Abstract
Il procedimento rappresenta il naturale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell'autorità. Il fatto che l'azione impositiva sia tendenzialmente vincolata non sminuisce la rilevanza del procedimento. È necessario tener conto del mutato quadro normativo e teorico a seguito della novella alla l. 7.8.1990, n. 241, del depotenziamento dei vizi procedimentali e formali, dell’affermarsi dell’amministrazione di risultato. Ma ciò non comporta affatto una svalutazione del procedimento: se è vero che è recessivo il garantismo procedimentale, è innegabile che emergono i qualificanti valori dell’economicità, dell’efficacia, della trasparenza, ecc. Del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione gestoria.
L’agire dell’Amministrazione Finanziaria (e delle varie Agenzie fiscali che ad essa fanno capo) (così come in generale l’agire di tutte le pubbliche amministrazioni ( si articola in atti ed attività (per lo più) di natura pubblicistica, diretti al perseguimento di un fine pubblico (l’attuazione del prelievo tributario), ed è certamente riconducibile all’azione amministrativa ed al procedimento amministrativo.
Nello stato di diritto il procedimento è il naturale alveo per l’adozione di qualsiasi decisione amministrativa e dunque per l’esercizio di qualsiasi funzione pubblica (Sandulli, A., Procedimento amministrativo, in Diz. dir. pubbl. Cassese, V, Milano, 2006, 4510).
Tuttavia in materia tributaria la dottrina e la giurisprudenza risultano spesso condizionate da logiche “particolaristiche” e da approcci settoriali, per cui si tende a svalutare il riferimento dell’azione impositiva all’azione amministrativa e del procedimento tributario al procedimento amministrativo.
Nei risalenti dibattiti dogmatici che hanno lungamente caratterizzato la materia, sia le teorie dichiarativiste (che ricollegano la nascita dell'obbligazione tributaria al verificarsi del presupposto dell'imposta), sia quelle costitutiviste (che la ricollegano ad un successivo atto di imposizione dell’ A.F.), hanno inquadrato nello schema procedimentale lo svolgersi, rispettivamente, del rapporto di imposta o dell'esercizio del potere di imposizione; tale schema è stato ritenuto idoneo a ricomprendere attività ed atti, anche di carattere strumentale, tanto dell’A.F. quanto del contribuente o di terzi, necessari o meno, previsti dalle norme che disciplinano i diversi tributi (Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, 38 ss.). Il riferimento al procedimento è quindi diffuso, ma le accezioni e le opzioni dogmatiche sono molto differenziate.
Certo è che l'evoluzione della legislazione tributaria, maturata sulla base della riforma dei primi anni settanta, ha comportato l’abbandono del tentativo di ricostruire l'attività dell'A.F. secondo un unico modello procedimentale e di subordinare, in ogni caso, allo svolgimento del procedimento impositivo la nascita dell'obbligazione tributaria (Micheli, G.A., Considerazioni sul procedimento tributario d'accertamento nelle nuove leggi di imposta, in Riv. dir. fin., 1974, I, 620 ss.).
Le teorie costitutive attraversano quindi una fase critica, segnata: dalla sempre maggiore articolazione delle diverse modalità di attuazione dei tributi; dalla marcata connotazione dell'attività dell'A.F. come controllo degli adempimenti del contribuente; dalla centralità delle molteplici e variegate situazioni soggettive del contribuente e dell’A.F., che si articolano in modalità difficilmente riconducibili allo schema del procedimento, sempre più incentrate sul sistema dell’autoliquidazione in base a dichiarazione (Basciu, A. F., Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 7). In tale prospettiva il procedimento è stato spesso depotenziato e ridotto a valenza descrittiva di un'attività dell’A.F. meramente eventuale; la nozione di procedimento tributario è risultata talmente sfumata da risultare inutile, o comunque atecnica, ovvero estranea alle categorie del diritto amministrativo (Russo, P., Manuale di diritto tributario, Milano 2002, 123 ss.; La Rosa, S., Il giusto procedimento tributario, in Giur. imp., 2004, 763).
Comunque a partire dagli anni novanta la contrapposizione tra teorie dichiarativiste e teorie costitutiviste si è andata attenuando; oggi il problema centrale della materia tributaria non è più quello della fonte dell’obbligazione tributaria, e della natura dichiarativa o costitutiva degli atti impositivi, quanto piuttosto quello dell’equilibrio tra autoritatività dell’azione impositiva e pariteticità del rapporto obbligatorio.
In tale ottica non può essere sottovalutato il fatto che il ricorso alla nozione di procedimento ha permesso di evidenziare, accanto alle situazioni soggettive del contribuente e dell'A.F. direttamente collegate all'attuazione del prelievo, numerose altre situazioni di carattere strumentale, che si attuano in procedimenti collegati, consentendo altresì di dare a tali situazioni il giusto risalto ed una organica collocazione (Salvini, L., Procedimento amministrativo (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. Cassese, cit., V, 4532-4533).
In base all’emanazione della legge generale sul procedimento amministrativo, 7.8.1990, n. 241, l’attenzione per i profili procedimentali dell’attuazione del tributo ha trovato nuovi spunti (Selicato, P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, 2001, 269 ss.), ma la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno continuato a svalutare il procedimento tributario (Perrone, L., Riflessioni sul procedimento tributario, in Rass. trib., 2009, 52 ss.; Id., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, ibidem, 2011, I, 563; Comelli, A., Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova 2012, 58 ss,), basandosi su asserite peculiarità delle procedure tributarie, tali da distaccarle dal modello del procedimento amministrativo.
Negli ultimi anni si è aperta una nuova fase, che ha posto le basi per la rivisitazione dell’azione impositiva: - nel 2000 lo Statuto dei diritti del contribuente (l. 27.7.2000, n. 212) è stato emanato espressamente in attuazione, non solo degli art. 23 e 53, ma, anche degli artt. 3 e 97 Cost., e quindi in una prospettiva che rafforza la connotazione amministrativistica dell’azione impositiva; - la l. n. 241/1990 è stata significativamente modificata dalla novella 11.2.2005, n. 15, e trasformata in una legge generale sull’azione ammnistrativa; - la recente valorizzazione dei profili consensualistici nel rapporto Fisco - contribuenti, è risultata pressoché contestuale alla analoga vicenda dei rapporti fra pubblica amministrazione e cittadini, ed è stata riassorbita nella logica dell’azione amministrativa, piuttosto che subire derive paracivilistiche; - i principi del diritto comunitario hanno influenzato indistintamente e costantemente l’azione amministrativa e l’azione impositiva, rafforzandone l’osmosi (del Federico, L., Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano 2010, 220 ss).
Su tali basi è ormai ineludibile ricondurre l’azione impositiva all’azione amministrativa, e poi concepire unitariamente l’agire funzionalizzato della pubblica amministrazione, si realizzi esso mediante provvedimenti autoritativi, discrezionali o vincolati che siano, ovvero mediante atti consensuali, pur con tutte la peculiarità della funzione impositiva. L’A.F deve attenersi sempre al principio di legalità ed orientare la propria azione secondo i canoni di imparzialità e buon andamento, così da garantire, in ogni caso, la finalizzazione dei propri atti alla cura dell’interesse fiscale ex art. 53 Cost. («sul piano normativo generale si deve tener presente che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è forma della funzione», cui è riconducibile anche l’accertamento tributario ( così Cass., sez. trib., 23.1.2006, n. 1236, in Dir. prat. trib., 2006, II, 731). Ciononostante è ancora molto diffuso l’orientamento che, partendo dalla innegabile assenza di discrezionalità nel procedimento tributario di accertamento per quanto concerne la determinazione del tributo, sovraespone la natura vincolata della funzione impositiva, anche a scapito di quei significativi margini di discrezionalità rinvenibili in alcuni peculiari segmenti dell’azione impositiva (si pensi alla scelta del contribuente da sottoporre a controllo e poi alle modalità dell’istruttoria, allo scambio di informazioni fra autorità fiscali, all’accertamento con adesione, alla mediazione-reclamo, alle rateizzazioni, alle misure cautelari ed ai variegati accordi in tema di riscossione, all’annullamento in sede di autotutela, ecc.). L’assenza di discrezionalità giustificherebbe una netta differenziazione tra procedure tributarie e procedimento amministrativo, rendendo inapplicabili alla materia tributaria la l. n. 241/1990 (Perrone, L., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, cit., 569 ss.).
Comunque la tesi che riconduce il procedimento tributario al procedimento amministrativo, e che riconosce la natura provvedimentale dell’accertamento tributario, del provvedimento sanzionatorio, del ruolo e degli altri atti impositivi è assolutamente prevalente (v. per tutti Fantozzi, A., Il diritto tributario, Torino, 2003, 358 ss., il quale evidenzia come sia ormai «sterile insistere sull’improprietà della nozione di “procedimento d’imposizione”, affermando l’assenza di un necessario provvedimento finale», argomentando sotto diversi profili sull’opportunità di utilizzare le nozioni di procedimento e di provvedimento).
La l. n. 15/2005 ha introdotto molteplici innovazioni, con notevoli ricadute sull’azione impositiva e sul procedimento tributario; la legge generale sull’azione amministrativa si pone ormai come pilastro di tutta l’attività delle pubbliche amministrazioni, ed anche dell’attività amministrativa in materia tributaria.
Sul piano sistematico assume particolare interesse il rafforzamento dei principi generali di cui all’art. 1, co. 1. Tale norma, certamente applicabile alla materia tributaria, attribuisce fondamentale rilievo ai principi di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza, nonché ai principi dell’ordinamento comunitario. Infatti risulta estremamente significativa la previsione del passante legislativo che consente l’ingresso nel nostro ordinamento di tutti i principi dell’ordinamento comunitario, e quindi per es. anche del principio di proporzionalità, nonché di quel principio del contraddittorio, ampiamente recepito, sin dal 1990, nel Capo III della legge, ma oggi rilevante per l’intera azione amministrativa anche a prescindere dagli artt. 7-12 di cui al cit. Capo III. Pertanto per la materia tributaria, ferma l’inapplicabilità delle specifiche disposizioni del Capo III sulla “partecipazione al procedimento amministrativo”, dovrà comunque essere osservato anche il principio del contraddittorio, sia pure senza i formalismi e le minuziose disposizioni legislative degli artt. 7-12 (v. infra, §§ 4 e 7).
Ai nostri fini presenta poi grande interesse la codificazione dei vizi dell’atto amministrativo e il depotenziamento dei vizi procedimentali e formali.
Il depotenziamento dei vizi formali e la conseguenziale valorizzazione dell’amministrazione di risultato, risultano condivisibili per i procedimenti ed i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, nonché per quelli di governo del territorio, di gestione dei servizi pubblici, ecc., ma suscitano perplessità per quanto riguarda i procedimenti ed i provvedimenti direttamente limitativi della sfera giuridica dei privati. Il passaggio dall’amministrazione come mera esecuzione della legge, all’amministrazione di risultato, convince laddove l’amministrato esprime un interesse pretensivo, allarma laddove l’amministrato esprime un interesse oppositivo.
Sintomatica è la situazione che si verifica nella materia tributaria in cui mancano i controinteressati ed i contribuenti esprimono interessi oppositivi (salvo che in tema di rimborso, di esenzioni ed agevolazioni, ecc.).
Tuttavia proprio laddove sono più forti e caratterizzanti le connotazioni autoritative, la portata limitativa dei provvedimenti, gli effetti di decurtazione patrimoniale e la natura oppositiva degli interessi, assume un fondamentale ruolo di riequilibrio lo Statuto dei diritti del contribuente, quale secondo pilastro dell’azione impositiva e baluardo garantistico.
In merito è stato convincentemente evidenziato che «ad alcuni dei principi generali dell’azione amministrativa, codificati nella L. n. 241/1990, potrebbero… opporre resistenza i principi statutari, se difformi, alla stregua di un singolare rapporto di specialità tra normative entrambe di carattere generale, delle quali una ha però una valenza (con i relativi limiti, ma anche con la connessa capacità di resistenza) di regolazione settoriale» (così Basilavecchia, M., La nullità degli atti impositivi. Considerazioni sul principio di legalità e funzione impositiva, in Riv. dir. fin., 2006, I, 357-358; per analoghe considerazioni v: Marongiu, G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2008, 202; Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009, 222; Piantavigna, P., Osservazioni sul “procedimento tributario” dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo, in Riv. dir. fin., 2007, I, 88-89; degna di particolare attenzione risulta la diffusa tesi, elaborata ed argomentata da Perrone, L., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, cit., 569 ss., secondo cui ormai lo Statuto avrebbe superato alla radice ogni esigenza e plausibile margine per l’ipotetica applicabilità in materia tributaria della l. n. 241/1990).
Il Legislatore ha ritenuto di dover individuare una griglia di norme e principi posti specificamente a garanzia del contribuente, il quale evidentemente per la peculiare connotazione marcatamente autoritativa ed ablatoria della potestà impositiva, meritava un apposito “statuto” rafforzativo ed ampliativo del normale quadro garantisco assicurato all’amministrato dalla l. n. 241/1990.
Le norme ed i principi posti dallo Statuto si configurano quindi come parte qualificante delle garanzie fondamentali del contribuente (si configura una superiorità assiologia dei principi statutari, cui fa capo la loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete (su tale approccio v. per tutti Marongiu, G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, cit., 54 ss.).
Tali garanzie non possono essere del tutto svuotate per via indiretta, mediante il depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ex art. 21 octies, co. 2, della novellata l. n. 241/1990. Risulterebbe arbitrario ed irragionevole stravolgere le fondamentali garanzie specificamente poste dallo Statuto in ragione di una norma che attiene al generale regime delle garanzie dell’amministrato (se è vero che il contribuente necessitava di un apposito Statuto).
Certo l’applicabilità della regola generale del depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma non può essere in assoluto esclusa in materia tributaria, giacché l’azione impositiva appartiene al genus dell’azione amministrativa, ma la sua operatività può e deve essere esclusa a fronte della violazione delle specifiche norme statutarie, che in quanto norme fondamentali di garanzia non possono essere riduttivamente considerate mere norme sul procedimento o sulla forma degli atti, svilite nella logica delle irregolarità non invalidanti. Resta fermo che il depotenziamento delle violazioni ex art. 21 octies, potrà operare, con tutti i suoi normali limiti, ed alle condizioni previste, a fronte delle semplici norme procedimentali o formali disseminate nella legislazione tributaria, laddove non risultino rafforzate dal baluardo statutario.
La novella della l. n. 241/1990 ha delineato un nuovo assetto: alla logica efficientista dell’amministrazione di risultato al depotenziamento dei vizi formali fa da pendant la valorizzazione e la “codificazione” della nullità, intesa in senso stretto (per le violazioni più gravi si supera la teoria dell’equiparazione dell’atto illegittimo all’atto legittimo sul piano degli effetti). Resta normalmente annullabile il provvedimento adottato in violazione di legge, o viziato da eccesso di potere o da incompetenza (art. 21 octies, co. 1). Viceversa, ed è questa la novità più significativa, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti «qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (art. 21 octies, co. 2).
Posto che si tratta di un nuovo Capo IV bis della l. n. 241/1990, si propende per l’applicabilità, non solo in ragione della invariata formulazione letterale dell’art. 13, ma anche per la mancanza di un’apposita disciplina tributaria e la sostanziale compatibilità tra tale nuova tipologia dei vizi e l’esperienza legislativa tributaria, in cui frequentemente si rinvengono espresse previsioni di nullità.
Si ritiene quindi che la l. n. 241/1990, così come novellata dalla l. n. 15/2005 – e segnatamente il nuovo regime dei vizi – si applichi anche in materia tributaria, in quanto compatibile e salvo deroghe, dovendosi risolvere ogni problema interpretativo salvaguardando la fondamentale e specifica funzione garantistica dello Statuto (Tesauro, F., L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 1447 ss.; Basilavecchia, M., La nullità degli atti impositivi, cit., 356 ss.; Piantavigna, P., Osservazioni sul “procedimento tributario”, cit., 75 ss; Zagà, S., Le invalidità degli atti impositivi, Padova, 2012, 33 ss.). La prevalente dottrina tributaria evita di affrontare il tema; tuttavia contro l’applicabilità del nuovo regime dei vizi v.: Muleo, S.-Lupi, R., Motivazione degli atti impositivi e (ipotetici) riflessi tributari delle modifiche alla legge n. 241/90, in Dialoghi trib., 2005, 533; Perrone, L., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, cit., 574; Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 355, il quale tuttavia, in un successivo contributo, pur conservando ampie riserve sul nuovo regime dei vizi, riconosce l’operatività nella materia tributaria delle norme e dei principi del diritto amministrativo, parlando di «risultato positivo, almeno in parte imputabile… all’indirizzo dato da Micheli agli studi sull’attuazione dei tributi» (Diritto tributario ed evoluzione del pensiero giuridico, in AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, 18; in giurisprudenza, per l’applicabilità dell’art. 21 octies in materia tributaria, v. Cass., sez. trib., 31.1.2013, n. 2373).
Come risulta dal contesto teorico nel quale è maturata la novella, tutto ruota su una nuova concezione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., impregnato non più dal formalismo legalitario, ma da finalità di risultato ed efficienza nella gestione dei rapporti.
Anche nell’ambito della funzione impositiva e della giustizia tributaria la nuova filosofia dell’amministrazione di risultato, il favor per gli interessi pubblici e collettivi, il nuovo regime dei vizi ed il depotenziamento dei vizi formali possono trovare adeguata implementazione; del resto il dato positivo è insuperabile (si rammenta che già nel vigore del vecchio d.P.R. 26.10.1972, n. 636, l’art. 21,“Rinnovazione dell’atto impugnato”, consentiva alla Commissione Tributaria di sollecitare l’A.F. alla rinnovazione dell’atto affetto da taluni vizi).
Infatti nella nostra materia lo Statuto dei diritti del contribuente costituisce uno solido baluardo, che si innesta nella disciplina generale dell’azione amministrativa, orienta in chiave garantistica l’interpretazione e l’attuazione di tutte le leggi tributarie, pone specifiche garanzie procedimentali in favore del contribuente (v. supra, § 4).
Comunque la funzione impositiva è caratterizzata da alcune specificità, che consentono un innesto armonioso ed equilibrato del nuovo regime dei vizi, con significativi margini di recupero a favore degli interessi oppositivi dei contribuenti: i poteri impositivi debbono essere esercitati entro termini decadenziali, per cui, a prescindere dai limitati casi di azione di nullità, la normale azione di annullamento ad effetto costitutivo non potrà che produrre effetti caducatori del provvedimento impositivo impugnato; l’accesso al rapporto è precluso al giudice tributario in quanto è l’A.F. a dover emanare l’atto idoneo ad evitare la decadenza.
Risulta quindi chiaro che quella che è stata chiamata “illegalità utile”, o “illegalità praticabile” (Civitarese Matteucci, S., La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006, 132 ss., 281 ss.), può trovare ingresso anche in materia tributaria, ed anzi può consentire di ricondurre a sistema talune soluzioni radicalmente sostanzialistiche cui in via interpretativa giungono quelle frequenti sentenze della Corte di Cassazione che sterilizzano i vizi dell’istruttoria procedimentale in termini di mera inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita.
Come è noto la giurisprudenza è fluttuante: -un primo orientamento, sulla base del principio della “invalidità derivata”, ritiene annullabile l’avviso di accertamento per effetto dell’illegittimità degli atti istruttori (Cass., S.U., 21.11.2002, n. 16424, in Rass. trib., 2003, 2088); -un secondo orientamento considera inutilizzabili le prove illegittimamente acquisite, con conseguente “infondatezza” dell’avviso di accertamento laddove esso non sia supportato da altri elementi ritualmente acquisiti (Cass., sez. trib., 1.4.2003, n. 4987, in Riv. giur. trib., 2003, 621); -un terzo orientamento, infine, sempre più pervasivo, giunge ad affermare l’utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, salvo i limiti derivanti da specifiche preclusioni o da violazione di diritti costituzionalmente garantiti (Cass., sez. trib., 20.3.2009, n. 6836).
Sul piano teorico la questione va ricondotta ai rapporti tra attività istruttoria e funzione impositiva, ed alla connotazione autoritativa, o meno, dell’istruzione probatoria procedimentale. La tesi che tende ad affermarsi è quella secondo cui l’autonomia tra attività istruttoria ed attività impositiva ha come necessaria conseguenza che un vizio dell’istruttoria non può riverberarsi nel provvedimento impositivo, dando luogo ad una pura e semplice inutilizzabilità della prova (La Rosa, S., Istruttoria e poteri dell’ente impositore, in Riv. dir. trib., 2009, I, 523).
Si ritiene che il nuovo regime dei vizi procedimentali e formali debba comportare una profonda revisione dei pregressi orientamenti: laddove nell’accertamento confluiscano prove illegittimamente acquisite, ai sensi dell’art. 21 octies l’atto non potrà essere annullato soltanto qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; ormai non vi è più spazio per la teoria della mera inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite (e tantomeno per quella della loro utilizzabilità); ma anche in termini più generali risulta superata la questione della c.d. infondatezza, nel senso che l’atto potrà essere soltanto valido o invalido, annullabile o non annullabile (le questioni di “merito” riverberano sul piano della difformità o conformità dell’atto dalle norme sostanziali); la prova illegittimamente acquisita non porterà all’annullamento dell’atto di accertamento laddove risulterà irrilevante rispetto al suo contenuto dispositivo.
Nel diritto amministrativo, così come nel diritto tributario, il procedimento rappresenta il naturale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell'autorità.
Come anticipato, autorevole parte della dottrina nega al procedimento una funzione sostanziale e ricorrere alla nozione di procedimento in materia tributaria con una finalità meramente descrittive, o addirittura in modo dichiaratamente atecnico; ma si ritiene che ciò svilisca il vincolo al doveroso «rispetto, da parte dell'amministrazione, delle regole procedimentali che l'ordinamento fiscale prevede in funzione di garanzia delle situazioni soggettive del privato (contribuente o soggetto terzo) coinvolto nell'esercizio dell'attività amministrativa» (Salvini, L., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., 4534).
Enucleati i tratti essenziali del dibattito nella dottrina tributaria e della contrapposizione tra gli altalenanti orientamenti giurisprudenziali, è ormai necessario tener conto del mutato quadro normativo e teorico a seguito della novella alla l. n. 241/1990, del generalizzato depotenziamento dei vizi procedimentali e formali, dell’affermarsi della nuova logica dell’amministrazione di risultato in luogo del tradizionale approccio legalistico-formale.
Per quanto riguarda la materia tributaria va certamente riconosciuto il ruolo fondamentale dell’interesse fiscale, desumibile dall’art. 53 Cost., inteso quale interesse alla percezione dei tributi, pronta e perequata, mediante l’esatto funzionamento del sistema tributario; ma non può essere obliterato il principio di capacità contributiva espressamente posto al centro del sistema dei valori costituzionali. Interesse fiscale e capacità contributiva vanno però contemperati in modo coerente. In una prospettiva formalistica, l’equilibrio e la reciproca salvaguardia rispondono a logiche formali, mentre in una prospettiva sostanzialistica dovranno necessariamente rispondere a logiche sostanziali.
Il principio di uguaglianza, il diritto di difesa, le regole del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, impongono una interpretazione equilibrata e coerente della salvaguardia dell’interesse fiscale e del principio di capacità contributiva. È specificamente il dovere di imparzialità ad imporre all’A.F. di tollerare nei confronti del contribuente quegli stessi vizi procedimentali e formali, che ad essa sono tollerati dall’art. 21 octies della l. n. 241/1990.
Per tale via può e deve essere valorizzato in via interpretativa il superamento del rigido formalismo che condiziona gli adempimenti dei contribuenti, gli obblighi dichiarativi e strumentali, la modulistica, ecc. (per i supporti normativi v., ad es., gli artt. 6 e 10 dello Statuto).
Su tali basi va fondato il rifiuto di interpretazioni formalistiche ed il doveroso rispetto dei comportamenti sostanzialmente corretti dei contribuenti.
Ma tutto ciò non comporta affatto una svalutazione del procedimento: tanto nel diritto amministrativo, quanto nel diritto tributario, se è vero che è recessivo il garantismo procedimentale è innegabile che emergono i qualificanti valori dell’economicità, dell’efficacia, della pubblicità, della trasparenza, ecc.
Il procedimento resta il naturale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell'autorità, che va assunta nel rispetto di tali principi. Del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione amministrativa-gestoria.
Nonostante i suindicati profili di depotenziamento dell’invalidità, le norme procedimentali continuano ad avere una notevole rilevanza: sul piano della validità per tutti i provvedimenti discrezionali o che comunque non siano integralmente vincolati, ed entro i limiti posti dall’art. 21 octies anche per i provvedimenti del tutto vincolati; sul piano della responsabilità disciplinare; sul piano della responsabilità per danno erariale; sul piano della responsabilità risarcitoria in favore dei cittadini danneggiati; sul piano penale, ecc.
Per quanto riguarda la fiscalità tutto il sistema dell’azione impositiva, dell’attuazione delle norme tributarie e dei controlli resta incentrato sul procedimento; la dichiarazione e l’autoliquidazione rivestono un ruolo fondamentale, ma di certo lungi dall’essere autosufficiente, come dimostrano la marcata connotazione autoritativa dei rapporti tributari e l’innegabile rilevanza dei controlli e della repressione degli illeciti.
Del resto la discrezionalità amministrativa come pilastro su cui fondare la dicotomia tra procedimento amministrativo e procedure tributarie, per un verso è sempre stata svalutata da tutte le prevalenti teoriche che hanno posto al centro delle proprie elaborazioni l’autoritatività (o l’imperatività o l’unilateralità), e per altro verso va perdendo consistenza. Invero già si assiste ad una evoluzione del concetto di attività vincolata, proprio in ragione del depotenziamento dei vizi formali, ritenuto inapplicabile agli atti «solo parzialmente vincolati» (Sorace, D., Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. pubbl., 2007, 395, in sintonia con Villata, R.-Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 63).
Nel diritto tributario risulta ancora dominante l’orientamento tradizionale secondo cui la discrezionalità amministrativa si concretizza attraverso una ponderazione, da parte dell’A.F., fra l’interesse primario e gli interessi secondari, e tale ponderazione risulta del tutto estranea rispetto alla quantificazione del tributo (v. per tutti Perrone, L., Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano, 1969, 22 ss., il quale riprende la teoria classica elaborata da M.S. Giannini; contra Lupi, R., Società, diritto e tributi, Milano, 2005, 113 ss., che tende a delineare un concetto molto più ampio di discrezionalità come bilanciamento funzionale tra interessi, criteri interpretativi, parametri tecnici e valori giuridici; per una sintesi del più recente dibattito v. ancora Perrone, L., Discrezionalità amministrativa (dir. trib.), cit.).
Tuttavia, a prescindere dalla rivisitazione del tradizionale concetto di discrezionalità, e dalla sovraesposizione del procedimento di accertamento del tributo, rispetto a tutti gli altri procedimenti tributari, si vanno diffondendo sempre più norme che attribuiscono all’A.F. pregnanti poteri di “scelta”, basti pensare: alla vasta tipologia degli interpelli disapplicativi ed autorizzatori; all’individuazione del contribuente, dei periodi di imposta, dei comportamenti e degli adempimenti da sottoporre a verifica, alle modalità ed ai contenuti della verifica; all’utilizzo delle metodologie di accertamento, dei poteri istruttori e dei mezzi di prova, ecc.; all’annullamento in sede di autotutela, all’accertamento con adesione, alla conciliazione ed al reclamo/mediazione; alle rateizzazioni, alle misure cautelari, alla transazione fiscale ed ai variegati accordi in tema di riscossione, ecc. Parlare di mera discrezionalità tecnica (in conformità della risalente tradizione) sembra ormai privo di senso a fronte dell’art. 21 octies cit., che porta a contrapporre gli atti assolutamente vincolati, in cui l’attuazione della legge risponde a meri automatismi, a tutti gli altri, in cui rilevano scelte, apprezzamenti complessi, ponderazioni tra interessi, ecc.
Comunque soltanto nella logica del procedimento e del provvedimento è configurabile un controllo sull’esercizio dell’azione impositiva: controllo orientato non solo garantisticamente a tutela dell’interesse del contribuente (mediante la partecipazione al procedimento e, se del caso, mediante il sindacato giurisdizionale – del tutto eventuale), ma anche e soprattutto controllo (interno, diretto e costante) a tutela dell’interesse pubblico, sia in termini di buon andamento ed imparzialità, sia in termini di efficacia e verifica della corretta attuazione della capacità contributiva e dei risultati amministrativi. Risulta quindi indubbia e persistente la centralità del procedimento nell’azione impositiva.
Secondo alcune delle più diffuse e risalenti critiche all’impiego della categoria del procedimento in materia tributaria: - le procedure tributarie non sono riconducibili al modello tipico e non hanno schema unitario; -per l'attuazione del prelievo possono essere sufficienti solo gli atti del contribuente (dichiarazione e versamento); - l'atto finale di un procedimento iniziato può mancare se l'Ufficio non ne ritiene sussistenti i presupposti; - gli schemi di attuazione del prelievo variano a seconda dei diversi tributi (v. da ultimo Comelli, A., Poteri e atti nell’imposizione tributaria, cit., 102 ss.).
Si tratta di critiche inconferenti, condizionate da approcci particolaristici (endemici del diritto tributario), che non tengono conto di analoghe situazioni configurabili anche nell’ambito della normale azione amministrativa.
A prescindere dai molteplici dati normativi che supportano la sussunzione dell’azione impositiva nell’azione amministrativa, e del procedimento tributario nel procedimento amministrativo (v. supra, § 2), si osserva che: -anche i procedimenti amministrativi non sono riconducibili ad un modello tipico e non hanno schema unitario (Sandulli, A., Procedimento amministrativo, cit., 4511-4512); -non è esatto affermare che per l'attuazione del prelievo possono essere sufficienti solo gli atti del contribuente, basti pensare all’attività amministrativa necessaria per l’elaborazione e l’approvazione dei modelli di dichiarazione, di versamento, ecc., ed all’attività amministrativa relativa alla ricezione e gestione di tali adempimenti del contribuente; inoltre vi sono ormai vaste aree del diritto amministrativo in cui l’attuazione è devoluta a modelli contrattualistici, accordi, attività privata, ecc; - anche nell’azione amministrativa l'atto finale può mancare ove la P.A. ritenga insussistenti i presupposti per adottare il provvedimento, e ciò segnatamente in tutti i procedimenti ad attivazione officiosa; ma ciò che più conta è che, seppure manca un atto finale esterno, normalmente viene adottato un atto finale interno; -infine che gli schemi di attuazione del prelievo siano variabili a seconda dei diversi tributi, non vuol dire nulla, ove si consideri che nel diritto amministrativo le modalità di attuazione della norma mutano notevolmente a seconda dei settori, della natura degli interessi in gioco, della tipologia di procedimento, ecc.
Vi è poi la tendenza a concentrare l’analisi sui controlli e sull’accertamento in materia di imposte sui redditi e di IVA, trattandosi dei più importanti tributi e dei più critici segmenti del rapporto Fisco - contribuente, ma si tratta di una prospettiva influenzata da interessi applicativi, che porta a sovraesporre tali tributi ed a trascurare tutte le altre procedure attuative in tema di sanzioni, agevolazioni, riscossione, rimborsi, ecc.; si sovraespongono altresì i tributi erariali gestiti dall’Agenzia delle Entrate rispetto a tutti gli altri tributi, ed all’attività delle altre Agenzie fiscali e degli altri enti impositori. La stessa dottrina del diritto amministrativo enfatizza la rilevanza dell’accertamento tributario, qualificando e collocando i procedimenti tributari nell’ambito dei procedimenti ablatori obbligatori, con le quali si richiede al destinatario del provvedimento l’adempimento di un’obbligazione, «instaurando, tra autorità e cittadino, un rapporto di pretesa-obbligo» (Sandulli, A., Procedimento amministrativo, cit., 4520).
Si ritiene necessario recuperare attenzione per lo studio della tipologia, dei contenuti e degli effetti dei procedimenti tributari, distinguendo tra: -procedimenti di controllo; -procedimenti giustiziali; -procedimenti ampliativi dei diritti dei contribuenti (in capo ai quali si configurano interessi pretensivi); -procedimenti limitativi dei diritti dei contribuenti (in capo ai quali si configurano interessi oppositivi); -procedimenti di accertamento; -procedimenti di liquidazione; -procedimenti di riscossione; -procedimenti di rimborso; -procedimenti sanzionatori, ecc. Per comprendere appieno la fenomenologia dell’azione impositiva va evitato l’appiattimento sui fondamentali e classici temi dell’accertamento del tributo (su cui ancora oggi indugia gran parte della dottrina, v., ad es., Comelli, A., Poteri e atti nell’imposizione tributaria, cit.,112 ss.), cercando di focalizzare i mutevoli assetti tra meccanismi di mera attuazione della legge ed attività in cui rilevano scelte, apprezzamenti complessi, ponderazioni tra interessi, ecc.
Comunque la dottrina nel privilegiare nettamente lo schema del procedimento di controllo sostanziale delle dichiarazioni nelle imposte sui redditi e nell'IVA, è giunta ad elaborare un modello di procedimento di accertamento in senso stretto, nell'ambito del quale ha individuato le tipiche fasi procedimentali dell'iniziativa, dell'istruttoria, della decisione e dell'emissione dell'atto finale (Salvini, L., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., 4534).
Ormai da tempo l’iniziativa è imperniata su criteri selettivi stabiliti da atti amministrativi di carattere generale, diretti ad individuare categorie di contribuenti la cui posizione fiscale manifesta elementi di anomalia o per i quali risulta comunque opportuno effettuare controlli. Tuttavia tali criteri non sono vincolanti; l’Agenzia può procedere al controllo anche nei confronti di contribuenti “fuori lista” (si ritiene che tali criteri non siano vincolanti e limitativi: Favara, F., La programmazione dei controlli fiscali in Italia: aspetti giuridici, in Dir. prat. trib., 1982, 222; TAR Lazio, 20.12.1991, n. 2176, in Comm. trib. centr., 1992, IV, 455; contra Fantozzi, A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 228). La legge attribuisce anche alla Guardia di Finanza il potere di effettuare controlli e quindi il potere di iniziativa procedimentale. È indiscutibile che il procedimento di accertamento deve essere qualificato come procedimento officioso (v. per tutti Glendi, C., L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 97 ss.), risultando del tutto superata la risalente tesi che attribuiva (in ben altro quadro normativo) alla dichiarazione la funzione di impulso procedimentale (Fantozzi, A., La solidarietà nel diritto tributario, Torino, 1968, 167).
L’A.F. non è tenuta a comunicare al contribuente l'avvio del procedimento, giacché secondo l’art. 13, l. n. 241/1990 le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento amministrativo - capo II, artt. 7-12 - non si applicano ai procedimenti tributari (che normalmente, in ragione di peculiari esigenze investigative, presentano forti connotazioni inquisitorie).
Nella fase istruttoria vengono individuate e raccolte le prove su cui basare l'eventuale atto di accertamento (che ha natura provvedimentale), mediante l'esercizio di poteri istruttori specificamente disciplinati ed attribuiti dalla legge (v. ad es.: artt. 32 ss., d.P.R. n. 600/1973; artt. 51 ss., d.P.R. n. 633/72), che si dedica particolare attenzione anche alle modalità operative, prevedendo tempi, modi di esercizio dell’attività conoscitiva, l’obbligo di redigere appositi processi verbali giornalieri e processi verbali di constatazione, ecc.; tali poteri possono essere esercitati non solo dall’Agenzia delle Entrate, ma anche dalla Guardia di Finanza.
Si tratta certamente della fase più articolata e complessa del procedimento di accertamento, non solo per la molteplicità e l’invasività dei poteri istruttori, ma anche per la varietà delle situazioni soggettive dell'A.F. e dei privati coinvolti, talvolta terzi non direttamente interessati all'attuazione del prelievo, tanto da configurare dei subprocedimenti (Salvini, L., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., 4534).
La giurisprudenza nazionale è decisamente orientata ad escludere la possibilità di impugnare immediatamente un atto della verifica fiscale, quand’anche rivolto a soggetto terzo, che quindi rimarrà estraneo all’eventuale giudizio sull’atto di accertamento; anche una ipotetica immediata lesività dell’atto istruttorio non consente deroghe al principio della tutela differita alla fase dell’eventuale emanazione dell’atto di accertamento (Cons. St., sez. IV, 5.12.2008, n. 6045, in Corr. trib., 2009, 536; Cass., S.U., 16.3.2009, n. 6315, ibidem, 2009, 1918); tuttavia emergono significative aperture in ambito europeo (C. eur. dir. uomo, 21.2.2008, Ravon c. Francia, in Riv. dir. trib., 2008, 181).
L’intensa autoritatività dei controlli, degli accessi, delle ispezione e delle verifiche, da corpo ad un vero e proprio potere di polizia tributaria, per cui i diritti e le garanzie dei contribuenti sottoposti a verifiche fiscali hanno trovato espressa salvaguardia nello Statuto dei diritti del contribuente, laddove l’art. 12 delimita l’esercizio delle verifiche e l’art. 15 prevede un apposito codice di comportamento per i verificatori.
Ai fini dell’emanazione dell’atto finale il vaglio delle prove acquisite durante la fase istruttoria può essere effettuato solo dall’Ufficio delle Entrate competente ad emanare l’atto di accertamento, anche se l'istruttoria è stata condotta dalla Guardia di Finanza.
Al termine dell'attività di controllo i verificatori procedono alla redazione di un processo verbale di constatazione, nel quale debbono descrivere i risultati dell'attività svolta, esprimono le proprie valutazioni in merito, propongono l’eventuale recupero delle imposte, l’irrogazione delle sanzioni, ecc. Nell’emanazione dell’atto di accertamento l’Ufficio delle Entrate deve effettuare una propria autonoma e specifica valutazione dei risultati dell'attività di controllo, ma spesso si limita a recepire acriticamente i rilievi del processo verbale. Laddove l’Ufficio ritenga di non poter condividere i rilievi dovrà essere emanato un vero e proprio atto di archiviazione, sia pure a rilevanza essenzialmente interna; ciò non soltanto per ragioni di imparzialità e di buon andamento dell'azione impositiva, ma anche per prudenziali esigenze interne agli uffici, attinenti alla esplicitazione delle scelte operative.
In base alle premesse di carattere sistematico già ampiamente illustrate, l’atto di accertamento ha natura provvedimentale.
Lo Statuto grava l’Agenzia delle Entrate, a pena di nullità, dell’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti o documenti prima di procedere all'iscrizione a ruolo (art. 6, co. 5); viene poi riconosciuto il diritto del contribuente di presentare deduzioni dopo la notifica del processo verbale di constatazione, gravandosi l’Agenzia di specifici obblighi di vaglio istruttorio prima di emanare l’accertamento (art. 12, co. 7,). La dottrina ne ha desunto la generalizzata, sia pure implicita, implementazione del principio del contraddittorio (Marongiu, G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, cit., 140-143). Per quanto riguarda la giurisprudenza, a fronte dei risalenti orientamenti svalutativi del contraddittorio, sembrano ormai risolutive le sentenze 1.12-18.12.2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, con le quali le Sezioni Unite, in tema di accertamenti standardizzati, hanno, infine, riconosciuto che «il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l'azione amministrativa…»); ma persistono pronunce di segno opposto (v., ad es., Cass., sez. trib., 28.2.2013, n. 15319). Il quadro dell’evoluzione giurisprudenziale si completa con alcuni decisi arresti garantistici della Corte di Giustizia (C. giust., 18.12.2008, C-349/07, Sopropé c. Fazenda Pública, in Rass. trib., 2009, 580).
Venendo alle forme partecipative l’autorevole dottrina che più attentamente ha studiato il tema (Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento, cit.; Id., La «nuova» partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Riv. trib., 2000, 1, 13 ss.; Id., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., 4540) ne identifica due distinte tipologie: - la partecipazione collaborativa, mediante la quale l’A.F. può acquisire nei confronti del contribuente, partecipe, ma sottoposto a poteri autoritativi, elementi probatori utili ai fini del controllo (Muleo, S., Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000; Viotto, A., I poteri di indagine dell'amministrazione finanziaria, Milano, 2002; Cipolla, G., La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005); - la partecipazione difensiva, mediante la quale l’A.F. consente al contribuente di apportare motivi, eccezioni, prove, ecc., a tutela dei propri interessi, affinché vengano valutati prima di emettere il provvedimento impositivo (si pensi all'accertamento antielusivo ex art. 37 bis, d.P.R. n. 600/1973, all'iscrizione a ruolo a seguito di liquidazione della dichiarazione ex art. 6 ed alle deduzioni a fronte del PVC ex art. 12, l. n. 212/2000; alle deduzioni nel procedimento sanzionatorio ex art. 16, d. lgs. 18.12.1997, n. 472, ecc. (Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, cit.). Tuttavia tale bipartizione risulta scarsamente utile sul piano applicativo; in entrambe le forme partecipative si sovrappongono ed ibridano acquisizioni conoscitive proficue per l’A.F. ed iniziative del contribuente a tutela dei propri interessi.
Sul piano sistematico tali schematizzazioni, incentrate sul procedimento di accertamento in senso stretto, offrono un quadro utile, ma parziale.
Chiarito che nei procedimenti tributari la partecipazione del privato (contribuente, terzo, ecc.) assume peculiari forme, notevolmente delimitate, circoscritte e depotenziate rispetto alla disciplina base della legge generale, acclarato che tali limitazioni trovano giustificazione nella natura marcatamente inquisitoria ed autoritativa dei controlli, enucleate le differenze tra forma della partecipazione e nucleo del contraddittorio, sembra che a questo punto – in ragione del nuovo regime dei vizi formali e procedimentali e dell’ormai indiscutibile sussunzione dell’azione impositiva nella attività amministrativa – l’analisi dei procedimenti tributari debba essere incentrata sulla loro tipologia, sui contenuti e sugli effetti.
D.P.R. 26.10.1972, n. 633; d.P.R. 29.9.1973, n. 600; l. 7.8.1990, n. 241; d.lgs. 18.12.1997, n. 472; l. 27.7.2000, 212; l. 11.2.2005, n. 15.
Basciu, A.F., Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Basilavecchia, M., La nullità degli atti impositivi. Considerazioni sul principio di legalità e funzione impositiva, in Riv. dir. fin., 2006, I, 357; Comelli, A., Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova 2012; del Federico, L., Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano 2010; Fantozzi, A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 224; Id., Il diritto tributario, Torino, 2003; Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 355; Id., Diritto tributario ed evoluzione del pensiero giuridico, in AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, 15; La Rosa, S., Il giusto procedimento tributario, in Giur. imp., 2004, 763; Id., Istruttoria e poteri dell’ente impositore, in Riv. dir. trib., 2009, I, 523; Marongiu, G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino 2008; Micheli, G.A., Considerazioni sul procedimento tributario d'accertamento nelle nuove leggi di imposta, in Riv. dir. fin., 1974, I, 620; Perrone, L., Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano 1969; Id., Discrezionalità amministrativa (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. Cassese, III, Milano, 2006, 2005; Id., Riflessioni sul procedimento tributario, in Rass. trib., 2009, 52 ss. (ed in AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, 81; Id., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2011, I, 563; Piantavigna, P., Osservazioni sul “procedimento tributario” dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo, in Riv. dir. fin., 2007, I, 52; Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009; Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990; Id., Procedimento amministrativo (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. Cassese, 4531; Selicato, P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001; Tesauro, F., L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 1446.