale di ingiunzione all’adempimento; la seconda, eventuale, su iniziativa dell’ingiunto, di opposizione al decreto, strutturata come un ordinario processo di cognizione, che sfocia in una sentenza destinata a sostituire il decreto ingiuntivo.
1. Premessa
Il procedimento ingiuntivo è un processo speciale, regolato dal libro IV del codice di procedura civile e strutturato in due distinte fasi: a) la prima, diretta ad ottenere un decreto giudiziale di condanna al pagamento di somme, o alla consegna di cosa mobile e contraddistinta dall’assenza di contraddittorio con il debitore; b) la seconda, avviata su iniziativa dello stesso debitore, di opposizione contro il decreto emesso dal giudice, caratterizzata dal pieno contraddittorio e dall’applicazione, salvo eccezioni, delle regole del processo civile di cognizione.
Poiché la fase di opposizione è lasciata all’iniziativa dell’ingiunto, in mancanza, il decreto ingiuntivo diviene definitivo e non più revocabile, salve le impugnazioni straordinarie.
2. La natura del procedimento monitorio e l’efficacia del decreto non opposto
La dottrina inquadra il procedimento ingiuntivo italiano a metà strada fra il modello monitorio puro, caratterizzato dall’accoglimento della domanda sulla base della mera asserzione del creditore e dalla prevalenza della fase di opposizione, come processo di primo grado a mera inversione processuale; e monitorio documentale, incentrato sulla prova del credito e su un giudizio di opposizione a funzione impugnatoria del decreto così concesso.
Sulla sua esatta qualificazione, però, non v’è accordo fra gli interpreti. Le posizioni variano a seconda che si dia maggior risalto alla prima, o alla seconda delle predette fasi.
Chi da rilievo alla prima fase, parla di accertamento con prevalente funzione esecutiva, in quanto finalizzato a predisporre nei tempi più rapidi possibili un titolo esecutivo in capo al creditore (è nota l’autorevole definizione di Chiovenda, G., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, 215 ss.), attraverso una cognizione sommaria (fra gli altri, seppur con funzione dichiarativa per Luiso, F.P., Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 98). Chi accentua il ruolo della seconda fase, parla di caratteristica inversione del contraddittorio o di procedimento a contraddittorio eventuale (fra gli altri, Sciacchitano, R., Ingiunzione, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 509 ss.).
Le diverse prospettive hanno implicazioni anche sulla natura del giudizio di opposizione.
Infatti, l’autonomia funzionale e strutturale della fase monitoria induce a vedere l’opposizione come una impugnazione (Garbagnati, E., Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 135 ss.). Se invece si dà centralità all’opposizione come espressione dell’ordinario processo a cognizione piena, si relega la fase monitoria a mero strumento di inversione della posizione processuale delle parti, al fine di stimolare il debitore a prendere una iniziativa che, in mancanza, mai assumerebbe: così il processo ingiuntivo rimane uno ed unitario nella prospettiva del mandatum, che resolvitur in vim semplicis citationis (in questa prospettiva, almeno de iure condendo, Ronco, A., Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari speciali, a cura di S. Chiarloni e C. Consolo, I, Torino, 2005, 68 ss.).
In parallelo va il rapporto fra azione e processo monitorio, per il quale si prospettano diverse combinazioni: la fase monitoria come esercizio dell’azione speciale di condanna; o, al contrario, di una azione ordinaria, esercitata in forme speciali (Garbagnati, E., op. cit., 27 ss.; Balbi, C., Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1997, 13); o, infine, il procedimento ingiuntivo come combinazione fra azione ordinaria ed azione sommaria e conseguentemente l’opposizione con natura mista, impugnatoria ed ordinaria (Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 67).
La disciplina positiva non aiuta, in quanto è fortemente ibrida rispetto ai modelli originari: il rigetto del decreto ingiuntivo, a differenza dell’accoglimento, non preclude la riproposizione della domanda; se il procedimento inizia con il ricorso per ingiunzione, la litispendenza si ha, però, con la notifica del decreto; la sentenza di accoglimento sostituisce il decreto ingiuntivo, mentre quella di rigetto, al pari dell’estinzione, lo rende efficace; il decreto è in grado di produrre effetti provvisori anche dopo l’opposizione.
Alcuni punti fermi possono però essere individuati.
In primo luogo, il procedimento ingiuntivo, lungi dal costituire l’esercizio di una mera azione, dà ingresso alla tutela di un pieno diritto soggettivo, che costituisce l’oggetto dell’ingiunzione giudiziale. È dunque legittimo ricondurre al decreto ingiuntivo la cognizione sul diritto sostanziale.
In secondo luogo, ciascuna delle due fasi ha pari dignità, ai fini dell’inserimento del procedimento ingiuntivo nel sistema della tutela dei diritti.
Se la fase inaudita altera parte, infatti, appronta un potente strumento di tutela del creditore, la fase a contraddittorio eventuale, imperniata sulla libera iniziativa dell’ingiunto, garantisce essa sola la legittimità costituzionale del procedimento, perché permette di rispettare l’“aurea” (Carratta, A., Processo sommario (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2008, 877 ss.) correlazione fra funzione (cosa giudicata) e struttura (cognizione piena in contraddittorio) (Cass., 2.12.1992, n. 12855).
Infatti, non v’è dubbio che la fase monitoria sia sommaria quanto all’istruttoria, ma anche sommaria quanto all’accertamento, per via dell’assenza del contraddittorio (summaria cognitio ratione partium).
Ora, una cosa è ritenere compatibili la sommarietà derivante da istruttoria deformalizzata e l’accertamento pieno; altro è spingersi fino ad ammettere l’efficacia di accertamento da cognizione sommaria.
Il focus si sposta, dunque, sull’efficacia del decreto ingiuntivo non opposto. Infatti, nonostante che l’art. 656, a termini del quale il decreto ingiuntivo non opposto è impugnabile esclusivamente con le impugnazioni straordinarie, induca a parlare di passaggio in giudicato, il disagio della dottrina è evidente.
Si propone così di sostituire l’efficacia di giudicato con la preclusione pro iudicato (Redenti, E.-Vellani, M., Diritto processuale civile, III, Milano, 1999, 91 ss.); ovvero si arriva a negare il valore accertativo-decisorio del decreto ingiuntivo (Capponi, B., Decreto ingiuntivo e giudicato, in Il procedimento di ingiunzione, a cura di B. Capponi, Bologna, 2009, 706; Comoglio, L.P.-Ferri, C.-Taruffo, M., Lezioni sul processo civile, II, Bologna, 2011, 164 ss.); o infine si differenzia non dal punto di vista qualitativo, bensì quantitativo, escludendo alcuni effetti oggettivi o soggettivi dell’ordinario giudicato (Ronco, A., op. cit., 573 ss.; Proto Pisani, A., Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 411).
Quest’ultimo orientamento sembrerebbe, a prima vista, aver trovato il favore delle sezioni unite della Cassazione, secondo cui il decreto ingiuntivo non opposto non acquista efficacia di giudicato con riguardo alle parti di domanda monitoria non accolte o alle pretese ricollegabili alla domanda, ma non specificamente dedotte (Cass., 1.3.2006, n. 4510).
Fermo che il giudicato cade, ordinariamente, sul diritto fatto valere e non sui diritti non dedotti, benché connessi (es. capitale ed interessi), la soluzione adottata dalle sezioni unite nel caso in cui il giudice accordi meno di quanto richiesto si fonda, più che sulla natura del processo monitorio, su deduzioni di diritto positivo. Poiché il legislatore stabilisce che il rigetto non preclude la riproposizione della domanda ed è perciò inimpugnabile, se il creditore non potesse far valere in altra sede ciò che non ha ottenuto dal decreto, gli sarebbe inammissibilmente imposto un giudicato negativo, a cognizione sommaria, senza alcuna possibilità di reazione.
L’ipotesi appena considerata è in grado di mettere in luce il nodo centrale della teoria monitoria. Infatti, solo il funzionamento del complesso meccanismo di acquiescenza del debitore consente di superare il salto fra cognizione sommaria ed accertamento pieno e fa sì che il decreto ingiuntivo transit in rem iudicatam.
Nel caso in cui il giudice non accolga o accolga solo in parte la domanda, per la parte respinta il meccanismo succitato non è in grado di funzionare: è evidente che esso si basa sull’interesse del debitore a reagire, interesse che non può sorgere in caso di negazione totale o parziale del credito.
In queste ultime ipotesi torna a valere l’inidoneità della cognizione sommaria a fondare l’accertamento: il giudice non ha, infatti, a disposizione tutti gli elementi di fatto e diritto che il processo ordinario potrebbe garantire. Ne consegue, necessariamente, che il giudicato monitorio va misurato sui soli beni accordati.
A parte questa constatazione, l’efficacia di cosa giudicata si spiega interamente, quanto ai suoi effetti diretti, nonché riflessi intra ed ultra partes (Cass., 6.9.2007, n. 18725; Cass., 16.7.2006, n. 16540).
Il procedimento per ingiunzione va, dunque, visto nella sua dimensione unitaria, come processo di primo grado distinto in due fasi: la prima, a differenza della seconda, è contraddistinta da una cognizione sommaria, suscettibile però di dar luogo ad un accertamento pieno, a condizione che scatti l’acquiescenza del debitore.
Quest’ultima condizione costituisce il perno di tutta la disciplina ed è regolata da un meccanismo complesso, che presuppone la notifica del decreto ingiuntivo entro il termine di sessanta giorni (novanta all’estero), pena la sua inefficacia.
La cognizione è sommaria, ma non si limita alla mera sussistenza dei presupposti di ammissibilità, richiedendo pur sempre una valutazione nel merito della pretesa attorea, come testimonia l’art. 640, ai sensi del quale il rigetto deriva unicamente dalla mancata “giustificazione” della domanda (diff. Carratta, A., op. loc. citt.).
Ciò vale nei casi in cui si richiede una prova scritta, benché più ampia rispetto a quella valida nel processo ordinario (n. 1 dell’art. 633), ma anche quando si ammette un decreto ingiuntivo sulla base della parcella compilata dal professionista (nn. 2 e 3 dell’art. 633), tanto che in questo caso si parla di processo monitorio puro.
È vero che nella seconda ipotesi il documento prodotto è privo di valore probatorio in quanto proveniente dalla parte che fa valere il diritto; né vale a cambiare direzione il richiesto parere della competente associazione professionale, che, pur calmierando l’unilateralità della richiesta, verte unicamente sul quantum e non sull’an della prestazione. Tuttavia, anche in questo caso non è escluso un sia pur minimo grado di valutazione nel merito, visto che ai sensi dell’art. 636, co. 2, il giudice può rigettare la domanda nonostante la parcella e il parere.
In conclusione, il procedimento monitorio dà ingresso ad un'azione ordinaria (e non “speciale”, intesa come finalizzata ad un risultato diverso dalla sentenza di accertamento e condanna: Chiovenda, G., Princìpii di diritto processuale civile, Napoli, 1928, 201), con forme processuali speciali; è caratterizzato da una unità funzionale fra le due fasi, benché la seconda sia solo eventuale; dà luogo, anche nella fase di cognizione sommaria, ad un accertamento, per effetto della decisiva acquiescenza del debitore, unitamente ad una, seppur superficiale, valutazione circa la sussistenza del credito.
Data la predetta unitarietà, il processo inizia con il ricorso per ingiunzione, ma la pendenza della lite, con la produzione degli effetti nella loro interezza, può derivare, tecnicamente, dalla presa d’atto del debitore, che viene a conoscenza del processo solo a seguito della notifica del decreto ingiuntivo.
3. La fase inaudita altera parte: profili processuali
3.1 Gli speciali presupposti di ammissibilità
Affinché il procedimento monitorio sia azionabile occorre innanzitutto che il diritto consista in un credito in senso lato, avente ad oggetto una somma liquida di denaro o altri beni fungibili, oppure la consegna di una cosa mobile determinata.
Non possono, dunque, essere oggetto di tutela monitoria il rilascio di beni immobili e le obbligazioni di fare e non fare; sono altresì escluse le azioni costitutive. Accanto a questo generale requisito, ve ne sono altri specifici, in alternativa fra loro.
a) Ai sensi degli artt. 633 e 636, se si tratti di crediti per prestazioni giudiziali o stragiudiziali effettuate da avvocati (per i quali il procedimento per ingiunzione continua a concorrere con il procedimento speciale di cui al d.lgs. 1.9.2011, n. 150) o altri prestatori d’opera in un processo, crediti di notai, o crediti di liberi professionisti per i quali esista una tariffa legalmente approvata, è sufficiente allegare la parcella dettagliata del professionista; ad essa va accluso i parere dell’associazione professionale, limitato alla congruità delle somme indicate per ogni prestazione, solo se l’ammontare non sia determinabile in base a tariffe obbligatorie.
La disposizione va però coordinata con gli interventi normativi in materia di libere professioni, che hanno abrogato le tariffe legalmente approvate, introducendo, al loro posto, parametri esclusivamente finalizzati alla liquidazione giudiziale dei compensi (da ultimo d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27; i parametri debbono ancora essere emanati nel momento in cui si scrive).
Pertanto, per un verso, tutte le tipologie di creditori sopra menzionati avranno la necessità di procurarsi il parere dell’associazione professionale; per altro verso, i liberi professionisti diversi dagli avvocati e dai notai non potranno più avvalersi di questa via monitoria, rientrando nella generale categoria della prova scritta sub b), a meno che – e la soluzione è da preferire, sotto il profilo dell’equità sostanziale – non si intendano per tariffe legalmente approvate i parametri summenzionati.
b) In tutti gli altri casi occorre che del credito sia dia prova scritta secondo gli artt. 634-635.
Si tratta, ad un tempo, di un presupposto speciale indispensabile, la cui mancanza impedisce al giudice di entrare nel merito della richiesta; e di uno strumento cognitorio, ai sensi dell’art. 2697 c.c., che permette al giudice di effettuare una valutazione circa l’esistenza del diritto.
La prova scritta a fini monitori comprende, oltre alla scrittura proveniente dalla controparte, come tipica prova valevole nel processo di cognizione ordinaria, anche le polizze, le promesse unilaterali e i telegrammi, seppur privi dei requisiti prescritti; gli estratti autentici delle scritture contabili, regolarmente tenute dagli imprenditori, da valere anche contro non imprenditori; i libri o registri della pubblica amministrazione la cui regolare tenuta sia attestata dal pubblico ufficiale.
In altri termini, i criteri di ammissibilità della prova sono parzialmente in deroga alle regole ordinarie, tanto che si ritiene che qualunque prova scritta atipica sia in grado di fondare la domanda monitoria, come gli scritti provenienti dai terzi, oppure le e-mail, laddove non le si inquadri come documenti informatici sottoscritti con firma elettronica, seppur debole.
L’ammissibilità dell’ingiunzione per consegna di cosa mobile determinata ha aperto la strada a interessanti tentativi di supplire alla carenza normativa in tema di esibizione delle prove, attraverso la richiesta di consegna di documenti: tentativi senz’altro ammissibili quando il documento sia detenuto illegittimamente o debba essere consegnato ex lege (App. Brescia, 27.10.2007, in Lav. giur., 2008, 492; Trib. Ariano Irpino, 24.4.2007, in Arch. loc., 2007, 500); ma accettabili anche sulla base del mero diritto alla prova (diff. Valitutti, A.-De Stefano, F., Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, 82).
Il vantaggio sta nella eseguibilità di un siffatto ordine, a differenza di quello previsto dall’art. 210 c.p.c. (Trib. Bari, 5.6.2003, in Foro it., 2003, I, 3173; Trib. Milano, 21.6.1996, in Foro. it., 1996, I, 3200, con nota di M. Fabiani; Cataldi, M., Il procedimento monitorio. Le condizioni di ammissibilità, in Il procedimento di ingiunzione, cit., 96 ss.). Più dubbia è la possibilità di ottenere in via monitoria la consegna di una chiave di un immobile (Trib. Salerno, 6.5.2004, in Giur. mer. 2004, 2444), in quanto si tratterebbe di una indiretta deroga alla restrizione normativa circa i diritti tutelabili con l’ingiunzione.
3.2 Il procedimento
La domanda è proposta con ricorso, presentato al giudice competente, secondo le regole ordinarie.Fa eccezione il credito sorto in occasione di un processo, che può essere ottenuto dall’ufficio giudiziario del medesimo procedimento; mentre il credito degli avvocati e dei notai può essere richiesto anche al giudice della sede del loro consiglio dell’ordine.
Non escluderei la possibilità per il convenuto di interloquire, se lo voglia, anche nella fase inaudita altera parte (per la positiva Trib. Bari, 21.3.1990, in Foro it., 1991, I, 1270, con nota di M. De Luca), purché il contraddittorio sia limitato alla sussistenza dei presupposti di ammissibilità del procedimento monitorio. Nel caso in cui il diritto appaia “insufficientemente ingiustificato”, prima del definitivo rigetto, il giudice può invitare la parte ad integrare la prova.
In caso contrario, il giudice pronuncia il decreto con il quale ingiunge al debitore di adempiere all’obbligazione promessa, oltre alla liquidazione delle spese, entro quaranta giorni dalla sua notifica (termine modificabile in caso di giusti motivi o residenza del convenuto all’estero), oppure di proporre, nello stesso termine, opposizione.
Il decreto ha, come si è già visto, una efficacia temporale limitata, dovendo essere notificato al convenuto entro sessanta giorni dalla sua pronuncia.
Secondo le più recenti modifiche dell’art. 641, il decreto ingiuntivo nasce titolo esecutivo a) non solo nei casi in cui la parte sia già in possesso di un documento che costituirebbe esso stesso titolo esecutivo, b) o quando vi sia grave pericolo del ritardo, nel qual caso l’esecutività assume una natura latamente cautelare, c) ma anche ogniqualvolta la prova scritta abbia caratteri di prova piena nel processo civile, con la conseguenza di derivare da una scrittura privata, non ancora riconosciuta, effetti, seppur provvisori, di condanna.
Eventuali dubbi di costituzionalità sono a mio avviso risolti tenendo conto della provvisorietà degli effetti esecutivi, a condizione, però, che questi siano suscettibili non soltanto di sospensione, ma soprattutto di revoca nel procedimento di opposizione, ai sensi dell’art. 649 c.p.c. (Zucconi Galli Fonseca, E., La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 182 ss.).
Infatti, nonostante l’autorevole parere contrario dalla Corte costituzionale, che ravvisa nella sola sospensione un idoneo sistema di pesi e contrappesi (ex plurimis C. cost., 17.6.1996, in Foro it., 1997, I, 389, con nota di G. Scarselli), l’introduzione di valutazioni in ordine alla fondatezza del diritto rende attuale la necessità di riequilibrare la cognizione sommaria della prima fase con uno strumento che consenta il completo cammino a ritroso e che non si limiti a bloccare l’esecuzione, lasciando intatti gli effetti esecutivi già prodottisi.
4. La fase di opposizione a contraddittorio pieno
4.1 Il procedimento
L’opposizione a decreto ingiuntivo è avviata con atto di citazione dal debitore, convenuto nel procedimento monitorio.
Per effetto della modifica dell’art. 645 per effetto della l. 29.12.2011, n. 218 i termini di comparizione, e conseguentemente quelli di costituzione, sono ordinari: il precedente riferimento alla possibilità di dimidiazione aveva infatti destato notevoli contrasti interpretativi (provocati specialmente da Cass., S.U., 9.9.2010, n. 19246).
Il mancato funzionamento dell’acquiescenza comporta la necessaria inversione dell’iniziativa processuale: il convenuto, lungi dal farsi promotore di un’azione, si limita a reagire contro la domanda, accolta, del creditore. L’atto di citazione è, dunque, tale solo nell’intestazione e nel contenuto dei requisiti attenenti alla vocatio in ius, mentre, per quanto riguarda l’azione, ha il contenuto di una comparsa di risposta; l’editio actionis è già contenuta nel ricorso monitorio.
Si suole dire che l’inversione opera sul piano processuale e non sostanziale; in realtà, anche sul piano processuale, al debitore spettano i poteri del convenuto e non quelli dell’attore. L’inversione si limita, infatti, alla sola fase di impulso processuale, con le già viste conseguenze circa i requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo. Inoltre, l’onere di impulso perdura, a differenza dei modelli monitori puri, nel corso di tutto il processo di opposizione, perché anche in caso di estinzione del processo di opposizione già iniziato opera il consolidamento del decreto ingiuntivo (art. 647, in caso di mancata costituzione dell’opponente; art. 653, in caso di estinzione del processo).
Per il resto, il procedimento segue le regole della cognizione ordinaria. Tuttavia, l’adattamento al processo monitorio delle modalità di allegazione del processo di cognizione non è agevole, perché la predetta inversione di iniziativa altera i tempi di replica reciproca, rispetto allo scadenziario fissato dall’art. 183 c.p.c.
La comparsa di risposta del creditore, infatti, dovrà contenere le deduzioni che avrebbe potuto effettuare l’attore nella prima udienza; al debitore opponente, a sua volta, spetteranno i poteri che l’art. 183 c.p.c. attribuisce al convenuto. Pertanto, l’ingiunto potrà, nell’atto di citazione, dedurre tutte le eccezioni ed eventuali domande riconvenzionali, o chiamare un terzo; e potrà successivamente “aggiustare il tiro” nei limiti dell’art. 183, co. 6, nn. 1 e 2, vale a dire con riguardo alle sole nuove eccezioni che siano conseguenza delle difese avversarie. Dal canto suo il creditore, nella comparsa di risposta, potrà dedurre nuove domande, rispetto a quella azionata in via monitoria, chiamare un terzo o dedurre nuove eccezioni, solo se l’esigenza scaturisca dalle difese del convenuto, nei limiti dell’art. 183, co. 5, c.p.c.
Nuove eccezioni che siano conseguenza delle difese avversarie potranno essere dedotte anche successivamente, in prima udienza o nelle memorie successive di cui all’art. 183, co. 6, nn. 1 e 2. La modifica o precisazione delle domande già proposte, invece, sarà sempre possibile fino alla memoria di cui all’art. 183, co. 6, n. 1.
Anche per quanto riguarda l’onere probatorio, non si verifica alcuna deviazione dalla regola generale dell’art. 2697 c.c. che, opportunamente, non distingue fra attore e convenuto bensì fra colui che fa valere il diritto e colui che vi resiste.
Torneranno inoltre a valere le regole probatorie del processo ordinario, con la conseguenza che non tutte le prove scritte prodotte nella prima fase potranno essere utilizzate efficacemente nella seconda.
4.2 La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo
L’opposizione a decreto ingiuntivo è contraddistinta da due importanti peculiarità: la possibilità per il decreto ingiuntivo opposto di assumere effetti esecutivi provvisori, che non gli siano stati accordati nella fase inaudita altera parte; la speculare opportunità di ottenere la sospensione dell’esecutività provvisoria ottenuta in quella sede.
L’esecutorietà provvisoria, ai sensi dell’art. 648, si fonda, più che sul pericolo di danno nelle more del processo, su una valutazione circa l’immediata apprezzabilità delle contestazioni: vale a dire, viene accordata quando l’opponente non sia stato in grado di offrire una prova scritta, o comunque deduca allegazioni non di pronta soluzione.
È evidente la specularità rispetto alla valutazione, compiuta in sede inaudita altera parte, della prova scritta offerta dal creditore. Dunque, alla domanda se per prova scritta si intenda la prova valevole nel processo ordinario, rispondo negativamente, in quanto, se l’intento è quello di comparare la “liquidità” delle difese, va garantito un criterio uniforme rispetto alla prova scritta monitoria. Pertanto, di fronte a due prove scritte atipiche contrastanti, si deve negare la provvisoria esecuzione, da accordare invece, se la prova del creditore, a differenza dell’altra, sia tale anche nel processo ordinario (vanno oltre, richiedendo sempre la prova scritta “ordinaria” del creditore, anche in caso di mancata prova scritta del convenuto, Garbagnati, E., op. cit., 181; Luiso, F.P., op. cit., 146). Anche la possibilità di ottenere la provvisoria esecuzione parziale del decreto conferma l’impostazione predetta, fondandosi sulla non contestazione sul merito del convenuto, che ai sensi dell’art. 115 c.p.c. solleva l’avversario dall’onus probandi.
Dato il chiaro dettato normativo, che limita la valutazione ai predetti requisiti, rende perplessi l’interpretazione della Consulta, a parere della quale il giudice può effettuare, in aggiunta, valutazioni tipicamente cautelari, quali la sussistenza del fumus boni iuris e il periculum in mora circa il credito (C. cost., 25.5.1989, n. 295; fa un passo indietro C. cost., 10.7.2007, n. 306). Per contro, è sicuramente corretto evitare che l’esecutorietà possa prescindere integralmente dal merito della lite, sulla base della sola cauzione prestata dal creditore: giustamente è stata dichiarata, in questo senso, l’incostituzionalità dell’art. 648, co. 2 (C. cost., 4.5.1984, n. 137, in Riv. dir. proc. 1985, 1, con nota di E. Garbagnati; Foro it., 1984, I, 1775, con nota di A. Proto Pisani; Giur. it., 1985, I, 1, 397, con nota di C. Consolo; in Nuove leggi civ.., 1985, 585, con nota di C. Balbi; Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, 824, con nota di P. Marzocchi).
5. Rapporti fra decreto ingiuntivo e sentenza di opposizione
Uno dei temi più delicati riguarda sicuramente il coordinamento fra pronunce, nel susseguirsi fra decreto, sentenza di opposizione e successive eventuali sentenze di riforma in appello o cassazione; il tutto complicato dall’eventuale intersecarsi di effetti esecutivi provvisori.
La norma di riferimento è l’art. 653, che, per un verso, non è completa, per altro verso, contiene soluzioni non agevolmente coordinabili fra loro. Innanzitutto, nel silenzio della norma, è da ritenere che la sentenza con la quale la opposizione venga accolta faccia venir meno il decreto ed i suoi eventuali effetti esecutivi provvisori. La caducazione opererà fin dalla pronuncia della sentenza e non tanto per pretesi effetti esecutivi che l’accertamento negativo del credito (fra l’altro non sempre presente nei casi di accoglimento) non può avere, ma piuttosto perché la soluzione è coerente con la struttura del procedimento monitorio, che, come si è detto, solo nell’imprescindibile fase di opposizione assicura le minime garanzie per giungere ad un accertamento.
La prevalenza della sentenza sul decreto è confermata dall’art. 653, co. 2, a termini del quale la sostituzione avviene anche in caso di accoglimento solo parziale dell’opposizione, tanto che il titolo esecutivo sarà rappresentato, da ora in poi, dalla sentenza di opposizione; mentre l’ultrattività degli atti esecutivi che siano già stati compiuti sulla base del decreto è strumento eccezionale, che va giustificato unicamente sulla base di un criterio di economia processuale.
A nulla possono valere, in contrario, pretese sospensioni di esecutività della sentenza di opposizione, sia perché la caducazione è immediata, sia perché la sentenza di mero accertamento, quale è la pronuncia di accoglimento dell’opposizione, non è soggetta ad inibitoria.
Coerenza vorrebbe che anche il rigetto dell’opposizione si sostituisse immediatamente al decreto, almeno se ed in quanto contenente l’accertamento del credito. Per contro, l’art. 653 sceglie una via diversa, accordando al decreto l’efficacia esecutiva di cui sia privo, non appena la sentenza di rigetto passi in giudicato o sia provvisoriamente esecutiva.
Ora, è del tutto ragionevole che la sentenza di rigetto nel merito dell’opposizione contenga l’accertamento positivo del credito, con conseguente condanna e sia dunque in grado di produrre effetti provvisoriamente esecutivi (Andrioli, V., op. cit., 100; diff. Valitutti A.-De Stefano, F., op. cit., 518).
L’ultrattività del decreto, però, contrasta con l’effetto prevalente ed “assorbente” della fase oppositiva sulla fase monitoria: tanto che una parte della dottrina propone una interpretazione adeguatrice, nel senso della sostituzione, o quanto meno dell’affiancamento dei due titoli esecutivi (Garbagnati, E., op. cit., 224; Mandrioli, C., Diritto processuale civile, XXI ed. a cura di A. Carratta, III, Torino, 2011, 44 ss.).
Volendo, invece, restare aderenti alla norma e ad un tempo tenere ferma la relazione di prevalenza fra fase monitoria e fase oppositiva, l’ultrattività del decreto va vista come un effetto eccezionale, che trova la sua spiegazione in due fattori di mera tecnica processuale: vale a dire, nella possibilità di mantenere fermi gli atti esecutivi già eventualmente compiuti e di far riferimento alla condanna monitoria, per il contenuto del titolo esecutivo, atteso che l’inversione tipica del procedimento oppositivo vede nella domanda attorea la deduzione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito (Ronco, A., op. cit., 478 aggiunge il fatto che il decreto non debba essere rinotificato come titolo esecutivo).
Detta regola, in quanto eccezionale, non può però valere al di là dell’ipotesi specificamente considerata.
Pertanto, in difformità con quanto stabilito dalle sezioni unite della Cassazione (Cass., S.U., 22.2.2010, n. 4071, che differenzia fra accoglimento e rigetto; Cass., 25.3.2003, n. 4378 e Cass., 11.5.2005, n. 9876 assumevano la definitiva cristallizzazione dell’efficacia esecutiva del decreto; diff. Cass., 15.5.2007, n. 11095), se il giudizio di opposizione, sfociato in una sentenza di rigetto nel merito, prosegua fino in cassazione e non venga riassunto nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., l’intero processo si estingue, ivi compreso il decreto ingiuntivo, per il quale non può ipotizzarsi alcuna definitiva esecutività, che sola può provenire dal passaggio in giudicato della sentenza di opposizione.
Diverso è il caso in cui il processo di opposizione sia dichiarato estinto – cui va probabilmente accostato il caso in cui in l’opposizione sia dichiarata inammissibile per nullità processuali. Può infatti ragionevolmente ipotizzarsi un effetto pari a quello dell’acquiescenza.
Fonti normative
Artt. 633-656 c.p.c.
Bibliografia essenziale
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