Procedimento. S.c.i.a.
Numerose sono state nell’anno le novità legislative e giurisprudenziali in materia. Il d.l. n. 70/2011 ha stabilito espressamente che anche in materia edilizia la d.i.a. è sostituita dalla s.c.i.a.; è poi intervenuta l’Adunanza plenaria, dopo che la sez. IV del Consiglio di Stato aveva rimesso al suo esame le questioni relative alla natura giuridica e al regime processuale applicabile all’istituto. L’Adunanza plenaria ha fatto propria la tesi della denuncia come atto privato e ha configurato in via del tutto originale a tutela del terzo un’azione di annullamento avverso il silenzio rigetto in ordine all’adozione di atti di natura inibitoria o repressiva, accompagnata da un’azione di adempimento, nonché, infine, un’atipica azione di accertamento autonomo in sede cautelare. Da ultimo il d.l. n. 138 ha precisato che la s.c.i.a. non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile, ma, smentendo l’Adunanza plenaria, ha altresì stabilito che il terzo può esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione.
L’art. 5 del d.l. 13.5.2011, n. 70 (c.d. decreto sviluppo), convertito, con modificazioni, con l. 12.7.2011, n. 106, dispone la «estensione della segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.)» agli «interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività (d.i.a.)». Fine espressamente dichiarato dell’intervento legislativo è «liberalizzare le costruzioni private» e per il raggiungimento di siffatto scopo sono state previste anche altre misure normative, come l’introduzione del silenzio assenso per il rilascio del permesso di costruire. La precisazione contenuta nel decreto sviluppo 2011 relativa alla sostituzione anche della d.i.a. edilizia con la s.c.i.a. interviene modificando non il t.u. dell’edilizia, bensì la l. n. 241/1990. Infatti l’art. 5, co. 2, del d.l. n. 70/2011 ha nuovamente mutato il testo dell’art. 19 della l. 7.8.1990, n. 241, dopo solo un anno di distanza dalle più recenti riscritture cui si è sopra accennato. La novella del 2011 precisa che le disposizioni di cui all’art. 19 della l. n. 241/1990 «si interpretano nel senso che» le stesse si applicano alle denunce d’inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. n. 380/2001. Essa poi introduce una disciplina nuova per la s.c.i.a. edilizia, dimezzando il termine ordinario di sessanta giorni, decorrenti dal ricevimento della segnalazione, per l’adozione di motivati provvedimenti amministrativi di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, in caso di carenza dei requisiti prescritti. Inoltre, il decreto aggiunge nuove esclusioni dal campo di applicazione della s.c.i.a. e cioè gli atti «previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche». Infine, esso provvede a incrementare ulteriormente le procedure telematiche in materia: la segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni, nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, «ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione».
1.1 L’Adunanza plenaria n. 15
Con l’ordinanza del 5.1.2011, n. 14 la Sez. IV del Consiglio di Stato ha deferito all’esame dell’Adunanza plenaria la questione relativa alla «qualificazione giuridica sostanziale» della d.i.a. (nel frattempo divenuta s.c.i.a.) e «il problema delle tecniche di tutela, dei risvolti processuali e dei rimedi giurisdizionali ai quali può ricorrere il terzo». L’Adunanza plenaria è intervenuta con la sentenza n. 15 del 29.7.2011 e anche se il giudizio concerneva una fattispecie anteriore alle ultime modifiche normative che hanno condotto all’introduzione della s.c.i.a., tuttavia, come ha osservato l’Adunanza stessa, «le problematiche affrontate e le relative soluzioni non possono non trovare fondamento in una ricostruzione degli istituti in questione di portata generale e quindi valevole anche per il futuro». La decisione ha fatto propria la tesi della denuncia come «atto soggettivamente e oggettivamente privato», stante la «sostituzione dei tradizionali modelli provvedimentali autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti fattuali e giuridici normativamente stabiliti». La decisione precisa che il denunciante è «titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge», a condizione che «ricorrano i presupposti normativi per l’esercizio dell’attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall’amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge». Più precisamente il soggetto denunciante è «titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall’ordinamento che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l’inoltro dell’informativa ». Il denunciante è anche titolare di un «interesse oppositivo» nei confronti del potere amministrativo inibitorio o di autotutela che incida negativamente «sull’agere licere oggetto della denuncia». Di contro, il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell’attività denunciata è titolare di un «interesse pretensivo» all’esercizio del potere di verifica previsto dalla legge. Quanto agli strumenti di tutela esperibili dal terzo pregiudicato dallo svolgimento dell’attività denunciata, l’Adunanza plenaria adotta una soluzione inedita e divergente da tutte le tesi finora emerse in giurisprudenza. Partendo dal presupposto in base al quale il termine per l’adozione di atti amministrativi inibitori e repressivi è perentorio, essa ritiene che l’inerzia dell’amministrazione una volta decorso il termine di legge produca l’effetto giuridico di precludere all’amministrazione stessa l’esercizio del potere inibitorio. La tutela del terzo è così affidata a un’azione impugnatoria avverso l’atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio, da proporre entro l’ordinario termine decadenziale, la quale potrà essere accompagnata da un’azione di condanna dell’amministrazione all’esercizio del potere inibitorio. Infine, l’Adunanza plenaria introduce innovativamente un’atipica «azione di accertamento autonomo» in via anticipata, allo scopo di soddisfare l’esigenza di piena tutela del terzo.
1.2 Il decreto n. 138 (cd. decreto anticrisi)
L’art. 6 del d.l. 13.8.2011, n. 138, cd. decreto anticrisi, articolo rubricato come Liberalizzazione in materia di segnalazione certificata di inizio attività, denuncia e dichiarazione di inizio attività. Ulteriori semplificazioni, convertito con modificazioni, con l. 14.9.2011, n. 148, detta ulteriori disposizioni in questa stratificata e controversa materia, riscrivendo nuovamente il testo dell’art. 19 della l. n. 241/1990. Alcune disposizioni in esso contenute hanno unicamente lo scopo di coordinare la versione originaria dell’art. 19 con le modifiche di recente apportate al testo stesso dal decreto sviluppo. Così al co. 4 dell’art. 19 si precisa che il termine per l’adozione dei provvedimenti amministrativi di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa è fissato sia al primo periodo del co. 3, sia – e qui sta la novità – al co. 6 bis, il quale, come si è sopra visto, per la s.c.i.a. in materia edilizia prevede un termine dimezzato, ossia di trenta giorni, rispetto a quello ordinario. Nella medesima logica di coordinamento tra testi normativi succedutisi nel tempo deve essere letta l’aggiunta fatta al dettato originario del co. 6 bis, per cui si ribadisce che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal t.u. sull’edilizia e dalle leggi regionali, fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui non solo al co. 6, ma anche al co. 4. Ben più dirompente il contenuto del nuovo comma, il 6 ter, inserito all’interno dell’art. 19. Esso torna ad affrontare la questione della natura giuridica dell’istituto e statuisce che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili», confermando così l’impostazione adottata meno di un mese prima dall’Adunanza plenaria in merito. Tuttavia, il co. 6 ter del decreto legge si discosta notevolmente dalla decisione n. 15 dell’Adunanza plenaria per quanto riguarda la disciplina processuale in materia. Esso stabilisce infatti che «gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104». Secondo il legislatore dunque vi è un unico strumento di tutela esperibile a vantaggio del terzo leso e cioè l’azione avverso il silenzio inadempimento.
Si è detto che l’art. 5 del d.l. n. 70/2011 dispone l’estensione della s.c.i.a. agli interventi edilizi precedentemente compiuti con d.i.a.; il chiarimento normativo sull’applicabilità della s.c.i.a. anche alla materia edilizia contenuto nel decreto sviluppo è stato reso necessario a causa dei contrasti generatisi in materia all’indomani della novella del 2010 che aveva riscritto il testo dell’art. 19 della l. n. 241/1990. L’art. 49, co. 4 bis, del d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito con l. 30.7.2010, n. 122, aveva sostituito la precedente «Dichiarazione di inizio attività » con la «Segnalazione certificata di inizio attività»; quest’ultima consente che l’attività oggetto della segnalazione sia iniziata fin da subito e cioè dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione, mentre il potere di controllo dell’amministrazione sulla sussistenza dei requisiti è posticipato rispetto all’inizio dei lavori e deve essere esercitato entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione. Nel silenzio del legislatore era però controverso se il nuovo istituto della s.c.i.a. fosse applicabile o meno anche alla materia edilizia, che, in virtù degli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380/2001, era soggetta a una specifica disciplina1. Se, da un lato, il Ministero della semplificazione normativa, con la sua nota del 16.9.2010, aveva parlato di un «meccanismo di sostituzione automatica della disciplina della s.c.i.a a quella della d.i.a., anche edilizia»2, dall’altro lato, la specialità delle previsioni del t.u. dell’edilizia in materia di d.i.a. erano tali da rendere discutibile l’estensione del regime accelerato della s.c.i.a. anche all’attività edificatoria3. Ora il legislatore ha espressamente chiarito che anche in materia edilizia è applicabile la s.c.i.a.; tuttavia, dal momento che la novella non si limita a stabilire che l’art. 19 si applica alle d.i.a. edilizie, ma afferma che l’art. 19 si interpreta nel senso che esso si applichi alle d.i.a. edilizie, si è di fronte ad una legge che si autodefinisce di interpretazione, con tutto ciò che ne consegue. In particolare, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la legge interpretativa è caratterizzata da vari elementi, tra cui l’immodificabilità del testo interpretato, la scelta di uno dei possibili significati, la coesistenza delle due norme, un carattere innovativo intrinseco, in quanto si eliminano tutti gli altri possibili significati diversi da quello scelto dal legislatore e, soprattutto, l’obbligatorietà erga omnes e la retroattività della norma interpretativa stessa4. Tuttavia nella legge interpretativa in esame viene poi irrazionalmente inserita anche una disciplina nuova: all’affermazione dell’integrale applicabilità della s.c.i.a. alla materia edilizia segue una peculiare, diversa normativa sempre in materia edilizia, per cui è dimezzato il termine ordinario di sessanta giorni, decorrenti dal ricevimento della segnalazione, per l’adozione di motivati provvedimenti amministrativi di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, in caso di carenza dei requisiti prescritti. Infine, si stabilisce espressamente che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal t.u. dell’edilizia e dalle leggi regionali, «fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 6», ai sensi del quale, ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la s.c.i.a., dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti richiesti, è punito con la reclusione da uno a tre anni (co. 6 bis dell’art. 19 della l. n. 241/1990, introdotto dall’art. 5, co. 2, lett. b, n. 2, del d.l. n. 70/2011). L’art. 5, co. 2, lett. c), del d.l. chiarisce poi che la sostituzione della disciplina della d.i.a. con la disciplina della s.c.i.a. non è integrale, allo scopo di salvaguardare la competenza legislativa regionale in materia di governo del territorio (art. 117, co. 3, Cost.): la disciplina della s.c.i.a. non si applica nei «casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire» (cd. super d.i.a.); né essa sostituisce «la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del d.p.r. n. 380 del 2001, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto» (cd. d.i.a. edilizia). Inoltre, «nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale»; ciò significa che la s.c.i.a. risulta applicabile anche nelle zone sottoposte a vincolo, a condizione che la segnalazione sia corredata dall’atto di assenso dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
2.1 La giurisdizione esistente in materia
Una delle questioni più importanti in materia di s.c.i.a. in generale riguarda l’individuazione del giudice avente competenza giurisdizionale in ordine alle controversie che coinvolgano un terzo leso dall’attività intrapresa a seguito della segnalazione. La sentenza n. 15 dell’Adunanza plenaria contiene a tal proposito delle affermazioni molto rilevanti, presumibilmente risolutive. Come è noto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. a), n. 3, c.p.a., sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di d.i.a. (ora s.c.i.a.). Tuttavia laddove sia un terzo ad adire le vie giurisdizionali per lamentare la lesione subita a causa dell’attività iniziata dal denunciante sorge il dubbio se la controversia debba essere sottoposta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o alla giurisdizione del giudice ordinario. Secondo l’Adunanza plenaria «l’iniziativa proposta … da parte del terzo mira a far valere l’interesse legittimo leso dal non corretto esercizio del potere amministrativo di verifica della conformità dell’attività dichiarata rispetto al paradigma normativo ». La controversia, pertanto, «non riguarda … un rapporto meramente privatistico, ossia il conflitto tra il denunciante che intenda svolgere l’oggetto della dichiarazione ed il terzo che lamenti l’indebita ingerenza nella sua sfera giuridica, ma si appunta su un rapporto amministrativo che ha come fulcro il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformità dell’attività dichiarata al paradigma normativo, con conseguente adozione della misura inibitoria in caso di esito negativo del riscontro». Di conseguenza il contenzioso ha come oggetto «l’esercizio di un potere pubblicistico finalizzato alla tutela di interessi pubblici», in coerenza con il disposto dell’art. 7, co. 1, c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle controversie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo. Ai fini dell’individuazione della competenza giurisdizionale esistente in materia molto importante risulta poi una precisazione contenuta nella decisione. Si afferma infatti che il terzo, anziché adire le vie giurisdizionali amministrative, avrebbe potuto anche contestare direttamente all’autore della dichiarazione la violazione delle norme civilistiche davanti al giudice ordinario. Ciò, a detta dell’Adunanza plenaria, risponde «al noto principio giurisprudenziale della doppia tutela», il quale «non esclude che egli possa avere invece interesse – legittimo in senso tecnico – a pretendere l’intervento repressivo dell’amministrazione in una più ampia e più efficace prospettiva di tutela degli interessi pubblici coinvolti».
2.2 La natura giuridica dell’istituto
Ma indubbiamente le due questioni più importanti in materia, tra loro strettamente connesse, concernono la qualificazione giuridica sostanziale dell’istituto e le tecniche di tutela a favore del terzo leso. Con riferimento al primo profilo, l’anno 2011 rappresenta una tappa fondamentale, dal momento che sia l’Adunanza plenaria, sia il legislatore si sono espressi sul punto e lo hanno fatto in maniera concorde tra loro. Anzitutto la sez. IV del Consiglio di Stato, allo scopo di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali ai sensi dell’art. 99 c.p.a., ha deferito all’esame dell’Adunanza plenaria le due menzionate questioni relative alla natura giuridica dell’istituto e agli strumenti di tutela, con un’ordinanza molto ben motivata (5.1.2011, n. 14, cit.). Secondo la tesi cd. provvedimentale il privato ottiene un titolo abilitativo consistente in un’autorizzazione implicita a seguito del decorso del termine dalla presentazione della denuncia. In base a quest’impostazione l’istituto sarebbe uno strumento non di liberalizzazione fondato sull’abilitazione legale all’esercizio di una determinata attività, bensì di semplificazione procedimentale, che permette al soggetto di ottenere, in virtù di un’informativa equi parabile ad una domanda, un titolo abilitativo co stituito da un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale che si perfeziona a seguito dell’infruttuoso decorso del termine previsto dalla legge per l’adozione del provvedimento di divieto5. Ma l’Adunanza plenaria ritiene che la tesi provvedimentale sia criticabile sotto molteplici profili. Anzitutto detta soluzione elimina ogni differenza sostanziale tra il silenzio assenso e l’istituto qui in esame, che sono invece diversi sia per ambito di applicazione sia per meccanismo di perfezionamento. Ad avviso dell’Adunanza plenaria, la lettura dell’istituto in termini di provvedimento tacito di assenso risulta a maggior ragione incompatibile con l’avvento del modello della d.i.a. a legittimazione immediata, oggi generalizzato con l’introduzione della s.c.i.a.: «salvo accedere alla complessa configurazione di un silenzio assenso con efficacia retroattiva o alla tesi, ancora più opinabile, secondo cui il silenzio assenso si perfezionerebbe prima del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, in tali casi il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l’inibizione di un’attività già intrapresa in un momento anteriore». Neppure il richiamo legislativo all’esercizio dei poteri di autotutela conduce ad accogliere la tesi provvedimentale dell’istituto, in quanto esso serve solo a chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che anche dopo il decorso di siffatto termine l’amministrazione conserva un potere residuale di autotutela di carattere discrezionale. L’Adunanza plenaria respinge parimenti la tesi, assai vicina a quella appena esposta, secondo cui sarebbe la denuncia a trasformarsi da atto privato in titolo idoneo ad abilitare sul piano formale lo svolgimento dell’attività. Secondo questa tesi vi sarebbe una «fattispecie a formazione progressiva» per effetto della quale, in presenza della denuncia presentata dal privato, del decorso del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio e del silenzio mantenuto dall’amministrazione in tale periodo di tempo, verrebbe a formarsi un «titolo costitutivo che non proviene dall’amministrazione, ma trae origine direttamente dalla legge». Anche tale tesi è incompatibile con l’assetto legislativo che rinviene il fondamento giuridico diretto dell’attività privata nella legge e non in un apposito titolo costitutivo. Dunque l’Adunanza plenaria aderisce alla tesi favorevole a ravvisare nella d.i.a. (ora s.c.i.a.) un «atto di parte o atto del privato», «atto soggettivamente e oggettivamente privato», stante la «sostituzione dei tradizionali modelli provvedimentali autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti fattuali e giuridici normativamente stabiliti»6. La fattispecie prevista all’art. 19 della l. n. 241/1990 non è uno strumento procedimentale semplificato finalizzato al rilascio di un pur sempre necessario titolo autorizzatorio, bensì un modulo di liberalizzazione dell’attività privata non più soggetta ad autorizzazione. Invero la liberalizzazione in questione presenta carattere solo parziale, è una «liberalizzazione temperata»: «il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività denunciata». Si parla così di «attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo », anche se detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio, bensì un controllo «da esercitarsi entro un termine perentorio con l’attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento» volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività dichiarata. Ma una volta che sia decorso siffatto termine, «il potere vincolato di controllo con esito inibitorio … si consuma» per ragioni di certezza dei rapporti giuridici, venendo in rilievo il solo potere discrezionale di autotutela. La decisione precisa che il denunciante è «titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge», a condizione che «ricorrano i presupposti normativi per l’esercizio dell’attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall’amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge». Più precisamente il soggetto denunciante è «titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall’ordinamento che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l’inoltro dell’informativa ». Non si parla espressamente di diritto soggettivo in capo al denunciante, ma la sostanza del ragionamento svolto si avvicina molto alle tesi dottrinali favorevoli a riconoscere al cittadino che esercita l’attività segnalata la titolarità di un diritto soggettivo7. Il denunciante risulta altresì titolare di un «interesse oppositivo» nei confronti del potere amministrativo inibitorio o di autotutela che incida negativamente «sull’agere licere oggetto della denuncia ». Di contro, il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell’attività denunciata è titolare di un «interesse pretensivo» all’esercizio del potere di verifica previsto dalla legge8. Detto questo della sentenza n. 15, è possibile affermare che nell’anno 2011 il riconoscimento della denuncia come atto soggettivamente e oggettivamente privato sia un dato ormai pacifico e acquisito. Infatti dopo la netta presa di posizione dell’Adunanza plenaria è intervenuto in senso sostanzialmente analogo il legislatore con il d.l. 13.8.2011, n. 138, il cd. decreto anticrisi. L’art. 6 del decreto legge, articolo rubricato come Liberalizzazione in materia di segnalazione certificata di inizio attività, denuncia e dichiarazione di inizio attività. Ulteriori semplificazioni, è contenuto all’interno del titolo II (Liberalizzazioni, privatizzazioni e altre misure per favorire lo sviluppo). Esso inserisce un nuovo comma, il 6 ter, all’interno dell’art. 19, ai sensi del quale «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Si ribadisce quindi anche in via normativa la tesi espressa meno di un mese prima dall’Adunanza plenaria in ordine alla natura giuridica dell’istituto, atto privato presentato a una pubblica amministrazione e non provvedimento amministrativo tacito.
2.3 Gli strumenti di tutela giurisdizionale a favore del terzo leso
L’anno in corso, pur avendo posto fine al dibattito sulla natura, ormai pacificamente privata, della segnalazione di inizio attività, ha tuttavia reso ancora più controversa la questione relativa agli strumenti di tutela giurisdizionale esperibili dal terzo. Si registra infatti un aspro dibattito sul punto, che vede contrapposti, da un lato, l’Adunanza plenaria, dall’altro, il legislatore. Si è sopra sottolineato come il tema della tutela processuale del terzo leso sia strettamente legato a quello della natura giuridica dell’istituto. L’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria precisa infatti che se si aderisce alla tesi provvedimentale i terzi che si assumano lesi sono legittimati a gravarsi nelle forme dell’ordinario «giudizio di impugnazione avverso il titolo» che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura come fattispecie provvedimentale a formazione implicita. In particolare, l’impugnativa sarebbe tesa all’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo implicito, venendosi ad assimilare tale fattispecie all’atto espresso, quale il permesso di costruire, o al silenzio assenso, con termine decorrente dal completamento della fattispecie o dalla sua conoscenza, con una pronuncia di tipo demolitorio sul modello dell’art. 29 del c.p.a.9. Invece, tradizionalmente e come sempre ben sintetizza l’ordinanza della sez. IV, la tesi della natura privata dell’istituto si biforca al suo interno e riconosce al terzo che intende opporsi all’intervento vuoi un’azione avverso il silenzio-inadempimento, vuoi un’azione di accertamento autonomo (negativo). Secondo il primo orientamento il terzo, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, dovrà «presentare istanza formale e eventualmente impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione o agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio-rifiuto)», sul modello del rimedio attualmente previsto dall’art. 31 del codice di rito. Per il secondo orientamento il terzo esperirà davanti al giudice amministrativo un’azione di accertamento autonomo «per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività». Emanata la sentenza di accertamento, «graverà sull’amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti»; l’azione ha dunque «effetti che trovano nel momento conformativo il potere e il dovere (da parte dell’amministrazione) di rimuovere gli effetti eventualmente verificatisi»10. Ma l’Adunanza plenaria con la sentenza del luglio 2011 adotta una soluzione inedita e divergente da tutte le tesi finora emerse in giurisprudenza per quanto riguarda la tutela giurisdizionale che l’ordinamento offre al soggetto terzo. A detta dell’Adunanza plenaria la tesi favorevole all’applicabilità in materia dell’azione avverso il silenzio inadempimento è criticabile perché l’applicazione del rito del silenzio all’omesso esercizio del potere inibitorio sarebbe resa problematica dal fatto che il silenzio inadempimento postula la sopravvivenza del potere decorso il termine per la definizione del procedimento amministrativo, mentre nel caso di specie «lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere in esame». Il decorso del tempo «produce un esito negativo della procedura, sotto il profilo della definitiva preclusione dell’esercizio del potere inibitorio». In secondo luogo, come l’onere di presentare, prima di agire in giudizio, un’apposita istanza sollecitatoria all’amministrazione, determinando «una procrastinazione del momento dell’accesso alla tutela giurisdizionale», si traduce in una violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost. L’Adunanza plenaria passa dunque a esporre la sua tesi innovativa, che in buona parte è debitrice di un recente e originale contributo dottrinale11. Secondo questa tesi dottrinale l’inerzia dell’amministrazione protratta oltre il sessantesimo giorno previsto per legge sarebbe «rappresentativa dell’esito negativo del procedimento diretto all’adozione dei provvedimenti restrittivi », rivestendo il significato di rifiuto o di diniego: «è come se l’Amministrazione desse atto che non sussistono i presupposti per disporre i motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi»12. Quanto alla tutela giurisdizionale, «trattandosi di silenzio-diniego, varrà anzitutto l’azione impugnatoria », la quale presenta «il vantaggio di un celere consolidamento della fattispecie», accompagnata eventualmente dall’azione di condanna all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, contemplata dall’art. 34, co. 1, lett. c), c.p.a.13. Questa tesi dottrinale ha profondamente influenzato la sentenza n. 15 dell’Adunanza plenaria, che si discosta da essa solo per alcune variazioni intese a incrementare ulteriormente la tutela del terzo. Partendo dal presupposto in base al quale il termine per l’adozione di atti amministrativi inibitori e repressivi è perentorio, l’inerzia dell’amministrazione verrebbe a produrre «l’effetto giuridico di precludere all’amministrazione l’esercizio del potere inibitorio a seguito dell’infruttuoso decorso del termine perentorio». Di conseguenza, si avrebbe un «silenzio significativo negativo» che «integra l’esercizio del potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio ». «Venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarà affidata primariamente all’esperimento di un’azione impugnatoria … da proporre nell’ordinario termine decadenziale», che decorre dal momento della piena conoscenza dell’atto lesivo. L’azione di annullamento potrà poi essere accompagnata da un’azione di condanna dell’amministrazione all’esercizio del potere inibitorio, sulla falsariga di quanto già precisato dalla stessa Adunanza plenaria con la sua sentenza del 23.3.2011, n. 3, redatta dal medesimo estensore della decisione qui in esame. Aderendo alla ricostruzione offerta dal richiamato precedente, la decisione n. 15 conclude nel senso che il terzo è legittimato all’esercizio, a completamento e integrazione dell’azione di annullamento del silenzio significativo negativo, della «azione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento)», volta a ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio, in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Infine, nell’affrontare la questione relativa ai possibili spazi di accesso alla tutela giurisdizionale per il terzo che subisca una lesione prima che sia scaduto il termine perentorio fissato dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio, l’Adunanza plenaria, allo scopo di fornire «una piena protezione dell’interesse legittimo», introduce innovativamente una atipica «azione di accertamento autonomo» «tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’autorità amministrativa». La sentenza si fa carico del problema della compatibilità di tale azione di accertamento con il limite fissato dal co. 2 dell’art. 34 c.p.a., ai sensi del quale il giudice in nessun caso può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Distinguendo tra presupposti processuali (requisiti necessari ai fini dell’instaurazione del rapporto processuale), i quali devono esistere fin dal momento della domanda, e condizioni dell’azione (requisiti della domanda che condizionano la decisione della controversia nel merito), che devono esistere al momento della decisione, l’Adunanza plenaria afferma che la scadenza del termine di conclusione del procedimento è «un fatto costitutivo integrante una condizione dell’azione». Di conseguenza, «l’assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l’esperimento dell’azione giudiziaria anche se impedisce l’adozione di una sentenza di merito». Per ragioni di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale sono adottabili anche misure cautelari del tutto particolari identificabili con una sorta di azione di accertamento in via anticipata: «la proposizione della domanda ante causam può essere idonea a soddisfare l’esigenza di piena tutela del terzo anche senza la proposizione dell’azione di accertamento laddove i termini di legge entro i quali la misura provvisoria conserva i suoi effetti prima dell’introduzione del giudizio di merito relativo al silenzio provvedimentale siano in concreto compatibili con la preservazione delle ragioni interinali del terzo». Una volta scaduto il termine per l’esercizio del potere amministrativo di tipo inibitorio, si configurerà la condizione dell’azione prima mancante, venendosi così a rimuovere l’ostacolo alla definizione del giudizio individuato dal sopra menzionato co. 2 dell’art. 34. Se nel caso di adozione di un provvedimento di divieto si avrà la cessazione della materia del contendere, stante la piena soddisfazione della pretesa del terzo, nel caso di silenzio l’azione di accertamento si convertirà automaticamente in azione d’impugnazione del silenzio provvedimentale, infine, nel caso in cui l’amministrazione emetta un atto espresso che evidenzi le ragioni della mancata adozione della determinazione inibitoria, sorgerà l’onere di proposizione di motivi aggiunti, pena l’improcedibilità del ricorso già presentato. L’articolata sentenza dell’Adunanza plenaria ha già suscitato ampio dibattito in dottrina14, tuttavia neanche un mese dopo la sua pubblicazione è intervenuto di nuovo il legislatore, sconfessando apertamente e chiaramente la tesi giurisprudenziale. Se la consonanza tra legislatore e giurisprudenza è evidente per quanto riguarda la questione relativa alla natura giuridica dell’istituto, non altrettanto può dirsi con riferimento all’individuazione degli strumenti di tutela giurisdizionale a favore del terzo leso, dove le posizioni di Governo e Adunanza plenaria sono agli antipodi. L’art. 6 del d.l. 13.8.2011, n. 138, cd. decreto anticrisi, dopo avere precisato che la segnalazione non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile15, prosegue stabilendo che «gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104». Anzi, il maxiemendamento governativo ha voluto aggiungere al testo la parola «esclusivamente», a sottolineare che vi è un unico strumento di tutela esperibile in materia e cioè l’azione avverso il silenzio inadempimento. Il legislatore accoglie così uno dei più risalenti orientamenti giurisprudenziali, che riconosce la legittimazione del privato a sollecitare l’esercizio dei poteri di vigilanza e a ricorrere contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza. La tutela giurisdizionale si concentra dunque nell’azione avverso il silenzio inadempimento, proprio quell’azione che l’Adunanza plenaria aveva espressamente ritenuto «non ineccepibile» dal punto di vista dogmatico, né idonea a offrire al terzo una tutela giurisdizionale piena, immediata ed efficace. Viene così sconfessata la tesi dell’Adunanza plenaria sull’utilizzo di un’azione di annullamento avverso l’atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio e di un’azione di accertamento atipico che consente la richiesta di misure cautelari immediate.
Nonostante nel corso del 2011 ben due siano stati gli interventi normativi in materia di s.c.i.a. molti rimangono i problemi irrisolti e ad essi nuovi se ne aggiungono. In sintesi essi attengono, da un lato, ai sempre controversi rapporti tra disciplina statale dettata dall’art. 19 l. n. 241/1990 e le varie discipline regionali in materia edilizia, che il decreto sviluppo non ha provveduto a chiarire, dall’altro, alla tutela giurisdizionale del terzo leso dall’attività intrapresa a seguito di segnalazione, sulla quale il decreto anticrisi interviene, ma in maniera ermetica e lacunosa.
3.1 Rapporti tra disciplina statale e discipline regionali in materia edilizia
Si è detto che il primo decreto legge non ha chiarito i rapporti tra la disciplina statale in materia di s.c.i.a. e le previgenti discipline regionali. Il legislatore del decreto n. 70/2011, nel sancire l’applicabilità della s.c.i.a. anche alla materia edilizia, non ha però affrontato i problemi di coordinamento con la speciale normativa regionale. L’art. 5, co. 2, lett. c), del decreto legge si limita a fare salve le disposizioni regionali che abbiano ampliato l’ambito di operatività della preesistente d.i.a., allo scopo di salvaguardare la competenza legislativa regionale in materia di governo del territorio (art. 117, co. 3, Cost.): la disciplina della s.c.i.a. non si applica nei «casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire » (cd. super d.i.a.); né essa sostituisce «la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, co. 4, del d.P.R. n. 380/2001, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, co. 3, del medesimo decreto» (cd. d.i.a. edilizia). Si lasciano così coesistere discipline molto diverse tra loro ed eventualmente confliggenti. Ci si domanda quindi quale sia la disciplina da applicare, se solo quella speciale oppure un insieme tra disciplina speciale e disciplina generale16. Inoltre, con l’introduzione della s.c.i.a. edilizia permangono e forse si accentuano le incertezze in ordine all’individuazione del campo di applicazione dei diversi strumenti edificatori previsti dal- l’ordinamento, che ora spaziano dalla comunicazione di inizio lavori semplice alla comunicazione asseverata al Comune, dalla s.ci.a. alla d.i.a. regionale, dalla super d.i.a. al permesso di costruire con silenzio-assenso per arrivare al permesso di costruire in area vincolata17.
3.2 Incertezze in merito alla tutela giurisdizionale del terzo leso
Anche il secondo decreto legge lascia aperti alcuni interrogativi interpretativi. La nuova disposizione è destinata ad alimentare nuovamente il dibattito in materia, sia perché dalla sua lettura non emerge in maniera sufficientemente chiara e quindi incontestabile la disciplina processuale in materia, sia perché lo strumento di tutela configurato aveva già in passato mostrato i suoi limiti18. Va sicuramente salutato con favore il fatto che il legislatore abbia provveduto a precisare quale sia l’azione esperibile dal terzo leso, ma la normativa risulta eccessivamente laconica e segna anche un arretramento della tutela rispetto ai risultati ottenuti in via giurisprudenziale, specie ma non solo ad opera dell’Adunanza plenaria19. Anzitutto, non è chiaro a partire da quale momento sia proponibile l’istanza da parte del terzo, che oltretutto spesso non ha conoscenza immediata dell’attività lesiva. A ciò si collega il dubbio su cosa s’intenda con «esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione » e in particolare se tali verifiche siano comprensive anche dei poteri di autotutela, che, però, sono connotate da discrezionalità20. Anzi si è affermato che il nuovo intervento normativo lascia del tutto irrisolto il profilo dell’autotutela21. Pare poi un arretramento della tutela il fatto che gli interessati siano tenuti a sollecitare l’esercizio dei poteri amministrativi al fine di potere esperire l’azione avverso il silenzio, mentre in via generale, ai sensi dell’art. 117, co. 1, c.p.a., il ricorso avverso il silenzio è proposto «anche senza previa diffida»; inoltre nel periodo anteriore alla scadenza dei termini per l’esercizio del potere amministrativo pare che il terzo non disponga di alcun tipo di tutela giurisdizionale, a differenza di quanto aveva prefigurato l’Adunanza plenaria con la sua atipica e anticipata azione di accertamento. Infine, se si tiene presente che nel caso di silenzio inadempimento non vi è un termine decadenziale breve come invece nell’ipotesi di azione di annullamento, anche il soggetto che ha fatto la segnalazione vede diminuire la sua tutela, visto che rischia di protrarsi nel tempo una situazione di incertezza.
1 Lamberti, Nell’edilizia vige ancora la DIA?, in Urb. app., 2010, 1253 ss.
2 Nota di chiarimenti del Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero per la semplificazione normativa prot. 0001340 P del 16.9.2010, indirizzata alla Regione Lombardia, in www.lexitalia.it.
3 Nicodemo, Natura della Scia e sua applicazione nell’edilizia. Aspettando la Plenaria, in www.giustamm. it.
4 Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano, 2003.
5 Per questa tesi cfr. Cons. St., sez. IV, 13.1.2010, n. 72, in Foro amm.-Cons. St., 2010, 1.
6 In tal senso cfr. Cons. St., sez. V, 22.2.2007, n. 848, in Riv. giur. ed., 2007, 1037; Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717; Cons. St., 15.4.2010, n. 2139, in Dir. giust., 2010; Cons. St., sez. IV, 13.5.2010, n. 2919, in Foro amm. - Cons.St., 2010, 5, 1011.
7 In tal senso Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, 1996; Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo, Padova, 2001, ma ancor prima De Roberto, Silenzio-assenso e legittimazione ex lege nella legge Nicolazzi, in Dir.soc., 1983, 163 ss.
8 Anche se, come ha sottolineato Ferrari, Dall’inerzia nel provvedere all’inerzia nel vigilare, in Parisio (a cura di), Silenzio e procedimento amministrativo in Europa: una comparazione tra diverse esperienze, Milano, 2006, 99 ss., la situazione giuridica è tutelata in relazione ad un’attività che per molti aspetti risulta essere rivolta all’obiettiva garanzia dell’osservanza dell’ordinamento.
9 Cfr. Cons. St., sez. IV, 13.1.2010, n. 72, cit.
10 Per questa tesi cfr. Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717, cit.
11Greco, La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza Plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Dir.proc.amm., 2011, 359 ss.
12 Greco, La SCIA, cit., 370-371.
13 Greco, La SCIA, cit., 376-377.
14 Cfr. Sandulli, Brevi considerazioni a prima lettura della Adunanza Plenaria n. 15 del 2011; Longobardi- Giulietti, SCIA: un ventaglio di azioni si apre a tutelare il terzo. Osservazioni alla sentenza n. 15 del 2011 dell’Adunanza Plenaria, tutti in www.giustamm.it.
15 Cfr. supra, paragrafo precedente.
16 Cfr. già, con riferimento all’art. 49 della l. n. 122/2010, Mattarella, La scia, ovvero dell’ostinazione del legislatore pigro, in Giorn.dir.amm., 2010, 1328 ss.
17 Napolitano, La S.C.I.A. in materia edilizia: riflessioni in seguito alla conversione in legge del «decreto sviluppo», in giustamm.it.
18 Per queste critiche cfr. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008, 237 ss.
19 Si allude qui alla tesi espressa da Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717, cit.
20 Cfr. Botteon, La scia dopo il d.l. 13 agosto 2011, n. 138: il legislatore contro l’Adunanza Plenaria in tema di tutela del terzo, in www.lexitalia.it.
21 Così Sandulli, Brevi considerazioni, cit.